venerdì, dicembre 30, 2016

La mia Sestri: una storia nella Storia.

Premessa

Mi è capitato di leggere in questi giorni questi scritti che raccontano di me e di Sestri Ponente. Queste brevi memorie le avevo scritte per mia figlia e le nipotine; erano pensieri a margine di un libro fotografico personale che raccoglieva tre generazioni di due famiglie: la mia e quella di mia moglie- tutte e due sestrini.
Ora ho pensato di integrarli con nuove riflessioni ed è scaturito questo racconto che mi piace consegnare -con questo mio blog- ad ipotetici posteri. La raccolta di memorie è molto lacunosa, d'altronde è difficile riportare la nostra storia intima in modo completo. Forse per il lettore è meglio così, sicuramente i suoi ricordi soggettivi riusciranno a definire in modo migliore i periodi trascorsi. Per quelli che non hanno attraversato quello spazio storico temporale rimarrà il racconto utile a conoscere avvenimenti, costumi e pezzi di vita che oggi non ci sono più. Sono cambiati con il mondo.

Prima parte

Io sono nato a Sestri Ponente. Sono nato nel giorno della 'Madonna della Candelora - e un vecchio adagio diceva che- dell'inverno semo fora'. Niente di più sbagliato: in quell'anno faceva un freddo cane. Quel 2 febbraio era un sabato grasso. Era un sabato di festa, eppure di lavoro. Si era appena usciti dalla guerra e le fabbriche lavoravano con ritmi sostenuti e continui: si doveva ricostruire l'Italia. Sestri Ponente, antico Comune genovese a 11 chilometri dal centro città, era considerato insieme a Sampierdarena la Manchester italiana: un agglomerato di fabbriche e industrie tra le più importanti d'Italia.
Sestri Ponente aveva anche un altro appellativo: la Stalingrado italiana; quest'altra nomea era divisa invece con Sesto San Giovanni, nell'hinterland milanese. Sì, a Sestri P. c'era da sempre, insieme alla presenza operaia, una forte coscienza politica di classe: i comunisti rappresentavano, insieme ai socialisti di Nenni, la maggioranza assoluta.
Le sirene avevano suonato anche quel giorno di sabato. A scandire la vita di Sestri P. erano i corni (le sirene) delle 7,30 - 7,45 - 8 -12 -12,30- 13 -14 -18 - 19. Tanti erano i suoni dei corni che segnavano il tempo a Sestri: quelli dei Cantieri Navali, dell'Ansaldo, delle fonderie Multedo, della Nuova San Giorgio, della Marconi, della Piaggio. Il lavoro segnava la ripresa; non era passato neppure un anno dalla fine della guerra, ma pareva già un ricordo lontano. Era sabato grasso a Sestri Ponente; era un sabato di festa: nascevo io.
Ero un primogenito, un progetto, una gioia, ma rappresentavo anche nuove responsabilità, preoccupazioni e sacrifici...
Mi avrebbero chiamato Giorgio. Chissà con quale criterio avevano scelto quel nome. La Nuova San Giorgio era il nome della fabbrica dove lavorava mio padre, chissà se era per omaggiare quel luogo: allora potevo essere benissimo un figlio del lavoro, la ricchezza veniva da lì. La stessa fabbrica con cui forse mio papà Attilio celebrava la felicità dandomi lo stesso nome. Poi San Giorgio è anche il patrono di Genova, è l'uccisore del Drago e proprio l'anno prima nel giorno del 24 Aprile, giorno di San Giorgio, si era celebrata a Genova la fine del Drago fascio-nazista. San Giorgio, mi piace pensarla anche come la data del mio concepimento. Un atto d'amore fatto per festeggiare la liberazione della città di Genova. E' bello immaginare mio papà e la mamma che felici per quello che era successo si abbracciassero e poi si fossero lasciati trasportare dal clima del momento; meglio dire si lasciassero andare. Anche loro giovani e liberi con di fronte un altro destino; finalmente diverso da quello che un regime ventennale aveva preparato a tutti gli italiani prendendoli in affidamento dalla culla alla bara...soprattutto quest'ultima si era diffusa portandone nei simboli dei teschi, applicati alle camicie nere, il loro proclama.

Ogni luogo era lavoro e coniugato all'economia della penuria, della povertà. Quei pentoloni neri perennemente sul fuoco di cucine economiche a carbone o a legna; quei profumi di cavoli e fagioli, segnalavano un incessante lavoro nelle case, come le strade popolate solo di bambini e carri erano il frutto di un continuo lavoro nelle fabbriche: quella che si poteva chiamare la nostra università. Era la parte di Genova cantata da Giorgio Caproni: Genova d'uomini destri. Ansaldo. San Giorgio. Sestri.
Il nascere in certi luoghi e in certe condizioni segnava il destino. Nascere a Sestri P. come a Sesto S. Giovanni voleva dire per moltissimi fare l'operaio. In quelle fabbriche si formava la coscienza di classe che voleva dire essere uomini uguali che producendo e lottando volevano migliorare la loro condizione e insieme la società.
In quei grandi capannoni industriali si costruivano treni, aerei, navi e pezzi di storia personale. La fabbrica era una scuola di formazione non solo professionale; lì incontravi gli altri uguali a te e imparavi che chi comandava là dentro comandava anche fuori, nel mondo. Imparavi il sacrificio e la disciplina: stare al tuo posto ed essere responsabile. Così si integrava un'educazione che nel tempo prendeva forma di un soggetto e una morale nuova. Era quella aristocrazia operaia che insieme all'amore per il proprio lavoro aveva la coscienza di un compito storico.

Seguirà Parte Seconda...

lunedì, dicembre 12, 2016

Lo schiavista - di Paul Beatty

Il libro lo schiavista di Paul Beatty fa emergere quel razzismo USA che con una fantastica previsione ha portato alla presidenza Donald Trump. In verità il razzismo denunciato dal libro lo schiavista non è caratteristica solo degli USA, ma si può affermare che in verità questo è presente in ogni tipo di società.
Il libro di Paul Beatty, che ha avuto due riconoscimenti importanti vincendo il premio National Book Critics Circle Award 2015 e pochi giorni fa il Man Booker Prize, ci dà l'occasione in maniera paradossale oserei dire assurda e insieme divertente di conoscere le ragioni di chi vive la condizione di 'nero' oggi.

Un incalzante racconto narra le vicende di Bonbon un afroamericano nato a Dickens, ghetto alla periferia di Los Angeles. L'uomo è rassegnato al destino da nero della lower-middle class. Nel suo passato Bonbon ha subito gli esperimenti sociologici del padre, single e studioso, convinto di poter risolvere i problemi della sua famiglia con degli studi sulla razza. Quando il padre di Bonbon viene ucciso in una sparatoria, lui ha un'idea ancora più radicale: ripristinare la schiavitù e la segregazione razziale a Dickens.
Questo caso viene discusso alla Corte Suprema degli USA e il protagonista, come se avesse vinto alla lotteria, verrà ascoltato come promotore e teste al dibattimento.

Il libro ha la particolarità che affronta attraverso la satira tutti i luoghi comuni di una cultura consolidata che ci fa pensare per schematismi. Paul Beatty è davvero bravo a rovesciare le cose e facendoci immergere nel conformismo estremo riesce a mostrarci la contraddizione del nostro modo di pensare. Già la richiesta alla Corte Suprema degli USA del ripristino della schiavitù e della segregazione razziale è paradossale: quel paese è stato il primo che ha scritto nella propria Costituzione che ogni uomo nasce libero e uguale...allora?
Il libro affronta con il paradosso, che nella sua contraddizione e bizzarria riporta alla verità della nostra limitazione di ragionamento.
In una società dove entrano in crisi l'identità ecco che il ritorno ai primordiali ruoli di padrone e schiavo la rivitalizzano. Ecco che l'ingiustizia sociale non deve passare i filtri della falsità perbenistica ma diventa evidente e accettata.

Bonbon, l'unico nome sopranome che sappiamo del protagonista, è anche The Sellout, -ovvero Il Venduto- che è il titolo originale del libro di Paul Beatty. Lui viene chiamato 'venduto' da Foy Cheshire membro dei Dum Dum Donut Intellectuals poiché avrebbe voluto riscrivere il romanzo di Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, mettendo la parola 'guerriero' al posto di negro e al posto di schiavo il termine “volontario dalla pelle scura”...tutto con una nuova trama riadattata: “Le avventure prive di termini spregiativi e i viaggi intellettuali e spirituali dell’afroamericano Jim e del suo giovane protetto, il fratello bianco Huckleberry Finn, mentre vanno in cerca della perduta unità della famiglia nera”. Ma le implicazioni letterarie sono molteplici. Si comprende come l'autore sia immerso totalmente nella cultura occidentale e in particolare quella statunitense e così che i richiami si fanno pregnanti e godibili sotto molti aspetti.

L’altro episodio esplosivo che da propulsione alla storia è la ‘morte’ di Dickens. Cinque anni dopo la morte del padre, la cittadina viene inghiottita dal mostro urbano Los Angeles, il cartello di benvenuto divelto, e il nome Dickens cancellato dalla carta geografica. Ormai nel quartiere ci sono più messicani che neri: è il culmine dell’opera di omologazione sociale in cui i bianchi fanno i neri e i neri i bianchi. Ormai essere neri non è più come una volta. Quindi cosa rimane da fare per salvare il salvabile della razza?

Insieme a Bonbon c'è un altro personaggio che dà forza alla narrazione comica-satirica: è Hominy Jenkins, noto per aver recitato nella famosa serie della Metro Golden Mayer 'Our gang (Simpatiche canaglie)'. Hominy Jenkins si offre a Bonbon come schiavo dopo che questi lo ha salvato da un suicidio. Hominy è il prototipo di schiavo: 'Troppo sfaticato per lavorare come ogni schiavo che si rispetti, implora il 'badrone' di frustarlo quotidianamente sulla schiena'. Questo fatto darà a Bonbon (e all'autore) di prendere in giro tutte le varianti su quanto esiste di cultura negra negli USA.

Una lettura interessante che aiuta a riconoscere il razzismo che sempre pervade ogni tipo di società.

Lo schiavista - di Paul Beatty
(editore Fazi, traduzione di Silvia Castoldi pagg. 369 euro 18,50)

domenica, novembre 27, 2016

Fidel Castro è morto! Viva Fidel Castro.

La realtà cubana racconta più di ogni ideologia che cosa era il regime di Castro. Un altro esempio di socialismo reale che ha perduto la scommessa di realizzare un 'mondo nuovo' basato su giustizia sociale, benessere e libertà. Niente di tutto ciò si può dire sia stato realizzato in quell'isola.
Il regime aveva paura della libertà del suo popolo; il benessere era in sostanza una povertà diffusa e la decantata sanità e scuola gratuita per tutti in fondo erano pagate dalla violenza verso i dissidenti.

Il regime di Cuba, il castrismo, era rimasto l'unico baluardo contro il liberismo...un unico sistema che rivendicava il socialismo; in verità esiste ancora un paese, la Corea del Nord che si proclama comunista e si rifà alla dittatura del proletariato, ma quella è una storia diversa e se regge lo si deve alla volontà della Cina e altri paesi limitrofi, per i loro interessi di politica mondiale (una sorta di cuscinetto). Della Cina di oggi possiamo dire che pur conservando i simboli di falce e martello non ha più niente della società comunista: è un quasi continente dove esiste una pianificazione economica ma che sostanzialmente produce con mezzi capitalistici di sfruttamento totale della popolazione. Un regime con a capo una oligarchia di funzionari di partito unico che controlla l'economia dirigendone i flussi.

