mercoledì, marzo 30, 2005

Ogni uomo è una via

Ogni uomo è una via. Ogni uomo fa la sua strada personale per giungere a Sé;
magari lo possono aiutare libri, maestri, religioni, incidenti…magari qualcuno può fare un breve percorso tenendosi per mano con qualcun altro, può avere un guru e recitare un mantra, ma alla fine, l’ultimo pezzo del cammino, l’ultimo tratto lo fa da solo.
Se ogni uomo ascolta se stesso scopre che ogni cosa ha un senso, che conduce alla totalità della natura e tende verso quell’uno che non a caso chiamiamo universo. Ma tutto va riferito alla propria vita, alle proprie esperienze, a quel vissuto che costituisce il nostro ‘passaggio’ all’allargamento della coscienza, ovvero alla consapevolezza di ciò che siamo.
Scopriamo per questo che non c’è vita umana senza sofferenza e questa è percepita spesso come distacco, perdita, abbandono. Ma, senza difendere la sofferenza, dobbiamo pensare che è grazie a lei se noi ci poniamo delle domande. Paradossalmente poi, come risposta, troviamo per vincere la sofferenza le stesse cose che l’hanno provocata: distacco, perdita e abbandono.
Il distacco è il primo dolore: è la cacciata dal ‘Paradiso terrestre’; è la nostra venuta al mondo, alla luce. Con la nascita avviene lo stacco dal grembo materno, dalla condizione prenatale che ci faceva vivere in un limbo piacevole, subiamo il primo traumatico dolore. Ma il distacco è anche ricerca dell’essenza, della propria consapevolezza, l’inizio della nostra individuazione. Il distacco può essere anche quello delle cose materiali o il distacco dall’Io che genera illusioni.
Poi seguirà la ‘perdita’: quella dell’innocenza, della salute, delle persone care, dell’amore…insieme alla perdita proviamo il senso di abbandono ed è con questo che troviamo noi stessi; possiamo sentire risuonare il sé nel silenzio.
Ci troviamo allora da soli a fare i conti con la nostra essenza. Così alla fine impariamo, insieme ai nostri limiti, cos’è e dov’è la nostra ricchezza. Impariamo che la nostra via è la nostra vita.

venerdì, marzo 25, 2005

In paradiso, no

I comunisti vanno in Paradiso. Sicuro. In Paradiso ci vanno anche i musulmani, i buddisti, gli ebrei, i confuciani, gli indù e forse perfino i cattolici. Meno che i ricchi. Per quest’ultimi non si saprebbe come disegnarlo il Paradiso; non sarebbe con le fontane, i fiori e le vergini a disposizione, come lo prefigurano i musulmani; non sarebbe neppure a gironi con cherubini, santi e angeli plaudenti come nell’idea dantesca; men che meno quello del Caffè Lavazza a continuare finzioni e TV. Allora che donare ai ricchi? La reincarnazione in un mulo? Sarebbe allora una ricompensa facile, il guadagno dell’espiazione belle pronta. No, niente Paradiso per i ricchi; d’altronde lo dice il Cristo:” E’ più facile che un cammello…”.
In Paradiso ci va chi ha il senso della Giustizia, chi ha amici ed è anche ateo. In Paradiso ci vanno forse tutti: chi muore per la guerra e chi per sé. Forse ci vanno anche i preti. Meno che i ricchi. Hai voglia di dire che anche i ricchi piangono, che i ricchi soffrono, e non sono neanche sicuri di avere amici per loro stessi e non per i soldi…i ricchi non sono fatti per il Paradiso: non ne hanno l’umiltà. D’altronde come potrebbero girare per le strade del Paradiso- ammesso che ce ne siano- senza le loro grosse automobili con autista? No, niente Paradiso per i ricchi: loro sono destinati a soffrire anche nell’al di là.

