sabato, novembre 29, 2014

Se incontri il Buddha per la strada uccidilo di Sheldon Kopp

Il libro Se incontri il Buddha per la strada uccidilo di Sheldon Kopp - uno psicoterapeuta statunitense scomparso nel 1999- aiuta a prendere consapevolezza di noi che per paradosso cerchiamo una autorità esterna (psicoterapeuta, guru, filosofo, ecc) per superare i nostri disagi esistenziali. Il libro è stato scritto nel 1972 e pubblicato in Italia da Astrolabio - Ubaldini Editore nel 1975.
Sheldon Kopp, è chiaro fin dal titolo del suo libro: Se incontri il Buddha per la strada uccidilo. Già, prima o poi siamo costretti a prendere atto che quella via d'uscita non la conosce nessuno al di fuori di noi, di conseguenza la soluzione sta nel riconoscere che l'autorità che stiamo cercando siamo noi stessi.
Però intendiamoci: nessuno dice che è inutile cercare consiglio o affidarsi all'aiuto di altre persone, più o meno carismatiche, che sembrano star lì apposta per indicarci la via. Il giusto atteggiamento di fondo è sapersi relazionare con quelli che ci potranno guidare. Come non sono riusciti i nostri genitori a darci e ricette della libertà e della felicità, nessun altro sarà in grado di trasmettercele. Il loro scopo dovrebbe essere (in un gioco degli specchi') quello di indicarci i talenti che abbiamo e non sappiamo riconoscerci; oltre a trovare la relazione corretta con gli altri e il mondo.
Il ruolo importante dei maestri, terapeuti, filosofi e genitori è quello di aiutarci a scoprire dentro di noi gli strumenti che ci permetteranno di trovare la nostra strada.
In breve non dovremo mai rinunciare alla nostra autonomia: quella stessa che ci aiuterà ad assumerci la nostra parte di responsabilità nel cammino alla ricerca del nostro senso della vita.
E' un po' come per il cammino dell'individuo dall'infanzia alla maturità. Le persone adulte più autonome e indipendenti (non nel senso che non hanno bisogno di nessuno, ma nel senso che sanno stare in piedi sulle proprie gambe) in genere sono quelle che hanno potuto godere di un'infanzia nella quale hanno sperimentato la totale dipendenza, almeno nei primi anni, dalle loro figure genitoriali o di qualche adulto significativo. Diversamente sarà più facile che si renda dipendente di qualche guru, maestro o filosofo...
Ecco qui alcune perle che l'autore Sheldon Kopp mette in elenco a conclusione del libro.

Nulla dura per sempre
Non c’è alcun modo per ottenere tutto ciò che si vuole
Non puoi aver nulla a meno che non lasci la presa
Puoi conservare soltanto ciò che dai via
Ogni parte di te ha il suo valore, se solo l’accetti
In realtà non controlli nulla
Non puoi costringere nessuno ad amarti
Il mondo non è necessariamente giusto
L’essere buoni spesso non viene ricompensato e non c’è alcuna ricompensa per la sventura; nondimeno hai la responsabilità di fare del tuo meglio
Ciascuno di noi è in definitiva solo
Non ci sono grandi uomini
Tutti sono, a modo proprio, vulnerabili
Nessuno è più forte o più debole di te
Se hai un eroe, dagli un altro sguardo: in qualche modo hai diminuito te stesso
Siamo sempre tutti responsabili dei nostri atti - Nessuna scusa sarà accettata
Puoi fuggire, ma non puoi nasconderti
Impara a perdonare te stesso, più e più e più e più volte…
L’unica vittoria importante sta nell’arrendersi a se stessi
E’ importantissimo trovarsi senza più capri espiatori

giovedì, novembre 27, 2014

'Quale politica per le riforme? Bussola per un orientamento a sinistra' di Luigi Fasce

