venerdì, dicembre 31, 2004

Conoscenza per amare

Scrivo per questo anno 2005 una riflessione e un augurio.
Jung dice che l'incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito.
Il mio percorso d’analisi per conoscermi, non saprei dire quanto è stato sgradevole; è stato difficile e doloroso ma, per quanto sia riuscito, ha portato amore e pietà verso di me. Mi ha portato soprattutto a conoscere la mia parte ‘femminile’, e che dire: la più bella. Quel cammino mi ha dato un’ accettazione con la consapevolezza che quelle cose sgradevoli di me, nascondevano ed erano un aspetto di cose preziose e bellissime. Sempre mie.
Un altro fatto importante, lungo il percorso di conoscenza, è scoprire qualcosa in noi che ci trascende. C’è in noi una voce interiore che è più grande della morale corrente; è quella di una coscienza dove convivono l’abietto e l’eccelso, la verità e la menzogna, il maschile e il femminile, l’infimo e il sommo e per questo ci porta confusione, disperazione, disagio. Imparando ad ascoltare la voce interiore noi diverremo quello che siamo; svilupperemo la nostra personalità, sapremo camminare sull’orlo del precipizio trovando il senso della nostra vita.
Ecco, allora che l’amore acquisterà contorni insperati; l’amore che parte da sé circolerà e diventerà per gli altri. Nel mio caso si chiama Anna.
In verità non so quanto e come l’amo; però certo so che è profondamente nella mia vita; la sento così vicina che anche guardandomi una mano, un ginocchio o che altro, li sento anche suoi: pezzi di corpo, come pezzi di spirito, uniti da quel mistero che è l’amore. Per questo amore, buon anno 2005.



mercoledì, dicembre 29, 2004

Natura Crudele-Uomo Ignorante

La natura crudele, che si presenta con un maremoto, uccide indistintamente giovani, vecchi e bambini. Quella stessa natura che si fa apprezzare, in quei luoghi, per la bellezza del paesaggio, la dolcezza del clima e ricchezza del suo mare con lo stesso porta la devastazione e morte. A noi, pur con tutta la tecnologia, la sapienza scientifica, non ci rimane che il dolore e il pianto. Ci accorgiamo quanto siamo impotenti di fronte alle grandezze degli eventi naturali; ecco che queste immani tragedie, fuori dal controllo umano, devono far riflettere sulla natura umana.
Mentre guardo su Internet le foto, di tutte le parti asiatiche investite dal maremoto, vedendo tutti quei morti raccolti sulle spiagge e in fosse comuni, penso come la nostra vita sia precaria, mortale, effimera.
Poi noi stessi le diamo una mano a renderla così, con l’inconsapevolezza d’essere fragili mortali. Siamo capaci di imporre con la violenza regole e leggi, facciamo guerre, costruiamo città assurde, pensiamo di dominare i fatti, invece senza nessun preavviso ci troviamo, immersi in catastrofi enormi, indifesi e ignoranti.
Questi avvenimenti dovrebbero unirci farci sentire sulla stessa ‘barca’, invece ecco che nella conta ci si scopre europei, francesi, tedeschi e molto. Molto italiani.
Così forse pensiamo di trovarci preparati alla prossima onda lunga. Molto lunga.

sabato, dicembre 25, 2004

Le Stagioni della Vita

Nel libro, ‘Un altro giro di giostra’, Terzani descrive che secondo la visione tradizionale indiana la vita è divisa in quattro precise stagioni. Queste stagioni non sono quelle abituali che noi normalmente consideriamo, ma periodi così suddivisi: il primo, dell’infanzia e adolescenza, è il tempo per imparare e istruirsi; il secondo, della maturità, è quello per mettere in pratica quello imparato, per esaudire i desideri, generare figli, realizzare progetti come la ricchezza la fama la conoscenza. Il terzo è quello ‘dell’andare nella foresta’, ossia del distacco dalle cose perseguite fino a quel momento. Il tempo dove si inizia a cercare qualcosa di permanente. L’ultima stagione o periodo è quello dove si abbandona l’io e ormai bruciato ogni desiderio, ci si prepara alla morte, si cerca solo la liberazione definitiva dall’oceano della vita e della morte, la destinazione finale del viaggio.
Lo svolgimento di queste stagioni non sono certo riferibili a date anagrafiche. Se si può dire quando finisce l’adolescenza o la fanciullezza, quando termina un periodo di studio o apprendimento, non si può certo immaginare quando termina la seconda stagione: quella dell’abbandono dell’Io. L’Io non si abbandona facilmente e quella stagione dei desideri e dei progetti, di perseguimento di ricchezze o di poteri che rafforzano l’ego, può non terminare mai. Anzi è una condizione che ci fa sentire vivi, ci fornisce gratificazioni e allora? Cosa ci può aiutare?
Se poi consideriamo l’ultima stagione, quella che dopo avere raggiunto la maturità ci farebbe abbandonare tutto, allora si capisce quanto è difficile raggiungerla. Allora saremo mai maturi o pronti a spezzare il ciclo delle nascite e delle morti? Ecco un punto cruciale: nella nostra cultura continuiamo tutti a morire ‘giovani’, perpetuando un destino determinato, più che dalle nostre azioni, dalle nostre reazioni. Le nostre difese, i nostri meccanismi di risposta ai problemi che sorgono nella nostra vita sono prestabiliti, automatici; tutte soluzioni che considerano l’uomo separato dal resto della natura e dell’universo.
Questa visione della vita tra noi e l’India è forse la vera discriminante culturale.
E’ la vera divisione tra Occidente e Oriente. Il nostro individualismo non sa riportare ogni cosa al Tutto. Noi non solo conteniamo il mondo ma siamo contenuti dallo stesso. Senza questa consapevolezza noi non conosceremo la Realtà. Con questo, il problema siamo noi e noi siamo la soluzione.


venerdì, dicembre 24, 2004

Closer- Amori in interni

Closer è un film di Mike Nichols, il regista de Il Laureato, che con quattro bravi interpreti, che dirige magistralmente, sa essere di un erotismo intenso senza scene di nudo; bastano gli sguardi. Basta la fisicità, bastano i sentimenti, che si rivelano ambigui, a raccontare l’amore e il sesso; il sesso e l’amore. Prendersi e lasciarsi; lasciarsi e prendersi.
Closer significa più vicini, stretti, intimi; tutto per vincere la solitudine che ognuno sconta nella vita. Non c’è calore di corpi che possa colmare la separazione degli individui. Quell’amore, che dovrebbe essere il balsamo per lenire la ferita originata dagli dei, non placa la sofferenza.
Closer è un film che per la sua origine teatrale potrebbe definirsi ‘amori in interni’. Il gioco di questi amori è crudele ed è così per nascondere la fragilità che l’amore dà a chi ama. Gli unici esterni del film diventano topici: aprono e chiudono la storia. Una storia che potrebbe anche non essere iniziata oppure semplicemente è lì pronta ad essere vissuta.
Closer, a distanza di oltre 32 anni, riprende una tematica affrontata dallo stesso regista con Conoscenza Carnale: i discorsi di sesso fatti in maniera esplicita. Con mano leggera e insieme dissacrante Nichols racconta la storia di due coppie in tempi diversi; incastra le relazioni in un gioco di specchi: le parole diventano rituali. Ti amo e non ti amo, ti lascio e ti voglio…per poi incominciare daccapo ogni volta.

martedì, dicembre 21, 2004

Consiglio di lettura per scrittori impenitenti

Ci si domanda spesso sulle ragioni dello scrivere, sull’essenza di questa pratica diffusa, di mettere in lettere i propri pensieri e desideri, i propri sogni e bisogni; il libro di Cees Nooteboom, ‘Il canto dell’essere dell’apparire’ risponde a questa domanda in modo efficace.
In questo momento di blog, di informatizzazione di massa, dove lo scrivere ha trovato nuove ragioni e nuove forme, rimane nella sostanza lo stesso interrogativo: perché scrivo? Perchè scriviamo?
Oggi che la Rete, Internet, ci fa editori di noi stessi dando la possibilità di dar sfogo in maniera illimitata alla passione dello scrivere, cosa continua a sorreggere lo scrittore in questa avventura comunicativa?
Dall’ introduzione del libro, ‘Il canto dell’essere dell’apparire’, veniamo a sapere che lo scrittore, Cees Nooteboom, ha iniziato a scrivere con la storia di un viaggio in autostop: ‘Philip e gli altri’, seguiranno, con le poesie, altre raccolte di prose di viaggio. Così sappiamo che viaggiare, scoprire, vedere, verificare realtà diverse è il primo elemento dello scrivere, il suo senso: è riflettere sullo sguardo, sul ritratto della realtà che ci si presenta davanti ogni volta e ogni volta vogliamo confrontare con gli altri.
Pubblicato nel 1981, ‘Il canto dell’essere dell’apparire’ è il dialogo tra uno scrittore, intento a scrivere una storia ambientata nella Bulgaria dell’ottocento, con un altro scrittore. Le invenzioni, gli artifici, la creazioni di atmosfere per il solo fatto d’immaginarle diventano reali; reali come i personaggi della storia che, una volta descritti, diventano più veri degli autori stessi.
Il piccolo libro, di appena 95 pagine, riesce a trasmettere tutta la leggerezza e l’importanza della scrittura concludendosi, ironicamente, mischiando luoghi, personaggi e atmosfere. Un romanzo nel romanzo; questo gioco letterario, che ha la lunghezza di un racconto, fa partecipare il lettore ad una realtà fittizia che non esaurisce la storia anch’essa inventata.
Alla fine il racconto non esiste più. Ma è mai stato scritto? Sì, non inventiamo e costruiamo mai niente che non esista già. La scrittura pur con tutta la magia, dell’essere e del far apparire, racconta sempre una realtà: la nostra, tanto nostra, da non poter non essere vera.
Buona parte del fascino di questa scrittura, però bisogna ammettere, è dovuto alle capacità di Nooteboom che in tutti i suoi scritti sa immettere le impressioni di una buona conoscenza di arti e cose, di cultura, proprie di un grande viaggiatore.
Ecco allora che di Nooteboom esce un ‘essere’ a discapito dell’ ‘apparire’ proprio di molti altri scrittori. In fondo qualunque cosa facciamo parliamo sempre di noi e lo scrivere più di ogni altra cosa ci rivela.

Il canto dell’essere e dell’apparire
Di Cees Nooteboom
Ed. Iperborea
Euro 16

giovedì, dicembre 16, 2004

Storia naturale dei ricchi

Se diamo ascolto a Richard Conniff scrittore, autore di una “Storia Naturale dei Ricchi”, essere ricchi sfondati non è così glamour. Hai voglia a organizzare feste nella villa di Aspen con ospiti che affogano nello champagne; regalare un miliardo di dollari all’Onu come Ted Turner, o farti sparare nello spazio (sborsando 20 milioni di dollari) per vedere l’effetto che fa: ma poi che ti dice la psicologia evoluzionista? Che ti stai comportando come un babbuino del delta dell’Okavango, o come un cercopiteco dell’Amboseli, e se ti va molto bene come un blabber arabico, un uccelluccio che svolazza qua e là nel deserto del Negev…però vale per la durata della vita. Dallo studio di Coniff si viene a saper che più cresce il patrimonio, più si allungano gli anni di vita. Interessante in generale. Preoccupante per l’Italia.
Guardando i ricchi come una categoria animale, che è bene ricordare ha in comune, come tutti noi, il 98,4% con gli scimpanzè, si scoprono molti comportamenti simili a varie specie animali: la gerarchia del branco abbisogna sempre di riferimenti da definire. Una volta poteva essere il capo chi era più muscoloso, un’altra volta chi era più bello o vecchio ora chi possiede più beni: mobili e immobili. E’ sempre più chiaro che il possesso genera potere sul branco; riserva privilegi e diversità. Così può capitare che la Politica, strana arte per far convivere ricchi e poveri senza farsi la guerra, a volte diventi campo di raccolta dei ricchi tanto da servirsene per accrescere il potere.
In Italia per arginare il ritorno alla legge del branco, consiglierei di varare una legge che chi porta quel nome e cognome preciso, non può essere condannato e inquisito, poiché oltre che ricco sta lavorando in politica per fare arricchire tutti i suoi simili: gli orangotanghi.

