lunedì, febbraio 28, 2005

Devolution delle parolacce

Curzio Maltese ricorda bene, di ricordarci, di una parabola perfetta del berlusconismo, quella del ‘mostro bavoso’. Ecco che una mattina, l’ometto di Arcore, dice che è attaccato dall’opposizione con mille epiteti tra cui quello di ‘mostro bavoso’. Nessuno a sinistra ricorda quell’insulto; ma dopo alcune verifiche si scopre che quell’aggressione verbale è invece stata fatta, da un giornalista che scrive su un suo giornale, all’indirizzo di Romano Prodi, il suo avversario politico.
Nessun giornale di regime o televisione riporta il fatto. Morale, l’insulto dell’insulto continua. La vittima dei ‘cattivi’ avversari ‘comunisti’ è sempre e solo lui.
Se poi si indaga ancora un po’ si scopre che nessuno ha mai pronunciato insulti peggiori del suo attuale alleato Bossi: “Berlusconi mostra le stesse caratteristiche dei dittatori. E' un kaiser in doppiopetto. Un piccolo tiranno, anzi è il capocomico del teatrino della politica. Un Peròn della mutua. E' molto peggio di Pinochet. Ha qualcosa di nazistoide, di mafioso. Il piduista è una volpe infida pronta a fare razzia nel mio pollaio"..."Berlusconi è l'uomo della mafia. E' un palermitano che parla meneghino, un palermitano nato nella terra sbagliata e mandato su apposta per fregare il Nord. La Fininvest è nata da Cosa Nostra. C'è qualche differenza fra noi e Berlusconi: lui purtroppo è un mafioso. Il problema è che al Nord la gente è ancora divisa tra chi sa che Berlusconi è un mafioso e chi non lo sa ancora. Ma il Nord lo caccerà via, di Berlusconi non ce ne fotte niente. Ci risponda: da dove vengono i suoi soldi? Dalle finanziarie della mafia?”…” Quel brutto mafioso guadagna soldi con l'eroina e la cocaina. Il mafioso di Arcore vuole portare al Nord il fascismo e il meridionalismo. Discutere di par condicio è troppo poco: propongo una commissione di inchiesta sugli arricchimenti di Berlusconi. In Forza Italia ci sono oblique collusioni fra politica e omertà criminale e fenomeni di riciclaggio. L'uomo di Cosa Nostra, con la Fininvest, ha qualcosa come 38 holding, di cui 16 occulte. Furono fatte nascere da una banca di Palermo a Milano, la banca Rasini, la banca di Cosa Nostra a Milano"…tutte dichiarazioni documentate e tratte da agenzie e quotidiani diversi, negli anni che vanno dal marzo-aprile 1994, all’ottobre del 1999.
Di tutto questo però è bene tacere, poiché la campagna elettorale è iniziata, ed è meglio che la verità non si sappia.
Volete mettere la devolution delle parolacce? Un ‘buffone’ dal ‘basso’ costa 500 euro...un ‘mostro bavoso’ quanto costerà? A loro naturalmente niente; queste cose, a loro, li fanno solo guadagnare.

sabato, febbraio 26, 2005

Million dollar baby

Chi lo avrebbe mai detto che Clint Eastwood, dopo 40 anni da ‘Per un pugno di dollari’ e ‘Qualche dollaro in più’, ritornasse con ‘Million dollar baby’? E questi dollari accresciuti, se intesi come energia spirituale e spessore vitale, ci sono tutti. Oggi Clint Eastwood, con il suo ultimo film ‘Million dollar baby’, ci ha regalato un capolavoro.
La storia, raccontata dal film, è apparentemente di boxe; è invece la storia di due caratteri, dove il carattere è anche il destino –non ricordo dove l’ho letto, ma qui il destino è scritto veramente nei caratteri dei due protagonisti. Un vecchio, Frankie Dunn (Clint Eastwood), ha già il destino compiuto ed una giovane donna, Maggie (Hilary Swank), lo compirà grazie all’incontro ostinatamente cercato con il vecchio. A raccontarci questa storia è un altro vecchio, Scrapt, interpretato da Morgan Freeman che, come nel film ‘Le ali della libertà’, fa la voce narrante.
Il vecchio Frankie ripercorrerà ancora una volta il suo destino con la giovane donna. Lui non è un perdente, è un professionista ed ha una saggezza utile a vincere; ma ripagherà la scelta di una passione riperdendo la giovane campionessa, come aveva già perso negli anni la figlia.
Un film amaro, che riflette sulle illusioni della vita. Un film dove è narrata un’esistenza che non si riesce a misurare con il metro della politica e della morale, ma esclusivamente con la propria compassione.
Sì, per compiere un destino, a volte, anche Dio va aiutato. Un destino fatto di solitudine, di illusioni, e dove si può trovare la compassione nelle persone che meno ti aspetti.
Questo è quanto ho provato guardando il film. Ora sta a voi vederlo e ‘sentirlo’.

