giovedì, gennaio 28, 2016

Maria Zambrano: Verso un sapere dell'anima

Maria Zambrano è stata una filosofa e saggista spagnola. Nata a Vèlez-Malaga il 22 aprile 1904, è morta a Madrid il 6 febbraio 1991.

Sono passati giusto 25 anni dalla scomparsa di questa grande filosofa che nel 1988 venne insignita del Premio Cervantes, che è il più grande riconoscimento della letteratura di lingua spagnola. Interprete molto attenta e sensibile dell'opera di Miguel de Unamuno e della poesia di Antonio Machado, fu tra le prime donne spagnole ad intraprendere le carriera universitaria in un contesto in cui una filosofa, nella Spagna degli anni Trenta, era quasi `una donna barbuta', un'eresia, una curiosità da circo.

Di Maria Zambrano ho appena terminato di leggere: Verso un sapere dell'anima. Un libro ricco di spunti poetici e filosofici dove l'autrice conduce una sfida costante al pensiero oggettivante che tende a negare l'anima stessa da cui trae origine.
Non è un caso che Maria Zambrano ricevette il premio Cervantes. La sua scrittura era densa e suggestiva e più vicina al linguaggio poetico che filosofico. In sostanza per Maria Zambrano è la Poesia il motore degli eventi e la Filosofia è nata da lei. Con Aristotele abbiamo una scissione tra i due strumenti di conoscenza, che se riportati ad una unità seppur contradditoria aiuta a trovare l'essenza del Sapere. Per Maria Zambrano la Filosofia ha sempre perseguito un sapere logico, fisico; un sapere che seppur intriso di poesia era rivolto alla materia, alla realtà. Maria Zambrano sostenne che la Filosofia avrebbe dovuto cambiare passo: prendendo spunto dalla Poesia, dall'accostarsi al sapere nelle diverse forme, l'abbandono alla Res Cogitans avrebbe permesso un sapere dell'anima, un sapere della trascendenza umana.
Per Maria Zambrano la Poesia è una sapere al pari della Filosofia per la sua esemplare azione della parola. Il filosofo e il poeta si identificano con la loro opera più di qualsiasi autore in altre opere. Con la Filosofia e la Poesia si ha una fusione tra intelligenza e anima dove in una oasi di pace la vita trova il suo specchio vitale. (pag.55)
A dispetto della tecnica e dell’empirismo incombenti, secondo María Zambrano la poesia è vivencia, fonte viva che salva la ragione e la riscatta da ogni schematismo idealistico, da ogni riduzione fenomenologica. La poesia ospita il pensiero nella sua fase nascente: offre uno sguardo sul mondo che rende più ricca l’esperienza del vivere. Restituisce la voce del cuore: non tanto la sede degli affetti e delle emozioni, quanto la misura ultima e radicale di ogni creatura, il centro etico (non sentimentale) che dice il valore autentico dell’individuo. La poesia si immerge nella vita, o meglio accoglie la vita che le viene incontro, ne condivide disperatamente e amorevolmente la caducità, la vanità, l’esiziale volgere, perché in questa pietas riconosce forse la propria creaturalità, ama se stesso riconoscendosi parte dell’umanità: La poesia è stata, in tutti i tempi, vivere secondo la carne.
Non sarà allora un caso che Maria Zambrano prenda l'opera di Dante Alighieri: 'La Divina Commedia' come l'opera che mette al centro una idea di Uomo che si sa misurare con la divinità. Un Uomo che seppure cosciente di una condizione umana bassa sa trarre dalla presenza divina la sua ragione illuminata dalla fede e dall'amore.
Insieme alla Poesia e alla Filosofia, Maria Zambrano aggiunge la componente religiosa a saldare la ricerca della unità originaria della propria vita.

La metafora è per Maria Zambrano il nesso per arrivare al divino. Il 'portare fuori', funzione proprio della metafora, è il risultato della trascendenza: il sapere che esista qualcosa al di là della Scienza e della Tecnica. Anche qui poi scopriamo che la metafora è prodotta in termini quantitativi dalla Poesia.
La metafora è anche il valore della letteratura che riporta ad un tempo molto lontano, ancora prima del pensiero, quando non c'erano altri modi per comprendere e definire la realtà.
Maria Zambrano nel suo saggio, si sofferma su una metafora che secondo lei porterebbe diritti all'anima, e che non è stata ancora ben compresa: Vedere attraverso il cuore. Questa è, per Maria Zambrano, la metafora della conoscenza più vera: l'espressione poetica insieme misteriosa e audace.
Il saggio Verso un sapere dell'anima, prosegue con capitoli tutti orientati a far conoscere quanto sia importante recuperare alla Filosofia quella conoscenza che ai primordi era abitata da angeli e demoni. Maria Zambrano ripercorre le varie fasi della relazione tra l'uomo e il divino, a partire dalla nascita degli dèi greci e della filosofia, analizzando la peculiarità della religione cristiana, fino ad arrivare agli esiti nichilistici della tradizione occidentale.
Dopo questo saggio, in un certo senso propedeutico, scriverà l'opera più importante e significativa della sua vita: L'hombre y lo divino. L'Uomo e il divino (1953). Un grande lavoro di questa donna filosofa-che rimane tra le più rappresentative del pensiero contemporaneo- per recuperare lo spirito di trascendenza utile ad elevare l'umanità e il suo destino.