domenica, dicembre 12, 2004

Pietà per loro, pietà per noi


Qualche anno fa era solo Bossi che sosteneva e gridava nelle piazze che Berlusconi era, più che milanese, palermitano avendo rapporti con la mafia. Oggi lo dicono i giudici di Palermo, con la sentenza che condanna a 9 anni Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Non ci sarebbe da aggiungere altro poiché gli italiani un'opinione, su chi ci governa e su gli interessi che si difendono, se la sono già fatta. Resta il fatto di assistere sempre più al decadimento dell'etica politica. Molti protagonisti, che assiepano l'attuale arengo politico, dovrebbero farsi da parte; invece si ostinano, per il "nostro bene", a lavorare per una Storia che alla fine diventerà solo cronaca giudiziaria.
Riusciranno questi politici che ci amano tanto a togliersi di mezzo? Sarebbe un atto liberale, un atto di rispetto verso di noi e verso loro stessi. Fuori dai riflettori, dalle dichiarazioni roboanti, dalle prediche e promesse, guardandosi nel loro profondo ed interrogandosi, scoprirebbero la pietà per loro, che spero poi riverseranno a noi. Allora diremo: grazie.
Allora anche con qualche tassa in più e qualche spettacolo n meno, vivremo meglio.

martedì, dicembre 07, 2004

Segnali disperanti

Segnali disperanti per uscire dal berlusconismo: le sorelle Lecciso sbancano l’Auditel. Le Lecciso passano nello stesso giorno da Mediaste alla Rai e, in ognuna delle trasmissioni, si registrano ascolti record.
Non ci posso credere…ma saranno veri quei dati d’ascolto? Non saranno come i sondaggi berlusconiani?
Non ci posso credere…è voglia d’evasione? Eppure l’investitura del ‘nulla’ a fenomeno mediatico ci deve far pensare.
Ci sono immagini, flash, situazioni che diventano emblematiche e descrivono la società, la filosofia, in cui viviamo in modo puntuale. A me è parso di coglierne diverse. Esempio: ho visto Vittorio Feltri (direttore di Libero) che spiega cosa c’è scritto veramente nel Corano. Il Corano letto da Vittorio Feltri in versione integrale, non integralista. “Per cui sono orgoglioso di firmare, assieme a Maometto, quest’opera, la quale poi, rilegata in volume, non resterà impolverata”. (testuale). Non commento. Cosa dire di fronte alla frase’…sono orgoglioso di firmare, assieme a Maometto, quest’opera?...’. Si passa dall’esaltazione del niente a quello che può insegnarci il tutto. Poi, dopo la taglia di 25.000 euro, messa a disposizione dalla Lega Nord, per bocca di un ministro della Repubblica italiana, su un delinquente che ha ucciso, non un uomo ma, un padano; vengo a sapere che le gemelle sopraccitate, saranno sostituite dal cantante lanciato da Berlusconi, Apicella. Un altro segnale forte: il trash sostituito dal trash. Forse stiamo toccando il fondo della cultura berlusconiana. Si inizierà a risalire oppure si è iniziato a scavare?

Noi amiamo non si sa bene chi


Noi amiamo non si sa bene chi. Noi amiamo un altro, un’altra.
Noi amiamo un mistero o semplicemente un’idea d’amore.
Così raccontiamo le stesse storie. Così continuiamo i tanti sbagli.
Invece di sorrisi e gioia avanza, con quell’amore, il dolore e la tristezza.
Abbiamo perduto qualcosa? Ci siamo persi, noi che non ci siamo incontrati o semplicemente non ci siamo conosciuti.
E così difficile trovarci? Sono belli gli involucri, piacciono quegli innumerevoli artifici per apparire.
Poi ascolta le parole; volano alte. Aggiungiamo nomi, nomi propri, alla parola t’amo. Amo Maria, Giacomo e Lucia...
Ma quando ami tu abbracci, tocchi, accarezzi; stringi l’amore per te.
Già, quell’amor-te, quel per te-amor, è la morte.
Noi amiamo si sa bene perché. Noi amiamo per morire. Morire a questa vita.

lunedì, dicembre 06, 2004

L'Ulivo ritorna

Solitamente la sofferenza ed il dolore isolano, fanno sentire soli; invece può capitare che una ferita, patita da molte persone insieme, diventi un dolore che aggrega, diventi Storia. Questo è quello che ho avvertito partecipando a Montecatini all'assemblea della Rete dei cittadini per l'Ulivo. Ho avvertito che l'Italia, in questo delicato momento, non può tradire la sua intelligenza, non può fare a meno della serietà delle sue persone migliori. Ecco allora emergere, come anticorpi naturali, le capacità curative per difendere la comunità civile dagli attacchi alla sua integrità. Si può forse pensare di tenere unito un popolo, una cultura italiana, una grande patrimonio culturale e artistico con Bossi? Con Berlusconi, Previti o Dell'Utri? Con Gasparri o Castelli?
Forse qualcuno troverà di qualità questi ultimi uomini e la loro politica, ma senza dubbio si può affermare, come Pietro Scoppola, che essi hanno corroso il costume etico di questo paese.
Quale modernità, quale rivoluzione fiscale o svolta storica nei rapporti tra Stato e cittadino, c'è con questo governo di centrodestra? Quello cui si assistiamo è un depauperamento ed uno svilimento della convivenza civile: l'agonia dello stato sociale. Di fronte a questo movimento disgregante, di rottura dei sentimenti di solidarietà propri del popolo italiano, ecco che Romano Prodi ritorna. Ecco che una speranza si riaccende.
No, non è stata una battuta chiamare 'mercenari' gli attivisti di Forza Italia, da parte di Prodi, ma il rimarcare la profonda differenza di come si intende la democrazia. Con Berlusconi, con i suoi sondaggi, le sue decisioni e rapporti con gli stessi alleati, si assiste ad una sorta di democrazia delegata, per non dire altro; con Prodi la democrazia è partecipazione: è avvicinare i cittadini sempre più alle scelte di governo, rendendo trasparente e chiaro l'esercizio del potere.
Prodi si è rivolto alla platea di Montecatini, ai cittadini per l'Ulivo, formata da semplici volontari che hanno a cuore lo spirito di radici comuni ed il senso profondo delle cose che uniscono, nei valori della libertà e della solidarietà, dicendo: "Dobbiamo risanare la ferita inferta alla Costituzione e alla convivenza civile, ricostruendo un'etica, coinvolgendo i cittadini a 'spendersi' -non 'vendersi'- per cercare e creare consenso. Questo è possibile con le elezioni primarie, strumento con cui è possibile spezzare sia il controllo dei media, sia il potere esercitato per interessi personali, in modo opposto al servizio della comunità…Il mondo è cambiato profondamente e quello che ci aspetta è saper interpretare i grandi cambiamenti. Lo 'stato sociale', il welfare, sono le due grandi novità di questa parte del mondo e se qualcuno cade, noi lo tiriamo su. Il mediterraneo centro del mondo bisogna che torni ad essere centro della Storia…".
Ecco allora un grande messaggio; insieme cura e speranza per la rinascita dell'Italia.




mercoledì, dicembre 01, 2004

In ricordo di 'Gino' Veronelli

E’ morto Luigi Veronelli giornalista enogastronomo; così titolano i giornali.
Per me, suo lettore, dico che è morto un filosofo e scrittore conosciuto; ma questo si sa: collaborò con il filosofo Giovanni Emanuele Bariè e scrisse con Mario Soldati, Gianni Brera, Luigi Carnacina arrivando a pubblicare De Sade, nel 1957, che fu l’ultimo rogo della censura italiana. Ma poi, sempre per me, fu un inventore e fine letterato, direi poeta dei prodotti della terra, in primis vino e olio.
Beh io con Veronelli ho goduto di molte bevute, pur non ubriacandomi mai; certo bevevo le sue parole scritte e con quelle ho gustato mille vini.
Non c’era nessuno come lui che sapesse descrivere i sapori, le tonalità, i profumi, gli afflati, le sensazioni, gli umori appena accennati di un vino o di un piatto di fagioli.
Ecco per chi non lo conosceva, alcuni suoi scorci di scrittura:
“Anni ’50. Gli offiziali e gli enologi giuravano: i vignaioli si sarebbero mutati in operai e le aziende agricole in industrie.
Anche tra i giornalisti ero l’unico, proprio l’unico, a credere nei valori della vigna, dei vignaioli e del vino adatto agli individui e non alle masse. Proprio per dare peso ed importanza al termine, decisi di scrivere vignaiuoli. Quella u avrebbe avuto lo stesso effetto che i baffoni di re Umberto nelle foto 1800…”
Raggiunto lo scopo Veronelli tornerà a scrivere ‘vignaioli’…
“I miei vignaioli d’antan, duri, lividi, con le toppe al culo, umiliati, dicevano al loro vino appena pronto – a bassa voce, come fosse una ragazza in fiore – «la Barbera». Con la stessa emozione del «Ti amo».
In Verona - sia al Vinitaly, sia e ancor più al Critical Wine - si è discusso a lungo dei vini autoctoni. Credo che Giacomo avrebbe consentito e Riccardo consenta con la mia affermazione: essere la Barbera, se accompagnata dalla più puntuale indicazione d’origine, il più autoctono dei vini”.
E poi, l’unica esaltazione dell’ultimo dei vini…il lambrusco.
”Parteciperò – sol mi protegga il santo personale, Bernardino da Siena – con alcune bottiglie di un “mio” Lambrusco psichedelico. I giovani allievi hanno raccolto, l’autunno scorso, per le terre destinate all’ingorgo “autodromale”, le uve dei pochi ceppi individuati qua e là: la cornona, la oliva, l’amabile di Genova, la filucca, l’uva della Quercia, la termarina rossa, l’uva Tosca, la picol ross, la scorza amara, la bisa, la nobel, la viadanese, la marzamino e la sgavetta.
Vinificato al meglio, ne è venuto il più umano tra i vini. Lo bevi. È come se ogni goccia fosse a sé e ti facesse il racconto di piante fatte dimenticare dalla stupidità d’industria.
Ne porterò a casa una bottiglia per berla nel mio grande giardino, al canto del cucù pieno d’aria che pare soffiato in un flauto.”
Il grande Veronelli, Gino, ci mancherà.

martedì, novembre 30, 2004

Invasioni

Dati raccolti da fonti internazionali sull'emigrazione prevedono che, a causa di guerre, fame, miseria e carestie, nei prossimi anni si sposteranno dai loro paesi oltre un miliardo di persone. Un esercito di disgraziati, la cui vera religione è la sopravvivenza, marcerà verso i paesi più ricchi. Quello che oggi qualcuno chiama invasione di extracomunitari, sarà una cosa ridicola in confronto a ciò che avverrà. Allora sì che ci sarà una invasione senza precedenti. Non serviranno allora le leggi tipo Bossi-Fini a garantirci legalità o diritti di cittadinanza.
Contro la fame e la miseria non ci sono leggi, codici o armi; serve invece una politica internazionale che aiuti le persone a vivere nei loro paesi d'origine. Serve una attenzione economica per dare possibilità di vita alle persone che abitano le zone povere della Terra. Questa è la sola maniera per prevenire una invasione che metterà in serio pericolo gli equilibri mondiali.
Ricordiamoci che ciò che chiamiamo 'equilibri mondiali', sono condizioni che garantiscono al momento, ad una minoranza della popolazione, di consumare risorse spropositate a danno di una maggioranza affamata.
Con questa consapevolezza bisognerebbe dirottare ricchezze, conoscenze, tecnologie e lavoro nelle parti del mondo più povere. Bisognerebbe, da subito, fare una nuova distribuzione delle ricchezze; ma tutto questo sarà difficile poiché non riusciamo neppure a farla in casa nostra, dove la destra abbassa le tasse a chi non ha problemi economici tagliando servizi ai poveri. Una brutta prospettiva davvero per i nostri figli.

sabato, novembre 27, 2004

Nonno Gaspare

Nonno Gaspare dovrebbe essere contento della riduzione delle tasse; stamane Pippo, che legge Il Giornale, gli ha detto forte: "allora Gaspa sei contento? Ora avrai dei soldini in più". Gaspa non l'ha degnato di risposta. Pippo era da tempo che aspettava questo giorno e felice rideva a tutti. Finalmente Berlusconi ha fatto vedere di che pasta è: un vero imprenditore…altro che prenditore, come sostenevano tutti gli altri pensionati del circolo. Ridurre lo Stato, questa è la libertà; sosteneva pure Pippo.
In quello stesso giorno la Lega dei padani aveva messo una taglia per prendere chi aveva ucciso un padano, uno di loro. Chissà se sarà padano anche l'assassino.
Ad ogni buon conto Gaspare aspetterà gennaio prossimo per vedere quanti 'soldini' si troverà in più sulla pensione. Lui pensionato a 876,43 euro al mese quanto ci guadagnerà? Un giornale sul tavolo riporta delle tabelle irpef, che diventeranno ire, ma le tabelle che vorrebbe vedere sempre sono quelle dei prezzi del pane, del latte, del gas, del bus e di quel gotto di vino che ora si è vuotato. Quel gotto di vino è il suo consumo voluttuario: quei soldini in più sulla pensione dovrebbero rilanciare l'economia con i consumi…riuscirà Gaspa ad ubriacarsi?
Pippo intanto è sulla porta del locale che fuma; lui riuscirà a calmierare il prezzo delle sigarette al pacchetto? Nel mentre passa Ginetto il nipotino di Gaspa: "Ciao nonno, la mamma mi ha detto che a Natale sei a pranzo da noi. Lo sai che pensiamo di adottarti?". Ecco per quest'anno abbiamo risolto il problema dei regali- pensò Gaspa. Forza Gaspa, tieni duro e spera: non hai forse la stessa età del cavaliere?

venerdì, novembre 26, 2004

Scrittura e conoscenza e il blog?