La mia recensione.
E' appena giunto nelle librerie un libro molto utile per orientarsi nel marasma della politica italiana odierna. Inoltre per l'autore Luigi Fasce c'è il particolar orgoglio che questo libro sia stato pubblicato dalla Biblion edizioni, che quest'anno compie 10 anni di attività. Questa casa editrice milanese, nata nel 2004 attraverso le sue prime collane - Civiltà del libro, Storia, politica, società, Fotografia, Circolo Polare - ha iniziato a progettare e creare nuovi percorsi di ricerca e divulgazione.
Il libro di Luigi Fasce: 'Quale politica per le riforme? Bussola per un orientamento a sinistra' si inserisce in un filone divulgativo e di riflessione politica che sono temi editoriali cui si articola la produzione saggistica della Biblion edizioni, con la collana Quaderni di politica. Questo da valore aggiunto all'opera che ha il merito di affrontare il tema dell'orientamento politico a Sinistra...e oggi sappiamo quanto ce ne sia bisogno.
Inizialmente per il titolo del libro era stato scelto da parte dell'autore: 'La cabina elettorale non è un ascensore'; ora esce con questo titolo più serioso e in linea con la collana della Biblion: 'Quale politica per le riforme? Bussola per un orientamento a sinistra'. Forse è meno intrigante però si inserisce in un contesto di domande a cui vengono date risposte e soprattutto indicazioni su rotte da percorrere a Sinistra.
Spesso ci accaloriamo in discussioni sull'origine delle crisi e sui metodi e le strade per uscirne: Luigi Fasce va al nocciolo; le sue risposte e analisi hanno il dono della sintesi. la Sinistra esiste e dovrebbe ritrovare la sua anima: un'anima che si trova nella Costituzione italiana e nello spirito liberalsocialista.
Il libro che si apre con una presentazione di Felice Besostri e la mia prefazione, contiene nella prima parte un glossario completo dei vari termini politici che vanno dal Discorso sulle ideologie al capitolo della Torre di Babele dei linguaggi, passando su Religioni e Laicità. Un aspetto didattico importante. Le altre parti: Il Lavoro Stella Polare della Sinistra e Uno sguardo sul mondo, delineano una alternativa al modello capitalista e neoliberista con lo spirito economico-sociale previsto dalla nostra Costituzione e vera bussola per una politica che non perda i suoi valori fondanti.
Ricordiamo che l'autore Luigi Fasce è un genovese, psicologo-psicoanalista adleriano, che seguendo le orme di Erich Fromm e avvalendosi dell'esperienza professionale, si cimenta nel campo della cultura politica, in particolare nella fenomenologia politica.
Luigi Fasce, Presidente del Circolo culturale di Genova dedicato a Guido Calogero e Aldo Capitini, propone terapie di orientamento laico, ecologista e liberalsocialista.

lunedì, novembre 17, 2014

La ricchezza di pochi avvantaggia tutti' Falso!