E' chiaro che Cuba dipende per le materie prime e altri beni dall'estero determinando così una povertà endemica della popolazione, ma la paura degli USA si sta allentando aprendo così le porte a scambi bilaterali che non so quanto riescano a snaturare o modificare il regime di Castro. Quel Castro che da oggi non c'è più. Ecco allora che una scommessa si apre: quanto cambierà l'ideologia social-castrista? Essere rivoluzionari vuol dire credere profondamente nell'uomo -così disse Castro- ma con la negazione di molte libertà faceva capire che in fondo l'homo homini lupus (riferimento all'istinto innato dell'uomo di sopraffare il proprio simile, come il lupo che, per sopravvivere, sbrana il più debole) non cambia.

Però mai uccidere i sogni e le idee di uguaglianza, fraternità e libertà.

sabato, novembre 12, 2016

Cosa farà Donald Trump?

Due giorni fa mentre commentava i risultati delle elezioni statunitensi e insieme spernacchiava i cosiddetti 'rosiconi' della sinistra, che criticavano la vittoria di Donald Trump, Vittorio Feltri elogiandolo diceva che per giudicarlo bisognerà aspettare i fatti...ma le parole in politica sono come pietre e non serve attendere il suo effettivo insediamento alla presidenza degli USA per farci un'opinione su questo tipo di personaggio che in Italia abbiamo conosciuto attraverso un antesignano quale Silvio Berlusconi. C'è qualcuno che qui ricordi qualcosa di importante e positivo fatto per l'Italia dal tycoon nostrano?

Tornando alle parole dette in campagna elettorale da Trump dobbiamo preoccuparci e le manifestazioni che si svolgono in queste ore negli USA dimostrano la rabbia e la preoccupazione dei cittadini di quel grande paese.
Trump durante la campagna elettorale ha detto che alzerà muri; toglierà la riforma sanitaria; l'effetto serra è una bugia dei progressisti; pugno duro contro gli immigrati soprattutto i musulmani e i messicani definiti tutti portatori di droga, criminali e stupratori; vede le donne come oggetti; il suo atteggiamento verso il potere: 'Se non riesci a diventare ricco facendo accordi con i politici c’è qualcosa in te che non va'...

C'è altro da ricordare? Ad ogni buon conto bisognerà certamente aspettare che alle parole seguano i fatti. Solo allora si capirà fino in fondo quali scelte hanno fatto gli statunitensi nell'affrontare la crisi profonda che attraversa il mondo e di cui loro sono i principali responsabili. Non se ne dimentichino. Alla domanda di Bush che si chiedeva: 'perchè ci odiano tanto?', una risposta se la dovranno dare.

mercoledì, novembre 09, 2016

Trump presidente USA

Le elezioni americane hanno dimostrato quanta diversità ci sia tra chi parla alla 'testa' e chi alla 'pancia'. Ancora una volta abbiamo assistito in campagna elettorale ad uno scambio di colpi bassi fatti di denunce di scandali, di malaffare, di poca serietà, ma soprattutto abbiamo visto come ognuno dei candidati alla elezione di presidente degli USA usasse un linguaggio opposto e per certi versi inconciliabile a quello del rivale.
Se facessimo una analisi dei linguaggi usati scopriremmo quanto ognuno parlasse solo ad un suo ipotetico elettore...in fondo nessuno dei due candidati entrava nell'ambito dell'altro. Quando succedeva erano scintille, baruffe, scontri che andavano al di là di scelte politiche e cadevano in questioni personali. Ora con la vittoria di Donald Trump possiamo affermare che ha vinto chi ha parlato alla 'pancia'; chi ha fatto emergere negli USA quel carattere di profonda astiosità contro i politici dell'establishment e di paure diffuse: del musulmano, dello straniero, del diverso...
Tutto sebbene la cultura statunitense, come forse tutte le vere culture, sia una cultura multietnica, multiculturale.
Sarà possibile ora applicare la politica di Trump senza che diventi in sostanza un trompe-l'oeil? Una prospettiva falsa? Ne dubito. Però penso che gli USA pieni di contraddizioni profonde conservino anche gli anticorpi costituiti da ideali di libertà e ragionevolezza.
Poi parliamoci chiaro...in gioco non c'era il cambiamento di una prospettiva di società che rimarrà liberista, ma di una politica che forse contro i suoi interessi nel mondo diventerà isolazionista.

domenica, ottobre 09, 2016

I saw the light (ho visto la luce)

I saw the light (ho visto la luce), è un film il cui titolo riprende un grande successo di Hiram 'Hank' Williams, raccontando i 29 anni vissuti dal cantautore diventato una icona del country. Hank Williams nacque il 17 settembre del 1923 e morì il 1 gennaio 1953 a meno di 30 anni. Egli fu uno dei più influenti musicisti del XX secolo. Uno dei maggiori autori del genere honky tonk.
La storia di Hank Williams si intreccia con la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale, ed è la storia di un uomo che incontra la musica molto presto, conosce fama e fortuna, viene sopraffatto dai vizi (alcool e droghe) e abbraccia la morte altrettanto presto: il suo corpo viene rinvenuto esanime sui sedili posteriori di una Cadillac, aveva solo 29 anni.
Egli compose le prime canzoni country che diedero poi avvio ai generi rock and roll, gospel e pop. I suoi figli e nipoti divennero tutti cantanti professionisti.

Il film, che è uscito quest'anno 2016, ed è l’adattamento cinematografico del libro Hank Williams: the biography scritto da Colin Escott e pubblicato nel 1994. Capello a tesa larga, chitarra al braccio, Hank Williams è diventato il simbolo mondiale del genere country. Nella sua breve carriera Hank Williams ebbe 12 canzoni al numero 1 della Hit Parade statunitense — Lovesick Blues, I'm So Lonesome I Could Cry, Long Gone Lonesome Blues, Why Don't You Love Me?, Moanin' the Blues, Cold, Cold Heart, Hey Good Lookin', Jambalaya (On the Bayou) , I'll Never Get Out of This World Alive, Kaw-Liga, Your Cheatin' Heart, Take These Chains From My Heart — ed innumerevoli brani nella top ten.

Nel 1943 Hank Williams conosce Audrey Shepard, ed i due si sposano qualche anno dopo. Lei diventa anche la sua manager, creandone una celebrità. Nel '46 Hank pubblica due singoli per la Sterling Rc's, Honky Tonkin' e Never Again, entrambi riscuotono un buon successo. Quell'uomo fragile aveva cambiato il modo di concepire la musica. Hank Williams fu un artista che nei tempi degli smoking, dei Martini Cocktail e dello stile distaccato dei vari Frank Sinatra e Dean Martin, parlava dell'America che il '29 se lo era sentito sulle spalle e nelle tasche, dei vagabondi e dei disperati, eroe puro dei mediocri e degli ignoranti; un artista che cercava la redenzione per quello che la vita gli aveva inflitto.

Sul sedile della Cadillac su cui Hank morì vennero trovate alcune lattine di birra ed il pezzo mai inciso Then The Fateful Day Came (Dunque il giorno fatale è giunto).
L'ultima canzone edita di Williams, dal titolo nefasto I'll Never Get Out of This World Alive (non uscirò mai vivo da questo mondo) usciva cinque giorni dopo la sua morte, in concomitanza con la nascita della sua figlia illegittima Jett Williams. La vedova Williams sposò a settembre dello stesso anno la star del Country Johnny Horton.

mercoledì, settembre 28, 2016

29 settembre...una canzone?

Io il '29 settembre' lo ricordo come il titolo di una canzone, forse la più bella scritta dall'accoppiata Lucio Battisti-Mogol (Giulio Rapetti). Ora viene ricordato come data di un compleanno: quello di Silvio Berlusconi. In realtà quella data ricordava il compleanno di Serenella la prima moglie di Giulio Rapetti. Era il 1967 e a cantarla fu il gruppo musicale Equipe 84.
Il 29 settembre della canzone era ieri...infatti ad un certo punto la voce di Riccardo Palladini, storico lettore del telegiornale Rai, diceva: 'Oggi, 30 settembre...', proseguendo con...'mi son svegliato e… e sto pensando a te', con un risveglio che quasi sanciva un ritorno alla realtà. La canzone celebrava un tradimento e con il sole ha cancellato tutto e allora...parlo, rido e tu, tu non sai perché… t’amo, t’amo e tu, tu non sai perché...
il protagonista, si svegliava riportando quel tradimento, ad un sogno.
In quello stesso anno, il 1967, i The Beatles pubblicarono Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, uno degli album-simbolo della musica rock. I Pink Floyd pubblicarono invece il loro primo album: The Piper at the Gates of Dawn; che è ricordato come il primo disco rock psichedelico.
Il '68 era alle porte e a quasi 50 anni da quella canzone possiamo dire che oggi viviamo in un altro mondo. Certo che in questi 50 anni di cose ne sono successe tante. Ad esempio quell'uomo che il 29 settembre di quest'anno compie 80 anni nel suo nome ha segnato per oltre la metà di un lustro la storia d'Italia. Che cosa rimanga di quel che ha fatto, a parte l'impossessamento delle televisioni e il dilagare della pubblicità, però mi è difficile ricordare.
Con Berlusconi il cosiddetto 'edonismo reaganiano' prendeva corpo in Italia con l'avvio del berlusconismo- una continuazione in chiave politica del craxismo. Insieme iniziava un degrado della politica mai raggiunto. Quello precedente si era provvisoriamente chiuso con l'inchiesta di Mani Pulite partita nel 1992. Nel 1994 e la sua discesa in campo, sembrava che una classe dirigente, sospinta dall'antipolitica, potesse dare l'avvio ad una fase nuova, al rinnovamento. Abbiamo visto i risultati e chi erano questi nuovi politici: da Dell'Utri a Previti; da De Gregorio a Scilipoti, Razzi...tutti nati e cresciuti nel mito berlusconiano. Quella che poteva essere una stagione utile a far nascere una destra europea naufragava in una accozzaglia di uomini e forze tutte a suffragio di un leader che guardava soprattutto i suoi interessi personali. Si compiva un tradimento. Berlusconi non solo tradirà la moglie ma anche la politica e gli italiani... La canzone 29 settembre ora potrebbe concludersi con nuove parole: non il sole ma l'età (la sua) e il tempo trascorso ha cancellato tutto e ora parlo, piango e tu, tu lo sai perché… t’odio, t’odio e tu, tu lo sai perché.
No, in verità lui non sa niente e continua come se fosse immortale a tradire -meglio dire fregare- gli italiani e in fondo se stesso. Ma quest'ultima cosa riguarda solo il livello della sua consapevolezza. Oggi avremo bisogno -in chiave diversa- di altri 29 settembre.

ecco la canzone del 1967

sabato, settembre 03, 2016

L’economia è una menzogna - Come mi sono accorto che il mondo si stava scavando la fossa. di Serge Latouche

'L’economia è una menzogna. Come mi sono accorto che il mondo si stava scavando la fossa', di Serge Latouche - edito da Bollati Boringhieri nel 2014- è un libro che racconta, attraverso tre interviste rilasciate tra il 2010 e 2013, le sue esperienze di studioso descrivendo le analisi sull'applicazione di modelli economici effettuati in diverse parti del mondo.
Serge Latouche segue così un percorso di consapevolezza per comprendere quanto i meccanismi del modello di economia occidentale (quella dettata dal mercato libero e con l'obiettivo di aumento continuo dei consumi) persegua uno sviluppo senza fine che porta il mondo a finire nel baratro del disastro ecologico.
Lo sviluppo è paradossalmente il vangelo, sia dell'economia ortodossa, sia di quella marxista con la differenza nel definirsi negativa quando lo sviluppo è esercitato dal capitalismo e positiva quando lo stesso viene perseguito dal socialismo. Tutte e due le economie creano invece insostenibilità e disastri ambientali.