giovedì, gennaio 14, 2016

Una riflessione di Navid Kermani: La cultura islamica non esiste più

Dall'ultimo numero di Micromega c'è un articolo di Navid Kermani - uno scrittore tedesco e studioso dell'Islam-molto ricco di dettagli sull'apporto che l'Islam ha sempre dato alla cultura umanistica in generale. Per questi suoi studi Navid Kermani è autore di molti saggi sull'Islam, il Medio Oriente e il dialogo Islamo-Cristiano; come filologo ricorda come ha avuto a che fare con gli scritti dei mistici, dei filosofi, dei retori e anche dei teologi.
Kermani scrive: '...E io, anzi, noi studenti rimanevamo e rimaniamo meravigliati dall’originalità, l’apertura mentale, la forza estetica e anche la grandezza umana che incontriamo nella spiritualità di Ibn Arabi, nella poesia di Rumi, nella storiografia di Ibn Khaldun, nella teologia poetica di Abdulqaher al-Dschurdschani, nella filosofia di Averroè, nelle descrizioni di viaggi di Ibn Battuta e ancora nelle storie di Le mille e una notte, storie profane – sì, proprio profane – ed erotiche e per di più persino femministe e allo stesso tempo permeate in ogni singola pagina dello spirito e della poesia del Corano'...

Ma oggi, per Navid Kermani, questo Islam non esiste più. Oggi l'ideologia islamica è diventata il wahhabismo, '...che oggi dispiega i suoi effetti fino al più remoto angolo del mondo islamico e che, nella sua versione salafita, è diventato attraente anche per i giovani in Europa. Quando si scopre che i libri di testo e i piani di studi nello Stato islamico coincidono per il 95 per cento con quelli usati in Arabia Saudita, allora si scopre anche che il mondo è diviso in vietato e permesso e le persone in fedeli e infedeli non solo in Iraq e in Siria'.

In sostanza per Navid Kermani: 'Sponsorizzato dai miliardi derivanti dal petrolio, negli ultimi decenni nelle moschee, nei libri, in televisione si è andato diffondendo un pensiero che definisce tutti i fedeli di altre religioni senza eccezioni eretici, li oltraggia, li terrorizza, li denigra e li offende. Quando giorno per giorno altri essere umani vengono sistematicamente sminuiti, la logica conseguenza è che alla fine anche la loro stessa vita diventa priva di valore. E noi tedeschi, con la nostra storia, lo sappiamo bene. Che un tale fascismo religioso sia anche semplicemente pensabile, che l’Is trovi così tanti combattenti e ancora più simpatizzanti, che possa travolgere interi paesi e conquistare quasi senza combattere intere metropoli, non è l’inizio ma al contrario il punto di arrivo provvisorio di un lungo declino, un declino anche e soprattutto del pensiero religioso'.

Il risultato è che ora una cultura islamica, perlomeno una di qualità, non esiste più. Ad aleggiare intorno a noi oggi sono le macerie di una gigantesca implosione spirituale. La cultura islamica contenuta nel Corano che ha un forte contenuto poetico e rappresentativo con una ritmica melodiosa, dall'andamento onomatopeico, viene svuotata trasformando la potenza linguistica del Corano in dinamite politica e non solo.

Cosa fare? Cosa sperare? Per Kermani l'Europa e la sua storia possono essere per gli islamici un riferimento da cui ripartire e trovare la spiritualità vera del loro credo. L'arrivo di tanti profughi verso l'Europa è un segnale che dovrebbe far capire come loro, impauriti che hanno abbandonato tutto dietro di loro, rischiando la vita loro e purtroppo dei loro figli che spesso la perdono, vedono il nostro continente come un luogo dove cominciare a rivivere e anche per ripensare l'Islam.

