domenica, luglio 26, 2015

Il razzismo del provinciale. Considerazioni per comprendere quello che viviamo nella società globalizzata.

Capita spesso di sentire sui bus, al mercato o in qualche ufficio che: 'ce ne sono troppi di immigrati...ma cosa vengono a fare qui...rubano il lavoro agli italiani...e poi non sono come noi'. Spesso sono frasi che seguono una logica così ovvia e banale che viene da considerarle come frutto di un pensiero comune e condiviso: 'ha ragione signora (o signore). E' proprio così, vengono qui in tanti e vogliono comandare loro. Fanno anche i prepotenti. Sarebbe meglio che tornassero al loro paese. Basta immigrati. Non devono più farli entrare in Italia'. E' difficile, con chi esprime questi sentimenti, aprire un dialogo; infatti quasi sempre alle loro parole fanno una premessa: 'Guardi che io non sono razzista...ma questi non li sopporto...'.

Come far capire che prima di una condizione di emigrato, di rifugiato, c'è soprattutto un diritto di persona? Prima di una appartenenza ad una etnia, ad una nazione, Stato o territorio esiste un individuo singolo che vive in un luogo formato da altri individui? Quale differenza si vorrebbe sostenere? Certo che la convivenza a volte diventa una inevitabile condivisione di spazi che spesso eccita degli istinti aggressivi.

Voglio ricordare che all'indomani della Seconda Guerra mondiale-il 10 dicembre 1948- e proprio sull'onda di quella disastrosa esperienza nata sulla negazione di diritti e di libertà, si proclamò ad opera delle Nazioni Unite la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Con quella Dichiarazione, attraverso 30 articoli si stabilirono i principali Diritti Umani che ogni individuo deve aver riconosciuti.
Tra questi è bene ricordare che ci sono, insieme agli articoli dove si proibisce ogni tipo di discriminazione, anche quelli che garantiscono il diritto di libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato e diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese. (art.13). Altri diritti riconosciuti ad ogni individuo sono quelli di avere una cittadinanza e di poterla cambiare; oltre al cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. (art. 14 e 15)
Ho messo in risalto questi punti poiché sono quelli all'ordine del giorno.

Dopo di ciò si comprende che quello che sta accadendo ha aspetti di dimensioni epocali, e il trasferimento di milioni di persone da un continente all'altro crea realtà nuove. Con ciò nessuno dovrebbe dimenticare che si ha a che fare con individui umani; si ha a che fare con disuguaglianze e di opportunità di vita molto distanti. Di fronte a questo, non saranno eserciti, leggi punitive, incrementi di PIL o muri a salvarci.
A questo punto non dovremo perdere la 'bussola' dell'uguaglianza dei diritti e creare una economia diversa: una economia che non veda gli individui solo come dei 'consumatori' di prodotti del mercato e di risorse naturali.
Ogni uomo sarà lui stesso una risorsa per sé e per gli altri: il posto non è vero che non ci sia. E' la nostra sopraffazione che annulla gli spazi attorno a noi.
Sapremo osservarci?

domenica, luglio 19, 2015

L'affare Grecia

Ho sostenuto -naturalmente non solo io- che essere espulsi dall'euro, come uscirne, è una cosa non fattibile né tecnicamente né politicamente. La moneta Euro in quanto moneta corrente e legale in tutto il mondo non può essere messa fuori legge.

In Grecia le persone corrono a prendersi gli Euro in banca per paura che con il ritorno alla Dracma i loro risparmi (tramutati dalle banche in una nuova moneta) perdano tutto il valore. Il fatto è che nel loro mercato interno nessuno vorrebbe la nuova Dracma, ma ognuno -ad iniziare dai commercianti- desidererebbe essere pagato sempre in Euro.

Una nuova moneta servirebbe soltanto al governo greco per pagare i suoi dipendenti e i suoi debiti interni -non quelli esterni che dovranno sempre pagarli in Euro. Questo aiuterebbe il governo a scapito di una forte inflazione (lo Stato greco inizierebbe a stamparsi da sé la moneta in quantità utile per sé). Il resto sarebbe un ritorno al doppio mercato che esisteva un po' prima dell'entrata in corso dell'Euro.

Allora? Cos'è tutta questa manfrina e pseudo-trattativa? Niente.

A detta di Giuseppe Turani questo 'niente' è solo una disputa politica tra chi vuole un “bel gesto” verso la Grecia (umiliando un po’ la Germania) e chi invece vuole lasciare le cose come stanno.