Libro di Zygmunt Bauman - ed. Laterza -la mia recensione

Un piccolo e interessantissimo libro di Zygmunt Bauman, 'La ricchezza di pochi avvantaggia tutti' Falso! -edito nel 2013 da Laterza- che punta in 128 pagine al centro dell'ingiustizia più grande del mondo: quella che genera povertà.
Questo pianeta, che dal punto di vista informatico e della circolazione delle merci sta diventando sempre più piccolo, reca con sé la povertà dovuta ad una malvagia distribuzione della ricchezza che separa sempre più i poveri dai ricchi. Tra ricchi e poveri c'è un abisso profondo che è incolmabile.
Si è sostenuto da molto tempo che solo la concorrenza, il perseguimento del profitto individuale, i premi più alti e tasse più basse al vertice stimolino l’imprenditorialità e mettano a disposizione una più grande torta economica da spartire fra tutti...la verità è che è effettivamente aumentata la ricchezza, ma senza produrre progresso economico; senza niente da spartire. Quella ricchezza aumentata paradossalmente ha generato miseria. D’altro canto, basta guardare alla disuguaglianza crescente fra poveri e ricchi: i poveri diventano sempre più poveri, nello stesso momento in cui i ricchi diventano sempre più ricchi. Non dovrebbe essere il contrario? O, quanto meno: non dovremmo star diventando tutti ricchissimi? Secondo lo slogan d’apertura, sì; ma pare che la realtà sia ben diversa.
Nella storia la diseguaglianza economica si è autoriprodotta da sempre; una conferma arriva dalla frase del Vangelo riprodotta in epigrafe al libro:
'Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha'- (Matteo 13, 12). Questa non è profezia, ma una realtà che ci arriva a distanza di 2000 anni.
Paradossalmente chi genera miseria poi si trova a fare i conti con il crescere della sua ricchezza. Questa ad un certo punto si arresta. Come mai? Ecco, chi compra le sue merci, chi segue i suoi bisogni e desideri ad un certo punto non lo fa più...il calo dei salari dei consumatori sottrae la concentrazione della crescita economica dalle mani dei ricchi. La realtà di disuguaglianza sociale è dannosa per tutti o quasi tutti i membri della società. Questa disuguaglianza, questa enorme ingiustizia mette poi a rischio la democrazia. La guerra tra i poveri che si scatena coinvolgerà tutti: privilegiati, bisognosi, indifesi e gli stessi ricchi. Le attuali crisi nascono da questi meccanismi perversi; dallo scatenarsi di logiche d'arricchimento senza freni.
Con i dogmi della naturale ingiustizia che non si può sanare, per cui l'avidità crea un bene per tutti, da Margareth Thatcher in poi si è costruita la più grande ingiustizia sociale e crisi economica mondiale, mai affrontata dal sistema occidentale. La conclusione di una approfondita riflessione di Zygmunt Bauman invece dice: 'Non c’è vantaggio nell’avidità. Nessun vantaggio per nessuno. E nell’avidità di nessuno'.
La guerra economica con alla base la persistenza di una povertà sempre più spaventosa farà sprofondare le società democratiche in un baratro autodistruggente. E' evidente che più si va avanti su questa strada solo i criminali, gli arrampicatori senza scrupoli e più forti prevarranno; questo a discapito della convivenza sociale. Queste in sostanza le conclusioni di Zygmunt Bauman contenute nel libro.
Pensiamo cosa era in verità il naturale: non era né giusto né ingiusto, era semplicemente nell’ordine delle cose: dovevano essere così e basta; era normale. Era naturale che ci fossero dei privilegiati; dei nobili a cui tutto era dovuto. Il naturale era un ordine famigliare per cui era naturale avere degli schiavi; era naturale avere uno status naturalmente uguale oppure naturalmente inferiore.
John Maxwell Coetzee, formidabile filosofo e squisito romanziere -Premio Nobel per la letteratura nel 2003-, oltre che acuto rilevatore dei peccati, dei grossolani errori e delle vacuità del nostro mondo, osserva che 'Le economie competitive esistono perché noi abbiamo deciso di dare loro questa forma. La competizione è un surrogato sublimato della guerra. La guerra non è affatto inevitabile. Se vogliamo la guerra, possiamo scegliere la guerra; ma se vogliamo la pace, possiamo ugualmente scegliere la pace'.
Fermarsi dal baratro è possibile. Basterebbe volerlo al di là di quel naturale tanto astruso!

L'autore: Zygmunt Bauman è un sociologo polacco ed è uno dei pensatori più influenti al mondo. Professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia, ha pubblicato diversi saggi tra cui Voglia di comunità, La società sotto assedio, Vite di scarto, Amore Liquido, Vita liquida, Paura liquida.

Titolo: '''La ricchezza di pochi avvantaggia tutti' FALSO!''
Autore: Zygmunt Bauman
Editore: Laterza
Anno: 2013 -Pag.128 – Prezzo:€ 9,00

lunedì, novembre 10, 2014

La coscienza: due libri a confronto

La coscienza è tema di molti studi ed è argomento di trattati di filosofia, storia, psicologia, fisica, neurologia ecc. Ad oggi, la coscienza, non è stata ancora ben illustrata, cosicché continuiamo a interrogarci su cosa sia. Quella, che per certi versi è diventata una caratteristica dell'anima, certamente evolve. Ecco, al pari della morale, la coscienza da l'impressione di variare, di trasmettere stati d'animo differenti. Vediamo attraverso due libri alcune caratteristiche e teorie delle origini della coscienza.