Serge Latouche, ad una specifica domanda sull'occidentalizzazione del mondo, risponde: 'Lo sviluppo è un’impresa di occidentalizzazione del mondo che omogeneizza, pialla tutte le differenze e distrugge tutte le culture. Di fatto le nega. In realtà l’uomo vive nella cultura e per la cultura. E lo sviluppo sostituisce la cultura con che cosa? Con il consumo. In fin dei conti il consumo non ha senso.'.

Serge Latouche, che matura al contempo un’interesse per la sociologia e l’antropologia, portandolo a lavorare come cooperante in Africa e nel Sud Est Asiatico, con una analisi chiara e supportata da molti studi e pubblicazioni arriva a inequivocabili conclusioni. Ed è proprio in Africa, dove ormai si reca tutti gli anni, per tre settimane o un mese, per delle missioni, per insegnare, per fare inchieste, che ha trovato delle risposte alternative al consumismo e all'attuale cosiddetta Scienza Economica.

Fino agli anni ‘60 la Scienza Economica era considerata una sottocategoria del Diritto, al punto che in Europa se volevi studiare quella che oggi si definisce Economia, ti dovevi iscrivere alla facoltà di Diritto e seguire un corso specifico.
Interessante è la disamina che ha portato la Scienza Economica a diventare in poco tempo dopo il '68 da materia di studi finanziari alle aule universitarie e da lì nella vita odierna di tutti. L'Economia ha così trovato la sua legittimazione a diventare unico strumento di gestione delle risorse su scala globale elevandola a Deus ex macchina del mondo contemporaneo.

L'Economia è diventata la religione ufficiale del nostro tempo. Per smantellare i modelli diventati dogmi, il produttivismo e lo sviluppismo, che questa pseudoscienza propone occorre che la filosofia indichi le alternative. E queste ci sono. Ad esempio l'autore cita Epicuro; sì lui e non è anacronistico. Certamente lui come altri ha vissuto un altro tempo; un altro mondo, però il suo pensiero ci coinvolge ancora. Tutte le forme di saggezza sono basate sulla capacità di autolimitarsi. Quindi l'epicureismo, lo stoicismo, il buddhismo la sapienza africana, quella amerindiana ecc. hanno questo principio. L'epicureismo ha poi una austerità gioiosa a differenza dello stoicismo di Seneca.

Un filosofo -potremmo definire recente- Gunther Anders ha scritto 'L'obsolescenza dell'uomo' in cui tratta la tecnica come fabbricatrice di oggetti e anche del corpo umano...tutto diventa merce. Noi ci convinciamo di essere cittadini perché consumiamo. Tutto è obsolescenza.

A pag.62 Latouche dice: 'Mi sembra già straordinario che il ministro dell’Ambiente cinese abbia dichiarato: «Noi distruggiamo il nostro ambiente in modo incredibile; la distruzione si aggira attorno al 12 per cento del PIL annuo, cosa che annullerebbe completamente la nostra crescita se dovessimo finanziare i costi della distruzione». La Cina è un’antichissima civiltà, e penso che malgrado Mao e la rivoluzione culturale, il retroterra confuciano, buddhista e taoista sia sempre presente.'.

Ancora a riguardo interessante è la riflessione descritta da Latouche circa il consumo senza limiti: 'In questa società abbiamo sempre qualcosa che ci manca, il che è l'esatto contrario dell'abbondanza. Non ci sono società dell'abbondanza possibili, se non c'è un limite. E noi siamo in una società dell'illimitato. Occorre fissare dei limiti, perché soltanto se si hanno dei limiti si può sperare di soddisfare i propri desideri o i propri bisogni. I pubblicitari, lo sanno benissimo. Dicono chiaramente: I popoli contenti non consumano'(.) 'È stato il marketing che ci ha fatto uscire dalle crisi cicliche che ogni dieci anni, tra il 1850 e il 1930, producevano una grande povertà. Poi, a partire dalla seconda guerra mondiale, il marketing si è sviluppato enormemente. La cosa si basa su tre pilastri: la pubblicità, il credito e l’obsolescenza programmata. La pubblicità crea il desiderio di acquistare, il credito ce ne fornisce i mezzi e l’obsolescenza programmata arriva in ulteriore soccorso per costringerci a comprare anche se non ne avevamo voglia. La pubblicità dunque svolge una funzione strategica, che consiste nel renderci insoddisfatti di ciò che abbiamo per farci desiderare ciò che non abbiamo. Non è un caso che la pubblicità rappresenti il secondo bilancio mondiale dopo quello degli armamenti (e ormai è quasi pari a quest’ultimo): più di 1000 miliardi di dollari all’anno, 1000 miliardi di inquinamento materiale, perché consuma molto, se si pensa che ognuno di noi riceve tra i 200 e i 250 chili di carta all’anno nella buca delle lettere.'.

Latouche per le proposte spiegate in questo libro si avvale di molti studi fatti da altri ricercatori...Jacques Ellul, Bernard Charbonneau, Nicolas Georgescu-Roegen, Andrè Gorz...e due su tutti: Cornelius Castoriadis e Ivan Illich. Ad ogni modo difficile elencarli tutti.

In Africa ad esempio Latouche parla di un senegalese che lavorava sul Grand Yoff e che aveva appena pubblicato un libro intitolato: L’arcipelago urbano. Con quello studio ha la verifica concreta, sperimentale, di ciò che aveva immaginato o dedotto teoricamente. Questo fu straordinario. L’esperienze poi del Congo e del Laos rappresenteranno per lui un profondo cambiamento nell’approccio alla società nel suo complesso. E' così che nasce per Serge Latouche l'idea di decrescita felice; infatti, 'decrescere significa in realtà far crescere tutto ciò che ci è negato da uno sviluppo forsennato: la gioia di vivere, la qualità dell’aria, dell’acqua e del cibo, la convivialità'.

La scoperta dell’ecologia è poi stato, per Latouche, un passo decisivo verso il pensiero della decrescita. Fin dalla sua apparizione, la parola suonò blasfema e ancor più adesso, nell’abisso della crisi, quando si continua a invocare la crescita come soluzione. È il grande abbaglio dello 'sviluppo sostenibile', contro cui Latouche non smette di obiettare con tutta la forza dei suoi argomenti, diventati ormai parole d’ordine di vasti movimenti: prosperità senza crescita, abbondanza frugale, ecosocialismo. Superando i valori di consumo e sprechi possiamo trovare vie alternative e garantirci un mondo più giusto. Potremo uscire dal depauperamento delle risorse terrestri per una nuova era.

Un libro che consiglio a tutti. Questa mia recensione naturalmente non tratta tutti i numerosi argomenti incontrati e trattati nel libro; vedi la questione monetaria; l'aspetto antropologico; la trattazione dell'opulenza e della prospettiva sociale; della vita in città-quartiere; della campagna; del turismo e del lavoro; della misurazione della felicità; della resilienza -ovvero la capacità di un corpo di ritrovare il suo stato iniziale dopo aver subito l’effetto di una forza esterna...per finire con le varie implicazioni psicoanalitiche; quest'ultime contaminazioni psicoanalitiche giocano poi un ruolo importante per l'approccio alla realtà; con l'antropologia diventano per Serge Latouche un modo per disvelare l'ideologia della borghesia dominante la fase capitalistica attuale.

La ricchezza dell'indice dei nomi citati nel libro sono un segnale del grande lavoro di riflessione trattato nel libro. Gli autori delle tre interviste sono:Thierry Paquot, Daniele Pepino e Didier Harpagès.
Il libro è di grande stimolo a nuove idee per riuscire a superare gli odierni dogmi dell'economia diventata una religione.
Sì, dice Latouche: questa economia così come è nata dovrà finire; questa invenzione umana così come è iniziata, terminerà.

Serge Latouche ricorda le cose scritte nel suo precedente libro: 'L’invenzione dell’economia'. 'L’economia non ha niente di naturale: è stata inventata. Gli animali non hanno economia, e neppure gli uomini, almeno fino al neolitico. Inoltre, fino al XVII secolo nessuno pensava la realtà come un fatto economico. Siamo stati noi a economicizzare tutto. Tutto è diventato economico, e siamo talmente immersi nell’economia che non riusciamo più a concepire di vivere al di fuori di essa. Anche il nostro linguaggio ne è segnato in modo indelebile.
Continua però la speranza che l'umanità riesca a trovare una dimensione più vera e rispettosa dell'ambiente dove vive.

Io voglio aggiungere una mia riflessione: In questo momento storico in cui una grande massa di uomini si riversa dall'Africa verso l'Europa mette in crisi profonda le nostre certezze economiche: non ci sarà più crescita secondo i meccanismi prospettati dai modelli di economia occidentale. Gli uomini, proprio quelli giunti sul continente europeo ci obbligheranno a fare scelte definitive: vale più una vita umana o il nostro modo di vivere che privilegia i consumi? Non scordiamo che l'occidente raggruppa il 20% della popolazione mondiale e consuma l'80% delle risorse del pianeta.

Non possiamo lasciare all'islamismo la resistenza a tutto questo; non sarà neppure l’autorganizzazione degli esclusi a cambiare le regole che ci governano...solo una nuova autocoscienza potrà salvarci. Diversamente la guerra, che è sempre in corso, diventando una caratteristica delle nostre società, proromperà in ogni cosa.

domenica, agosto 28, 2016

'I filosofi di Hitler' di Yvonne Sherratt

Il libro di Yvonne Sherratt mi è stato utile per comprendere come la filosofia in quel drammatico periodo storico sia stato non solo un elemento per formare una weltanschauung -una visione del mondo- ma anche strumento per plasmarlo.
Il '900 è stato un secolo dove la storia della filosofia ha avuto svolte importanti ed epocali. Tutto si apre con la morte di Nietzsche avvenuta proprio nel 1900. Da allora i tre filosofi tedeschi, Kant, Schopenhauer e Nietzsche, che hanno segnato la cultura tedesca e anche quella europea, verranno indicati come gli artefici ideali per la costruzione del nazismo tedesco. Hitler che leggerà i tre filosofi e con una sua interpretazione arbitraria, per cui si eleverà lui stesso a filosofo, getta le basi per una filosofia che descritta nella sua opera il Mein Kampf.

La filosofia tedesca mostra il suo lato oscuro e diventa la ragione per giustificare una violenza mai conosciuta prima.
All'origine di tutto c'è l'antisemitismo dei tre filosofi e l'applicazione di un ideale di evoluzione sociale mutuata da studiosi del darwinismo, quali Ernst Haeckel e Karl Wilhelm von Nägeli, che esportava la sopravvivenza del più adatto o del più forte ai tipi di società. Era in sintesi l'applicazione del darwinismo sociale. Uno storico molto seguito che avallava quella teoria fu Oswald Spengler. Il darwinismo sociale si propose subito come una filosofia di legittimazione del potere, sia esso coloniale, razziale o di classe. Questa derivava in verità da Herbert Spencer (1820-1903)i cui concetti furono espressi da lui ancora prima di tutti: più propriamente il darwinismo sociale dovrebbe essere definito spencerismo sociale.