Deena Metzger è una poetessa che ha dedicato alla scrittura profonde riflessioni. Nel suo libro Scrivere per crescere, dimostra come scrivere per gli scrittori, sia per chi non ha mai provato a scrivere nulla, sia un aiuto a esplorare noi stessi e la nostra creatività con diari, autobiografie, racconti, fiabe, sogni e miti, e ci propone le sue storie e numerosi esercizi, dimostrando come scrivere dia forma e significato alla vita, mentre il silenzio ci blocca nella sofferenza. E il blog? Il blog aiuta.
Inoltre, Deena Metzger come terapeuta, affronta con lo stesso libro, l’aspetto creativo e d’ispirazione che diventa una guida per i mondi interiori. Deena Metzger, dedica un bellissimo capitolo alla paura di dar voce alla creatività: "Abbiamo paura di fallire, abbiamo paura di non aver nulla da dire, abbiamo paura che possa danneggiarci, abbiamo paura che possa essere una menzogna, abbiamo paura che possa essere la verità, abbiamo paura di dover cambiare la nostra vita…".
Qui di seguito riporto una poesia di Deena Metzger che operata al seno, attaccato da un tumore, descrive la sua ferita come un monito di speranza e rinata bellezza:
“Non ho paura degli specchi…/ Vi era una sottile linea rossa che attraversava il mio torace / lì dove era entrato un coltello / adesso un ramo circonda la cicatrice / e si porta dal braccio al cuore / Un ramo coperto di verdi foglie dove appesa è l’uva e vi appare un uccello / … / Ho disegnato il mio torace con la cura riservata ad un manoscritto miniato / Non mi vergogno più di fare l’amore. L’amore è una battaglia che posso vincere / Ho il corpo di un guerriero che non uccide né ferisce / Sul libro del mio corpo per sempre ho inciso un albero".

domenica, novembre 21, 2004

La Fine

Pensavo che la caduta di Berlusconi avvenisse con un bel capitombolo improvviso e devastante, così come è solito a tutti i personaggi che hanno come caratteristica l'eccesso. Invece la caduta è iniziata lentamente da qualche mese; da quando ha perso le elezioni amministrative. Dopo aver indossato la bandana, per ricevere Blair, e dopo il riapparire di una folta peluria sulla testa (come esuli pensieri, nel vespero migrar), ecco che Berlusconi si è aggrappato alla riduzione delle tasse come ad una cima gettata al naufrago.
Berlusconi pensa che la riduzione delle tasse sia ormai l'unico strumento per riconquistare la fiducia come persona e risolvere insieme i problemi economici degli italiani.
Ha ragione Giorgio Bocca a definirlo sovversivo: Berlusconi non ha a cuore l'interesse del Paese; quel "Forza Italia", che titola il suo partito, altro non è che il frutto di un sondaggio di mercato, il parallelo di una fazione sportiva, come "forza Milan".
Infatti l'Italia non è mai stata tanto divisa: con le riforme, con la scuola, con la distribuzione della ricchezza…la riduzione delle tasse forse accomuna tutti.
Allora 'per un pugno di dollari', si sta ricreando un western che decreterà, con lui, la fine di tutto? Non stiamo a guardare. La fine del 'sovversivo' non sia la fine di tutto.

venerdì, novembre 19, 2004

The Village

Ho letto in una recensione che The Village, il film di M. Night Shyamalan, è una metafora dell’America di oggi dominata dalla paura. In parte potrebbe esserlo, ma il film per me dice molte cose insieme. Una, che mi è parsa di cogliere, è che mentre la vita spinge all’amore come via di salvezza, quindi anche al superamento del limite, le persone spesso questo limite non lo vogliono superare. Così The Village è anche una metafora cupa sul confine e la condizione dell’umanità nella ricerca della sicurezza e della felicità.
Il film racconta di un villaggio, Covington in Pennsylvania, che vive isolato e circondato da un bosco, popolato da creature misteriose e innominabili, che nessuno deve attraversare pena la perdita della tranquillità e apparente felicità in cui vive.
La storia raccontata dal film The Village, con atmosfere alla Kubrik, pone molti interrogativi: basta non nominare alcune cose e chiudersi in un villaggio per trovare la felicità? Si può costruire un mondo diverso attenendosi a certe semplici regole? E’ solo la paura a tenere insieme una comunità? Potrà una bugia difendere il villaggio? Il film è ricco di molte implicazioni: c’è l’amore, l’innocenza, il sentimento negativo della gelosia, la cecità come handicap fisico e valore morale, ci sono molti spunti cui ognuno potrà leggerci qualcosa.
La metafora come si vede diventa complessa scontando contraddizioni e ambiguità proprie di ogni forma di linguaggio. All’inizio la metafora potrebbe essere quella del dolore e della speranza: si saprà nel corso della storia che a dare vita al villaggio sono stati dei superstiti o familiari vittime di crimini orrendi; poi assume nel finale il senso di un potere che esiste perchè sa gestire la paura degli altri. E’ così l’America e il mondo di oggi? A voi la riflessione e…la risposta.

In attesa che il governo cada; qualche battuta di Woody Allen


Recentemente ho letto la Bibbia. Non male, ma il personaggio principale
e' poco credibile
Il mio grado nell'esercito? Ostaggio, in caso di guerra.
I politici hanno una loro etica. Tutta loro. Ed e' una tacca piu' sotto
di quella di un maniaco sessuale.
Mia moglie e' una persona veramente immatura. L'altro giorno, per
esempio, mentre mi facevo il bagno e' entrata e, senza motivo, mi ha affondato
tutte le ochette!
Non credo in una vita ultraterrena. Comunque porto sempre con me la
biancheria di ricambio.

domenica, novembre 14, 2004

Lettera ai musulmani

La bella e semplice lettera di Dionigi Tettamanzi ai musulmani per la fine del mese del Ramadan, riportata ieri sul quotidiano L’Unità, mi ha aperto il cuore. Chiamando in causa i giovani e i bambini come “dono di Dio per il futuro dell'umanità”, il Cardinale di Milano è andato al nocciolo della questione per superare l’odio e la visione catastrofica di scontro di civiltà che molti politici non solo prevedono ma auspicano.
Il sentimento religioso, di qualunque religione sia, in questo caso dello specifico monoteismo, ha in sé l’amore di Dio e di riflesso l’amore per il prossimo. Le preghiere e i luoghi di culto dovrebbero sempre avvicinare le persone; chi prega dovrebbe conoscere la pietas e sperimentare insieme il limite e l’amore umano. Questo è di tutti. Pur nelle differenze di culto e di tradizioni, non dovrebbe mai mancare ai bambini la gioia di crescere insieme. Il mondo sarà loro. Se nelle nostre città, paesi, scuole, comunità, i bambini sperimenteranno il dialogo, la cooperazione e l’amicizia, nelle loro mani la pace diventerà una realtà. La civiltà allora sarà unica, quella dell’umanità.

giovedì, novembre 11, 2004

Il caso Lampis- un giallo di M. Carloni e A. Perria

Martedì 9 novembre ho presentato insieme a uno dei due autori, Massimo Carloni (l'altro - Antonio Perria - purtroppo è mancato nel gennaio di quest'anno), presso la libreria Portoanticolibri il libro Il caso Lampis, edito da Fratelli Frilli Editori.

All'inizio pensavo fosse difficile presentare Massimo Carloni. Perché? Ha scritto una cinquantina di saggi sul giallo italiano, tra cui L'Italia in giallo (Diabasis, 1994) e il recentissimo Dizionario delle opere e dei personaggi di Loriano Macchiavelli (Pirani, 2004), più una dozzina di racconti il commissario Chiara de Salle come protagonista. Poi tutto è andato per il meglio, ed è stato un piacere conoscerlo meglio.

Per Massimo Carloni questo è il secondo libro scritto in tandem con Antonio Perria. Il primo - Il caso Degortes - è stato vincitore del Premio Alberto Tedeschi ed ha visto l'esordio del personaggio Marianna Montanari, il tenente dei Carabinieri che ha anticipato la figura di Manuela Arcuri della nota serie televisiva.

Nel Caso Lampis, il lettore viaggia attraverso tre città - Cagliari, Perugia e Reggio Emilia - con altrettanti ispettori-indagatori: la già citata Marianna Montanari; Antenore Crivelli, capitano dell'Arma e Chiara de Salle, commissario della Polizia di Stato. Non manca, per chiudere in bellezza, l'intervento di Saro Madonna, questore a riposo della questura di Milano; quest'ultimo è il protagonista di molte avventure di Antonio Perria.

Il racconto si snoda in modo corale, con l'originalità di tre investigatori che indagano su due delitti uniti da uno stesso filo conduttore.
Le indagini sull'assassinio di Federico Lampis, produttore di vini sardi ucciso in Umbria, prendono una strada inaspettata: si scopre l'esistenza di un separatismo sardo speculare a quello siciliano o meglio corso; un indipendentismo che ha contatti con quello dei paesi baschi e con le organizzazioni clandestine dell'ETA. Una pista politica, dunque. Ma non si può dire oltre.

A me è piaciuto molto il personaggio, nuovo per gli autori, di Antenore Crivelli, capitano della stazione dei carabinieri di Perugia. Insieme al caso d'omicidio, affronta anche la sua separazione dalla moglie, con i problemi conseguenti di riordinare la sua vita pratica e sentimentale.
La conclusione del caso lascia però qualcosa in sospeso tra i veri protagonisti che sono Antenore Crivelli e Marianna Montanari.
Proprio nel rapporto tra di loro, una simpatia affettuosa che potrebbe trasformarsi in qualcosa di più, si dovrà ricercare forse un seguito...forse un altro libro?

lunedì, novembre 08, 2004

CircoScienza:ridere ed imparare

Contaminazioni? Qualche giorno fa si è affrontato in questo stesso luogo il tema delle contaminazioni, della frammistione di saperi diversi, e oggi 7 novembre, qui nel Complesso di Sant’Ignazio, con l’incontro tra uno scienziato ed un artista, può accadere che il trucco, la magia, con lo spettacolo si aiuti la divulgazione della scienza.
Così succede, per il ciclo di eventi promossi con l’associazione Culturale Sarabanda, denominato CircoScienza, che si sia parlato di illusioni ottiche con l’aiuto di un illusionista e giocoliere; si sono incontrati Giberto Chirico –docente universitario del dipartimento di Fisica dell’Università di Milano e Ray Grahame - giocoliere prestigiatore, raccontandoci con due linguaggi diversi cosa succede ai nostri occhi e alla mente guardando certe figure o nel caso certi ‘giochi di prestigio’.
Per le illusioni ottiche, come per un gioco di magia, c’è un sapere che è scientifico oltre che ricco di spettacolarità; per questo oggi c’erano presenti molti bambini con i genitori tutti attenti e interessati a quello che succedeva davanti ai loro occhi. Prima verità: è bene sapere che non sempre le cose sono come appaiono.
Ray Graham si presenta con il primo gioco divertente: fa tagliare le estremità, i due capi di una corda ad un bambino e quindi annuncia: «Ecco ora ho una corda senza estremità!». Chirico invece invita i bambini in prima fila a vedere cosa c’è sotto una vaschetta trasparente ricolma d’acqua. Non bisogna toccarla e stare attenti a non farla debordare. Cosa si vede? Qualcuno azzarda una risposta.; ma non si dovrebbe vedere nulla poiché la luce non attraversa l’acqua. Lo stesso principio che non ci permette di vedere oltre l’acqua quando siamo immersi: abbiamo un effetto specchio e, se non la chiglia di una barca che attraversa la superficie d’acqua, noi non vediamo oltre. La risposta era un disegno di una bottiglia.
Dopo un esperimento con la luce dentro un tubo; un uovo che entra in una bottiglia; l’acqua in un bicchiere rovesciato non cade…una cannuccia, in un sacchetto di carta, che diventa un tubo, ecco la considerazione di poter passare, con la magia, in breve da professore a ciarlatano. Sì, basta che per un nonnulla anche un esperimento, provato numerose volte, non riesca e toh, si ha perso la faccia.
Oggi si capisce come molte illusioni ottiche siano illusioni mentali; noi vediamo con il cervello ed i meccanismi di banalizzare le cose, di conformare la vista ad una ragione stereotipata, ci fanno vedere cose inesistenti.
Sullo schermo viene proiettata una sequenza di immagini che vengono viste come non sono: ognuno vede curve inesistenti, punti che appaiono e scompaiono, quadrati ovali e rette flessuose. Tutto affascinante.
Il fenomeno del miraggio spiegato all’ultimo è invece prodotto della rifrazione della luce. Giberto Chirico aveva preparato tutto per bene; aveva sciolto un kg di zucchero in poca acqua e poi illuminando un oggetto sopra alla stessa acqua avrebbe dovuto ottenere un immagine riflessa sul muro di fronte…niente. Il rischio dello scienziato illustrato prima che perde la faccia. Ma no, il fenomeno sicuramente lo hanno già visto tutti, magari su una strada asfaltata d’estate che appare come uno specchio. Chirico è salvo.
Più tardi alle 18, ci sarà altro appuntamento con Ulk, artista di strada, su Velocità e Motori: questa volta botti, scoppi, eliche e vortici illustrati da Giulio Manuzio, docente di Fisica medica. Allora oggi la scienza è davvero festiva, giocosa, sottolineata da applausi e risa. Arrivederci ancora.