I libri che metto a confronto sono: Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza di Julian Jaynes -uscito nel 1976, pubblicato in Italia nel 1984 da Adelphi- e La scintilla di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi di Carlo Augusto Viano -pubblicato nel 2013 da Bollati Boringhieri.

Il libro di Carlo Augusto Viano - La scintilla di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi -ripercorre la parabola della coscienza nel percorso storico-politico e religioso che ha portato all'idea del concetto di coscienza morale. Soprattutto Carlo Augusto Viano indaga l'accidente storico che cambia la coscienza e la sua natura di volta in volta, da chi la richiama e la lega ai suoi interessi. La coscienza acquista una dimensione etica e morale. La coscienza uno strumento per la relazione privilegiata con Dio.
Il titolo del libro di Carlo Augusto Viano richiama alla scintilla conscientiae che secondo Girolamo 'non si era estinta neppure nel petto di Caino'. La consapevolezza di un male compiuto viene conservato dal delinquente per antonomasia.
Carlo Augusto Viano tratta dell’uso e dell’abuso del concetto di coscienza morale. E lo fa con vigile spirito critico, attento alle giustificazioni interessate, agli alibi e all’auto-inganno di quanti vi fanno ricorso. L'insieme del racconto che l'autore propone è sorretto dalle conoscenze filosofiche e storiche.
L’interpretazione della coscienza ha subito non poche trasformazioni nel corso del cristianesimo. La coscienza è entrata in modo laterale nella cultura cristiana, soprattutto a opera di Paolo di Tarso, che l’ha invocata in occasioni diverse, ma sempre come uno strumento per difendere il modo in cui svolgeva la propria missione. Contro l’ostilità di altri predicatori, che dovevano avere qualche vantaggio su di lui, si richiamava alla coscienza, come luogo cui Dio ha pieno accesso, per difendere le proprie posizioni, sulle quali si potevano nutrire dubbi. Ma il richiamo alla coscienza gli serviva anche per giustificare l’indulgenza nei confronti degli ebrei convertiti, che restavano fedeli ai propri tabù alimentari: li considerava coscienze deboli, che, incapaci di liberarsi dagli scrupoli, anche da quelli indebiti, vanno tuttavia rispettate.
Si profilava così una doppia interpretazione della coscienza, come sede di scrupoli, che possono essere ingiustificati perché suggeriti dalle circostanze accidentali, nelle quali le credenze, anche quelle religiose, si formano, e come strumento di comunicazione diretta con Dio. Una parte della cultura cristiana ha cercato di dare alla coscienza un contenuto, identificato con la legge naturale.
Per Carlo Augusto Viano la coscienza conserva una ambiguità di fondo che attraverso una scala di finzioni, arriva a degradarsi. La condanna di tali distorsioni (provocate da convinzioni religiose incapaci di separare quel che è di Cesare da quel che è di Dio) è netta. Il lato oscuro e ambiguo dei richiami alla coscienza, che mettono in gioco contenuti pubblici presentati come privati, ai quali solo il titolare della coscienza ha accesso, ha risultati controversi: non si tratta di un errore della coscienza o del suo uso, da correggere con qualche filosofia, ma dell’uso effettivo ed efficace della coscienza.
Quando il peggior malfattore dice ho la coscienza a posto o io so, nella mia coscienza, quali erano le mie intenzioni, chi gli nega il diritto di accampare queste scuse? Ma chi ignora che esse non vanno prese sul serio? Quando, messo alle strette, uno si appella alla propria coscienza, non gli si fanno storie, anche se si può prevedere ciò che dirà: ciò che dicono tutti in quelle condizioni. Nel raccontare la storia della coscienza il problema dell’obiezione di coscienza, diventa centrale nel libro, viene inquadrato sia all’interno della tradizione cristiana, dove la coscienza del singolo è considerata un santuario che custodisce la presenza di Dio in noi, sia nel pensiero filosofico, dove in genere rappresenta la voce interiore del dovere.