lunedì, febbraio 21, 2005

Cicli storici

Corsi e ricorsi; cicli storici: ora su e poi giù…come il fiatare. Prima si cresce e poi si decresce. Dentro, fuori. Pieno, vuoto. Periodo buono, periodo cattivo. Ecco, ora siamo nel periodo brutto.
Questo è quello che avverte il popolo, la gente semplice, umile; quelli come me. Fasi alterne: le onde positive e quelle negative. Le onde del nostro crescere; quasi una metafora della vita, quella del battito sincopato del cuore: battere e levare. Ecco, ora siamo in levare.
Questo è quello che vivono i poveri. Ma cosa si poteva pensare, di diventare più ricchi? Diventare come lui? La storia prosegue così: prima una fase di avanzata economica e poi la recessione. Si poteva pensare di aumentare all’infinito ricchezza e diritti? Di stare sempre meglio? E no, la storia insegna. Ora tocca ai ricchi riprendersi quello che sembrava avessero perso. Perseguitati da giudici; incalzati da richieste di moralità, di denaro, di giustizia sociale, uguaglianza…i ricchi non ne potevano più e allora eccoli a governare il periodo giù…per noi naturalmente.
Così ora siamo in attesa della svolta: la fase sì, dei poveri. Ma abbiate fede. Come si sa, sempre male non può andare, sempre bene non può durare.

giovedì, febbraio 17, 2005

Dannati e leggeri

Ad introdurci nella presentazione del libro, Dannati e leggeri di Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, è Claudio Burlando, in qualità di presidente della associazione culturale Maestrale promotrice dell’incontro di stasera, mercoledì 16 febbraio, all’Auditorium Montale. Burlando ci dice subito quanto il libro gli sia piaciuto e l’abbia, oltre che aiutato ad abbassare la testa per leggerlo, –ora che deve sempre tenerla alta per l’impegno elettorale che lo vede protagonista- anche divertito. Seppur breve il romanzo è ricco di avvenimenti, luoghi, e personaggi con molti intrecci storici che attraversano tutto il secolo passato. Burlando parla dei molteplici luoghi che toccano i protagonisti di questa saga familiare; luoghi veri, luoghi precisi che aumentano la piacevolezza della lettura, già di per sé avvincente con la storia raccontata in prima persona dalla bellissima Mirò. E poi le donne, le tante donne che oltre la protagonista sono il sale del racconto.
Tocca poi ad Andreina Boero, imprenditrice, che si definisce per l’occasione la ‘casalinga di Voghera’; questo perché nel suo giudizio avrebbe desiderato un romanzo più consistente delle 108 pagine che lo compongono. Insomma, per quelle vite eccezionali che catturano il lettore, occorreva un bel romanzo ottocentesco dato che gli ingredienti di una storia lunga e appassionata ci sono tutti. Perchè accorciarlo?
Risponderà Paolo Crepet dicendo che si sente vittima del doppio concentrato di pomodoro Mutti e che questo non gli permette di scrivere 500 pagine. «Scrivo cose leggere, non sento di avere la capacità di scrittura di un romanzo del’800 ma forse è cambiato il modo di raccontare ed è cambiato il lettore. Prima c’era anche una pedagogia letteraria, oggi con più cultura e il lettore molto più informato c’è la necessità di una sintesi di scrittura».
Il romanzo rivela Crepet è nato dal racconto ascoltato da un Capitano di lungo corso nella Casa di Riposo di Camogli: quell’anziano signore aveva voglia di raccontare la sua vita di viaggi e trovò lui che lo ascoltò. «Dobbiamo ritrovare il gusto di raccontare ed ascoltare gli altri. Il peggio di noi siamo noi; mentre il meglio è quello che ci dà l’altro. Si impara molto dagli altri e il racconto è confronto».
La protagonista del romanzo Dannati e leggeri è la metafora del racconto, è la straniera che ci porta altrove e ci fa comprendere l’alterità. Le donne per questo detengono il potere: quale capacità di tenere il filo, di saper annodare il racconto e i sentimenti. Quindi impariamo a trasmettere emozioni, riascoltiamo i nonni, le storie vere di vita e non i reality show televisivi; così potremo comprendere gli altri e condividere i sentimenti.
A Gabriele Lavia non rimane che leggere alcune pagine; ma prima vuole ricordare, all’amico Paolo Crepet, che quella giostra descritta nell’ultimo capitolo è anche detta ‘calcioinculo’. E qui sta un’altra metafora, poiché in quei giri di giostra la protagonista si accorgerà che il seggiolino davanti a lei è vuoto: non c’è nessuno a cui dare il calcio in culo…in quei giri di giostra si vedono sfuocati tutti i protagonisti incontrati nella vita, nei molteplici giri di giostra si assapora l’aria e il profumo intenso dei ricordi che formano le nostre radici.