mercoledì, marzo 23, 2005

Giornata nera per la democrazia

Oggi 23 marzo 2005 piangiamo la perdita virtuale di una Costituzione nata 58 anni fa, sull’onda di una libertà ritrovata e dall’incontro di alti ideali sociali e politici. Oggi è stata riscritta –anche in un brutto italiano- una Costituzione frutto di un compromesso, all’interno di una maggioranza governativa, tra un partitino che raccoglie meno del 4% e un partito ex fascista che reclamava un premierato forte; gli altri naturalmente a fare da supporto per il mantenimento del potere.
Ho detto ‘virtuale’ perché la Costituzione in vigore ha giustamente previsto che qualche ‘colpo di mano’ fosse poi sottoposto al giudizio popolare con un referendum.
Ora non rimane che battersi affinché la legge costituzionale, regolatrice di tutte le altre leggi, sia riscritta con ampi consensi –possibilmente in bell’italiano- e sappia trasmettere alle generazioni future certezze di uguaglianza e democrazia.
Si stabilisca subito la data del referendum: sarà la data di un’Italia ritrovata.

lunedì, marzo 21, 2005

Chi vince la guerra?


Chi vince la guerra? Chi ha le armi migliori, chi ha la forza più brutale, chi non ha pietà dell’altro. Vince non certo, chi ha la ragione.

Chi vince la guerra? Vince chi rende il nemico inoffensivo, lo zittisce…lo fa morto. Vince non certo, chi cerca la giustizia.

Chi vince la guerra? L’esercito o il popolo? Qualche potente o la gente?

La guerra non la vince nessuno. La guerra fa piangere tutti. Allora non domandiamoci più chi possa vincere la guerra; proviamo a non farla, cerchiamo la pace in ogni dove e la guerra non solo non farà vincere qualcuno, non farà perdere nessuno.

giovedì, marzo 17, 2005

Invecchiare

L’ho sentito dire: ‘Non c’è peccato più grande che invecchiare senza sapere niente di sé’. L’ho sentito dire e ci credo. Sì, perché si invecchia per quello: per sapere di noi. Così quando sappiamo qualcosa ne assumiamo il carattere, tanto da scriverne nel nostro corpo l’immagine. Il nostro corpo allora diviene una metafora, che aggiunge ai processi biologici ulteriori significati. Tutto il nostro essere si sposta gradatamente verso l’anima, ed è lì che prosegue la vita e la sfida per il suo senso.
Così nella vecchiaia assistiamo al sublime mistero della vita: la decomposizione fisica genera pensieri a dimostrare che la vita dipende pure da batteri muffe e chimica, ma il pensiero no! I pensieri più ‘inadatti’ sopravvivono. Ecco come si presenta l’evoluzione. Ecco come succede l’inspiegabile.
Ma ne siamo coscienti? Oggi invece assistiamo ad un allungamento della vecchiaia. Qualcuno pensa anche di fermarla, rinviarla; ma si ottiene solo un allungamento, un percorso più lento, comunque inarrestabile e senza senso.
Ora bisogna, invece che aggiungere capelli alla nostra testa, stirare le rughe del corpo o travasare ricostituenti nelle viscere, si mettano nel cervello nuove idee, nuovi pensieri, e si contemplino nuove libertà.
Come sostiene James Hillman: “Arrivati ai cinquanta o sessant’anni è ora di incominciare un altro tipo di terapia: la terapia delle idee”. Ecco questa cosa l’ho appena letta ed è quello che penso e mi piace.