Giuseppe Turani (articolo su blitzquotidiano.it )sostiene che la questione del debito greco non esista perché:

'Il debito greco (e non importa qui quanto sia alto) è in grandissima parte nei confronti di istituzioni pubbliche europee (più Fondo monetario). Si tratta di un debito che non verrà mai ripagato (esattamente come quello italiano). Accade che alle varie scadenze viene regolarmente rinnovato. Da un punto di vista formale si rimborsano le vecchie cedole e se ne emettono di nuove, per pari importo (o più). I fondi necessari, naturalmente, sono forniti da quelle stesse istituzioni pubbliche già creditrici della Grecia. Chi ha prestato mille alla Grecia, alla scadenza incassa mille, e poi ripresta alla Grecia mille. Un giro di conto. Niente di più.
Tutto quindi si riduce al pagamento degli interessi, che sono modestissimi dato che in questo momento i tassi di interesse sono bassissimi. La gestione del debito, cioè, costa alla Grecia, come a altri debitori (tipo Italia) pochissimo perché il costo del denaro oggi è vicino a zero. Questo, fra l’altro, è uno dei punti forti delle teorie di Krugman, il quale sostiene che conviene fare debiti per rilanciare l’economia perché tanto il denaro non costa niente.
Se il debito della Grecia venisse cancellato interamente, che cosa cambierebbe? Assai poco. Il giorno dopo la Grecia (come l’Italia, nel caso) riprenderebbe a fare debiti e andrebbe quindi rifinanziata ad opera degli stessi finanziatori pubblici di oggi (il mercato non dà un euro a Atene).
Ma allora perché tutta questa guerra sulle “condizioni” per accettare di dare nuovi finanziamenti alla Grecia? Solo perché possa “ripagare” il debito, cosa che nessuno pretende. No. Solo perché la smetta di gettare soldi nello scarico del lavandino, come ha fatto in tutti questi anni. Il debito della Grecia, per essere chiari, è di competenza dei finanziatori, cioè dell’Europa. Per la Grecia è solo una partita di giro contabile.'

Conclude poi Giuseppe Turani scrivendo: 'La verità, come si diceva all’inizio, è che questo è un braccio di ferro tutto politico fra chi vuole dare uno schiaffo alla Germania (ingraziandosi Obama e le minoranze populiste europee) e chi invece pensa che sia più saggio continuare così. E pretendere che la Grecia faccia un po’ di ordine in casa propria'.

Sarà così? C'è qualcuno che può spiegare la cosa in termini ugualmente comprensibili? Forse Tsipras ha capito e con quanto si accinge a fare lo dimostra.

venerdì, luglio 17, 2015

César Vallejo Mendoza. Un poeta peruviano

César Vallejo Mendoza, mi ha parlato di questo grandissimo poeta peruviano un amico della stessa nazione sudamericana; un poeta César Vallejo Mendoza, che io non conoscevo. Questo poeta è stato definito da Thomas Merton (scrittore e religioso statunitense dell'ordine dei monaci Trappisti, autore di oltre sessanta tra saggi e opere in poesia e in prosa dedicati soprattutto ai temi dell'ecumenismo):'il più grande poeta universale, dopo Dante'
Laureato in lettere nel 1915, César Vallejo, dopo aver pubblicato Trilce nel 1923 e perso il posto di insegnante a Lima, emigrò in Europa, dove visse fino alla sua morte avvenuta a Parigi nel 1938. Fu sepolto nel Cimitero di Montparnasse.
César Vallejo è il poeta della povertà fino alla miseria. È il poeta del poco e del nulla, che non basta, ma deve essere fatto bastare, perché non c’è altro. In questo drammatico orizzonte, alla povertà del quotidiano, si oppone l’implicita ricchezza, sia pure ironica di un’epica, che non può essere trionfalistica se non del trionfalismo del puntigli umano, che non si arrende.

Ecco due poesie trovate in Rete che mi sono piaciute:

Ágape
Hoy no ha venido nadie a preguntar;
ni me han pedido en esta tarde nada.
No he visto ni una flor de cementerio
en tan alegre procesión de luces.
Perdóname, Señor: qué poco he muerto!
En esta tarde todos, todos pasan
sin preguntarme ni pedirme nada.
Y no sé qué se olvidan y se queda
mal en mis manos, como cosa ajena.
He salido a la puerta,
y me da ganas de gritar a todos:
Si echan de menos algo, aquí se queda!
Porque en todas las tardes de esta vida,
yo no sé con qué puertas dan a un rostro,
y algo ajeno se toma el alma mía.
Hoy no ha venido nadie;
y hoy he muerto qué poco en esta tarde!

Traduzione

Agape
Oggi nessuno mi ha fatto domande;
né questa sera mi hanno chiesto nulla.
Neanche un fiore di cimitero ho visto
in un corteo così allegro di luci.
Dio, perdono: son morto così poco!
In questa sera tutti, tutti passano
e non domandano o chiedono nulla.
E non so cosa scordano e mi resta
appena in mano, come cosa d’altri.
Sono andato alla porta,
e mi vien voglia di gridare a tutti:
Se vi manca qualcosa, qui è rimasto!
Perché tutte le sere in questa vita,
non so che porte sbattono su un viso,
e cosa d’altri prende la mia anima.
Nessuno oggi è venuto;
oggi son morto poco in questa sera!