sabato, novembre 06, 2004

stiamoci vicini

“Per favore, non generalizzate su "gli americani", e non ci abbandonate. Grazie”.
Così scrive David N. Welton, su Italians del 5 novembre. Ha ragione David non dobbiamo generalizzare, anche se mi sono convinto che per realizzare un grande cambiamento sia necessario per il popolo americano andare fino in fondo. Intendo dire andare a fondo, ovvero scendere in quell’inferno cui il loro american way of life li condanna e indirettamente condanna anche noi.
Quel modo di vivere, che gli americani non vogliono abbandonare, e che è pagato dalla popolazione di tutto il mondo, è una delle ragioni principali della loro resistenza al cambiamento. Quell’America che ha vinto ancora è l’america della bistecca e dell’hamburger; è l’america del business e del consumismo esasperato che Jeremy Rifkin ha chiamato ecocidio.
Sta proprio nella cultura della bistecca, in quell’esasperato consumo di carne; sta nell’esorcizzare la morte degli animali, riducendoli in un trito confezionato, la loro forza e insieme la debolezza: quella cultura distruggerà la vita e la Terra.
Il senso di insicurezza che accompagna poi la vita degli americani, che li porta nuovamente a infilarsi il cappello da cow boy e sfoderare la pistola come nel Far West, è la paura di perdere quello stile di vita consolidato dalla ricchezza.
Kerry aveva questa consapevolezza? Forse no. Certo è che Bush, come in Italia Berlusconi, come succede nelle democrazie è il prodotto di una volontà e di un’idea che spesso risultano una malattia o altre volte una cura. Ma chi può dirlo? Allora dico stiamoci vicini.


venerdì, novembre 05, 2004

Contaminazioni Feconde

Presso il complesso di Sant'Ignazio ieri sera, martedì 2 novembre alle ore 17, si sono confrontati in una conferenza dal titolo Contaminazioni feconde: Alain Cohen, Professore di Comparative Literature and Film Studies all'Università della California di San Diego, Giulio Giorello, filosofo e matematico, Vittorio Gregotti, architetto, Lorena Preta, psicoanalista e direttrice della rivista Psiche, coordinati da Cosimo Schinania, psicoanalista e psichiatra.

Alain Cohen ha affrontato il tema dell'immagine come metafora e portatrice di nuovi significati nel cinema. Le parole per spiegare la contaminazione concettuale sono molte, però la metafora e l'analogia restano per la semantica psicologica le più pregnanti.

Cohen ci ha parlato, attraverso il commento di immagini tratte da film cult, quali Tron, Terminator 2, Matrix, I.A. e Minority Report, della trasformazione dell'immagine umana negli ultimi anni. La sovrapposizione di immagine analogica e digitale nella sequenza di Terminator 2, in cui l'attuale governatore della California dopo avere distrutto un robot-clone umano pronuncia la frase: "Hasta la vista baby", è quella di un addio anche alla vecchia immagine. Poi nascerà, con la ricomposizione della figura umana, l'immagine digitale: per Cohen è un addio anche al Rinascimento, alla figura di De Chirico, di Segal, forse anche di Brancusi.

L'uomo diventa un prodotto informatico e la sequenza dell'operazione sul bambino robot in I.A., di Spielberg, diventa il paradigma degli effetti speciali e di una nuova vita. Poi c'è Minority Report, ancora di Spielberg, dove si mostra ancora il corpo disteso ma questa volta con il rimando al crimine.

Vittorio Gregotti spiega che la sua contaminazione è più fisica, è riferita al suo lavoro di architetto. Il lavoro di architetto è contaminazione per antonomasia: unire i materiali diversi, in luoghi diversi con persone diverse non è solo trasferimento ma confronto con culture diverse. La diversità è elemento di ricchezza, senza dimenticare i conflitti.

Nel suo intervento Giulio Giorello ci anticipa che, avendo lui origini liguri ponentine, si considera frutto della contaminazione poiché ricorda che l'invasione in quella zona di musulmani fece salire la popolazione.
Le contaminazioni sono utili: è questo che sostiene Giorello ricordando cosa successe alla matematica quando si rinnovò con l'algebra e la geometria. La logica matematica è un esempio di contaminazione, è quella che ci ha portato alla realtà virtuale. Giorello poi affronta la scienza psicoanalitica e la sua resistenza alla contaminazione: «Si ritiene che la contaminazione apporti alla psicoanalisi un riduzionismo; la neurobiologia o la neurofisica sembrano ridurre la portata del sapere psicoanalitico ma la scienza chimica ha dimostrato come la riduzione, la traduzione, l'abbia arricchita. Non bisogna avere paura del riduzionismo. Ben venga anch'esso».

Risponderà e concluderà, l'interessantissimo dibattito, Lorena Preta ricordando che la psicoanalisi è nata dalle contaminazioni di scienze mediche con la letteratura, con l'arte e la mitologia. Anzi con il mito di Edipo si è conosciuto il paradigma dello sviluppo psicologico dell'umanità.

Per Preta si comprende come la neurologia e la biologia hanno iniziato un percorso che porterà grandissimi contributi, ma bisogna riconoscere che la psicoanalisi come scienza, come 'disciplina' che contatta senza pensare di governare o definire l'inconscio, è ancora il solo mezzo, tramite quello che chiamiamo erotismo, cerca di unire e mischiare le cose.


lunedì, novembre 01, 2004

Gary Marcus e una speranza


Non è che mi dispiaccia ma alla conferenza di Gary Marcus, che presentava il suo lavoro, «La nascita della mente», scopro che non avrò mai un clone.
Evviva! Nell’esposizione del suo trattato di genetica, biologica e comportamentale, in una diapositiva appare la pecora Dolly, la famosa pecora clonata, e Gary Marcus in persona ci dice che viene meglio clonare una carota nell’orto.
Il perché è presto detto; noi siamo frutto del lavoro di soli 25.000 geni ma anche dell’ambiente, dagli stimoli ricevuti da quest’ultimo, e da una serie di If–Se e Then-Allora che in un percorso ad ostacoli portano tutti e sempre a risultati diversi. Si, mi pare di aver capito che per arrivare a costruire la nostra mente, c’è un lavoro di tipo binario, così come funziona il nostro personal computer, per cui basta una piccolissima variazione, una infinitesimale modificazione anche ambientale e toh, il gioco di avere un individuo unico, irriproducibile e diverso quali noi siamo, è fatto. Un po’ come quel battito d’ali che diventa un uragano da qualche altra parte del mondo. E’ così un altro gioco della meccanica quantistica? Uno scherzo? Chissà. La legge della relatività rimane in fondo ancora quella che ci spiega meglio.
Evviva, i 25.000 geni determinano lo sviluppo delle proteine e hanno l’incredibile potere di darci l’aspetto fisiologico, ma il comportamento è sviluppato dai neuroni e dagli aspetti adattativi del genoma, che bisogna ricordare è simile a quello dello scimpanzè. Ecco allora che questo continuo lavoro in progress dei geni, porta ai geni (intesi come uomini superintelligenti) e ad ignoranti (come potrebbe essere il sottoscritto).
Ma non dobbiamo disperare poiché l’ambiente ha una bella responsabilità. Oltre ai IF- Se e agli Then’s-Allora ci sono, come in un programma software, le sub-routine, gli algoritmi che costruiscono con i geni, un essere con un occhio o un orecchio in più ma quanto più intelligente sia non si saprebbe. Il nostro cervello allora registra tutto: suoni, temperature, emozioni, paura e amore.
Esperienza e organizzazione danno al cervello il ruolo di centro del pensiero e i geni poi cablano e ricablano…in certa maniera questa conferenza si ricollega a quella su Cervello e Linguaggio; infatti è ancora la parola ed il suo uso ad avere un ruolo importante.
Alla fine, qui nell’aula polivalente di San Salvatore, dal pubblico viene fatta una bella domanda: La Cultura modifica i geni? La risposta di Marcus è interessantissima: i geni non cambiano nel tempo, ma cambiano come si esprimono all’interno dell’organismo modificandone alcuni aspetti della specie. La cultura non cambia il gene ma il loro lavoro. Esempio: per chi sa pensare brillantemente può succedere, con la legge del miglior adattamento, di sopravvivere più a lungo.
Evviva! Riusciremo a sconvolgere l’attuale natura e accadrà che i cretini muoiano prima? Fantastica prospettiva genica.
Ora Gary Marcus giovanissimo studioso americano può ritornare nel suo paese per votare il presidente degli States. Noi restiamo qui con un po’ di speranza…

domenica, ottobre 31, 2004

Al Festival della Scienza

Per ricordare il centenario della nascita dello scienziato Giuseppe Montalenti, il Festival della Scienza 2004 ci ha dato, oggi sabato 30 ottobre, anche l’occasione di vedere la bella sala per conferenze del complesso monumentale di S. Ignazio.
Ad accogliere i partecipanti c’erano Pietro Greco e Alberto Piazza, era assente Gilberto Corbellini per motivi di salute.
Ha parlato per primo Pietro Greco, giornalista scientifico e saggista, illustrando l’intensa biografia di Montalenti accompagnata da molteplici interessi scientifici, cui il più ossessivo, in senso positivo, fu quello dell’evoluzionismo.
La grandissima opera storico e scientifica di Giuseppe Montalenti, si comprende subito, è stata fondamentale per far passare in Italia la teoria evoluzionista darwiniana e insieme al suo forte impegno volto a coniugare la cultura umanista con quella scientifica, che in Italia ha avuto grossi ritardi.
Montalenti fu sempre molto critico sulla posizione che la Scienza occupa nella cultura del nostro Paese. Egli non accettava la concezione che la cultura umanistica sia la depositaria di tutta la cultura, mentre la Scienza sarebbe un fenomeno che poco avrebbe a che fare con la cultura dello spirito, ma sostanzialmente con la conoscenza, attraverso la ripetizione di esperimenti in laboratorio, di ciò che avviene in natura. Per Montalenti la scienza è totale in quanto la comunicazione culturale coinvolge tutte le dimensioni del sapere: storico, filosofico, sociale…e la sua lungimiranza lo portò, primo in Italia, ad introdurre il tema dell’ecologia.
La Scienza è quindi una cultura vera, che afferma un valore di cultura totale. Poi, non è forse l’evoluzione biologica sempre in primo piano? Greco racconta per questo i rapporti con Benedetto Croce, colui che con il suo idealismo avversò quella cultura scientifica espressa da Montalenti come materialistica e positivista. Per Benedetto Croce l’uomo non evolve solo organicamente ma deve avere una sua ‘teologia’; oggi invece grazie a Montalenti e la sua attualità, sappiamo che l’incontro tra le varie culture e scienze accresce le conoscenze in generale, aprendoci nuovi orizzonti di ricerca. Insomma quanto evolviamo scientificamente e quanto filosoficamente? A questa domanda ci porta l’excursus scientifico di Alberto Piazza, docente di Genetica Umana, Biologia e Biochimica presso l’Università di Torino. Il prof. Piazza, che con la sua folta barba ricorda Darwin, ci ha parlato proprio del grande teorico dell’evoluzione della specie, della sua teoria, delle affermazioni scientifiche supportate da numerose scoperte. Il prof. Piazza ci ha raccontato anche dei ritardi, della incompletezza delle traduzioni, delle difficoltà culturali generalizzate dell’ambiente accademico italiano a conoscere e dibattere il grande tema dell’evoluzione umana per arrivare fino ad oggi e non poteva mancare l’accenno, in questa sede, alla posizione del ministero della scuola su Darwin: un momento di attacco alla teoria di Darwin, con il divieto di insegnarlo nelle prime classi. Bisogna dire che quella di Darwin oggi non è più una teoria, ma un’ipotesi confermata da numerose conoscenze ottenute in laboratorio. Oggi abbiamo anche la scienza genetica, abbiamo più tecnologie e mezzi per superare certe visioni che erano per forza di cose parziali: bisogna però stare sempre attenti ai fondamentalismi di ogni parte; c’è n’è uno anche positivista che insulta l’altra parte e a queste posizioni dobbiamo rispondere – dice il prof. Piazza- con serietà di argomenti e prove che mano a mano ci portano paradossalmente a trovare una unità di ragioni: quelle che Montalenti aveva da subito auspicato.
In conclusione per rispondere alla domanda di come evolviamo, ci vorrebbe forse un test, invece Piazza ci ha letto un piccolo scritto di genetica, perché spiega è interdisciplinare; è una scienza che unisce diverse conoscenze: matematiche, statistiche, mediche, biologiche…ecco un metodo e insieme una risposta. La più scientifica possibile e forse anche la più umana.
Il cammino è ancora lungo, ma in questa ottica di cammino è bello sapere che ci si può tenere la mano per non cadere: insieme scienziati e filosofi. Montalenti eccezionale divulgatore delle tematiche scientifiche lo aveva sostenuto e storicizzato con le sue opere molto tempo fa.

