domenica, agosto 30, 2015

Oliver Sacks- neurologo e scrittore di successo

E' morto oggi all'età di 82 anni il neurologo e scrittore Oliver Sacks. Nato a Londra nel 1933; trasferitosi negli Stati Uniti, dal 1965 viveva e professava la sua attività di neurologo a New York.
I suoi numerosi libri sono diventati best seller. Vanno ricordati ad esempio: L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello oppure Risvegli, in cui raccontava di alcuni pazienti affetti da encefalite letargica che brevemente erano usciti dal loro stato catatonico (nel 1990 uscì anche il film omonimo con Robin Williams e Robert De Niro).
Io ho letto ultimamente di Oliver Sacks, L'occhio della mente. In questo libro Sacks racconta della prosopagnosia, la malattia che causa difficoltà nel riconoscere i visi delle persone; insieme descrive la sua patologia di perdita della visione binoculare a causa di un tumore che colpì il suo occhio destro.
In seguito Oliver Sacks racconterà delle sue molteplici patologie; questa voglia di raccontare lo rende sicuramente uno scrittore e non a caso riceverà molti riconoscimenti in campo scientifico e artistico.
La sua curiosità ed eccentricità lo porterà a provare diverse droghe raccontandone gli effetti. Il libro, che descriverà le sue esperienze di alterazioni mentali, si titolerà: Allucinazioni.
Oliver Sacks diceva di essere rimasto celibe a causa della eccessiva timidezza, che considerava anch'essa una patologia. In seguito dichiarò di essere omosessuale.
L'ultima patologia, quella che lo ha condotto alla morte, è stata un cancro al fegato. Di questa ne aveva dato notizia lui stesso. Insieme aveva detto che stava terminando diversi libri...chissà se sarà riuscito a concluderli e darci così una ulteriore testimonianza diretta e soprattutto artistica di qualche altra patologia.
Grazie Oliver.

A questo LINK la traduzione della lettera di Oliver Sacks in cui annuncia la sua malattia terminale.

venerdì, agosto 21, 2015

Dio e Darwin di Orlando Franceschelli

Ho appena terminato di leggere Dio e Darwin -Natura e uomo tra evoluzione e creazione- di Orlando Franceschelli. Con questo saggio chiaro e conciso ho compreso che perfino la nostra mente, la nostra capacità etica, può essere spiegata con il naturalismo evoluzionistico di Darwin.
La plausibilità di questa teoria ha aperto alla scienza scenari sempre più nuovi e difficili da intaccare con creazionismi o disegni intelligenti.
Charles Darwin, che all'inizio era un fervido credente, alla fine dei suoi studi si proclamò non ateo ma agnostico, senza religione. E' proprio la religione il legame difficile da estirpare nella mente di un uomo a cui fin da bambino è stato educato a queste credenze: così sosteneva Darwin.
Darwin ha segnato un punto di svolta epocale e semplicemente non raggirabile. Dopo Darwin, è veramente cambiato per sempre il nostro modo di guardare al mondo, alla natura umana, all’etica.

Tutti noi volenti o nolenti abbiamo assorbito la concezione del platonismo cristiano; con Darwin usciamo dalla componente personale e divina della natura per comprendere che quella forza che opera nella selezione naturale non persegue nessun disegno consapevole o finalistico, ma solo ciecamente adattivo, con le componenti stocastiche delle mutazioni e delle forze dell'ambiente. Il tutto senza assicurare nessun risultato ottimale...anzi sprecando e procedendo per errori.

Leggendo questo libro mi è venuto alla mente-anche se l'autore non lo cita- il lavoro di Jacques Monod descritto nel libro: Il caso e la necessità, (di questo libro mi riprometto di parlarne in un altro post).

E' solo dopo Darwin che alla domanda che continuamente si chiedeva Kant in modo lacerante: 'O uomo da dove vieni? Troppo poco per essere opera di un Dio, troppo per essere frutto del caso', possiamo dare una risposta plausibilmente emancipata da ogni residuo creazionistico e antropocentrico.