domenica, febbraio 13, 2005

Lettera di un anziano innnamorato

Non parlarmi di San Valentino. Ti prego, non cadere in una scatola di cioccolatini. Lascia stare la festa e parlami di te. Poi anch’io ti parlerò. Io te lo devo dire: mi è successo di pensare a te e di emozionarmi fino alle lacrime. Ho pensato a te come la cosa più bella che ho avuto nella mia vita. Mi piace pensare all’amore e pensandolo dargli il tuo viso; riempirlo di te, della tua voce, delle tue movenze così aggraziate.
E poi devo aggiungere che il nostro amore è diventato una piccola società di mutuo soccorso. No, questo non è riduttivo dell’amore, è l’amore che è cresciuto ed è cambiato. Forse ha perso slanci, ha perso qualche carezza e qualche bacio appassionato in mezzo alla strada…è sopraggiunto un pudore che non conoscevamo: ti avrei baciata un dì, ovunque.
Ma ora pensa, io ci penso, pensiamoci: sapremmo stare vicini adesso, ora, se non saremmo invecchiati insieme? Ci guardiamo ogni mattina appena svegli senza barare. Poi lo so tu, dopo mezz’ora chiusa in bagno, diventi più bella…ma io con l’alito che puzza e il pigiama arrotolato posso ancora sedurti? Guardo in un angolo la cesta dove finiscono i nostri panni sporchi: sono mischiati anche loro, sono uniti da una intimità arcana; siamo noi che continuiamo in attesa del lavaggio a risplendere insieme. Dì la verità, le toccheresti le mie calze sporche se non avessi conosciuto i miei sudori giovanili? Se non fossimo entrati, anche con le dita, negli intimi affanni?
Ora passati gli anni sento di aggrapparmi a te. Sento che non ci sarà un’altra storia che ripercorra tutte le emozioni che mi ha dato la vita con te. Così io ti penso sempre al mio fianco. Senza di te, io non sarei io. Non sarei quello che sono o sono diventato, in bene o in male; poiché non si vive invano insieme tanti anni. Non si vive a fianco senza scambiarsi qualcosa di profondo.
Sì, va bene, ora parlami di San Valentino, forse ho sbagliato; non è poi sempre banale parlare d’amore. Non è banale invecchiare; invecchiare insieme.