Durante il secolo XX i teorici del nazismo Hitler e Rosenberg senza mai nominare Darwin, lo utilizzarono largamente sia in senso eugenetico, sia per eliminare, a milioni, ebrei, zingari, testimoni di Geova, oppositori politici, prigionieri di guerra nei campi di concentramento.
Charles Darwin tuttavia non sposò mai le tesi classiste, razziste e sessiste. Il darwinismo sociale si presenta, quindi, come una ideologia con pretese di scientificità, che vede nelle lotte civili, nelle ineguaglianze sociali e nelle guerre di conquista l'estensione alla specie umana di una supposta legge generale di natura che si esprime nello struggle for life and death, a sua volta generalizzato come solo meccanismo della selezione naturale; in tal modo esso vuole legittimare, sul piano biologico-antropologico, le disparità tra gli uomini e l'eliminazione dei più deboli.

L'antisemitismo creerà una frattura profonda nella cultura tedesca: dietro la concezione di un Reich millenario si uccise e venne amputata una intellighenzia europea eccezionale. Theodor Adorno, Max Horkheimer, Walter Benjamin, Ernst Cassirer, Hannah Arendt, Karl Lowith, Theodor Lessing, Karl Jaspers e vari altri furono ridotti al silenzio o costretti all'esilio.
Altri filosofi, tra i quali spiccano i nomi di Martin Heidegger, Carl Schmitt, Alfred Rosenberg, Wilhelm Grau, Alfred Bӓumler, Ernst Krieck e Max Boehm, contribuirono invece nel dare al nazismo una facciata di rispettabilità che gli mancava e che non avrebbe mai dovuto avere...
Un filosofo che emerge nel dissenso interno è Kurt Huber, egli fu il professore animatore della Rosa Bianca e per questo giustiziato. Con lui emergono i tratti personali e intimi che stridono dolorosamente con le storie dei colleghi dei capitoli precedenti: vincitori sul mercato delle idee e carrieristi accademici le cui vicende paiono di rara meschinità e squallore. Heidegger su tutti si rivelerà un opportunista, uno squallido detrattore dei suoi maestri e sentito in difficoltà solo davanti ad una destituzione (arrivata nel dopo crollo nazista) che lui aveva riservato agli altri. L'opera di Yvonne Sherratt è senza dubbio un importante lavoro per conoscere molti aspetti della filosofia tedesca. Un discorso che trova in Martin Heidegger e i suoi interrogativi sulla persona e sulle idee una specie di emblema. Quanto sopravvive ancora di antisemitismo e di nazistificazione nella filosofia tedesca? Idee quelle sviluppate da Heidegger che hanno trovato nella cultura filosofica europea una contaminazione che giunge fino ai nostri giorni.

Coerente con le tesi di Yvonne Sherratt la citazione da Theodor Adorno, ovvero la replica del filosofo e musicologo tedesco all’ex nazista Peter R. Hofstätter, che, guarda caso, aveva fatto carriera e che lo accusava di voler opprimere la nazione con il senso di colpa: 'L’orrore di Auschwitz, se lo sono dovuto assumere le vittime, non coloro che non lo vogliono ammettere' (p. 253).

libro: I filosofi di Hitler
autore: Yvonne Sherratt
editore: Bollati Boringhieri, Bologna 2014
pp. 312, € 24

'I filosofi di Hitler' di Yvonne Sherratt

Il libro di Yvonne Sherratt mi è stato utile per comprendere come la filosofia in quel drammatico periodo storico sia stato non solo un elemento per formare una weltanschauung -una visione del mondo- ma anche strumento per plasmarlo.
Il '900 è stato un secolo dove la storia della filosofia ha avuto svolte importanti ed epocali. Tutto si apre con la morte di Nietzsche avvenuta proprio nel 1900. Da allora i tre filosofi tedeschi, Kant, Schopenhauer e Nietzsche, che hanno segnato la cultura tedesca e anche quella europea, verranno indicati come gli artefici ideali per la costruzione del nazismo tedesco. Hitler che leggerà i tre filosofi e con una sua interpretazione arbitraria, per cui si eleverà lui stesso a filosofo, getta le basi per una filosofia che descritta nella sua opera il Mein Kampf.

La filosofia tedesca mostra il suo lato oscuro e diventa la ragione per giustificare una violenza mai conosciuta prima.
All'origine di tutto c'è l'antisemitismo dei tre filosofi e l'applicazione di un ideale di evoluzione sociale mutuata da studiosi del darwinismo, quali Ernst Haeckel e Karl Wilhelm von Nägeli, che esportava la sopravvivenza del più adatto o del più forte ai tipi di società. Era in sintesi l'applicazione del darwinismo sociale. Uno storico molto seguito che avallava quella teoria fu Oswald Spengler. Il darwinismo sociale si propose subito come una filosofia di legittimazione del potere, sia esso coloniale, razziale o di classe. Questa derivava in verità da Herbert Spencer (1820-1903)i cui concetti furono espressi da lui ancora prima di tutti: più propriamente il darwinismo sociale dovrebbe essere definito spencerismo sociale.

Durante il secolo XX i teorici del nazismo Hitler e Rosenberg senza mai nominare Darwin, lo utilizzarono largamente sia in senso eugenetico, sia per eliminare, a milioni, ebrei, zingari, testimoni di Geova, oppositori politici, prigionieri di guerra nei campi di concentramento.
Charles Darwin tuttavia non sposò mai le tesi classiste, razziste e sessiste. Il darwinismo sociale si presenta, quindi, come una ideologia con pretese di scientificità, che vede nelle lotte civili, nelle ineguaglianze sociali e nelle guerre di conquista l'estensione alla specie umana di una supposta legge generale di natura che si esprime nello struggle for life and death, a sua volta generalizzato come solo meccanismo della selezione naturale; in tal modo esso vuole legittimare, sul piano biologico-antropologico, le disparità tra gli uomini e l'eliminazione dei più deboli.

L'antisemitismo creerà una frattura profonda nella cultura tedesca: dietro la concezione di un Reich millenario si uccise e venne amputata una intellighenzia europea eccezionale. Theodor Adorno, Max Horkheimer, Walter Benjamin, Ernst Cassirer, Hannah Arendt, Karl Lowith, Theodor Lessing, Karl Jaspers e vari altri furono ridotti al silenzio o costretti all'esilio.
Altri filosofi, tra i quali spiccano i nomi di Martin Heidegger, Carl Schmitt, Alfred Rosenberg, Wilhelm Grau, Alfred Bӓumler, Ernst Krieck e Max Boehm, contribuirono invece nel dare al nazismo una facciata di rispettabilità che gli mancava e che non avrebbe mai dovuto avere...
Un filosofo che emerge nel dissenso interno è Kurt Huber, egli fu il professore animatore della Rosa Bianca e per questo giustiziato. Con lui emergono i tratti personali e intimi che stridono dolorosamente con le storie dei colleghi dei capitoli precedenti: vincitori sul mercato delle idee e carrieristi accademici le cui vicende paiono di rara meschinità e squallore. Heidegger su tutti si rivelerà un opportunista, uno squallido detrattore dei suoi maestri e sentito in difficoltà solo davanti ad una destituzione (arrivata nel dopo crollo nazista) che lui aveva riservato agli altri. L'opera di Yvonne Sherratt è senza dubbio un importante lavoro per conoscere molti aspetti della filosofia tedesca. Un discorso che trova in Martin Heidegger e i suoi interrogativi sulla persona e sulle idee una specie di emblema. Quanto sopravvive ancora di antisemitismo e di nazistificazione nella filosofia tedesca? Idee quelle sviluppate da Heidegger che hanno trovato nella cultura filosofica europea una contaminazione che giunge fino ai nostri giorni.

Coerente con le tesi di Yvonne Sherratt la citazione da Theodor Adorno, ovvero la replica del filosofo e musicologo tedesco all’ex nazista Peter R. Hofstätter, che, guarda caso, aveva fatto carriera e che lo accusava di voler opprimere la nazione con il senso di colpa: 'L’orrore di Auschwitz, se lo sono dovuto assumere le vittime, non coloro che non lo vogliono ammettere' (p. 253).

libro: I filosofi di Hitler
autore: Yvonne Sherratt
editore: Bollati Boringhieri, Bologna 2014
pp. 312, € 24

giovedì, agosto 11, 2016

Il libro: L'arte di essere felici di Arthur Schopenhauer

Che il campione del pessimismo, ossia Arthur Schopenhauer ci indichi la strada per essere felici appare paradossale. Lui che del pessimismo è maestro come potrebbe parlare di felicità? In verità questo libro, che si compone di 50 aforismi o massime, non l'ha scritto con questo titolo ma aveva avviato una raccolta di aforismi sotto la denominazione di Eudemonologia o Eudemonica– ossia dottrina della felicità. Edito da Adelphi ora il libretto ha come sottotitolo i due nomi riportati prima.
Le citazioni che compongono il piccolo libro sono state raccolte tra i vari scritti di Arthur Schopenhauer che aveva in mente di elaborare un manualetto, un piccolo vademecum per vivere in saggezza; per mantenere a lungo uno stato di contrasto alle avversità.

Schopenhauer però non si smentisce; per lui la felicità è solo un eufemismo: 'la felicità e i piaceri sono soltanto chimere che un’illusione ci mostra in lontananza, mentre la sofferenza e il dolore sono reali e si annunciano immediatamente da sé, senza bisogno dell’illusione e dell’attesa'.
Così insieme a 'l'arte per ottenere ragione', 'l'arte di ottenere rispetto', 'l'arte di ignorare il giudizio degli altri', l'arte di conoscere se stessi', 'l'arte di invecchiare', 'l'arte di insultare' e 'l'arte di trattare le donne', Arthur Schopenhauer ha scritto su 'L'arte di essere felici'.
Per Arthur Schopenhauer la vita oscilla tra la noia e il dolore; in mezzo a questi due stati esiste la possibilità, data dall'ingegno, di trovare regole di comportamento che allevino le pene e soprattutto allontanino il dolore.
Un po' come successe per 'l'arte di invecchiare', dove Arthur Schopenhauer raccolse citazioni, riflessioni, appunti, massime e norme comportamentali -a cui diede il nome di Senilia- per rendere sopportabile e perfino piacevole la vecchiaia; qui condensa la sapienza per farci vivere meglio. La filosofia come conoscenza sapienziale, saggezza pratica. Tutto con il fine di vivere il meno infelici possibile. Vivere passabilmente.