Con Darwin viene acquisito definitivamente che non c'è alcun anello mancante nella genealogia dell'Homo sapiens, per cui non ha né una provenienza né una destinazione extra-naturali e neppure una condizione speciale all'interno della natura. Come appunto aveva ben visto prima Spinoza, che avendo rinaturalizzato insieme a Dio anche l'uomo, ammoniva a considerare quest'ultimo non 'un potere all'interno di un potere (imperium in imperio)', bensì parte della natura. Anzi e saggiamente: 'particula naturae'. Darwin concludeva: 'Che le circostanze abbiano dato all'ape il suo istinto non è meno meraviglioso del fatto che abbiano dato all'uomo il suo intelletto'.

Possiamo indagare allora su l'uomo e la sua storia senza una concezione che preveda il ricorso ad una anima immortale, un suo Dio creatore e ad una Provvidenza divina? Riusciamo a considerare la dignità umana e con essa i valori etici, la giustizia e la civilizzazione indipendenti da un'anima immortale? Sì, con Darwin riusciamo a considerare l'uomo alla stregua di tutti gli altri esseri viventi.

Darwin nega la diversità tra l'uomo e i mammiferi più elevati riguardo alle loro facoltà mentali. Con ciò, destituito da quel ruolo predominante che gli era stato attribuito all’interno del creato, nonché mettendo in discussione la allora imperante teoria creazionista, si può riscrivere la storia.
La sola differenza che Darwin aveva prospettato tra l'intelligenza e il linguaggio dell'uomo e quelli degli altri animali, era di grado – spiegabile con la legge della selezione naturale – e non di genere.

Se accanto agli attacchi dei creazionisti, si considerano anche le strumentalizzazioni delle teorie di Darwin da parte dei darwinisti sociali, le incomprensioni nichilistiche di Nietzsche (volontà di potenza contro evoluzione culturale concepita come snaturamento), e quelle storicistiche di Marx (natura umana essenzialmente storica contro la riduzione dell'uomo a pura animalità), il contributo davvero epocale del naturalismo darwiniano al passaggio moderno dall'universo-creazione all'universo-natura e dall'uomo imago Dei a Homo sapiens, si tocca con mano.

Darwin aveva visto giusto. Anche dopo gli attacchi di Nietzsche e Marx, il pensiero di Darwin di inserire anche la cultura come frutto dell'evoluzione rafforza la sua teoria e l'integrazione tra biologia e cultura, capacità morale genetica si inseriscono in una effettiva evoluzione; sempre a partire dalla naturalizzazione non avida dell'uomo.

Ebbene, il cuore di tutta l'impresa, indubbiamente complessa, di Darwin, altro non è che il tentativo di trasformare proprio una simile assurdità in plausibilità. Si dimostra che l'evoluzionismo può rendere conto di tutto il sistema naturale, senza fare ricorso ad alcun piano di un Creatore. A quest'ultimo subentravano due inconsapevoli meccanismi soltanto naturali: la casualità delle mutazioni e la selezione di quelle più adatte alla sopravvivenza.
Tutta la saggezza inventiva dell'universo si potrebbe spiegare con le eterne rivoluzioni della materia cieca (Hume)

In sostanza il riconoscimento dell'evoluzionismo darwiniano può aprire la porta al dialogo tra fede e disincanto, perché rende entrambi più critici e consapevoli. La ricerca di un Dio che non sia contrapposto al naturalismo, ma dialogante. Un Dio che non sia votato a vedere il male nell'evoluzione naturalista. Un Dio che venga concepito anch'esso come un Dio dell'evoluzione.
Ecco cosa ci regala Darwin, la possibilità di rivedere un Dio laico; un Dio umile che si sottomette alla autonomia evolutiva dell'universo e alla libertà dell'uomo.
Allora sarà sconfitto ogni fondamentalismo andando oltre alla contrapposizione tra ateismo e teismo.

Dio e Darwin - Natura e uomo tra evoluzione e creazione
di Orlando Franceschelli
Edizioni Donzelli 2005, pp. VI-168, ISBN: 9788879899987 - € 12,50
L'autore Orlando Franceschelli, filosofo, insegna Teoria dell’evoluzione e politica presso l’Università La Sapienza di Roma.

giovedì, agosto 13, 2015

Una risposta scientifica al problema dell'emigrazione di massa

L'emigrazione di carattere epocale di tanta parte della popolazione africana verso l'Europa, come sta avvenendo in questo periodo storico, potrebbe essere letta come forza naturalista inserita nell'evoluzione darwiniana.
La ricerca di sopravvivenza e per un bilanciamento dello sfruttamento delle risorse -ora ad appannaggio dell'occidente- nonché per un apporto di sangue nuovo in una popolazione europea sempre più vecchia, ha nel quadro delle leggi naturalistiche la sua ragione intrinseca.