giovedì, gennaio 07, 2016

Maledetti architetti – dal Bauhaus a casa nostra di Tom Wolfe

Tom Wolfe è un saggista, giornalista e scrittore statunitense che ha pubblicato diversi libri. Uno di questi Il falò delle vanità, lo ha reso famoso anche in Italia. Da quest'ultimo libro è stato tratto anche un film di successo.
A me è capitato di leggere ultimamente un suo saggio: Maledetti architetti – dal Bauhaus a casa nostra. Edito nel 1981 e pubblicato in Italia a cura della Bompiani.
Il libro è un phamplet polemico, scritto con ironia e con lo stile inconfondibile di Tom Wolfe, verso l'influenza della corrente cosiddetta razionalista europea nell'archittetura statunitense; quella casa nostra del sottotitolo è ben intesa quella dei nordamericani. L'arrivo negli USA dei componenti il movimento della Bauhaus di Gropius ha fattosì che le universtà, le accademie e i comittenti di costruzioni, si rivolgessero a questi nuovi professionisti architetti per progettare le nuove strutture architettoniche statunitensi. Questo modernismo legato al razionalismo ha permesso di costruire 'nuovi scatoloni di cristallo rivestiti di lastre specchianti in modo da riflettere gli edifici vicini, anch’essi scatoloni di cristallo, e distorcere così quelle noiose linee rette, facendole sembrare curve'.
Tom Wolfe analizza con maestria l'accadere di quella moda e citando nome per nome tutti i vari responsabili ne elenca cause, condizionamenti e vizi.
Dell'autore possiamo leggere:'...il presupposto che in Europa tutto, nel campo dell’arte, fosse fatto meglio: L’artista europeo! Che ammaliante figura! André Breton, Louis Aragon, Jean Cocteau, Tristan Tzara, Picasso, Matisse, Arnold Schoenberg, Paul Valéry… spiccavano, tutti costoro, come bronzeo-dorate statuette di Gustave Miklos sullo sfondo delle fumiganti macerie della Grande Guerra'...
E ancora:'Pure la decadenza era chic: Quei calcinacci, quelle rovine della civiltà d’Europa, erano parte essenziale del quadro. La catasta d’ossami sullo sfondo era, appunto, ciò che dava quel brillante risalto agli avanguardisti. Ovvio che la figura più smagliante di questo Pantheon fosse Walter Gropius, il fondatore del Bauhaus che giunse in America nel ’37 tra gli inchini di tutti, il “Principe d’Argento” secondo Paul Klee, «un trentaseienne snello, dalla semplice ma meticolosa eleganza, dai folti capelli neri, irresistibilmente bello per le donne, corretto e signorile alla maniera classica tedesca, tenente di cavalleria durante la guerra, decorato al valore, una figura emblematica di calma, sicurezza e convinzione, al centro del maelström'.
In breve l'autore Tom Wolfe smonta il mito del Bauhaus sbeffeggiando i vari aderenti a quella scuola che lui chiama 'converticola'. Per l'Europa forse non c'è niente da dire: la semplicità estrema e il razionalismo che proponeva il Bauhaus era dettata dalla ricerca antiborghese e da un funzionalismo che rompeva schemi consolidati.

Negli USA senz'altro i borghesi e i magnati commissionari delle opere, avrebbero voluto nel fondo della loro cultura qualcosa di diverso...ora dopo essere stati abbindolati, con questo saggio di Tom Wolfe a distanza di anni trovano la forza di una critica che non risparmia nessuno.
Bèh, Tom Wolfe usa il sarcasmo anche per descrivere la svolta per un 'ripartire da zero' in Europa dopo la Grande Guerra dove c'era il bisogno di andare incontro ad una classe operaia che otteneva in quel periodo le prime vittorie e conquiste: usciva dalla melma e allora ecco che c'era bisogno di costruire per loro case. Quelle erano allora affidate a degli architetti che non erano più semplici esecutori di ordini di capitalisti, ma artisti al servizio di governi socialdemocratici. Poveri operai, finiti in piccole cubature bianche, beige e grige -senza fronzoli borghesi- raccordate da stretti corridoi.
Ma cosa c'entrava tutto questo negli Stati Uniti? Gli operai non interessavano a nessuno e tantomeno le Case Operaie...perchè importarle? Sotto la dicitura Lo Stile Internazionale due studiosi, Henry-Russel Hitchcock e Philip Johnson, cantarono le opere dei quattro funzionalisti europei: Gropius, Mies van der Rohee, Le Corbusier e Oud, il gioco dell'apertura allo The International Style per far invadere gli USA dai nuovi profeti fu pronto.
In questa critica forte e serrata ecco la demolizione insieme a Gropius e della sua banda, anche di Le Corbusier. Pagine piacevoli da leggere anche per lo stile e l'intelligenza della critica che non scade mai nell'epiteto o nel volgare.
Infine non mancano i profili degli architetti che rilanceranno o meglio dire sposteranno l'asse, dopo l'ubriacatura dello stile europeo, su una strada statunitense: Robert Venturi in prima fila, che fa abbandonare le elite universitarie e fa scoprire una nuova modernità; ma anche i pionieri del ritorno nord americano, gli apostati Frank Lloyd Wright, Bruce Goff, Herbert Greene, Eero Sarinen (finlandese naturalizzato statunitense), Edward Durrel Stone, Morris Lapidus e John Portman...
Per chi è appassionato di storia dell'architettura un libro da non perdere.