venerdì, febbraio 11, 2005

Sulla catastrofe

Argomento di attualità ieri sera, 10 febbraio, alla Libreria Portoanticolibri di Palazzo Millo. Attualità, perché le catastrofi non ci mancano mai: ne siamo circondati e se non sono naturali, come l’ultimo tsunami in Asia, gli umani se le procurano con le guerre e i danni ambientali.
A parlarne è, come l’ha definita Matteo Elio LoPresti –docente di Storia e Filosofia- una ‘compagnia di giro’ composta oltre che da lui, da Michele Marchesiello –magistrato- e Franco Moscone –sacerdote rettore del Collegio Emiliani di Nervi.
L’occasione per parlare di catastrofi è data dalla presentazione del libro ‘Sulla catastrofe- l’illuminismo e la filosofia del disastro’ di Voltaire, Rousseau, Kant. Raccolta antologica di testi curata da Andrea Tagliapietre per l’editore Bruno Mondatori.
La ‘compagnia di giro’ è nata quando Lo Presti trovò a Palazzo di Giustizia di Genova, nello studio di Marchesiello, il libro citato; sorpreso interrogò (lui, il docente) il magistrato che rispose con alcune provocazioni. Con l’aggiunta del sacerdote Moscone, ecco che gli interrogativi presero corpo ed ora sono utili a scandagliare, con l’aiuto dei tre grandi filosofi, i molteplici interrogativi che ogni catastrofe provoca.
Bisogna prima ricordare che per segnare la nascita dell’età moderna uno di essi è, senza dubbio, l’immane terremoto che colpì Lisbona il 1° novembre del 1755. È stata l’ultima volta che i piani di Dio sull’uomo sono stati oggetto di un dibattito pubblico generale in cui si sono impegnate le menti più notevoli del tempo: Voltaire, Rousseau e Kant.
Ancora oggi però le domande e le risposte dei tre filosofi ci aiutano a pensare. Così scopriamo, attraverso le parole dei ‘relatori’, gli aspetti del sublime, dello smarrimento e insieme dell’estetica; dell’inconoscibile, del dolore e della possibilità di riprendere ogni volta, dopo le catastrofi, il cammino storico…il far girare la ruota: questo è Lo Presti che interpreta e chiarisce bene Kant. Marchesiello da magistrato pone il senso dell’ingiustizia che ogni catastrofe provoca. Da qui la ricerca della responsabilità, vero elemento di modernità: insomma indagine tra la fatalità e la responsabilità che spingono alla conoscenza delle cose e così la sottile divisione tra la catastrofe naturale e quella umana rappresentata dalla guerra. Una ricerca della Ragione e della Morale che avvicina il magistrato Marchesiello a Voltaire.
Sembrerebbe a questo punto l’imputato divenire Dio; ma è Rousseau che risponde, e per Moscone diventa facile assumerne il pensiero. Rousseau fedele alla provvidenza universale e propenso a gettare le responsabilità sull’uomo piuttosto che su Dio, rilancia così ciò che l’umanità non deve mai perdere: la speranza. La speranza che ciò che è dell’umanità si rinnovi.
A noi rimane in fondo la semplice interrogazione che nasce ogni volta si presenta una catastrofe: perché? Una interrogazione forse disarmante, ma che dà al pensiero la vertigine di far rinascere ogni volta Dio.

mercoledì, febbraio 09, 2005

Incontro di filosofia

Serata di filosofia, stasera 8 febbraio, alla Biblioteca dell’Università di Genova. Per parlare di filosofia, c’è stata l’occasione della presentazione del libro di Anna Czaika: Tracce dell’umano. Il pensiero narrante di Ernst Bloch. Insieme all’autrice ne hanno parlato Vittorio Coletti e Domenico Venturelli. Bloch è conosciuto come il filosofo del principio di speranza; un filosofo che ha con grande originalità coniugato marxismo, cristianesimo ed ebraismo. In un momento storico che mette in discussione la fede nell’uomo, Bloch la rilancia.
L’introduzione di Vittorio Coletti spiega come la filosofia di Bloch non è da considerarsi sistematica; egli è un creativo e attraverso una scrittura letteraria usa il racconto come forma riflettente. I suoi racconti sono le tracce (spuren) con cui avviene la sintesi del suo pensiero e nell’esperienza narrativa raggiunge il culmine della sua filosofia. Il libro di Czaika Bloch fa proprio riferimento all’opera Spuren – tracce il suo libro più narrativo e poetico. Le storielle che racconta sono esplicative e la narrazione di quello che consideriamo traccia, scarto, lato nascosto, diventano la filosofia per cogliere l’attimo. Poi Bloch ripropone la domanda classica del filosofo: “Chi siamo?”. Molte sono le domande che aggiunge Domenico Venturelli. Molte anche le perplessità sull’attimo, sulla speranza che sconfigge la morte.
Le risposte di Anna Czaika vengono attraverso il lavoro contenuto nel libro: la risposta si può trovare nell’arte, nell’immagine, nella musica come poetica dell’attimo. Così la nuova identità non sarà un melting pot, ma una nuova immagine che sa trasmettere cultura, perché la problematica dell’attimo è una concezione che trova nel passato la sua dimensione. Per Bloch non c’è un mondo da migliorare ma, nel nostro divenire, un ‘mondo altro’. L'idea di Bloch, è che la speranza non è semplicemente un premio di consolazione per le disgrazie necessarie della vita degli individui e della storia, ma è piuttosto uno sforzo per vedere come le cose stanno in movimento, come si evolvono.
Tracce dell’umano. Il pensiero narrante di Ernst Bloch
di Anna Czaika
(Reggio Emilia, Diabasis, 2003)