Gli spostamenti di gioventù, in particolare di donne fertili, da una parte di zone povere e a rischio di vita diventano incontrastabili. Cosa fare? Per l'animale uomo è indubbio che la sua cultura ha acquisito una dimensione di nuova natura. Sarà proprio la sua cultura a dare una risposta adeguata e non cruenta utile a fronteggiare questa fase epocale.
Naturalmente dipenderà dall'uomo quale tipo di cultura scegliere di adottare. Se saprà essere saggio la risposta culturale giusta dovrà essere quella della solidarietà e della condivisione delle risorse. La cultura umana ha trovato proprio nella socializzazione e nell'apertura delle comunità la dimensione che le ha permesso di progredire -seppure con diverse fortune dovute proprio all'alternarsi di culture di chiusura a quelle di solidarietà.
L'uomo ha trovato nella cultura della costruzione sociale condivisa la maniera non solo per sopravvivere, ma anche per progredire. L'incontro pacifico tra uomini ha permesso di sviluppare idee e superare immani difficoltà. Le più grandi e ricche comunità di oggi sono quelle dove si sono incontrati gli uomini più diversi. Quelli che provenivano da zone lontane con caratteristiche etniche molto differenti.

Ecco allora che se sapremo fare ricorso alla cultura più vera dell'uomo riusciremo a superare, non solo indenni quelle che ora vediamo come difficoltà, ma a scoprire i valori fondamentali del suo essere.
Non ci saranno economie astruse, legate al consumo di materie e ricchezze a scapito di qualcuno o qualcosa, ma economie vere: dove l'eco non verrà scambiato con l'ego. A noi la scelta.

lunedì, agosto 10, 2015

'La lettera a Hitler. Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento'

'La lettera a Hitler. Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento' è un libro di Gabriele Nissim che racconta la vita di uno straordinario personaggio del '900.
Armin T. Wegner è stato testimone dei passaggi più cruenti e crudeli che il popolo tedesco abbia compiuto. Il suo pacifismo, nasceva dalla profonda convinzione contro ogni forma di violenza acquisita vivendo in prima persona le nefandezze del secolo in cui visse: il '900.

Armin Theophil Wegner è colui che ha testimoniato il genocidio del popolo armeno del 1909. Da quell'esperienza scriverà una lettera a Hitler con cui chiederà di fermare la persecuzione contro gli ebrei. L'odio non avrebbe vinto...anzi. Wegner era un ingenuo? Difficile a dirlo; forse non aveva letto il Mein Kampf dove si descrivevano chiaramente le ragioni per cui sopprimere il nemico giudaico-marxista, responsabile per Hitler di tutto il male che il popolo tedesco pativa. Un'altro motivo della lettera a Hitler potrebbe essere stato benissimo la storia d'amore con Lola Landau, una artista di origine ebraica. Armin con Lola aveva avuto una figlia e rappresentava quanto l'arte e la bellezza potevano essere a servizio della Germania, indipendentemente dall'essere ebraica.

Armin T. Wegner aveva chiaro che l'odio verso gli ebrei avrebbe portato alle stesse conclusioni patite dagli armeni. Inoltre Armin T. Wegner conosceva quanto gli ebrei avevano contribuito alla grandezza della cultura tedesca.
Armin Wegner vedrà così compiersi un altro genocidio. La testimonianza el genocidio armeno ad opera dei turchi -con l'indifferenza del popolo tedesco- è stata fornita da Wegner anche attraverso molte fotografie da lui stesso scattate. In un certo senso egli anticipa la testimonianza degli audiovisivi, voluta dai comandi delle truppe alleate per documentare quei crimini che solo raccontati a voce potevano non essere creduti.