Vediamo qualche consiglio di Arthur Schopenhauer annotato come massima nel libro:
Viviamo il presente. Il meglio che il mondo ci può offrire è un presente quieto e senza dolore. Non guastiamo questo con la ricerca di un futuro sempre incerto che per quanto lottiamo rimarrà sempre nelle mani del destino.
Non essere invidioso. Niente è più implacabile e spietato dell'invidia.
Abbiamo oltre al nostro carattere intellegibile e quello empirico (immutabili) un terzo carattere che è quello acquisito. Quest'ultimo si forma con la vita e la pratica del mondo. Questo carattere artificiale è frutto dell'esperienza e della riflessione. Solo con l'esperienza possiamo imparare ciò che vogliamo e ciò che possiamo. Tramite il carattere acquisito sapremo quali sono i nostri poteri, virtù, doti e quali le debolezze e limiti. Conosciamo la nostra individualità e quindi misurando le nostre forze e debolezze ci risparmieremo molti dolori.
Il possesso e il suo desiderio determinano l'infelicità. La ricchezza assomiglia all'acqua di mare; quanta più se ne beve, tanto più si ha sete.
Fondamentale, infine, la differenza fra 'ciò che si è' e 'ciò che si ha', perché è il primo che determina il secondo e non viceversa.
Non viviamo come vogliamo ma come possiamo.
La giusta proporzione è la saggezza per vivere quieti per questo dobbiamo vivere in modo giusto tanto il presente quanto il futuro...e attenzione che vive troppo il presente è uno sconsiderato e chi troppo il futuro non avrà più solo un istante tranquillo.
L'uomo saggio non persegue ciò che è piacevole ma l'assenza di dolore.
Non manifestare grande giubilo o grande afflizione per ogni avvenimento; la mutevolezza di tutte le cose può trasformarlo in ogni momento.
La vita degli uomini si compone in un lato soggettivo interno e un lato oggettivo esterno. Nel primo troviamo le gioie e i dolori; con questo abbiamo visto prima come dobbiamo misurarci nei comportamenti a tale proposito. Nel secondo c'è l'immagine della condotta della nostra vita; il modo in cui interpretiamo il nostro ruolo: qui troviamo le virtù, le nostre opere di ingegno, gli atti di eroismo e sempre qui troviamo le distinzioni tra maschi e femmine e soprattutto tra uomo e uomo. Quest'ultimo lato dovrebbe essere sviluppato maggiormente poiché vivendo si ritrova il lato bello della vita...purtroppo non lo seguiamo abbastanza.
La vita è come un gioco ai dadi, se il punto in più non è uscito devi essere tu a correggerlo con la tua abilità.
Seguono poi altre massime; altri aforismi e consigli per una vita se non felice almeno senza grossi dolori.
Un vademecum filosofico pratico per il benessere. Da tenere sul comodino.

domenica, luglio 31, 2016

Una risposta alla decantata guerra dichiarata

Sono tutti intorno ai 30 anni; hanno frequentato le nostre scuole, conoscono il nostro mondo e con quello cresce il loro un odio profondo che trova nel partito dell'Isis un riconoscimento: poi si sa che ogni atto violento e giustificato solo da l'odio troverà in quel movimento terroristico una rivendicazione.
L'Isis ormai rivendica tutto; tutto quanto genera morte, odio, orrore e paura.
Si fa presto a dire guerra, loro lo sono con i metodi vigliacchi, nascosti e subdoli di arruolati senza divisa, patria e affetti. Per noi quale guerra? E' difficile per noi riconoscerli e combatterli.
L'ultimo trovato e responsabile dell'atto terroristico a Dacca è un cittadino canadese: Tamim Chowdhury; un uomo di 30 anni.
In molti terroristi gioca il meccanismo dell'emulazione, del trovarsi affini a quegli stessi che hanno commesso quegli atti mostruosi precedentemente contro di noi; contro il nostro vivere comune.

Si può batterli? Conoscerli anticipatamente? Prevenire i loro atti terroristici? E' difficile. Il lavoro di intelligence spesso non serve... all'apparenza questi criminali in formazione, sono uguali a noi. Pare che l'espressione del nostro nichilismo trovi in questi una dimensione ammantata di significati nuovi.
La morte per la morte nel nome di un Dio di cui è stata decretata la morte ormai da tempo proprio dalla nostra civiltà occidentale.
Nietzsche è sempre attuale: con l'epoca moderna e quella di adesso abbiamo risposto e compiuto ciò che egli si domanda:
'Ma come abbiamo potuto fare ciò? Come potemmo bere tutto il mare? Chi ci diede la spugna per cancellare tutto l’orizzonte? Che cosa abbiamo fatto quando staccammo la terra dalla catena del suo Sole? In quale direzione ora ci muoviamo? Non precipitiamo noi continuamente? Indietro, da un lato, davanti, da tutte le parti? C’è ancora un altro e un basso? Non voliamo come attraverso un nulla senza fine? Non soffia su di noi lo spazio vuoto?… Dio è morto, Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!' -(Nietzsche, La gaia scienza, p.129, Adelphi)

Perciò avremmo bisogno di un nuovo orizzonte e di un nuovo Dio che, tornando a Nietzsche, sapesse anche danzare. Avremmo bisogno di una filosofia che uccidesse insieme il capitalismo, il mondo mercificato, finanziario ed economizzato...questo potrebbe aiutarci.

sabato, luglio 23, 2016

Fatti di terrorismo ripetuti...quali possibili cause?

In un libro del 1995 Robert Cialdini- psicologo statunitense-, Le Armi Della Persuasione - Come E Perché Si Finisce Col Dire Di Sì, (Giunti editore) dedica un capitolo, 'La riprova sociale', per spiegarci dell'effetto Werther; ovvero la capacità di ripetizione dei suicidi o, nel nostro caso, di emulare le azioni di terrorismo di chi è in in preda dell'aggressività, dello stress e dell'insofferenza del proprio stato sociale. Il caso del giovane terrorista tedesco iraniano potrebbe spiegarsi così; come quello dello del terrorista tunisino a Nizza.

L'autore Robert Cialdini si avvalse per formulare la sua teoria degli studi di David Phillips fatti nel 1979-80.
David Phillips spiegò che quando uscì il romanzo di Goethe, 'I dolori del giovane Werter' -che narra del suicidio del giovane Werther- suscitò una ondata di suicidi emulativi in Europa. Effetto così potente che in diversi paesi le autorità vietarono la circolazione del libro.
Questo suffraga l’idea che noi usiamo le azioni degli altri per decidere quale comportamento tenere soprattutto se queste sono simili a noi. E' un comportamento molto infantile che rivela come spesso si è attratti da comportamenti di coetanei più che da persone che non abbiano la propria età.

Un impatto davvero negativamente formidabile di quanto la condotta dei nostri simili abbia sul comportamento umano.
Negli Stati Uniti spesso assistiamo a omicidi di massa o azioni di uccisioni senza motivo nelle scuole 'a cascata'; azioni che non rimangono mai episodi isolati. Imitazioni drammatiche. È una versione patologica del principio di riprova sociale. Queste persone agiscono in base a come altre persone disturbate hanno agito.
Questo spiegherebbe molti casi di incidenti strani. Le interpretazioni di Phillips permettono oltre che spiegare fatti conosciuti, di predirne di nuovi.
Infatti è stato dimostrato, sempre da Phillips, che se è vero che le persone si vogliono togliere la vita dopo la notizia di fatti eclatanti di terrorismo, allora cercheranno di causare incidenti più terribili possibili in modo da avere conseguenze ancora più tragiche.

Gli ultimi fatti accaduti sembra siano dentro questo solco.

venerdì, luglio 15, 2016

Spero nell'esistenza dell'inferno per i terroristi.

Io che non credo nel Paradiso, in quel godimento che c'è nell'al di là, mi tocca di sperare nell'Inferno in quella atroce punizione che esiste dopo la vita.
Sì, questo lo penso e spero per la punizione di quegli assassini che dietro la maschera islamica uccidono per poi farsi uccidere. Uccidono per uccidere e il solo fatto di essere in odio alla loro vita e quella degli altri. Fanno i martiri di un Dio che nemmeno conoscono e chiamano Allah il misericordioso.

Sì, l'Inferno dovrebbe esistere per dare a questi il giusto castigo; una punizione che altrimenti non pagherebbero per la loro crudeltà, per il loro odio.
Lo strazio e il dolore che questi assassini infondono negli altri è grandissimo: quale giustizia o legge divina può risarcire le vittime? Non c'è sicuramente un Dio così cinico e feroce; beati gli atei e i dispensatori di gioia e felicità.

Che strano Dio disegnano alcuni uomini. Già il fatto di volerlo fautore di regole assurde, di appellativi roboanti, di giudizi estremi...lascia perplessi: ma chi è questo Dio? Ma chi sono questi delinquenti che gridano il suo nome in Allah?

Ma chi è questo Mohamed Lahouaiej Bouhlel? Nome del terrore; nome di un individuo che i genitori hanno allevato, cresciuto e mai penso lo avrebbero visto come un dispensatore di morte. Per lui spero nell'inferno; per lui spero che il suo dio si faccia vivo e lo mandi a morire perennemente tra le sue vittime, in una carneficina che ha solo l'insensatezza di uomini incapaci di amore, di pietà e della vergogna possibile dei loro genitori.

Spero nell'esistenza dell'inferno. Lo so è una stupida consolazione, ma di fronte a tanto dolore e ingiustizia spero che una dannata condanna divina rimargini in parte le ferite di tanti cuori straziati.

sabato, luglio 09, 2016

Aggravante razzismo

A proposito dell’aggravante di ‘odio razzista’ per l’assassinio di Emmanuel Chidi Namdi da parte di Amedeo Mancini a Fermo; si viene a sapere che l’autore è un 38enne violento e che si altera facilmente: Il lavoro di contadino, la passione per la boxe e la squadra di pallone la Fermana per cui aveva ricevuto un ‘diaspo’ -ovvero la proibizione a recarsi allo stadio- disegnano abbastanza bene il personaggio.

Dopo tutto quello che il XX secolo ha scontato per l’idea di razzismo, -in specie quello legato all’antisemitismo e alla supremazia della ‘razza ariana’ - oggi continua come una sorta di autodifesa rozza e primitiva contro la perdita di identità e di valori. Continua con diverse sfaccettature; c’è quello di ‘classe sociale’, di ‘colore’-di pelle ma anche quello di squadra sportiva (i tifosi in fondo esercitano una sorta di razzismo), di etnia-culturale; di difesa inconscia dal ’diverso’, dallo sconosciuto…e anche quello che avanza come una guerra tra i poveri e legato alle debolezze sociali.

Io penso che il razzismo che ha fatto agire Amedeo Mancini si potrebbe inquadrare in quello originato dall’insicurezza sociale. La condizione sociale gioca un ruolo importante: il peggioramento degli standard vitali e il fatto di vedere negli altri deboli degli antagonisti sociali al raggiungimento del proprio benessere unisce nel razzismo: ci si aggrega in movimenti e partiti politici che fanno della xenofobia un loro programma. Non è un caso che alcuni partiti come la Lega Nord prendano le difese di questi personaggi minimizzando il crimine.
Poi da sempre il razzismo emerge sempre in quelle classi sociali che non vogliono perdere un livello medio di benessere. C’è da dire che anche le classi molto agiate vivono il razzismo; ma esse, proprio per il fatto di essere in cima alla scala del successo, non se ne avvalgono. Queste trovano nei deboli e nei sottomessi una sorta di ammirazione. Sotto l'implicita accettazione delle diseguaglianze sociali cova una guerra tra i poveri che non si avvede delle storture del sistema capitalista, del neoliberismo imperante che sfrutta uomini e menti.

Molto difficile usare la ragione e l'intelligenza. Tutto difficile da sradicare.

mercoledì, giugno 22, 2016

Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più

Ho appena finito di leggere il libro di Giacomo Mazzariol, 'Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più', edito da Einaudi per la collana Stile libero extra.
Un libro che racconta la vita vera di Giacomo nel rapporto del fratello Giovanni, nuovo arrivato nella sua famiglia con la sindrome di Down. Il rapporto si snoda con una evoluzione commovente, ironica e anche divertente: è Giacomo che cresce insieme a Giovanni con cui stabilisce un sentimento di amore che lo fa maturare. Una bella storia di cui si aveva bisogno. Consiglio la lettura a tutti.