sabato, ottobre 23, 2004

Davanti agli sbarchi

Davanti agli sbarchi di disperati sulle nostre coste io non ho da offrire che lacrime e le uniche parole che penso sono: se questo è un uomo.
Questi africani morti e redivivi, che hanno affrontato il salto verso la nostra terra, che non so quanto non sia anche loro, sono paradossalmente la nostra speranza. Il loro anelito di fuggire dalla miseria, dalla crudeltà di guerre che noi chiamiamo di democrazia, sono la speranza per un mondo migliore; la speranza di riconoscere uomini e donne arrivati da «un’altra vita» per raccontarci che la «nostra» non è reale, non è sicura e soprattutto non è immortale.
Dopo di ciò fanno paura quegli uomini, esponenti di un potere istituzionale che si dice democratico ma mostra il volto arrogante e razzista, che parlano di chiusura, di reati, di delinquenza. Loro, che si sono riempiti la bocca di garantismo, di libertà e progresso, poi hanno ridotto i diritti, cancellato il reato di falso in bilancio per crearne uno inesistente di clandestinità, ridotto in nero un lavoro ed invisibili quei lavoratori che lottano per la sopravvivenza. Loro, impegnati sull’entità delle tasse, sui condoni ai furti e alle ricchezze nascoste, hanno senza quei disperati in verità già perso tutto. Il bene posseduto è un bene provvisorio quanto la vita che non si può negare a nessuno.

venerdì, ottobre 22, 2004

a vita bassa

In un articolo, dei giorni scorsi su un quotidiano, una quindicenne diceva di voler comprare un paio di mutande Dolce e Gabbana da indossare sotto i jeans a vita bassa facendo uscire bene la scritta e poi andare a passeggio sulla Tuscolana insieme ad altri ragazzi. Alle obiezioni del professore di scuola che le faceva osservare quanto fosse triste ripetere le scelte di tutti, rinunciare ad avere una personalità, arrendersi a una moda pensata da altri, la quindicenne replicava: "Professore, ma non ha capito che oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti, i calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro esistono veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente e non saranno mai niente. Io l'ho capito fin da quando ero piccola così. La nostra sarà una vita inutile. Mi fanno ridere le mie amiche che discutono se nella loro comitiva è meglio quel ragazzo moro o quell'altro biondo. Non cambia niente, sono due nullità identiche. Noi possiamo solo comprarci delle mutande uguali a quelle di tutti gli altri, non abbiamo nessuna speranza di distinguerci. Noi siamo la massa informe".
Da sempre penso ci sia nei quindicenni, per non dire altre età giovanili e no, lo spirito di branco, di emulazione di modelli definiti di successo, di appartenenza e ricerca di mode. Poi esiste anche un altro problema che riguarda, oltre che il costume e la psicologia di massa, anche il perché del bisogno di celebrità, di successo che c’è in tutti e fa sentire frustrati e inutile chi non riesce a raggiungerlo.
Oggi la televisione dimostra tutto il suo potere attrattivo e di risposta ad un bisogno che è profondo e se analizzato bene risulta semplice: la conferma di esistenza. Già, abbiamo bisogno che qualcuno ci dica sempre che viviamo, ci siamo e che siamo noi. Per soddisfare questo semplice bisogno servono le ‘carezze’ di ogni tipo, tanto che è meglio uno schiaffo, un rimprovero, all’indifferenza.
In Tv succede che si diventa qualcuno, si diviene celebri, in breve tempo senza nessuna particolare dote: basta apparire; basta quello per essere riconosciuti, e con questo riconoscimento ricevere le famose carezze utili a confermare l’esistenza, l’essere in vita.
La mancanza di celebrità, quello che manca in sostanza alla quindicenne, fa sembrare la vita inutile. Pare che le carezze e quella quantità necessaria a dire che ci siamo sia dovuta solo a chi è celebre, al divo, allo sportivo vincitore, il resto è nullità. Ecco spiegato forse anche la corsa a diventare ‘veline’: pseudo ballerine, cantanti, figurine utili a rendere la scenografia festosamente sexi; metterci la faccia e il ‘sedere’ rende molto celebri.
Per me avviene questo perché si è travisato e ricevuto all’origine l’insegnamento sbagliato su ciò che è l’amore. L’amore è la vera medicina che guarisce il bisogno di confermare l’esistenza e regala le più belle, profonde e durature carezze.
Ma non bisogna scoraggiarci: amare è un’arte e si deve imparare a proprie spese. Allora si comprenderà che diventare celebri, non vuol dire amare ed essere amati, ma sentire di più questa mancanza; sentirla al pari di chi non lo è, ed è forse per questo più vicini alla vera arte. L’arte di amare.

martedì, ottobre 19, 2004

La qualità degli uomini

Si possono avere idee di destra o di sinistra ma in fondo quello che conta è la qualità degli uomini; è il rapporto con il proprio sé, che si trasmette nelle relazioni con gli altri determinandone poi i comportamenti, che fa misurare la bontà di questi ultimi.
Allora in fondo il vero discrimine tra gli uomini e i diversi schieramenti ideali passa attraverso caratteristiche umane non indifferenti.
Non ci sono in questo senso allora “buoni” o “cattivi”, “bravi” o “stupidi”, ma in sostanza solo innamorati della propria immagine ed esclusivisti della ragione, predicatori, avventurieri, bugiardi, insaziabili e avidi di potere.
Tutto questo, chiaramente per i politici, si nasconde dietro il perseguimento del servizio comune. Sì, questi ultimi dovrebbero essere uomini generosi, di qualità, che si mettono a disposizione per risolvere i nostri problemi di convivenza ricercando la sottile arte del “male minore nell’interesse maggiore”. Ma è così?
Osservateli bene i politici o i detentori di cariche pubbliche e ditegli un preventivo grazie: si sono messi a nostra disposizione, così almeno si pensa; poi non guardategli la ricchezza del portafogli ma quella dell’anima, e lì casca l’asino. Quanti di questi conoscono il dolore del peccato? Quanti dovrebbero preventivamente chiedere perdono per non conoscere abbastanza di loro, della vile natura, prima di aiutare noi?
Ecco, a molti di loro manca la compassione, una pietà per loro stessi che li aiuterebbe ad averla per gli altri.
Essere eroi non è una qualità e quando certi uomini parlano, prima dovrebbero interrogarsi un po’. Dovrebbero essere degli straordinari interrogatori che più di risolvere i nostri problemi imparassero a risolvere i loro e poi insegnassero a chiederci perché.
Ecco una qualità, una qualità degli uomini, che aiuterebbe il mondo.


sabato, ottobre 16, 2004

Saggio sul linguaggio del Cav.

Con le continue ‘battute’ di Berlusconi e dei suoi ministri la questione del linguaggio, analizzato nel libro ‘Il linguaggio e la retorica della nuova politica italiana’, scritto da Amedeo Benedetti per la Erga Edizioni, è sempre attuale. L’autore, del libro in questione, Amedeo Benedetti è uno studioso attento alla comunicazione e alle forme immaginative che dopo aver scritto un saggio su il linguaggio delle nuove Brigate Rosse, ora si è cimentato in questo studio attento alla comunicazione politica in generale ed in particolare a quella del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
Con l’avvento di Berlusconi nel panorama politico italiano c’è stata una rivoluzione dell’uso del linguaggio: tutto diventa diretto. Prima si parlava il ‘politichese’ una comunicazione arzigogolata piena di giri di parole inconcludenti e incomprensibili; era un linguaggio di chi non voleva farsi capire, una sorta di codice tra addetti ai lavori e che gli stessi operatori dell’informazione, i giornalisti, stentavano a decifrare. Ora invece c’è un linguaggio semplice, diretto, povero di contenuti che semplifica i problemi ma non li risolve. Prima le promesse venivano fatte come impegno di un intero partito, delle forze politiche e non venivano mai mantenute, mentre addesso vengono fatte con l’impegno personale, con il «ghe pensi mi», ma ancora regolarmente non vengono mantenute. In sostanza è cambiato il linguaggio ma non i vecchi vizi della politica italiana.
Berlusconi è allora il grande comunicatore? Per l’autore del libro lo è chi sa convincere, chi riesce a portare sulle sue posizioni gli altri e il cavaliere in parte lo è ma sconta anche il vuoto, l’assenza di contenuti. Quanto può durare la banalità? Quanto può continuare a convincere la comunicazione di Berlusconi e il suo uso delle parole che privilegiano l’impolitico? Una cosa balza agli occhi di tutti: il linguaggio della nuova politica non risolve i problemi: è un linguaggio vuoto. La politica di Berlusconi si riduce a poche frasi: Giù le tasse - Più libertà – Via i comunisti. Se c’è qualcosa che differenzia la destra dalla sinistra è che la destra non fa analisi, non si interroga. La destra usa solo il linguaggio dell’ottimismo come la strada principale per fare aumentare i consumi, gli investimenti, il progresso: un giro di solo parole.
Nel saggio di Amedeo Benedetti si sono analizzati i meccanismi di comunicazione usati da Silvio Berlusconi e approfonditi con scrupolosa cura nelle oltre 200 pagine del libro, che raccoglie 750 citazioni del personaggio in questione.
Ecco qualcuna delle citazioni: «Quando Bossi dice che sono peronista forse si riferisce alla birra Peroni» (1994); «Arafat mi ha chiesto di dargli una tivvù per la Striscia di Gaza. Gli manderò Striscia la notizia» (1997); «E’ vero, con la Finanziaria si dà con una mano e si toglie con l’altra. Qualcuno ha detto che più di una partita di giro è una partita di raggiro» (1997); «Al Partito Popolare Europeo l’altro giorno ho fatto ridere tutti i delegati quando mi sono appropriato di una battuta di Woody Allen e ho detto: Il comunismo è morto, ma anche la socialdemocrazia sta poco bene» (1999); «Ecco un uomo che ha sempre le mani in pasta: è ginecologo» (2003).
la semplificazione del linguaggio cerca di semplificare anche i problemi che sappiamo invece complessi; quanto può durare e risultare vincente questo linguaggio e novità nella politica?
Il libro domanda questo e in parte cerca di rispondervi. A voi leggerlo e trarne le vostre conclusioni.

Il linguaggio e la retorica della nuova politica italiana
Amedeo Benedetti
Erga Edizioni, 225 pagine, 17 euro


giovedì, ottobre 07, 2004

necessità del male?