Il libro di Nissim ricorda anche le numerose lettere che Wegner inviò ai potenti della Terra per per protestare contro le emergenze umanitarie del XX secolo. Lo farà nella sua particolare funzione di scrittore e poeta segnato dall'esilio, vissuto in Italia fino alla morte. In lui troviamo, oltre al poeta sempre fedele alla lingua, il Giusto universale, onorato a Yerevan e a Yad Vashem per la sua solidarietà con armeni ed ebrei, pagata a caro prezzo.
Ad esempio in una lettera inviata al presidente degli USA, Thomas Woodrow Wilson per fare presente di quanta responsabilità abbiano tutti, in particolare il popolo tedesco, per il genocidio armeno chiedeva l'impegno per ricostituire la nazione dell'Armenia.
Un'altra lettera la inviò anche a Mussolini per intercedere per l'amica Irene Kowaliska da cui ebbe un figlio. Era la richiesta di non infierire contro di lei -apprezzata ceramista a Vietri- per qualche goccia di sangue ebraico. Stranamente quella lettera invece ottenne il risultato e sul passaporto di Irene non fu applicata la scritta dell'origine ebraica

Tra i molti interrogativi, che la figura di Armin T. Wegner, evoca, va ricordato con quello che successe il 3 giugno del 1921, quando un tribunale tedesco assolse l'assassino di Talaat Pascià -il maggior responsabile del genocidio operato dai turchi.
L'assassino Soghomon Tehlirian, aveva ucciso Talaat Pascià in una strada di Berlino, dove si era rifugiato sotto falso nome. Infatti si chiede: 'Chi aveva in mano la chiave del destino?'.Quei giudici furono gli arbitri del destino perchè ascoltarono la voce del cuore e non quella di una giustizia astratta. Così essi diedero un senso a quegli avvenimenti con una sentenza che divenne un giudizio sulla storia universale. Una problematica che Wegner prevede e si riscontrerà in maniera più drammatica nella Germania del secondo dopoguerra. Wegner riflette di quanto e sempre nel nome di un bene superiore gli uomini siano stati disposti a infrangere ogni etica e a fare le cose peggiori.
Nel miraggio di un bene universale, con la promessa di un paradiso che difficilmente si potrà trovare nell'aldilà, si costruisce un inferno vero. Si sopprime ogni avversario ritenuto ostacolo al 'bene assoluto'.
Questa verità Wegner la constaterà di persona. Anche aderendo e poi uscendone, denunciandone le perversioni, al comunismo che si stava costruendo in Russia.

Il personaggio Armin Wegner riesce a rivelarci altre molte verità. Una riguarda il significato del suo cognome tedesco che significa viandante: presagio al suo continuo peregrinare che lo porterà in viaggi avventurosi, sia per i tormenti dell’anima, intellettuali e morali, che l’hanno sempre accompagnato.
Ad esempio, lui che è un predestinato capace di cogliere l'incombenza del male, fa comprendere che l'educazione, la miglior famiglia, la cultura più buona, i migliori geni, non ci salvano e alla fine -come osserva Eraclito- il nostro destino è plasmato dal carattere che ci costruiamo da soli.
Crescere imbevuti nella propria cultura non ci salva. La cultura, pur rappresentando un elemento per crescere la qualità della vita, non ci salva.

La cultura che forma Armin T. Wegner è quella tedesca, su questa fonda i principi morali della propria personalità, ma questi si andranno a scontrare con l'altro aspetto della stessa medaglia: la reazione orgogliosa e distruttrice di ciò che è altro dal 'noi' nazionalistico.

La storia di Armin T. Wegner, consapevole della grandezza umana rappresentata da molti personaggi suoi compatrioti, lo porta a sentirsi colpevole e responsabile del genocidio ebraico in quanto tedesco; componente del proprio popolo che è stato l'artefice di tutta quella immane tragedia.
Ecco perchè la cultura in fondo non salva. Pur riconoscendo l'inconsapevolezza di tanta parte di tedeschi, morti in guerra dopo aver innescato l'orrore della Shoah, questi non meritano il perdono.
Wegner proverà vergogna per il suo popolo e per questo non si assolverà neppure lui che ha fatto molto per la giustizia e per il bene.
Morirà a Roma nel 1978, all'età di 92 anni.

La lettera a Hitler.
Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento.
Autore: Gabriele Nissim,
Edizioni Mondadori, 2015, pagine 304, euro 20