mercoledì, marzo 16, 2005

L'Unione e le divisioni

Non c’è solo lo scontro elettorale ad acuire le divisioni e la litigiosità tra gli italiani; c’è da tempo –si può dire con l’avvento della destra al potere- una guerra tra fazioni che l’Italia non ha mai conosciuto. Neppure nell’immediato dopoguerra tra la D.C. e Fronte Popolare, tra De Gasperi e Togliatti, ci fu una tale virulenza conflittuale. E’ sempre più chiaro che la destra divide, sempre più fa leva sull’animosità e i sentimenti reazionari: razzismo, richieste di pena di morte, discriminazioni salariali e sociali, vendette e rivincite tra persone, gruppi…lo smantellamento dello stato sociale è poi una condizione basilare per attuare la loro politica di deregulation.
Sembrava, fino a qualche anno fa, che in nome di un pragmatismo laico si fosse abbandonata le guerra ideologica, ma invece questa ritorna: si evoca la paura del comunismo sovietico, dei magistrati cosiddetti giustizialisti- naturalmente solo quando colpiscono il ceto politico- ecc. Tutto continua.
Eppure io credo nell’intelligenza degli italiani. Credo che non piaccia a nessuno continuare a vivere così. Non credo che la realtà del nostro vivere quotidiano sia un ipotetico ring dove scambiarsi pugni anche solo virtuali. Allora le sfida politica messa in campo dall’Unione ha, anche nella sua denominazione, un auspicio: unire le forze per ridare speranza di futuro. La politica deve lavorare per il futuro e questo vuol dire muoversi insieme per obiettivi di benessere comuni.
Solo aiutando il nostro vicino, quello che vive a fianco a noi, aiutiamo anche noi stessi. La destra invece vuole solo il far west; vuole un liberismo, cui ognuno pensa per sé, a scapito del prossimo e della comunità: questo vuol dire dividere e far retrocedere, come sta avvenendo, la nostra società.

lunedì, marzo 14, 2005

A Milano...


Sapessi come strano, sentirsi innamorati a Milano…

cantava una canzone.

Sapessi come lo è ancora in certi luoghi, che si sono fatti poi...

ancora tra notizie di bombe e stragi; ancora tra palazzi vecchi e sporchi.

Ancora è difficile far volare la fantasia.

Eppure mi basta vedere il tuo viso, i tuoi occhi ed il tuo sorriso,

e mi innamoro.



Sapessi come strano, innamorarsi ogni giorno in certe città…

sapessi come dà noia uscire ogni volta.

Dove si corre per far la ‘grana’; dove è provinciale vestirsi come pare,

dove ci si conosce appena.

Eppure mi basta saperti sotto questo stesso cielo, saperti nei pensieri

e dirmi che t’amo.



Poi possiamo pure essere a Milano.

lunedì, marzo 07, 2005

In ricordo di Maria Zambrano

Per l’8 marzo di quest’anno mi piace ricordare una grande filosofa, Maria Zambrano che, al pari di Simone Weil, Hannah Arendt e Edith Stein, ha vissuto nella propria carne la filosofia; ha conseguentemente dato corporeità al suo pensiero.
Maria Zambrano, con le sue opere di filosofia, riporta la storia dell’umanità agli dei, allo spirito originario del pensiero inscritto nel mito, e lo fa con uno stile di linguaggio poetico e filosofico insieme. Lo ‘ spirito’, il ‘divino’, quell’intelligenza che assegna un nome a tutte le cose, ha una coscienza in Prometeo: nella distinzione da Giove, dalla Notte e dal Caos. Negli dei si avverte il passaggio da un ‘prima’ ad un ‘dopo’ per cui dopo si può narrare, si ha la parola per farlo.
Il suo essere donna, e il suo modo di sentirlo, spinge Maria Zambrano inevitabilmente ad ispirarsi a quelle figure di donna che, come Antigone, Eloisa e Diotima, hanno conosciuto la misericordia in quanto "hanno fatto dell'amore una filosofia di vita e della propria vita un'opera filosofica".
Ma più di tutte, l'autrice preferisce la figura mitica di Aurora, sorella della notte, promessa di luce che emerge dalle tenebre di cui mantiene in sè intima traccia.
Maria Zambrano mi ricorda che il filo del pensiero, con cui l’uomo ha tessuto la ragione, è dovuto al lavoro femminile: è Arianna che ha dato il filo a Teseo per uscire dal labirinto.
Maria Zambrano, come Señora de la palabra, ci porta a fare i conti con la Cultura e la Comunicazione, tracce di una matrice profonda dove amore e corpo, anima e vita, sono valori imprescindibili e universali.
Allora traggo da Maria Zambrano: “l’Aurora della parola assiste colui che ha vegliato nella notte, il germe della fiamma che accende la parola vera, la parola promessa…per questo le rovine che appaiono sono il tempo della tragedia, il tempo di un passato che continua ad esserlo. Ogni rovina emana il divino tanto che un tempio in rovina è un tempio perfetto: luogo sacro che incarna la vita con la morte…a raccontare questo sacro è la poesia. Filosofico è il domandare e poetica è la scoperta. Non è forse poetica, sempre, la scoperta?”.