Quello che unisce i due libri è quindi il concetto di trasformazione della coscienza attraverso i tempi.

Il percorso indicato invece dal libro Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, di Julian Jaynes, sovverte ciò che si era pensato fino allora: il punto di partenza e di arrivo è la divisione del cervello in due emisferi. Il libro, che è strutturato in tre parti, affronta il problema della nascita della coscienza. Ma cos'è la coscienza? L'autore parte da questa domanda per svolgere un lungo excursus su quello che noi erroneamente pensiamo sia la coscienza. La coscienza non è il ragionare, il pensare, il calcolare, il riflettere, il fare esperienza per imparare o formulare concetti...è qualcosa che ha a che fare con la mente e con la sua formazione nel doppio cervello, che porta ad una coscienza della coscienza. La coscienza si rivela essere un linguaggio metaforico col quale comprendiamo la realtà delle cose.
Per Julian Jaynes, all'inizio quello che chiamiamo coscienza era un'insieme di voci che muovevano gli uomini come fossero automi e che li facevano cantare poesie epiche attraverso le loro labbra. Erano voci le cui istruzioni, le cui parole, potevano essere udite distintamente – allo stesso modo delle voci che sentono gli schizofrenici. Voci che parlavano costantemente dall'interno del sistema nervoso: dio è parte dell'uomo.
La coscienza nasce nel momento che la mente bicamerale, ossia la suddivisione equilibrata del cervello diviso in due emisferi, cessa. Quando l'emisfero destro, che possiede le aree del linguaggio in grado di comunicare prende il sopravvento su l'emisfero sinistro, che invece non riconosce le voci come proprie.
Jaynes individua anche un preciso periodo storico: è il momento del passaggio da una società di cacciatori a una società stanziale di agricoltori, raccolti in piccole città che richiede lo sviluppo di capacità di trasmissione dei comandi a distanza nello spazio e nel tempo. Allora entra in gioco l’emisfero destro. E' il momento che nasce anche la scrittura e avviene quel fenomeno, ancora misterioso, che a tutte le cose venne dato un nome.
Julian Jaynes seppure professore di psicologia a Princeton è stato uno studioso che spaziava in diversi campi del sapere quali l'archeologia, la letteratura antica, la linguistica, la neurologia, l'arte e l'architettura. Ed è con questi strumenti che Jaynes affronta l’analisi della nascita della coscienza. Il primo oggetto che Jaynes decide di studiare è l’Iliade, il poema con il quale inizia ufficialmente la letteratura occidentale; il risultato è sconcertante: nell’Iliade non esiste coscienza. Per lui quella che definiamo oggi coscienza è il frutto dell'evoluzione umana.
La realtà della coscienza è dello stesso ordine della matematica: più che una cosa, o un serbatoio di oggetti, è un operatore, che lavora su analoghi e metafore del mondo reale. E uno degli oggetti sui quali opera è l’analogo io. La coscienza è in grado di costruire una rappresentazione metaforica, o analogizzata, dell’io, che può essere fatto muovere in un mondo virtuale, al fine di prendere una decisione: è il modo con il quale ciascuno di noi sceglie un lavoro, un compagno, una casa. Senza questa capacità di vedere se stessi, di pensare ai propri pensieri, di immaginare il futuro o di rielaborare il passato, non c’è coscienza.