Nella presentazione su IBS si legge: z'È una storia di vita familiare che diventa un racconto di formazione. Inizia in un parcheggio, quando il papà ferma la macchina per comunicare a Giacomo, Chiara e Alice – le sue due sorelle – che presto avranno un altro fratellino. E continua nello stesso parcheggio, settimane dopo, quando papà e mamma annunciano che quel fratellino sarà speciale. E quando nasce, Giovanni è davvero speciale, con quella sua testa così grande, quella lingua così lunga, quei piedini tanto strani. E più cresce, più le stranezze aumentano. E con queste, nella mente di Giacomo, aumentano le domande. Perché Giovanni fa così fatica a parlare? Perché deve fare continue visite dai medici? Perché non potrà fare capriole, non potrà arrampicarsi sugli alberi, non potrà fare la lotta con lui, il suo fratellone? Ma non è solo Giovanni a diventare più grande. Anche Giacomo cresce. Dalla scuola elementare passa alla scuola media, dove non rivela a nessuno di avere un fratello perché si vergogna di quel piccolo supereroe che sembra aver perso tutti i suoi poteri, se mai ne ha avuti. Ha paura di quello che potrebbero pensare e dire e fare i suoi compagni. Della reazione che potrebbe avere Arianna, la ragazza che ha trovato un posto nel suo cuore. Sarà una serie di coincidenze e di eventi inaspettati a far capire a Giacomo chi è davvero suo fratello, a fargli capire che ci sono casi, nella vita, in cui non possiamo scegliere chi amare. Dobbiamo farlo e basta. Solo in questo modo sarà possibile affrontare la vita a testa alta, proprio come un diplodoco, quel dinosauro dal collo dritto e lunghissimo tanto amato da Gio.'.

Bella famiglia quella dei Mazzariol; una famiglia che supporta le difficoltà del crescere con intelligenza e amore. Una famiglia capace di creare un ambiente dove la disabilità alla fine non pesa; ecco il segreto della storia narrata.
Giacomo ( Jack) è nato nel 1997 e quindi oggi -all'uscita del suo libro- ha 19 anni. La sua scrittura è fresca come la sua età e al di là di pregi letterari qui si incontra una testimonianza di vita vissuta con sincerità e amore.
Oltre al libro Giacomo ha fatto anche un video “The Simple Interview” che pubblicato su YouTube lo scorso anno è diventato virale; ovvero visto da milioni di persone.
Insomma alla fine una bella lezione di vita!

Nella vita ci sono cose che si possono governare, altre che bisogna prendere come vengono. È talmente più grande di noi, la vita. È complessa, ed è misteriosa. L’unica cosa che si può sempre scegliere è amare. Amare senza condizioni.

domenica, maggio 15, 2016

'Paranoia. La follia che fa la storia' di Luigi Zoja

Per chi ha fatto analisi, in particolar modo junghiana, in verità il discorso sul disturbo mentale, che qui è indicato come paranoia, diventa ovvio di come albergasse nella testa dei molti personaggi storici citati a partire da Stalin e Hitler.
Si è sempre pensato che i personaggi storici in specie i dittatori e i trascinatori politici siano stati capaci, quale effetto dell'inconscio collettivo, di saper trarre dal profondo di ognuno di noi il meglio o il peggio. Si vedrà molto di più il peggio.
Per quanto riguarda poi Hitler già leggendo il Mein Kampf risaltava la 'paranoia' verso i marxisti e gli ebrei: erano i nemici giurati responsabili di tutte le nefandezze che potessero capitare al popolo tedesco. Quale nemico migliore? Già, il nemico; l'elemento essenziale per costruire la paranoia e poi fare la guerra.
Stalin è poi l'altro tiranno analizzato nella sua paranoia che insieme a Hitler forma la coppia che più di ogni altra storicamente ha mietuto vittime. Milioni e milioni di morti sono avvenute dall'innesco di una paranoia che in Stalin vedeva sempre nuovi nemici tra gli stessi vicini di partito. Una continua congiura contro la sua persona. Si sostiene giustamente che abbia ucciso più comunisti Stalin che Hitler e la guerra. Stalin combatteva per il potere con chiare allusioni al nemico che poi albergava in se stesso. Continue cospirazioni e complotti creavano un nemico che questa volta era tra l'alleato.

Con la follia di Aiace come esordio, Luigi Zoja ci introduce al concetto di paranoia, quella individuale dove l'eroe si scontra con gli dei, a quella collettiva e contagiosa che ne deriva attraverso i suoi rapporti con la politica e i disastri che ne seguono. Per questo percorre diverse piste storiche: il nazionalismo europeo, la conquista dell'America con lo sterminio dei nativi, la Grande guerra, i pogrom, il massacro degli armeni, i totalitarismi assassini del Novecento e le recenti guerre preventive delle democrazie mature. Ancora, la conquista dei continenti americani? L'affare Dreyfuss? La guerra spagnola? Le due guerre mondiali? -Nate e combattute in Europa, e che portarono alla morte milioni e milioni di uomini- vicende che hanno tutte all'origine una paranoia.

Il libro di Luigi Zoja affronta la storia con l'ottica psicoanalitica mettendo il pensiero paranoico in primo piano. Con questo verremo a capire che non c'è stato avvenimento storico importante o meno senza che ci si trovasse alla base un pensiero paranoico. Quel pensiero che nasce con aspetti che avolte possono apparire anche razionali per assumere l'aspetto di un elemento di pandemia, di male infettivo.
Luigi Zoja con questo saggio ha scandagliato la paranoia nei suoi modelli e nella Storia, anche se il modello archetipico è atemporale. Grazie a questo libro riusciamo a scoprire quanta paranoia ha influito nella Storia; quante scelte e guerre siano nate da una sorta di pensiero paranoico che si è diffuso come una pandemia.
Luigi Zoja pesca dalla mitologia greca per raccontarci l'origine di molte paranoie, o meglio di chi pur restando nascosto origina guerre e nemici. Il personaggio è Pandaro che da il via a tutto. E' la rendita di Pandaro; colui che non appare ma è responsabile del male. L'altro mito è Creonte il tiranno senza scrupoli che uccide chiunque si frappone al suo disegno.

Il XIV secolo e il XV rappresentano per l'autore del saggio i momenti per cui il 'male' acquista una dimensione pandemica. Il nemico assume aspetti non più legati a forme rituali ma razionali. Da quel periodo la paranoia diventa una forma di pensiero che passa dalla testa del singolo alle comunità costituite. Il nemico perde l'aspetto umano per diventare il 'male' da combattere senza pietà.

Dal 1914 in poi il mondo sarà pervaso da una violenza senza fine. Per Luigi Zoja si suggerisce che una paranoia collettiva non cessò mai di esistere da quella data. 'Nonostante il quasi universale bisogno di pace, essa continuò -ora latente, ora manifesta- negli anni venti e trenta e durante la seconda guerra mondiale, per poi protrarsi nella guerra fredda. E' fondato chiedersi se il cosiddetto 'scontro di civiltà' di cui si parla dall'inizio del XXI secolo non ne sia una nuova manifestazione.'

'Un immenso campo di ricerca sulla paranoia si potrebbe sviluppare anche nel movimento comunista postbolscevico. Partito da un ideale di fratellanza, che costituiva una modernizzazione laica della morale giudaico-cristiana, esso degenerò in ciclopici massacri, paragonabili a una violenza di stampo fascista applicata alla lotta di classe, e pertanto scatenata soprattutto all'interno del paese.' Ecco la premessa per soffermarsi sull'altro paranoico assoluto: Iosif Vissarionivic Dzugasvili detto Stalin.

Ci si accorgerà in maniera definitiva che il male e la guerra dispongono un vantaggio contro il bene e la pace: la guerra dispone tramite i mezzi di comunicazione il modo di moltiplicare le emozioni di potenza, di distruzione e come sostiene James Hillman (altro psicoanalista junghiano) anche nel trovare la 'bellezza' in 'un terribile amore per la guerra' (titolo di un suo libro).
La battaglia di Verdun assume un eclatante, se non simbolico, elemento della paranoia guerresca: per la conquista di un paese di 20.000 abitanti furono sacrificate 800.000 vittime.
Con la guerra si hanno le principali condizioni psicologiche che sono in sintonia con quelle della paranoia. La guerra persegue psicologicamente l'aggressività, la fretta e la proiezione. Tutte le guerre anche se riceve giustificazioni razionali alla fine non fanno che alimentare la paranoia al punto che la motivazione iniziale che ha fatto scaturire la guerra è dimenticata.
Così le adesioni acritiche alle ideologie portano a surreali coerenze frutto di paranoie totali.

Luigi Zoja individua nella nascita dei nazionalismi moderni un punto fondamentale per la creazione delle paranoie. Si è visto che anche a distanza di secoli riescono ad riaffiorare nei popoli dei riconoscimenti e condivisioni inconsce che fanno odiare i vicini, fanno sentire la propria civiltà e cultura come superiore; vengono gettate le basi per guerre e genocidi. I nazionalismi nati in Europa si sono poi esportati anche in Stati multietnici riuscendo a compattare con nuove paranoie persone diverse con l'obiettivo di annientare chi non era degno di appartenervi.

La paranoia di Hitler esposta nel Mein Kampf è stata assorbita da tutto il popolo tedesco per cui la grande tragedia dell'ultima guerra mondiale ha visto tutti protagonisti all'interno del grande disegno che, imparreggialmente la filosofa Hannah Arendt, ha descritto come la 'banalità del male'.
Hitler partendo anche da assunti scientifici errati come il socialdarwinismo, (che Darwin smentirebbe subito) ossia che ci sia una cultura, una razza che esprime una supremazia naturale e più forte delle altre- in questo caso quella ariana cui è depositaria il popolo tedesco- debba prevalere su tutte; ha costruito tutto il suo pensiero paranoico.

La paranoia è onnipresente ed è difficile spesso snidarla dal pensiero ricorrente, essendo un pensiero tipico è potenzialmente presente in noi. Ad esempio quello di rifiutare le nostre responsabilità e attribuire il male ad altri è comune. Carl G. Jung l'ha considerata un archetipo: un modello esemplare; un elemento costruttivo dell'inconscio.

Nei vari passaggi storici affrontati la paranoia diventa un sottile trait-d'union che attraversa popoli e storie fino alla doppia morale alleata; l'entusiasmo romantico per la guerra aerea, le bombe su Hiroshima e Nagasaki; i bombardamenti sulla Germania e sull'Italia, fino alla guerra fredda, la sua scomparsa e la repentina individuazione del nemico islamico...

Il libro di Zoja dice che c'è un piccolo Hitler dentro di noi; questo rimanda agli studi dell'A.T. (l'Analisi Transazionale) di Eric Berne che dice come ognuno di noi abbia in sé un 'piccolo fascista'. In sostanza dicono la stessa cosa. Quando diamo voce alla parte più arcaica e nascosta in noi, in sostanza facciamo uscire quell'ingordigia e crudeltà nate dalla fame e dall'istinto di sopravvivenza primordiali. Una delle paranoie affrontate dall'A.T. è quella ad esempio della conferma di esistenza: paradossalmente abbiamo il bisogno che altri confermino la nostra esistenza e quell'identità che ci è data quasi sempre dall'esterno. Questa fragilità non permette di dare spazio a quelli che consideriamo avversari. La paranoia è un autoinganno originario.

L'intelligenza del paranoico può avere una dose di senso critico e può fare anche satira, sarcasmo; può diventare anche odio ma non in direzione dell'autoironia perchè teme di distruggersi. La paranoia diventa un pensiero funzionante che elimina l'autocritica ingannando chi lo prova.
'Paranoia. La follia che fa la storia' è un saggio innovativo che attinge a vastissime competenze pluridisciplinari. ''La luce della coscienza - ci ricorda Zoja- non è mai completa né definitiva. La paranoia può ancora affermare, a buon diritto: 'La storia sono io'.''

Il libro di Luigi Zoja è un continuo motivo di riflessione e nel trattare moltissimi passaggi della storia passata e recente ci aiuta a comprendere quante paranoie abbiano investito i protagonisti di quelle storie. Paranoie che vedono sempre coinvolti apparati di potere, governi, istituzioni e comunità.
Io ho impiegato un po' di tempo a leggere il libro; le oltre 450 pagine sono davvero ricche di informazioni e spesso mi sono soffermato per degli approfondimenti. Invito chi mi segue nel blog a leggerlo. Chissà che non ci si trovi uniti a riconoscere delle paranoie e poi contrastarle. Contrastarle per il nostro bene e per l'umanità.