domenica, marzo 06, 2005

Altre razze

Io che non credo alle razze mi devo ricredere. Vedo persone che sempre più considero di un’altra razza. Esempio Berlusconi per me è di un’altra razza; non della famosa ‘razza padrona’, di cui si parlava negli anni’70 per indicare i capitalisti italiani tipo Cefis o Pesenti, ma proprio di un’altra razza, tipo ogm-organismi geneticamente modificati- con differenze geniche e antropologiche evidenti. Guardate: mentre tutti invecchiano, lui ringiovanisce; mentre gli altri perdono i capelli, o gli diventano bianchi, a lui ricrescono e sono sempre colorati; mentre tutti con l’età indossano gli occhiali per leggere, lui no, lui legge senza.
Potrebbe essere un immortale? Uno di una nuova specie? Si potrà pensare di clonarlo? Di effettuare delle inseminazioni staminali speciali?
Intanto io che non credo alle razze mi devo ricredere. Vedo delle persone che per me sono alieni: sanno navigare in questa società malata senza avvertire puzza, anzi ci sguazzano all’apparenza felici: chiamano la guerra mantenimento della pace; preparano leggi per cui leggere non serve, basta guardare i loro ‘capi’; istruirsi non vale, basta non pagare niente. Poi continuano imperterriti una stessa storia che chiamano cambiamento…ma io invece un cambiamento l’avverto: avverto di invecchiare e quello che imparo lo scrivo nel mio corpo con il carattere, tanto che lo stesso diviene una metafora, allorché tutto si sposta nell’anima, e la mia decomposizione genera pensieri che seppur inadatti sopravvivono: ecco dov’è il sublime.
Ma allora? Allora son forse io una nuova razza; io che invece di mettere capelli in testa aggiungo nuove idee e contemplo nuove libertà. Forse allora non sopravivverà il più furbo o il più adatto, solo i più fantasiosi e gli interroganti. Chissà?

sabato, marzo 05, 2005

L'Iraq agli iracheni

Anche se il popolo iracheno con le elezioni ha dato una grande prova di civiltà, di partecipazione alla ricostruzione democratica del proprio grande paese, bisogna ricordare che vive sempre in guerra. Dopo l’abbattimento del sanguinoso regime di Saddam Hussein, per il quale il popolo iracheno con l’attuale guerra ha pagato un contributo di sangue senza precedenti nella sua storia, la normalità non si vede; anzi con il proliferare del terrorismo e la continuazione dell’occupazione militare americana si può pensare ad una catastrofe umanitaria. L’Iraq non sarà mai più una nazione tranquilla e gli americani sono in grande difficoltà poiché in verità controllano solo una piccola parte dell’immenso territorio iracheno.
Questa è la verità che molti giornalisti raccontano. Dopo aver vinto la resistenza con le armi a Falluja, Karbala e Najaf, gli americani vivono alla giornata non avendo nessuna prospettiva se non controllare quello che possono con i nervi a fior di pelle e l’ostilità crescente di tutta la popolazione: sono sempre degli stranieri e a nessuno piace avere in casa propria degli stranieri prepotenti, maleducati, arroganti, come sanno esserlo gli americani?
L’incidente a Giuliana Sgrena, con l’uccisione dell’agente del Sismi, si inserisce in questo quadro. Gli americani non hanno vinto un bel niente. Le guerre non portano democrazia ad un paese, se questi non ne ha in sé i germi.
Gli Stati Uniti d’America per questa guerra si stanno indebitando fuor modo e non sono in grado di inviare più truppe di quante ce ne sono già. Per un controllo totale del territorio iracheno occorrerebbero 3 volte di più i soldati impiegati. Impossibile. Bush non sa come uscirne: spero che l’Europa si dimostri più intelligente degli italiani e non si faccia coinvolgere neppure dando soldi agli USA.
Le elezioni si sono svolte, ora lasciamo l’Iraq agli iracheni