Tutto è racchiuso nel dramma vissuto dall’umanità nel corso degli ultimi 4000 anni: nel II millennio a.C. abbiamo smesso di sentire le voci degli dèi. Nel I millennio a.C. si sono estinti anche quelli di noi che ancora udivano le voci, i nostri oracoli e profeti. Nel I millennio d.C. è attraverso i loro detti e le parole divine da loro udite e preservate nei testi sacri che noi continuiamo a obbedire agli dèi perduti. Nel II millennio d.C. questi scritti perdono la loro autorità. La Rivoluzione scientifica ci distoglie dagli antichi detti per andare alla scoperta dell’autorizzazione perduta. Ciò che abbiamo vissuto in questi quattro millenni è la lenta, inesorabile profanazione della nostra specie.
Riassumendo brevemente i passaggi di Jaynes sono: l’emisfero destro possiede aree del linguaggio in grado di comunicare con l’emisfero di sinistro, che non riconosce le voci come proprie; nell’Iliade, un libro di tremila anni fa, non c’è traccia della coscienza, e gli eroi sembrano mossi da voci divine; il passaggio da una società di cacciatori a una società stanziale di agricoltori raccolti in piccole città richiede lo sviluppo di capacità di trasmissione dei comandi a distanza (nello spazio e nel tempo): entra in gioco l’emisfero destro; la coscienza non entra nella maggior parte delle azioni complesse che un uomo può compiere.
Bisogna aggiungere che sul piano scientifico la teoria di Julian Jaynes ha già ricevuto dei riscontri positivi. Nel 1963 due studiosi, Penfield e Perot, stimolando l’area di Wernicke (area dell'emisfero sinistro) di settanta pazienti, risultò che i pazienti udirono voci, ammonizioni, consigli, provenienti da luoghi strani e sconosciuti, altri rispetto a sé: altri udirono musiche, melodie ignote che erano in grado di canticchiare al chirurgo. Alcuni sentirono la voce della madre, altri di un uomo che poteva essere loro padre e del quale avevano paura; molti intimavano alle voci di smettere di parlare o di urlare. Praticamente tutti non riconoscevano come proprie quelle voci.
Jaynes stringendo il cerchio attorno alla tesi principale del libro: all'inizio quello che chiamiamo coscienza era un'insieme di voci che muovevano gli uomini come fossero automi e che li facevano cantare poesie epiche attraverso le loro labbra. Erano voci le cui istruzioni, le cui parole, potevano essere udite distintamente – allo stesso modo delle voci che gli schizofrenici. Voci che parlavano costantemente dall'interno del sistema nervoso: dio è parte dell'uomo. Per Jaynes: 'Dopo il crollo della mente bicamerale ogni dio è un dio geloso' (p. 399).
In fondo la coscienza si piazza in parte in quell'Io freudiano che, attraverso una propria rappresentazione metaforica o analogizzata, riesce a fare le scelte; prendere delle decisioni con le quali ciascuno di noi sceglie un lavoro, un compagno, una casa. Senza questa capacità di vedere se stessi, di pensare ai propri pensieri, di immaginare il futuro o di rielaborare il passato, non c’è coscienza. La teoria di Jaynes è suggestiva e ricca di molte riflessioni su cui dobbiamo fare i conti.