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Un hombre pasa con un pan al hombro…
Un hombre pasa con un pan al hombro
¿Voy a escribir, después, sobre mi doble?
Otro se sienta, ráscase, extrae un piojo de su axila, mátalo
¿Con qué valor hablar del psicoanálisis?
Otro ha entrado a mi pecho con un palo en la mano
¿Hablar luego de Sócrates al médico?
Un cojo pasa dando el brazo a un niño
¿Voy, después, a leer a André Bretón?
Otro tiembla de frío, tose, escupe sangre
¿Cabrá aludir jamás al Yo profundo?
Otro busca en el fango huesos, cáscaras
¿Cómo escribir, después, del infinito?
Un albañil cae de un techo, muere y ya no almuerza
¿Innovar, luego, el tropo, la metáfora?
Un comerciante roba un gramo en el peso a un cliente
¿Hablar, después, de cuarta dimensión?
Un banquero falsea su balance
¿Con qué cara llorar en el teatro?
Un paria duerme con el pie a la espalda
¿Hablar, después, a nadie de Picasso?
Alguien va en un entierro sollozando
¿Cómo luego ingresar a la Academia?
Alguien limpia un fusil en su cocina
¿Con qué valor hablar del más allá?
Alguien pasa contando con sus dedos
¿Cómo hablar del no-yó sin dar un grito?

Traduzione
Un uomo passa con il pane in spalla…
Un uomo passa con il pane in spalla.
Potrò scrivere dopo sul mio sosia?
Un altro si siede, si gratta, cava un pidocchio dall’ascella, lo schiaccia.
Con che ardire parlar di psicoanalisi?
Un altro mi è entrato nel petto con un palo nella mano.
Parlare poi di Socrate col medico?
Passa uno zoppo e dà il braccio ad un bimbo.
Potrò leggere dopo André Bretón?
Un altro trema dal freddo, tossisce e sputa sangue.
Ci starà un’allusione all’Io profondo?
Un altro cerca nel fango, i noccioli ed i gusci.
Come descriver dopo l’infinito?
Un muratore cade da un tetto, muore e non pranza più.
Innovare poi il tropo, la metafora?
Un commerciante ruba un grammo sul peso ad un cliente.
Parlar dopo di quarta dimensione?
Un banchiere falsifica il bilancio.
Con quale faccia piangere a teatro?
Un paria dorme e ha un piede sulla schiena.
Parlar dopo a qualcuno di Picasso?
C’è chi singhiozza lì ad un funerale.
Come fare poi ingresso all’Accademia?
C’è chi pulisce il fucile in cucina.
Con che ardire parlar dell’aldilà?
C’è chi passa contando sulle dita.
Come parlar del non-io senza un urlo?

sabato, luglio 11, 2015

Ancora Se questo è un Uomo


Ricordo l'enorme dolore che mi procurò la notizia del genocidio di Srebrenica venti anni fa. Quel crimine fu compiuto da forze cristiane serbe contro i musulmani; con la responsabilità di molta parte dell'occidente.
Era da tempo che in quel paese, la Serbia, una delle nazioni che comprendevano la Jugoslavia, si combatteva una guerra civile.
Sarajevo che fino a poco tempo prima era considerata la città della pacifica convivenza tra le diverse etnie e religioni era diventata una città assediata e martirizzata da continui bombardamenti e tiri al bersaglio su una popolazione civile inerme.
Per quei fatti in quel tempo scrissi queste frasi, che furono pubblicate da Il SecoloXIX :

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Ancora a guardare, ora con gli occhi di televisioni e giornali, un altro dramma.
Ancora a guardare, con il ricordo delle parole di chi ha già visto: Primo Levi, Se questo è un uomo.
Ripetilo ancora, ogni volta: Se questo è un uomo.
Ricorda come La mala novella di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all'uomo di fare all'uomo.
E ancora qui, in Ruanda, a Sarajevo; in Somalia, Etiopia, a Srebrenica: Se questo è un uomo.
Ogni volta la domanda, dove un potere ci divide tra sommersi e salvati.
Ma ancora ci sarà un Lorenzo a farci vedere un uomo e a non farci dimenticare d'essere noi stessi uomini.
E da voi tedeschi, che vi credevate i più potenti, che parlate la musica di Goethe e cantate le parole di Mozart, abbiamo avuto la capacità di distruggere l'uomo e di domandarci: Se questo è un uomo.
E da voi serbi che credete in una vostra etnia, che pregate il nostro Dio e avete il nostro paesaggio, continuiamo a vedere la capacità di uccidere e ci fate domandare: Se questo è un uomo.
Ma ancora potremo, in questa coazione a ripetere, trovare l'interrogazione per continuare a sperare?
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Oggi viene commemorata quella strage e ancora dobbiamo riflettere di quanto sia facile ogni volta far uscire la bestia in noi, tanto da domandarci sempre: Se questo è un Uomo.