"Il comunismo è stato un male necessario in qualche modo all'uomo e al mondo". Così Giovanni Paolo II definisce la dottrina politica che affonda le sue radici nel pensiero di Marx e Engels nella sua nuova opera Memoria e identità.
Interessante questo punto di vista di chi è considerato, per il verbo, 'infallibile'.
Io semplicemente che nel comunismo ho creduto senza infallibilità, ma proprio per la fallibilità dell'uomo insieme delle sue capacità ad essere qualcosa di diverso: superiore, morale e benefico per l'umanità tutta; lo penso forse ancora un bene possibile.
Intendiamoci, sappiamo che nel nome di grandi ideali e convinzioni di giustizia, moralità, si sono compiute le più atroci nefandezze contro l'umanità, per cui nessuno è immune dal male e in specie del proprio pensare con delle certezze; ma il comunismo, quello trasmesso anche originariamente e originalmente da Gesù Cristo, penso sia ancora un valido ideale per una nuova umanità.
Vive e c'è poi quel male più grande ed infinitamente diffuso che è quello dell'inconsapevolezza, dell'ignoranza, del voltare la testa e lo sguardo per non vedere, insieme alla mancanza di un pensiero 'altro', 'diverso' e 'trascendente' la nostra condizione contingente all'economia e al mercato.
Per questo considero ancora fondamentale l'opera di Hannah Arendt su 'la banalità del male'.
Il comunismo ha fornito diversamente a molti uomini sfruttati, oppressi, vilipesi ed emarginati, uno strumento per riscattare la propria condizione e trovare una dignità negata da ideologie supportate dalla legge del più forte, del possesso e dell'arroganza. Cristo aveva fornito con la sua vita e le sue parole il primo insegnamento spirituale di libertà e speranza all'umanità intera. Il vero e unico miracolo di Cristo, utile agli uomini del suo tempo e poi rivelatosi utile sempre, fu quando affermò che tutti gli uomini sono uguali, sono fratelli e proprio negli umili è la salvezza del mondo: era, per l'epoca in cui Cristo disse quelle cose, qualcosa di inimmaginabile; la cultura del tempo e chi in quella cultura greco-romana ed ebraica era nato non aveva la possibilità di pensare diversamente. Allora si può dire che anche quella Croce forse fu un male necessario?

domenica, ottobre 03, 2004

Ho voglia di innamorarmi


“Ho voglia d'innamorarmi - di una donna - di un animale - di una borsa di coccodrillo - di uno straccio di ideale - ho voglia d'innamorarmi - di qualcosa che non c'è...”, così cantava Baccini ed esprimeva bene un bisogno reale.
La voglia di innamorarsi, l’entusiasmo di affrontare una cosa nuova, di ritrovare la spontaneità e non averne timore è la cosa più bella cui possiamo aspirare. Che bello saperci vedere come bambini, sapere cogliere l’autenticità del nostro carattere. Spesso, se non sempre, invece giochiamo giochi pericolosi e finti. Cerchiamo surrogati all’amore.
Con l’innamoramento invece affrontiamo indifesi la vita con un progetto per il futuro: siamo pronti anche a soffrire per sentire il bene dell’amore; siamo pronti a giocare con l’amore per l’amore.
Se guardiamo con occhio attento a cogliere quello che di autentico, di bello, ognuno porta con sé, diventano amabili tutti. Allora si comprende che nessuno è in fondo detestabile, ma è come un bambino che vuole giocare, perché in quello stesso gioco non solo è insito il bisogno d’amore ma lo stesso bisogno per la vita e dell’altro ad esprimerlo.
Poi cambiando canzone, con ”Everybody Loves Somebody” si ritorna allo stesso concetto: ognuno ama qualcuno, anche per un momento. Ognuno cade nell’amore e ognuno trova qualcuno. Se lo desidera e sogna, ad ogni ora e minuto, si ritrova tra le braccia l’amore.
Allora auguri d’amore a tutti. Sempre. Poiché: “Può capitare di non essere amati, ma la vera disgrazia è non amare" (Albert Camus)




giovedì, settembre 30, 2004

Mostra di Germano Celant Arti & architettura

Ho sempre pensato l’architettura un mezzo fantastico per costruire luoghi dove svolgere la vita e, poi che questa, la stessa vita la trasformi in un gioco di misteriosi rimandi tali da portare a sintesi Forma e Sostanza.
L’architettura d’altronde è sempre presente in ogni momento della nostra vita quotidiana e ci accompagna in tutte le manifestazioni sociali; tutto sfocia in spazi progettati e costruiti dal vissuto e dai processi di pensieri e valori.
Giocando con le parole, intese anch’esse come una costruzione per la comunicazione, e scomponendo il termine Architettura, con un semplice anagramma, ottengo Artichettura e Tetturaarchi; ottengo verità: un’arte che tura – chiude spazi vuoti- e insieme consegna tetti ad archi diventati oggi tetragoni per una contingente utilità, difesa e commercio.
Questa è l’architettura, per me profano interrogante e interrogativo, oggetto e soggetto, prodotto e produttore di spazi esterni ed interni che costituiscono un tutto inseparabile.
Ma oltre che ‘scienza’ l’architettura è soprattutto arte e la mostra ‘Arti & Architettura’ lo vuole confermare.
A questo punto l’arte ci aiuta a vedere; ci aiuta a comprendere quegli stessi spazi forniti dall’architettura che vivendoli paradossalmente assumono l’aspetto di muri opachi. Ora con la rassegna di Germano Celant per GeNova 2004 si apre questa possibilità di comprensione con l’installazione in luoghi finiti e vissuti, divenuti abituali e per questo più indicati, di costruzioni di grandi artisti-architetti. Scopriremo come le opere installate, con un rimando di memoria e cultura, ci porteranno a rivedere quello che da sempre abbiamo già visto, ed ora riguarderemo con uno stupore nuovo.
Il percorso espositivo è suddiviso in 13 punti ed ogni punto-luogo sicuramente fornirà un momento per ripensare quello spazio, insieme ‘riviverlo’ con una diversa consapevolezza.
Chissà se GeNova 2004 diverrà una NovaGe2005. Auguri e auguriamocelo.




giovedì, settembre 23, 2004

due ragazze della 'meglio gioventù'

“C’è da credere che la situazione in Iraq sia per gli USA peggiore che in Vietnam”:
così affermavano diversi importanti osservatori americani e così sembra alla luce degli ultimi avvenimenti.
Mentre per il Vietnam c’era la battaglia di un popolo per riunire una nazione, cui Saigon rappresentava simbolicamente l’obiettivo per decretarne il raggiungimento, a Baghdad si fa una guerriglia, in vari settori della città, per allontanare gli americani e far fallire ogni altro potere a loro legato per altri obiettivi; questa città rappresenta al momento solo una città importante di una nazione, l’Iraq, che di fatto non esiste più.
Mentre il vietcong si identificava nel suo paese, l’iracheno che combatte l’invasore americano si identifica in una cultura religiosa ed in un costume arabo che è costituito da tribù divenute ora bande armate.
I rapimenti e le efferatezze di questo periodo dimostrano quanto poco controlli il governo insediato dagli USA e l’esercito stesso della coalizione in guerra.
Attualmente, eccetto che le varie zone strategiche della città di Baghdad e le città più grandi dell’Iraq- tipo Bassora, Kirkuk, Nassirya, ecc.-, la coalizione armata non controlla nulla. Le periferie, le campagne, le zone desertiche, i piccoli paesi sono fuori ogni controllo. Paradossalmente se si facessero le elezioni in questo momento, per permettere un passaggio effettivo dei poteri, vincerebbero i fondamentalisti religiosi, alcuni capi religiosi e di tribù. L’Iraq risulterebbe ancora ingovernabile e la sua destabilizzazione potrebbe essere fermata solo con la suddivisione del territorio in tante parti. Questa è la realtà. Questo è la situazione tragica e complessa che la guerra americana ha aperto e non si riesce a prevedere come finirà.
Su ReporterAssociati vengono riportate le dichiarazioni di Al Lorentz, un militare USA e presidente del Partito Costituzionale del Texas, che sostiene: ”L'Iraq non è stata una guerra, ma una guerrilla, servita solo ad attirare l'odio sul nostro paese. Ormai si continua ad ammazzare a caso, senza neppure un obiettivo preciso Ci siamo ritrovati a tirare bombe all'uranio di almeno 500 libbre, fatevi i conti. E con un sentimento molto diverso da quello dei politici”; la dichiarazione termina dicendo che gli iracheni combattono con tattiche diverse e superiori alle loro.
Il sequestro delle due Simona si inserisce in questo contesto, in una situazione dove può avvenire di tutto. Simona Pari e Simona Torretta erano molto conosciute per il loro impegno umanitario – pacifista; il loro rapimento insieme agli iracheni Ra'ad Ali Abdul-Aziz e Mahnaz Bassam ed altri tre collaboratori, inizialmente poteva essere pensato per la richiesta di un riscatto in denaro: le armi costano e la cosiddetta ‘resistenza’, svolta da bande autonome senza coordinamento e fondi comuni, necessita di denaro. Ora i lanci d’agenzia in cui si annuncia l’uccisione delle due ragazze volontarie lasciano interdetti e con molti dubbi. Un gruppo, che si definisce Organizzazione Jihad, sostiene di aver ucciso le due giovani perché l'Italia non ha obbedito alla richiesta di ritirare le sue truppe dall'Iraq. Tutto è confuso ma c’è da aspettarsi sempre il peggio. Una prima notte è passata e oggi 23 settembre attendiamo altre notizie; le attendono soprattutto i genitori che stanno vivendo una agonia infinita.
Le manifestazioni di solidarietà, di impegno per la pace, per trovare soluzioni non violente per risolvere i gravi problemi creati dalla guerra in Iraq si stanno intensificando. Certo è che dopo avere assistito alle macabre esecuzioni come la decapitazione di ostaggi, i bombardamenti di civili, le torture e le atrocità d’ogni sorta, tutti si aspettano il peggio. Io mi auguro che gli ostaggi tutti e in primo piano le due splendide ragazze, Simona Pari e Simona Torretta, della nostra attuale ‘meglio gioventù’, tornino a casa. A casa presto.

mercoledì, settembre 22, 2004

La presentazione di 'La poesia come un accidente...'

Presentazione libro avvenuta

Ieri sera ho fatto la presentazione del mio libro: ‘La poesia come un accidente…’, introdotto dalla giornalista del SecoloXIX, Laura Guglielmi ed è stata una cosa che mi dicono riuscita bene. Beh, io ero molto emozionato e la cosa si percepiva benissimo; poi da parte di mia figlia Chiara è arrivata anche una critica: ti sei dilungato un po’ troppo su certi argomenti di cui andavi fuori tema…tutto sommato però leggevo nello sguardo di mia figlia, sempre critica nei miei riguardi, anche l’ammirazione per avere superato bene la prova davanti al pubblico intervenuto.
Ora conservo le belle sensazioni ricevute e cercherò di farle durare: si sa che queste sono “carezze” che fanno bene, sono energia vitale che rinforza lo spirito; spinge a fare altre cose, misurare ancora capacità e consensi. Devo stare attento però a non far gonfiare l’ego, quello ti frega, ti fa dare importanza a cose che è bene lasciare stare. Allora dico grazie a tutti per avermi sostenuto in una maniera o nell’altra e per la bella serata devo ringraziare soprattutto Andrea Guglielmino, uno dei soci della libreria Portoanticolibri e Laura Guglielmi per la loro disponibilità e amicizia. Poi non posso dimenticare i book-corsari presenti: Dedda, Giorgio, Maxcip, Campalla…forse dimentico anche qualcun altro comunque grazie. Grazie a tutti.

martedì, settembre 21, 2004

Ciao America

L’America, che altro si può raccontare del paese che è stato un sogno ed è diventato un incubo? Eduardo Galeano sostiene che i sogni e gli incubi sono fatti della stessa materia, ma questo incubo dice d'essere il nostro unico sogno permesso: un modello di sviluppo che disprezza la vita e adora le cose. L'American way of life, fondato sul privilegio dello sperpero. L’America oggi è questo.
L’America la trovo bene descritta da Tiziano Terzani nel suo ultimo giro di giostra: è quel furgoncino col cassone aperto fuori dalla porta pronto a portarti in un posto dove ricominciare tutto daccapo, un posto dove lavorare, fare l’amore e dire di avere degli amici; quel furgoncino che non garantisce niente tranne lo scappare e farti sentire mobile, flessibile e senza arte ne’ parte, come vuole la nuova economia. L’America oggi è questo.
L’America è quella del grande PIL, prodotto interno lordo, che misura una ricchezza inversamente proporzionale a quella degli affetti, a quella di avere persone su cui contare nella propria vita, cui spartire gioie e dolori e invecchiare insieme. L’America oggi è questo.
Allora oggi dico: ciao America. Dov’è ora quel sogno? Dov’è quel west non più far ? Era qui sotto il mio cuscino. Era con te lungo un fiume di versi dove affondavo i pensieri divenuti emozioni.
Ciao poeta Ferlinghetti, con te ho dato un calcio ad una lattina di cocacola facendo spaventare un gatto all’angolo di un vicolo. Poteva essere più vicina l’America? Oggi odo spari, sento colubrine e birilli che cadono nel bowling. Ciao America.