mercoledì, novembre 05, 2014

Il piccolo fascista che alberga sempre nella natura umana

Viviamo momenti difficili, momenti di straordinaria crisi, da cui una volta - ma non è detto che non possa succedere anche oggi- si usciva con guerre o dittature.
Ritornare ad esperienze del passato è facile ed il motivo è anche semplice: tutti conserviamo in noi un 'piccolo fascista'. Alberga nella nostra natura un sentimento di conservazione che ci tiene legati al sangue, alla tribù e rappresenta l'ostacolo più forte all'evoluzione umana. L'ingordigia e la violenza dell'uomo delle caverne, che avevano un senso per superare le difficili condizioni di vita di quei tempi, sono giunte fino a noi attraverso quel piccolo fascista, trasformando l’egoismo in crudeltà.
Per questo bisogna ricordare che il fascismo, come il nazismo, non sono soltanto fenomeni politici, ma sono anche il disperato tentativo di fermare la volontà di andare oltre: prefigurare un mondo migliore. Sono forme di disumanità. Quel dittatore o leader politico che sarà capace di estrarre il piccolo fascista da ognuno facendogli svolgere il suo ruolo sociale e a recitare la sua parte, riuscirà a far ripetere la storia degli orrori passati.
Che fare? Teniamo gli occhi ben aperti facendo attenzione a chi si professa guida infallibile, padre, duce...tutto naturalmente dopo aver dato uno sguardo attento dentro di noi.
Ippolyte Taine- filosofo, storico e critico letterario francese, che riduceva la psicologia a fisiologia, faceva discendere tutto a fattori deterministici dettati dalla Natura. Taine ricordava: 'la zoologia ci mostra che l’uomo ha i canini; stiamo attenti a non provocare in lui l’istinto carnivoro e feroce. La storia mostra come gli stati, i governi, le religioni, le chiese e tutte le istituzioni sono i mezzi grazie ai quali l’uomo (animale e selvaggio) acquisisce la sua piccola parte di ragione, giustizia e verità. Così si creano le civiltà: una mano di vernice sottilissima, sotto la quale si trovano intatti gli istinti e le passioni primitive dell’animale uomo. (Lombroso)'.
Ancora Ippolyte Taine: 'Dentro di noi c’è sempre un selvaggio, un pazzo addormentato e incatenato sempre pronto ad uscire dalla caverna del nostro cuore. La normalità diventa il risultato di una costante allerta contro le latenti potenze di disgregazione. Come la malattia è sempre pronta ad intaccare il corpo; così la follia è pronta a impossessarsi dello spirito'.

domenica, novembre 02, 2014

NON DITE MAI A UN BIMBO: "NON DEVI PIANGERE"

Il bisogno di controllare tutto, specialmente i sentimenti genera persone infelici e frustrate.
Eppure quante volte abbiamo sentito dire: Non devi piangere; Non devi arrabbiarti; Non devi essere triste; Non fare la femminuccia, un vero maschietto non piange; Non frignare, una signorina non piange...
Si parte con queste affermazioni, da parte dei genitori, per non vedere soffrire i figli o farli smettere di lamentarsi e fare i capricci, -questo può risultare giusto- ma attenzione, si possono anche provocare dei danni!
Intanto si potrebbe instaurare una incapacità a fare esprimere le emozioni. Reprimere il dolore diventa così una pratica normale a cui sottostare per essere accettati dagli altri.
Attraverso quelle frasi, dette prima e introiettate dal bambino, si rischia di far perdere alle persone il contatto con il proprio mondo emozionale e ad esprimere così la vasta gamma degli stati emotivi.
Per l'integrità psico-affettiva noi sviluppiamo una intelligenza emotiva che aiuta a gestire i sentimenti, non disperdiamola.
La questione di fondo è il nostro rapporto con il dolore. Il bambino va aiutato a comprendere, nominare ed esprimere i suoi sentimenti come manifestazioni naturali e non dannose anche se a volte dolorose. Se ridi, se senti gioia è naturale poi piangere e sentire dolore. Se puoi sentirti allegro poi puoi arrabbiarti, essere triste...non bisogna reprimere niente e questo vale il nostro equilibrio psichico.

Gestire i sentimenti soprattutto quelli dolorosi è importante. Piangere per un dolore, un lutto, fa bene: aiuta a scaricare l'energia prodotta nella sofferenza. Solitamente le manifestazioni psicopatologiche che affliggono spesso le persone, come la depressione, le ansie eccessive, i disturbi dissociativi e psicosomatici ecc., nascono dalla incapacità di dare espressione al nostro dolore.
Per questo, non dite mai a un bambino: Non devi...
Quando compare un dolore dentro di noi impariamo ad abbracciarlo, anche piangendo e consolandoci ma senza reprimerlo; non giudichiamoci male per questo. Con i sentimenti ci sentiamo vivi e con la compassione verso noi stessi impariamo a volerci bene.
Per questo, dite ad un bambino: Raccontami, ci sono qua io...