Per questo motivo svolgo in finale un mio invito a stare attenti ed essere consapevoli di ciò che facilmente può diventare paranoia anche grazie alla potenza dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. Non dimentichiamo di essere critici, di non generalizzare, di non costruire nemici, di alimentare paure, di approfondire le conoscenze...i mezzi con la Rete -con internet- li abbiamo. Utilizziamo l'intelligenza e le giuste informazioni per sconfiggere le paranoie.

L'autore Luigi Zoja, già presidente della IAAP, l’associazione che raggruppa gli analisti junghiani nel mondo, ha lavorato a Zurigo, New York e Milano.
Tra i saggi più recenti: Storia dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo (2003), La morte del prossimo (2009) e Centauri. Mito e violenza maschile (2010). Presso Bollati Boringhieri sono usciti: Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre (2000), Giustizia e Bellezza (2007), Contro Ismene. Considerazioni sulla violenza (2009) e Al di là delle intenzioni. Etica e analisi (2011).
Ha vinto per due volte (2002 e 2008) il Gradiva Award, assegnato ogni anno negli Stati Uniti alla saggistica psicologica.

Paranoia. La follia che fa la storia.
di Luigi Zoja -editore Bollati Boringhieri 2011,
468 p. € 25

venerdì, aprile 15, 2016

Il filosofare è cercare chiarezza per la trasprenza del pensiero

Nell'ultima parte del libro di Maria Zambrano, 'Verso un sapere dell'anima' si parla di come introdurre alla filosofia le persone. 'Se si riuscisse davvero a condurre quacuno alla filosofia non lo si trasformerebbe in saggio, ma sicuramente lo si cambierebbe in un altro uomo': così scrive Maria Zambrano aprendo il penultimo capitolo del suo libro dove affronta la filosofia di Fitche.
Maria Zambrano ci riporta al più celebre ed efficace maestro della filosofia greca, Socrate; colui che fermava i passanti con pressanti domande e alle stesse domande poi si sottoponeva. In quanto scambio di interrogazioni si annullava la differenza per cui maestro e discrpolo diventavano insieme cacciatori della verità. La stessa forza che spinge alla conoscenza, faceva sì che -come sosteneva Kant- la filosofia non si insegna, si insegna a filosofare.
Ecco allora che su questo tema, Maria Zambrano mette Johann Fichte al centro della filosofia moderna europea. Fichte scrivendo 'l'Introduzione alla Teoria della Scienza' ci mette di fronte al filosofare più intimo e chiaro: chi è l'uomo? Per rispondere si dice che secondo il tipo di filosofia che si sceglie dipende da che uomo si è. Uomo e filosofia non sono, ma diverranno ciò che creano. La Filosofia diventa l'architetto del nostro essere.
Con Fichte la filosofia ci riporta all'interno dell'uomo, cioè al suo spirito che è l'essenza dell'universo.
Il suo Io è finito e infinito. L'Io finito è quello dell'identità. In questo primo atto originario l'Io ha una capacità di produzione ancora inconscia, che però è la condizione di ogni consapevolezza. Da qui la contrapposizione all'Io puro, ad un Non-Io, che provoca nell'Io puro una riflessione, che genera la coscienza: nel momento in cui l'Io avverte in sé una limitazione, diventa coscienza.

Con questi princìpi Fichte afferma l'esistenza di un Io infinito, l'esistenza di un Io finito (il pensiero dei singoli uomini) e la realtà di un non-Io (cioè della natura), che si oppone all'Io finito, ma che è posto dall'Io infinito ed è ricompreso in esso. Fitche con il suo filosofare porta a sintesi tutto il pensiero della filosofia idealistica tedesca ed europea. Cartesio scopritore dell'Io penso' trova in Fitche un Io ribaltato: un Io che non si limita ad accompagnare le rappresentazioni delle cose, ma conferisce anche essere, realtà diverse, oggetti del pensiero. L'Io include nella sua realtà anche quella delle cose.

'Con il cristianesimo l'uomo cessò di vivere nella natura e sostituì all'angoscia per le cose l'angoscia per il nulla. Si era reso conto che il suo essere, la sua persona non avevano niente a che spartire con la natura che lo circondava, e che i era solo luogo della sua caduta. Da questa consapevolezza muove la Filosofia idealista di Fitche in cui non troviamo più cose, non troviamo nient'altro che l'Io come attività pura, libertà pura'.

Passaggio importante per la filosofia moderna e occidentale. Un ulteriore passo verso Nietzsche; verso la 'morte di Dio e quel nichilismo quale fil rouge di tutta la filosofia dalla Grecia ad oggi.
Però la Zambrano ha il merito di ricordarci che si può filosofare con le armi della poesia e dello spirito per un ritorno all'amore per il sapere. Il sapere di sé e del mondo.

sabato, marzo 05, 2016

Cowspiracy ed Ecocidio
Proviamo a diventare vegetariani?

Uscito nel settembre dello scorso anno, sulla piattaforma di streaming Netflix, il documentario 'Cowspiracy' -prodotto con il sistema crowfounding, ovvero di finanziamento popolare – denuncia in modo netto come la cultura della bistecca sia dannosa al pianeta Terra; come l’impatto dell’industria animale sia la principale causa di deforestazione, di consumo di acqua, spreco di risorse e degrado ambientale.
Gli allevamenti di animali destinati all’alimentazione umana sono responsabile di oltre il 51% delle emissioni di gas serra al mondo, contro il 13% del settore dei trasporti; il 18% è prodotto dal sistema digestivo delle mucche, il 5% in più di quello prodotto dai combustibili fossili, che vengono comunemente additati come i principali produttori di gas serra.
L’acqua necessaria per produrre un solo hamburger corrisponde a quella di due mesi di docce. La principale causa di deforestazione dell’Amazzonia è la creazione di nuovi pascoli e campi di soia per produrre mangimi e che in Brasile oltre 1.100 attivisti negli ultimi anni hanno pagato con la vita la loro battaglia contro questo scempio.
Tutto ciò è sconvolgente e non viene abbastanza pubblicizzato, soprattutto dalle maggiori organizzazioni ambientali. Come mai?
Nonostante l’enormità del problema, questo viene quindi deliberatamente ignorato, come se fosse in atto una vera e propria congiura (da qui il gioco di parole tra “cow”, mucca e “conspiracy”, congiura) che impedisce di denunciare pubblicamente 'l’industria più distruttiva del pianeta' e di impostare quindi politiche anche pubbliche per produrre cambiamenti.
Cowspiracy racconta l'incontro con le varie associazioni e le loro risposte. Un documentario da non perdere e che ci aiuta a prendere coscienza su quello che comporta il nostro eccessivo consumo di carne.
Il documentario si può scaricare o acquistare il DVD sul sito web:
http://www.cowspiracy.com/
A questo link si può vedere gratuitamente in streaming sottotitolato:
http://www.nowvideo.li/video/e13a676fa504a
Insieme a molti personaggi pubblici va ricordato l'apporto di testimonial da parte di Leonardo Di Caprio, che nel frattempo è diventato produttore del documentario.

Quello che denuncia il documentario Cowspiracy, era stato segnalato già nel 1992, e pubblicato in Italia nel 2002, da un libro di J. Rifkin dal titolo Ecocidio.
Jeremy Rifkin ricorrendo agli apporti di diverse discipline, dall'antropologia all'ecologia, formulava una precisa accusa verso la 'cultura della carne' imperante in Occidente, che sarebbe responsabile da un lato di numerose malattie, dall'altro di enormi squilibri ecologici e della sottrazione di grandi quantità di cereali all'alimentazione umana, incrementando così la povertà e la fame nei paesi del Terzo Mondo.
Il saggio di Rifkin raccontava, attraverso una cavalcata nei secoli scandita da capitoli brevi e sempre interessanti, su come si arrivava all'attuale consumo della carne.
Rifkin riesce a far apparire l'uomo come un avvoltoio in cerca di cadaveri, quelli che ogni giorno mettiamo sulle nostre tavole, che camuffiamo per renderli simili a cibo che cresce sugli alberi: niente farebbe pensare che il petto di pollo panato sia un pezzo di pollo, appunto. L'essere umano è descritto in tutto il suo aspetto di traditore, che uccide e tratta degli animali utili quali mucche e galline – che gli regalano latte e uova – come semplici riserve di cibo create apposta per sé stesso. Ma sarà così? Il mondo è stato davvero creato solo per la specie umana?
In sostanza Jeremy Rifkin consigliava di diventare vegetariani per non essere conniventi con la mostruosa industria della carne, e concludeva il suo saggio con una proposta (o utopia) di un nuovo inizio per l'uomo nel rispetto dei diritti animali.

Per concludere invito tutti a vedere il documentario o a leggere il libro.

giovedì, gennaio 28, 2016

Maria Zambrano: Verso un sapere dell'anima

Maria Zambrano è stata una filosofa e saggista spagnola. Nata a Vèlez-Malaga il 22 aprile 1904, è morta a Madrid il 6 febbraio 1991.

Sono passati giusto 25 anni dalla scomparsa di questa grande filosofa che nel 1988 venne insignita del Premio Cervantes, che è il più grande riconoscimento della letteratura di lingua spagnola. Interprete molto attenta e sensibile dell'opera di Miguel de Unamuno e della poesia di Antonio Machado, fu tra le prime donne spagnole ad intraprendere le carriera universitaria in un contesto in cui una filosofa, nella Spagna degli anni Trenta, era quasi `una donna barbuta', un'eresia, una curiosità da circo.

Di Maria Zambrano ho appena terminato di leggere: Verso un sapere dell'anima. Un libro ricco di spunti poetici e filosofici dove l'autrice conduce una sfida costante al pensiero oggettivante che tende a negare l'anima stessa da cui trae origine.
Non è un caso che Maria Zambrano ricevette il premio Cervantes. La sua scrittura era densa e suggestiva e più vicina al linguaggio poetico che filosofico. In sostanza per Maria Zambrano è la Poesia il motore degli eventi e la Filosofia è nata da lei. Con Aristotele abbiamo una scissione tra i due strumenti di conoscenza, che se riportati ad una unità seppur contradditoria aiuta a trovare l'essenza del Sapere. Per Maria Zambrano la Filosofia ha sempre perseguito un sapere logico, fisico; un sapere che seppur intriso di poesia era rivolto alla materia, alla realtà. Maria Zambrano sostenne che la Filosofia avrebbe dovuto cambiare passo: prendendo spunto dalla Poesia, dall'accostarsi al sapere nelle diverse forme, l'abbandono alla Res Cogitans avrebbe permesso un sapere dell'anima, un sapere della trascendenza umana.
Per Maria Zambrano la Poesia è una sapere al pari della Filosofia per la sua esemplare azione della parola. Il filosofo e il poeta si identificano con la loro opera più di qualsiasi autore in altre opere. Con la Filosofia e la Poesia si ha una fusione tra intelligenza e anima dove in una oasi di pace la vita trova il suo specchio vitale. (pag.55)
A dispetto della tecnica e dell’empirismo incombenti, secondo María Zambrano la poesia è vivencia, fonte viva che salva la ragione e la riscatta da ogni schematismo idealistico, da ogni riduzione fenomenologica. La poesia ospita il pensiero nella sua fase nascente: offre uno sguardo sul mondo che rende più ricca l’esperienza del vivere. Restituisce la voce del cuore: non tanto la sede degli affetti e delle emozioni, quanto la misura ultima e radicale di ogni creatura, il centro etico (non sentimentale) che dice il valore autentico dell’individuo. La poesia si immerge nella vita, o meglio accoglie la vita che le viene incontro, ne condivide disperatamente e amorevolmente la caducità, la vanità, l’esiziale volgere, perché in questa pietas riconosce forse la propria creaturalità, ama se stesso riconoscendosi parte dell’umanità: La poesia è stata, in tutti i tempi, vivere secondo la carne.
Non sarà allora un caso che Maria Zambrano prenda l'opera di Dante Alighieri: 'La Divina Commedia' come l'opera che mette al centro una idea di Uomo che si sa misurare con la divinità. Un Uomo che seppure cosciente di una condizione umana bassa sa trarre dalla presenza divina la sua ragione illuminata dalla fede e dall'amore.
Insieme alla Poesia e alla Filosofia, Maria Zambrano aggiunge la componente religiosa a saldare la ricerca della unità originaria della propria vita.

