lunedì, gennaio 29, 2024

Interessante la Tavola rotonda su l'IA della Scuola del Fatto presso la università di Roma 3
Quello che è emerso dalla interessante Tavola rotonda promossa dalla Scuola del Fatto è che questa Intelligenza se non sappiamo gestirla, se non sappiamo rapportarci con essa, vuol dire perdere, vuol dire essere condizionati da chi la saprà usare, gestire: questo sarà il nuovo potere che determinerò il prossimo futuro. Mercato, ricerca, impresa, scuola, sono e saranno i campi in cui si misureranno le prossime sfide e senza L'IA non andremo da nessuna parte.
Siamo alle porte di una grande transizione; un grande cambiamento in termini di tecnologia applicativa. Una trasformazione che investirà tutto e tutti per cui l'utilizzo sarà la prova di quanto questo strumento sarà utile e ci aiuterà a progredire tutti insieme. Il Fatto ha preso coscienza che siamo sempre a rincorrere continuamente l'IA; questo lo sta facendo anche la politica e l'unico campo che riesce a tenere il passo è quello della Scienza per cui quest'ultima diventa la forza di essere sempre più protagonista del nostro mondo. Oggi la verità è che nessuno riesce a stare dietro al sistema di IA per cui ne sfruttiamo la capacità solo al 33%. La Scienza dovrebbe e potrebbe esserci molto di aiuto, ma per paradosso trova opposizione e ostacoli in molte persone.
Non bisogna avere paura dell'IA, questa deve essere vista come un potente supporto al nostro vivere professionale e quotidiano. Quindi uno strumento dell'uomo per l'uomo. Una tecnologia che può rendere il mondo un posto migliore. Per questo ci viene incontro una particolare Intelligenza che è definita Generativa e crea immagini, video, storie che espandono la nostra creatività...si, quella rimarrà sempre nostra poiché l'IA elaborerà una mole infinita di dati sempre e solo nostri.
Un appunto mio: ricordo che uno scienziato molti anni fa disse che finché un robot non si riconosce allo specchio non c'è da aver paura...oggi abbiamo anche quello ma è frutto di un algoritmo immesso dall'uomo e questo non porta coscienza. Coscienza di sé. Siamo abituati a vedere nei movimenti e nelle risposte frutto dell'IA una sorta di vita autonoma e noi sviluppiamo per questo empatia...ma attenti, tutto è prodotto da elaborazione di dati che come il soffio di vita divino fa scoprire che dall'evoluzione darwiniana non si scappa.
Il Fatto Quotidiano 29/1/2024

sabato, gennaio 27, 2024

Il giorno della Memoria
E ce ne vorrà tanta di memoria; ce ne vorrà tanta per far si che non si ripeta più l'orrore di un nuovo genocidio. Una fragile pausa continua, ma resta in agguato la cattiveria e l'ignoranza per una nuova strage. Le guerre sono alle porte e sembra che nulla le possa fermare. La memoria come un toccasana, come una medicina dell'anima serva a formarci la coscienza per interrompere il dolore che riserviamo agli altri.
E ce ne vorrà ancora di memoria; ce ne vorrà sempre per far sì che si ribalti la storia. Passate parola. Chi mai pensava che la terra di Goethe, di Kant e di Fichte potesse oscurarsi di grandi pensieri nella violenza xenofoba e inumana? Ci sollevi ancora il pensiero di un grande filosofo tedesco: Ernst Bloch e il suo principio di speranza.

venerdì, gennaio 26, 2024

I miei anni
Sono nato che sulla terra rimbombava ancora lo scoppio delle due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki; era appena finita la guerra e mi piace pensare che mio padre mi avesse concepito in un giorno di festa tra il 25 aprile il 5 maggio del 1945. Mio padre appena ritornato dal campo di concentramento di Mauthausen dove era stato deportato il 30 giugno del 1944. Mia madre felice mi portò in grembo fino al 2 febbraio del 1946.
C'era ancora la monarchia che sarebbe finita 4 mesi più tardi. L'Italia si riprendeva dopo una guerra devastante e l'ubriacatura del regime fascista. Una camicia nera c'era in ogni guardaroba...a me parve di scovarne una in una vecchia cassettiera ma certamente non era di mio padre che sapevo un socialista di Nenni; d'altronde come poteva, anche se figlio della Lupa, essere fascista ancorché deportato? Lui mi raccontava sempre l'orrore di poter essere ucciso per aver raccolto una mela sotto un albero. Pianse disperato davanti al mitra tedesco. Pensa mi diceva 'oggi non potresti essere nato'. E già. Quante vite interrotte ci furono in quella guerra insensata, ancora e uguale a scelte di potere. E sì, noi italiani eravamo diventati un simbolo di ordine e disciplina...noi eterni artisti arruffoni, anarchici alla stregua di un farabutto imbonitore.
Ogni tanto ci penso: come potrei essere di destra? Nato da una famiglia povera e operaia capii che la cultura e quella avrebbe migliorato la mia vita e mi avrebbe permesso di godere di un tramonto o di una poesia; mi avrebbe permesso di coglierne la qualità e trovato una giusta misura nella ricchezza e nei desideri...insomma una saggezza che avrei perseguito anche con l'età. Oggi non ci sono più' si dice, quelle condizioni:il mondo è cambiato e cambia continuamente però penso che certi valori rimangano e essere di sinistra vuol dire non essere conservatori, ma rinnovare se stessi e l'umanità ogni volta.
Pubblicato su Il Fatto Quotidiano

martedì, gennaio 23, 2024

La storia di Giggiriva
Gigi Riva era nato a Leggiuno in provincia di Varese ma poi dopo aver fatto vincere uno scudetto nel 1970 al Cagliari diventò a tutti gli effetti un sardo doc. e del sardo aveva tutte le caratteristiche: quelle morfologiche e quelle culturali. Insomma Gigi Riva era un sardo. Diventato cittadino onorario di Cagliari nel 2005, Gigi Riva era per il giornalista sportivo Gianni Brera 'Rombo di Tuono', come Gianni Rivera era 'l'abatino'. Ma in Sardegna divenne Giggiriva un sardo come lo divenne anche Fabrizio De Andrè. Nel 1970 il Cagliari con lo scudetto la Sardegna si affrancò e da terra di pastori e banditi divenne terra di turismo e di bellezze naturali.
Giggiriva non se ne andò più via dalla Sardegna e nessuno provò a interrompere quel sodalizio...chi ci provò fu Giampiero Boniperti che voleva portarlo a Torino ma non ci riuscì: Giggiriva era sardo più dei sardi; in verità lo era diventato oltre 60 anni fa quando approdò al Cagliari esattamente l'8 settembre 1963. Giggiriva era andato via da Leggiuno dopo la disgrazia di aver perso papà, mamma e una sorella; aveva bisogno di costruirsi una nuova identità, come i sardi nei confronti di una terra povera. Ci riuscì. La sua impresa iniziò a 19 anni. In Sardegna trovò amici e guide e soprattutto un pubblico da far sorridere ogni domenica. Di quello stesso pubblico ne divenne poi il 'vendicatore'. Una storia oggi irripetibile.

Pubblicato su Il Fatto Quotidiano