Programmazione temporale

La programmazione parentale insieme a quella sociale, ovvero le convenzioni, le buone maniere, le regole di come si saluta, si mangia, si conversa o si fanno le condoglianze, insieme a tutti i riti e i passatempi della società che ci mantengono soli senza isolarci, agiscono su l’individuo in maniera molto forte tale da determinare anche il rapporto che ognuno ha con il tempo.
Eric Berne ha analizzato questo aspetto con l’analisi transazionale e lo ha codificato in sei categorie comportamentali. Prendendo i miti ad esempio li ha così elencati:
1) Tantalo – Mai: la proibizione dei genitori a fare le cose che più piacciono o attirano costringe a imporsi delle privazioni in modo ossessivo facendo passare la vita da frustrati circondati da innumerevoli tentazioni. Inflessibili
2) Aracne – Sempre: l’ingiunzione che dice ai figli: “ Se è questo che desideri fare, passa pure il tempo della tua vita a farlo”. Essi non riusciranno a fare altro. Condannati.
3)Ercole- Fino a: cercano vie tortuose al raggiungimento del piacere poiché gli è stato insegnato: "finché non soffri non avrai quello che desideri". Problematici.
4) Damocle- Dopo di che: è la paura dei guai dopo il godimento: "Stai attento, goditela ma dopo arrivano i guai". Quindi una grande inibizione a fare ciò che piace. Reticenti.
5) Sisifo – Più e più volte: tentano e ritentano a raggiungere i loro obiettivi, ma quasi raggiunti tornano indietro. Commentano:" Quasi ce la facevo, se soltanto...". Sono coloro che non ce la fanno mai, ma continuano sempre a tentare per sbagliare. Ripetitivi.
6) Flemone e Bauci – Punto e Basta: in verità sono gli inconcludenti. Sono quelli che hanno eseguito fino in fondo gli insegnamenti ricevuti ed ora vivono come vegetali, non sanno più cosa fare. "Noi abbiamo sempre fatto il nostro dovere. Ora che facciamo?". Sono i vecchi perfetti. Annegati.
Quale mito siete? Riuscite a identificarvi? Un test utile ad identificare un copione che state vivendo.


domenica, settembre 19, 2004

Articolo su la presentazione del mio libro- su Mentelocale.it

Immaginate delle pagine ingiallite di un diario. Fogli sparsi che vorreste raccogliere. Appunti presi per sé. Sguardi sul mondo. Immaginate i libri letti, Sbarbaro, Montale; la storia che ci passa accanto o che ci salta addosso. L'appartenenza a un'idea, un'idea di sinistra, “un comunismo cristiano”. Immaginate i versi e i racconti. Poesia e prosa. Tutto “come un accidente”. Immaginate tutto questo e avrete il libro, “La poesia come un accidente” edito da Caroggio Editore, in presentazione Martedì 21 Settembre alla libreria Porto Antico alle 18.00 dove Laura Guglielmi introdurrà per chi ancora non lo conosce Giorgio Boratto, già comparso tra le pagine mentelocale.it.
Quando si viene colti, da un'immagine, un attimo, “liberi di correre” è poesia.
Quando ci si ferma e si riflette, è prosa.
Boratto ha voluto fermare i suoi pensieri, i suoi appunti, le quotidianità. Quelle di un caffè in cucina a dare un senso a quel vuoto di senso di giacche blu, verso strade grigie.
Come se la parola potesse essere democratica, l'origine primordiale, quando ci “tocca nudi”, quella poesia che forse potrà rendere i ricchi meno ricchi e i potenti meno potenti.
E' proprio un diario nel tempo questo libro di Giorgio Boratto, tanto da dire “non trovo più la poesia, l'avevo scritta tempo fa”. Come quei fogli sparsi a cui si vuole dare ordine.
Boratto, artista polivalente, dalla ceramica, alla terracotta, alla parola. Materiale da plasmare. Per voler comunicare. Pensiero. Politica. Amore. Passione. La vita insomma.
Ma dentro la vita l'arte. L'arte per combattere il disumano e la stupidità che ci circonda. Boratto cerca, anche nel basso,il riverbero delle cose splendenti. Sono le dichiarazioni folli d'amore, sono gli impeti, e ancora e sempre “l'interrogazione”e la “meraviglia”.
Che brilli di luce dunque l'entusiasmo di questo uomo. Potremo vederne lo sguardo dello stupore e della meraviglia Martedì 21 settembre ore 18 alla Libreria Porto Antico Libri Palazzo Millo Area Porto Antico.
Vi aspettiamo!
Scritto da Marina Giardina

venerdì, settembre 17, 2004

Maffeo d'Arcole, un artista alla festanazionaledell'unità di genova 2004

Ad accogliere i visitatori della Festa Nazionale dell’Unità di Genova, c’è una grande installazione formata da 150 sagome intagliante in legno vecchio di 150 anni, proveniente dai solai di case abitate da emigranti, titolata ‘Popoli in Cammino’. Questa opera è di Maffeo Burati in arte d’Arcole; in origine l’opera che constava di 40 sagome si chiamava ‘Benvenuti albanesi’ e fu esposta a Padova suscitando qualche polemica. Era l’anno degli sbarchi degli albanesi sulle coste adriatiche e Maffeo si riprometteva di ricordare come la sua terra, il veneto, fosse una terra di emigrazione ed era pronta ad accogliere quelle genti che scappava in massa dalla miseria. Quell’opera esposta nel 1998 suscitò interesse e notata dalla stampa cattolica, l’artista fu invitato a presentarla a Roma al Giubileo del 2000.
Lì prese il nome ‘Popoli in Cammino’ ed ora inserendo l’attuale festa nazionale dell’Unità nel tema del Viaggio che anima Genova 2004 – Capitale Europea della Cultura- quel nome è stato dato alla stessa Festa Nazionale.
Ieri alla conferenza stampa di presentazione dell’opera di Maffeo d’Arcole, si è saputo come quest’opera abbia folgorato don Andrea Gallo e come con Maffeo sia nata una grande amicizia. Don Gallo si è detto entusiasta di quest’opera che esprime bene il ‘movimento’ l’andare verso un futuro migliore da parte di un popolo di disgraziati, diseredati, rappresentati da quelle sculture di legno vecchio; dietro c’è un lavoro di recupero che va’ oltre la memoria rendendoci una attualità drammatica ma piena di speranza.
Per Don Gallo, che lo ha invitato ancora a Genova per ulteriori scambi culturali, Maffeo d’Arcole potrebbe essere, attraverso la sua arte come ‘recupero’, un piccolo don Bosco: « Dai, mi rivolgo a chi può, facciamo un laboratorio d’arte a Genova che recuperando oggetti vecchi per fare arte, recuperi così anche molti giovani sbandati…»; don Gallo non si smentisce e coglie sempre le occasioni per lanciare positive provocazioni per smuovere coscienze e azioni.
Maffeo ha tracciato anche un breve ritratto di sé: ultimo di otto fratelli di una famiglia contadina del veronese, precisamente del paese di Arcole – da qui il nome d’arte-, è divenuto dopo il lavoro giovanile nei campi, entra in una fonderia come operaio ove rimane per molti anni maturando una forte esperienza di impegno sociale e sindacale. Lasciata la fabbrica come autodidatta affronta un percorso artistico che lo vede esprimersi nelle più varie forme: recitazione, regia, pittura, scultura. In tutte le opere di Maffeo si coglie come continuità il messaggio potente del riscatto sociale e culturale; la povertà, il dolore, il sacrificio, la fatica trasformati in cultura, tolleranza, rispetto e dignità. Una ricerca continua della qualità della vita; un diritto che cresce nella coscienza e insieme con l’arte. In questo caso l’arte di Maffeo d’Arcole.
Alla conferenza stampa erano presenti anche Lino Paganelli responsabile DS delle feste dell’Unità nazionali e Mario Tullo, segretario provinciale dei DS, che hanno ringraziato Maffeo per la sua disponibilità tracciando anche un ideale segno di continuità con il logo che richiama il ‘Quarto Stato’ di Polizza da Volpedo e l’opera ‘Popoli in Cammino’ che diverrà ‘Cittadini del Mondo’. Un bell’augurio che dà speranza alla risoluzione dell’evento drammatico e doloroso che caratterizza l’attuale fase storica, dove milioni e milioni di uomini e donne sono in cammino per migliorare le proprie condizioni di vita.
Maffeo per tutto il tempo della festa è stato presente, e lo sarà fino alla conclusione di domenica prossima, in prossimità della sua grande installazione e ha avuto modo di conoscere moltissime persone con cui confrontare impressioni e idee. Ora che si avvicina alla conclusione di questa esaltante esperienza, Maffeo ringrazia tutti ripromettendosi di tornare; anzi ha già in mente per Genova qualcosa. Per Natale, dice Maffeo, lo verremo a sapere. Sicuramente ci sarà lo zampino di don Gallo.

mercoledì, settembre 15, 2004

Il Nord

Bossi: Il Nord non mollerà mai. Così apre il giornale La Padania, Voce del Nord e organo della Lega Nord; poi continua: “Non c’è possibilità che il sistema vinca, la gente non deve mai dubitare”. Ma chi è il sistema? Chi è la gente? E soprattutto chi è il Nord? Io sono uno che dubita e non sono la gente, non sono il sistema e non sono neppure il nord: sarà forse la Lega Nord e il suo quasi 4% di popolo? Mah! Questi, si sa, sono “duri” e allora ecco che non mollano, come Nord, mai. Io devo stare tranquillo perché sono dell’Ovest, Sudovest, Est. Sono anche del Nord rispetto al Sud, come sono del Sud rispetto al Nord, ma non sono certo della Padania, davanti a me c’è il mare e dietro delle belle montagne.
Ma chi è che fa queste sparate? E’ Bossi in netto miglioramento. E’ tutto detto. Aspettiamo il seguito per Sant’Ambrogio.

lunedì, settembre 13, 2004

Presentazione mio libro

Presentazione libro

Martedì 21 Settembre 2004 alle ore 18 presso la libreria Portoanticolibri Palazzo Millo - nell'area del Porto Antico


La giornalista Laura Guglielmi presenterà il libro di Giorgio Boratto "La poesia come un accidente…"Carroggio Editore
"La poesia come un accidente…" è un libro che si può aprire a caso e per caso anche senza imbattersi necessariamente in una poesia, si incontra un pensiero che la richiama.Insomma, dov'è la poesia? E' nell'avvicinarsi il più possibile alla realtà senza perdersi, senza dimenticare di quanta bellezza c'è in ognuno di noi e soltanto a richiamarla, anche senza rime baciate, ritornelli e punti a capo, la poesia si trova; c'è, come un beneaugurato accidente. "La poesia come un accidente…" è così perché la poesia poi la si ritrova anche nella prosa, in certi minuti passaggi espressi con il sentimento dell'interrogazione e della meraviglia; è così perché leggendo anche a caso e solo due pagine al dì, come potrebbe suggerire un medico dell'anima, regala salute spirituale e chissà. Chissà allora, se questo libro non fosse un regalo da fare a se stessi, lo si potrebbe trovare in farmacia.
Sarà gradita la tua presenza

sabato, settembre 11, 2004

Storie sampdoriane

Gran parterre, questa sera alla libreria Porto Antico di Palazzo Millo nell’area omonima, con molti ospiti-tifosi, per la presentazione del libro di Edoardo Guglielmino, ‘Storie Blucerchiate’. La serata è iniziata con la lettura della presentazione, del direttore generale dell’U.C. Sampdoria, Giuseppe Marotta, che apre il libro seguita dalla prefazione di Renzo Parodi, letta anch’essa da Stefano Carloni (voce mitica della RAI). Un momento prima c’era stato il benvenuto dato dal figlio dell’autore del libro, Andrea, che ha ricordato come Edoardo Guglielmino sia il cantore della Sampdoria, come Umberto Saba lo fu per la Triestina…forse un azzardo, ma non più di tanto; già la prefazione di Renzo Parodi ci dice: «…Guglielmino è uno scrittore vero, assistito dall’istinto, raro, che coglie l’anima delle cose, il cuore degli uomini…». Allora? Pur schernendosi Edoardo Guglielmino incassa l’elogio: frutto dell’amore filiale ma intanto…tiè. E va bene.
La parola viene passata al giornalista Mauro Bocci il quale introduce con una battuta: « La palla è rotonda, questo bisogna ricordarlo sempre e Guglielmino ce lo ricorda con la rotondità della sua scrittura, con la sua ironia, leggerezza e tocco piacevole». Bocci ricorda poi, partendo dalla prefazione di Renzo Parodi, quel ‘calcio meticcio’, quella squadra dei meridionali, degli oriundi che giocava per conquistarsi una sua dignità. Bocci scava ancora parlandoci anche degli albori del calcio quando le società erano divise tra società ginniche e società calcistiche e le prime con i giocatori autoctoni si imposero con squadre gloriose: la Pro Patria e la Pro Vercelli e anche l’Andrea Doria, che diede poi vita con la Sampierdarenese alla Sampdoria. Bocci è partito da lontano ma arriva presto alla conclusione per elogiare il piacere letterario che Guglielmino ci offre come uno Stefano Benni.
La dimensione di pregio letterario del libro viene portata anche con la lettura di versi alla Caproni, ricordi alla Pennac e rimandi alla Joyce. Insomma il libro corre veloce come un dribbling, come il racconto del calcio di rigore, con il disegno in quattro righe di personaggi storici: Pasquale Vaccamorta, Maraschi, la Fanny…e tutti i nomi importanti da Colantuoni a Mantovani.
Per me che l’ho letto sono stati ‘11 passaggi’, eccetto presentazione, prefazione, postludio e citazioni letterarie sunnominate, che vanno diritti in gol. Un bel gioco.
E’ vero con Guglielmino il gioco del calcio mantiene una dimensione giocosa che spesso nel mondo del calcio pare persa: non c’è il tifo tipo ‘febbre a 90°’ di Nick Hornby; non c’è in quel tifo in quella squadra ‘il postulato perfetto su cui costruire la propria incapacità di relazione, l’irresolutezza vagamente infantile con cui spingere lontano le certezze dell’intimità. La travolgente maschiezza del tutto: il fumo di sigaro e pipa, il linguaggio osceno, la difficoltà fisica a reggere lo scontro dei corpi sugli spalti, fissa comicamente ma inesorabilmente i limiti di un territorio per soli uomini’. No, in Guglielmino c’è l’opposto, c’è l’intreccio di personaggi diversi e tutti ricchi di ironia e amore: ci sono donne e uomini che si sanno relazionare con la loro identità precisa. Questo aspetto Mauro Bocci lo rimarca vedendo anche il valore pedagogico del libro: Storie blucerchiate. Guglielmino prendendo la parola parte da questo: «Lo sport come cultura. L’ho sempre sentito affermare ed io ci credo. Lo sport è cultura, è cultura che può essere leggerezza ma anche impegno profondo».
Guglielmino infine cita la felicità; è la felicità sampdoriana che ha conosciuto e che gli continua a dare amicizie vere e ora ricordi. Sui ricordi e il ricordato con Guglielmino c’è da starne certi: sono certificati dall’età. Guglielmino festeggia gli ottant’anni e tutta la storia della Sampdoria l’ha vissuta. Ora non rimane che fare l’augurio di successi al libro come alla squadra.
Appuntamento per l’acquisto in libreria:

Storie blucerchiate
di Edoardo Guglielmino
Ed. I Tascabili
Fratelli Frilli Editori
Euro 6,50

sabato, settembre 04, 2004

Geografia umana

Beslan è una delle città che sappiamo esiste perché si è compiuto un orrore. Da un po’ di tempo conosciamo una geografia, sconosciuta ai più, sull’onda di guerre, terrore e massacri. E’ una geografia che insieme a città come Srebrenica, Mazar-i-Sharif, Tawilah, Najaf, Falluja, solo per citarne alcune, ci fa scoprire anche parti oscure della nostra mente, della nostra capacità alla crudeltà, alle brutture. Ma chi siamo?
Ogni volta che pensiamo di conoscere il paesaggio che ci circonda e insieme cerchiamo sicurezze, costruendo difese alla nostra supposta grandezza e superiorità, ecco arrivarci, con i suoni nuovi dei nomi di luoghi distanti, anche la ferocia arcaica del nostro essere: l’atrocità dell’uccisione di un bambino ci scaraventa nel «cuore di tenebra» che da sempre evoca la guerra.
E’ sempre la guerra dichiarata o segreta; ufficiale o nascosta; regolare o anticonvenzionale che caratterizza il potere: il potere di prevalere sull’altro, sul diverso da noi.
Non volere conoscere, comprendere o sapere, fa deflagrare l’inconsapevolezza con le immagini improvvise dell’orrore.
E’ sempre la guerra che semina odio, rancori, terrore, che dietro la maschera di divise diverse livella con la morte l’uomo e la sua capacità di un pensiero per andare oltre.


mercoledì, settembre 01, 2004

Etica un nuovo modo per vivere la barca

Massimo ed Emanuela sono la coppia che ha realizzato una bellissima idea: un Boat & Breakfast a Genova. Lui, Massimo Tixi, è uno skipper con una notevole esperienza maturata, anche con gruppi ambientalisti di azione diretta e con organizzazioni umanitarie, in varie parti del mondo dall’Africa al Polo Nord. Lei, Manuela Facco, è una vivace e solare ragazza vicentina che con l’amore per Massimo ha trovato insieme l’entusiasmo per realizzare questo sogno: una barca da vivere sempre. La boat, l’imbarcazione, che è divenuta una accogliente dimora per pernottare, gustare una colazione internazionale e fare molte, tantissime, cose è un peschereccio del 1923 costruito nel cantiere di Corticello a Palermo. Inizialmente la barca si chiamava Santa Rosalia, divenne poi Filicudi per essere impiegata nella pesca a Favignana, per giungere ora a chiamarsi con una nuova veste, ma conservando sempre la classe di una vecchia signora del mare, Etica.
Etica è un nome scelto con cura poiché racchiude la filosofia che Massimo e Manuela perseguono: vivere il mare con il rispetto, l’attenzione e la conoscenza che questo richiede; quindi cibi per colazioni internazionali - poiché l’offerta è rivolta a tutti gli amanti del mare di tutte le latitudini e città del mondo- scelti con cura dal mercato equo e solidale e l’offerta di impiego della barca per l’aspetto nautico, attrezzata per l’allestimento di mostre, meeting, incontri didattici e la programmazione di piacevoli escursioni, come i giri eno-gastronomici nelle 5 Terre o puntate fino alle Baleari.
Massimo e Manuela mentre parlano della loro imbarcazione, delle molte idee per il suo futuro impiego, sanno trasmettere anche il loro amore per il mare.
Le idee sono davvero tante; tanto che vorrebbero scrivere su una fiancata della barca: “Laboratorio delle idee”. Idee che scivolano sul mare. Idee come sogni realizzabili: piccola biblioteca, saletta per presentazione libri, proiezione video, ecc…
Etica, bisogna poi dirlo, si trova in un posto fantastico: ormeggio F28 del molo Morosini, alla Marina Porto Antico, con la prua rivolta verso il Museo del Mare. Anche questo contribuisce a determinarne un suo futuro successo.
Benvenuta Etica ed a Manuela e Massimo un augurante “in bocca al lupo”.

sabato, agosto 28, 2004

Il Cavaliere a due punte

Si chiama Ghedini, ma non è l’avvocato di Berlusconi, non è Niccolò Ghedini, l’onorevole di milionario di Forza Italia, è Rudi un giovane scrittore bolognese che ha già pubblicato un romanzo, un saggio e diversi racconti ed oggi ha presentato, nello spazio intitolato a Giacomo Matteotti alla Festa Nazionale dell’Unità di Genova, il suo nuovo libro: Il Cavaliere a due punte.
Con questo piccolo pamphlet, Rudi Ghedini illustra con ironia ed intelligenza, un importante capitolo della biografia di Berlusconi: quello del Milan e del calcio; lo sport della pedata come metafora del successo.
Non è un caso che Berlusconi quando decise di fare politica “scese in campo” e dopo di lui furono in molti che decisero di diventare presidenti di squadre di calcio, di utilizzare lo sport calcistico come trampolino di lancio. Insomma Berlusconi è quello che ha “calcistizzato” la politica. Il mondo del pallone dentro la politica e la politica è andata nel pallone.
Così come Inzaghi non è mai fuori gioco, così non lo è Berlusconi: il conflitto di interessi non esiste. Il libro spiega bene attraverso gli undici capitoli (come i giocatori di una squadra di calcio) come lo sport pedatorio sia diventato con Berlusconi lo specchio, il paradigma della politica.
Per chi è amante del calcio, ne è tifoso, nel libro troverà molti spunti storici per riassumere in breve la situazione in cui versa il calcio odierno: i dieci anni che sconvolsero il calcio e si potrebbe aggiungere l’Italia.
Un capitolo divertente del libro è poi dedicato al tifoso milanista di sinistra: un personaggio schizofrenico, facente parte di una categoria masochista e da compatire, come dice Ghedini che è interista e vuole rappresentare l’altro mondo…
L’aneddotica sull’argomento trattato è grande ed anche difficile da ordinare, ma Rudi Ghedini ci riesce bene, poiché Berlusconi con il Milan, il Berlusconi sportivo e tifoso, il Berlusconi politico e capo del governo, sono legati da un filo comune: l’essere ridicolo. L’autore però rimarca come quest’ultimo aspetto non venga fatto emergere dalla sinistra che anzi avvalora e segue pedissequamente tutte le trovate, le sparate e pagliacciate del Cavaliere milanista. Berlusconi detta, con le formazioni calcistiche, anche i tempi delle uscite di quel “teatrino della politica” cui è divenuto la marionetta principale.
Il piccolo libro, “Il Cavaliere a due punte” si legge in un baleno e dopo molte risate amare alla fine si riescono a comprendere molte cose; come quella di avere semplificato la politica trasformando il paese in un’orda di tifosi. Come afferma Ghedini nelle pagine conclusive: “La scommessa è che sia questo ciò che gli italiani inconsciamente desiderano: qualcuno semplifichi la complessità sociale e la fatica della democrazia, a cui affidare una delega in bianco…”. Perfetto. Certo non è la politica adatta a risolvere i problemi di convivenza pacifica dei cittadini. Io aggiungerei l’Italia in gradinata, l’Italia divisa in due fazioni dove alla fine tutti perdono. Chissà se l’illusione del potere verrà ancora una volta smascherato con le guerre.
In chiusura della presentazione del libro, svolta con un’introduzione di Renzo Parodi del Secolo XIX, è intervenuto un partecipante che ha ricordato come il berlusconismo vincente ha trovato nel mondo dei tifosi il proprio humus; la cultura che permette questa storia e anche questo titolo: Il Cavaliere a due punte.
Renzo Parodi ha infine concluso con una breve e interessante diagnosi sociologica e di costume: sì, il calcio è un particolare elemento che scatena in Italia passioni ed i tifosi sono interclassisti, sono portatori di fedi spesso pericolose.
Si può proprio dire che niente è più serio del gioco.

Il Cavaliere a due punte
di Rudi Ghedini
Edizioni Fratelli Frilli Editori
Euro 6,50…in tutte le librerie.

giovedì, agosto 26, 2004

Popoli in cammino

A me piace il titolo della Festa Nazionale dell'Unità 2004: "Popoli in cammino". I popoli in cammino sono i popoli dei migranti; sono gli uomini e le donne che cercano di migliorare le loro condizioni di vita. I popoli in cammino sono in fondo tutti i popoli della Terra che aspirano al progresso umano. Poi leggo nell'ultimo libro di T. Terzani: "Non c'è felicità per chi non viaggia…i piedi del viandante diventano fiori". Pensando che qualcuno si illude di poterli fermare, vuole usare la forza contro questi popoli in cammino disarmati, mi fa arrabbiare. Ma non c'è da disperare. Guardateli bene quegli uomini arroganti, quelli che dicono no, perché ci sono ragioni di pulizia, di tradizione, di difesa; sono uomini bianco latte, tendente al rosa suino, hanno già perso, hanno una strana malattia: ci sono dei globuli fermi, paralizzati in prossimità dei glutei che pesano, pesano a reclamare sedili. Guardateli bene quegli uomini, hanno già perso. I popoli in cammino si curano dai vizi, spazzati via dalla fatica del viaggiare. I popoli in cammino si formano con il pensiero di cambiare, insieme a se stessi, il mondo.

svelato il mistero

Una cara amica mi ha scritto; svelato il mistero della bandana di berlusconi: è stato circonciso.

mercoledì, agosto 25, 2004

Logo Festa Unità

Di rielaborazioni dell’opera di Polizza da Volpedo, Quarto Stato, se ne sono viste molte; io ricordo ultimamente quella usata per la pubblicità di una macchina da caffè e quella per la Benetton, questa usata come logo della Festa Nazionale dell’Unità di Genova 2004, ricorda quella della Benetton. Ma si potrebbe soprassedere davanti al bel titolo che l’accompagna: “Popoli in Cammino”. Però poi, guardando il “popolo” raffigurato, mi coglie un po’ di sconforto: ma chi sono quei disgraziati?
Chi è quel tipo sorridente che si regge la pancetta e indossa le bermuda con le infradito? Ma chi sono questi simil giovani ritratti in trasferta dall’“after hour”? Potrebbero essere un popolo in cammino, ma dove va così conciato? Domande impertinenti? Forse.
Tra di loro ci hanno aggiunto uno che potrebbe essere un ultrasessantenne: è con la barba, indietro ma al centro; dovrebbe essere un pensionato che di strada ne dovrà fare poca. Forse anche per questo è l’unico e guarda a destra…la luce del sole questa volta non arriva diritta, di fronte, come nel quadro originale e il fondo non è neppure la notte della storia, ma un bianco diffuso. Anche le ombre spariscono.
Comunque il messaggio di un popolo in cammino, antirazzista e per la pace, arriva; arriva per lo straniero (colored) al centro e per il bimbo avvolto nella bandiera arcobaleno. E’ intanto però solo un “popolo”; per “popoli” forse bisognava aggiungere qualche straniero, colore e costume in più. Bisognava cogliere quel melting pot (mistura etnica) cui la società mondiale si avvia.
Ma rimaniamo fiduciosi. In fondo quel popolo ritratto, tipo “quarto stato”, dopo un iniziale sbandamento, comunica ottimismo: abbiamo bisogno di sorrisi. In fondo poi si pubblicizza una festa. Allora tanti auguri. Buona festa dell’Unità 2004.