La metafora è per Maria Zambrano il nesso per arrivare al divino. Il 'portare fuori', funzione proprio della metafora, è il risultato della trascendenza: il sapere che esista qualcosa al di là della Scienza e della Tecnica. Anche qui poi scopriamo che la metafora è prodotta in termini quantitativi dalla Poesia.
La metafora è anche il valore della letteratura che riporta ad un tempo molto lontano, ancora prima del pensiero, quando non c'erano altri modi per comprendere e definire la realtà.
Maria Zambrano nel suo saggio, si sofferma su una metafora che secondo lei porterebbe diritti all'anima, e che non è stata ancora ben compresa: Vedere attraverso il cuore. Questa è, per Maria Zambrano, la metafora della conoscenza più vera: l'espressione poetica insieme misteriosa e audace.
Il saggio Verso un sapere dell'anima, prosegue con capitoli tutti orientati a far conoscere quanto sia importante recuperare alla Filosofia quella conoscenza che ai primordi era abitata da angeli e demoni. Maria Zambrano ripercorre le varie fasi della relazione tra l'uomo e il divino, a partire dalla nascita degli dèi greci e della filosofia, analizzando la peculiarità della religione cristiana, fino ad arrivare agli esiti nichilistici della tradizione occidentale.
Dopo questo saggio, in un certo senso propedeutico, scriverà l'opera più importante e significativa della sua vita: L'hombre y lo divino. L'Uomo e il divino (1953). Un grande lavoro di questa donna filosofa-che rimane tra le più rappresentative del pensiero contemporaneo- per recuperare lo spirito di trascendenza utile ad elevare l'umanità e il suo destino.

giovedì, gennaio 14, 2016

Una riflessione di Navid Kermani: La cultura islamica non esiste più

Dall'ultimo numero di Micromega c'è un articolo di Navid Kermani - uno scrittore tedesco e studioso dell'Islam-molto ricco di dettagli sull'apporto che l'Islam ha sempre dato alla cultura umanistica in generale. Per questi suoi studi Navid Kermani è autore di molti saggi sull'Islam, il Medio Oriente e il dialogo Islamo-Cristiano; come filologo ricorda come ha avuto a che fare con gli scritti dei mistici, dei filosofi, dei retori e anche dei teologi.
Kermani scrive: '...E io, anzi, noi studenti rimanevamo e rimaniamo meravigliati dall’originalità, l’apertura mentale, la forza estetica e anche la grandezza umana che incontriamo nella spiritualità di Ibn Arabi, nella poesia di Rumi, nella storiografia di Ibn Khaldun, nella teologia poetica di Abdulqaher al-Dschurdschani, nella filosofia di Averroè, nelle descrizioni di viaggi di Ibn Battuta e ancora nelle storie di Le mille e una notte, storie profane – sì, proprio profane – ed erotiche e per di più persino femministe e allo stesso tempo permeate in ogni singola pagina dello spirito e della poesia del Corano'...

Ma oggi, per Navid Kermani, questo Islam non esiste più. Oggi l'ideologia islamica è diventata il wahhabismo, '...che oggi dispiega i suoi effetti fino al più remoto angolo del mondo islamico e che, nella sua versione salafita, è diventato attraente anche per i giovani in Europa. Quando si scopre che i libri di testo e i piani di studi nello Stato islamico coincidono per il 95 per cento con quelli usati in Arabia Saudita, allora si scopre anche che il mondo è diviso in vietato e permesso e le persone in fedeli e infedeli non solo in Iraq e in Siria'.

In sostanza per Navid Kermani: 'Sponsorizzato dai miliardi derivanti dal petrolio, negli ultimi decenni nelle moschee, nei libri, in televisione si è andato diffondendo un pensiero che definisce tutti i fedeli di altre religioni senza eccezioni eretici, li oltraggia, li terrorizza, li denigra e li offende. Quando giorno per giorno altri essere umani vengono sistematicamente sminuiti, la logica conseguenza è che alla fine anche la loro stessa vita diventa priva di valore. E noi tedeschi, con la nostra storia, lo sappiamo bene. Che un tale fascismo religioso sia anche semplicemente pensabile, che l’Is trovi così tanti combattenti e ancora più simpatizzanti, che possa travolgere interi paesi e conquistare quasi senza combattere intere metropoli, non è l’inizio ma al contrario il punto di arrivo provvisorio di un lungo declino, un declino anche e soprattutto del pensiero religioso'.

Il risultato è che ora una cultura islamica, perlomeno una di qualità, non esiste più. Ad aleggiare intorno a noi oggi sono le macerie di una gigantesca implosione spirituale. La cultura islamica contenuta nel Corano che ha un forte contenuto poetico e rappresentativo con una ritmica melodiosa, dall'andamento onomatopeico, viene svuotata trasformando la potenza linguistica del Corano in dinamite politica e non solo.

Cosa fare? Cosa sperare? Per Kermani l'Europa e la sua storia possono essere per gli islamici un riferimento da cui ripartire e trovare la spiritualità vera del loro credo. L'arrivo di tanti profughi verso l'Europa è un segnale che dovrebbe far capire come loro, impauriti che hanno abbandonato tutto dietro di loro, rischiando la vita loro e purtroppo dei loro figli che spesso la perdono, vedono il nostro continente come un luogo dove cominciare a rivivere e anche per ripensare l'Islam.

giovedì, gennaio 07, 2016

Maledetti architetti – dal Bauhaus a casa nostra di Tom Wolfe

Tom Wolfe è un saggista, giornalista e scrittore statunitense che ha pubblicato diversi libri. Uno di questi Il falò delle vanità, lo ha reso famoso anche in Italia. Da quest'ultimo libro è stato tratto anche un film di successo.
A me è capitato di leggere ultimamente un suo saggio: Maledetti architetti – dal Bauhaus a casa nostra. Edito nel 1981 e pubblicato in Italia a cura della Bompiani.
Il libro è un phamplet polemico, scritto con ironia e con lo stile inconfondibile di Tom Wolfe, verso l'influenza della corrente cosiddetta razionalista europea nell'archittetura statunitense; quella casa nostra del sottotitolo è ben intesa quella dei nordamericani. L'arrivo negli USA dei componenti il movimento della Bauhaus di Gropius ha fattosì che le universtà, le accademie e i comittenti di costruzioni, si rivolgessero a questi nuovi professionisti architetti per progettare le nuove strutture architettoniche statunitensi. Questo modernismo legato al razionalismo ha permesso di costruire 'nuovi scatoloni di cristallo rivestiti di lastre specchianti in modo da riflettere gli edifici vicini, anch’essi scatoloni di cristallo, e distorcere così quelle noiose linee rette, facendole sembrare curve'.
Tom Wolfe analizza con maestria l'accadere di quella moda e citando nome per nome tutti i vari responsabili ne elenca cause, condizionamenti e vizi.
Dell'autore possiamo leggere:'...il presupposto che in Europa tutto, nel campo dell’arte, fosse fatto meglio: L’artista europeo! Che ammaliante figura! André Breton, Louis Aragon, Jean Cocteau, Tristan Tzara, Picasso, Matisse, Arnold Schoenberg, Paul Valéry… spiccavano, tutti costoro, come bronzeo-dorate statuette di Gustave Miklos sullo sfondo delle fumiganti macerie della Grande Guerra'...
E ancora:'Pure la decadenza era chic: Quei calcinacci, quelle rovine della civiltà d’Europa, erano parte essenziale del quadro. La catasta d’ossami sullo sfondo era, appunto, ciò che dava quel brillante risalto agli avanguardisti. Ovvio che la figura più smagliante di questo Pantheon fosse Walter Gropius, il fondatore del Bauhaus che giunse in America nel ’37 tra gli inchini di tutti, il “Principe d’Argento” secondo Paul Klee, «un trentaseienne snello, dalla semplice ma meticolosa eleganza, dai folti capelli neri, irresistibilmente bello per le donne, corretto e signorile alla maniera classica tedesca, tenente di cavalleria durante la guerra, decorato al valore, una figura emblematica di calma, sicurezza e convinzione, al centro del maelström'.
In breve l'autore Tom Wolfe smonta il mito del Bauhaus sbeffeggiando i vari aderenti a quella scuola che lui chiama 'converticola'. Per l'Europa forse non c'è niente da dire: la semplicità estrema e il razionalismo che proponeva il Bauhaus era dettata dalla ricerca antiborghese e da un funzionalismo che rompeva schemi consolidati.

Negli USA senz'altro i borghesi e i magnati commissionari delle opere, avrebbero voluto nel fondo della loro cultura qualcosa di diverso...ora dopo essere stati abbindolati, con questo saggio di Tom Wolfe a distanza di anni trovano la forza di una critica che non risparmia nessuno.
Bèh, Tom Wolfe usa il sarcasmo anche per descrivere la svolta per un 'ripartire da zero' in Europa dopo la Grande Guerra dove c'era il bisogno di andare incontro ad una classe operaia che otteneva in quel periodo le prime vittorie e conquiste: usciva dalla melma e allora ecco che c'era bisogno di costruire per loro case. Quelle erano allora affidate a degli architetti che non erano più semplici esecutori di ordini di capitalisti, ma artisti al servizio di governi socialdemocratici. Poveri operai, finiti in piccole cubature bianche, beige e grige -senza fronzoli borghesi- raccordate da stretti corridoi.
Ma cosa c'entrava tutto questo negli Stati Uniti? Gli operai non interessavano a nessuno e tantomeno le Case Operaie...perchè importarle? Sotto la dicitura Lo Stile Internazionale due studiosi, Henry-Russel Hitchcock e Philip Johnson, cantarono le opere dei quattro funzionalisti europei: Gropius, Mies van der Rohee, Le Corbusier e Oud, il gioco dell'apertura allo The International Style per far invadere gli USA dai nuovi profeti fu pronto.
In questa critica forte e serrata ecco la demolizione insieme a Gropius e della sua banda, anche di Le Corbusier. Pagine piacevoli da leggere anche per lo stile e l'intelligenza della critica che non scade mai nell'epiteto o nel volgare.
Infine non mancano i profili degli architetti che rilanceranno o meglio dire sposteranno l'asse, dopo l'ubriacatura dello stile europeo, su una strada statunitense: Robert Venturi in prima fila, che fa abbandonare le elite universitarie e fa scoprire una nuova modernità; ma anche i pionieri del ritorno nord americano, gli apostati Frank Lloyd Wright, Bruce Goff, Herbert Greene, Eero Sarinen (finlandese naturalizzato statunitense), Edward Durrel Stone, Morris Lapidus e John Portman...
Per chi è appassionato di storia dell'architettura un libro da non perdere.