Premio Salvatore Valitutti 2004

Euro 18

venerdì, febbraio 04, 2005

Il Sergente Paolini

Avevo letto molto tempo fa Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern ed ora ho rivissuto quelle drammatiche pagine, che raccontano la ritirata del nostro esercito in Russia, dalla voce di Marco Paolini. Ieri sera sono andato a teatro a vedere ‘Il Sergente’ di Marco Paolini e l’emozione è stata identica a quella che mi aveva trasmesso il libro, questo grazie alla trasposizione teatrale fatta con una sapiente lettura del testo letterario alla regia e alla bravura dell’attore . La scrittura di Rigoni Stern poi si presta molto all’affabulazione di Paolini.
Grazie a Paolini, come per Vajont, l’opera riesce a trasmettere una forte commozione a tutti i presenti in sala; giovani, uomini e donne, adulti e anziani, vengono tutti scossi. Quel dramma, racconta qualcosa di universale e le lacrime sono liberatorie ed insieme un omaggio a quegli uomini. Uomini che riescono a non perdere la dignità e a trovare in un paese straniero che si voleva conquistare, renderlo ‘nostro’, una originale comune umanità.
Stern si era dimostrato un vero talento narrativo: la sua scrittura è immediata, chiara, concisa, è un bell’esempio di letteratura. Quello ‘’raccontato’’ nel libro è tutto vero, così ne esce un forte monito contro la guerra, la sua insensatezza che vede uomini uccidersi e morire senza ragione. Poco più che ventenne il sergente Rigoni Stern prende il comando di un gruppo di alpini e inizia la ritirata verso un ritorno a casa pieno di insidie. Un ritorno a ‘baita’…e ‘da che parte è l’Italia’? Ogni tanto irrompe questa domanda. Sì, alla fine di 1400 uomini della compagnia del sergente Rigoni Stern, solo 340 torneranno a ‘baita’, a casa. Il drammatico racconto dei sopravissuti è una lezione di memoria, una lezione di storia che è nostro dovere non dimenticare, non scordare.
Cenci, Tourn, Pintossi, Moreschi, insieme a Rigoni, sono i personaggi veri, reali; sono i piccole e grandi uomini che affrontano un’avventura drammatica, tragica con una umanità che giunge a noi a farci dire che mai più si deve violentare gli uomini. Mai più i nostri occhi debbano vedere quello che hanno visto i loro.

mercoledì, febbraio 02, 2005

Dopo Auschwitz

Dopo Auschwitz, dopo quello che sembrava inimmaginabile e incomprensibile, dopo tanto dolore e terrore, c’è sempre da interrogarci se si sia ripresa la strada dell’evoluzione umana o semplicemente si continui il racconto che ci vede sempre uomini mediocri e insieme povere canaglie.
Hannah Arendt indicava nella struttura del potere, in quella ragnatela di competenze delegata a mediocri impiegati e uomini senza pensiero, la componente del male del XX secolo. ‘Gerarchie e poteri paralleli venivano estesi in maniera confusa e intricata così che ognuno gestiva da buon servitore il suo ammirato capo superiore: Hitler o Stalin’.
Ma poi, per Freud, abbiamo una specie di condanna a scontare traumi infantili, madri castranti, cattiverie e repressioni puberali; per cui pessimisticamente l'uomo è un animale cattivo e crudele che continua una storia di assassini, di morte, che riportano ad un parricidio: il peccato originale. Una colpa primordiale. L'uomo uccide sempre, e al di là di nemici individuati con diverse bandiere, come necessità di sopprimere il padre. Il cristianesimo per questo ci aiuta facendolo uccidere da "altri"; dagli ebrei appunto.
Insomma, se quelle energie bestiali, che hanno portato a dare forza e potere a Hitler e Stalin, erano naturali, allora tutto è frutto dell’imbecillità. Era quello che fa dire a San Paolo:" Io non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ma se faccio quello che non voglio, non sono io a farlo ma la forza del peccato che abita in me". Quel peccato è l'imbecillità, quella bestia che si rigenera ad ogni nascita e ci fa bambini crudeli, egoisti, gelosi; ancora appunto.
Così obbligati a crescere, ci nascondiamo dietro a Ragione e Volontà: veli che si alzano al primo soffio di vento smascherando la Ragione come ideologia e la Volontà come potere. Quindi dov’è l’evoluzione?
Esisterà una evoluzione collettiva che ci metta al riparo dal ritorno di quel male commesso in passato? Penso di no; eppure la stessa Hannah Arendt con la sua analisi - uomini senza pensiero -indicava anche un antidoto.
Hanna Arendt ci aiuta a comprendere allora come il "decalogo" del Dio unico da opporre al male, fosse ben poca cosa contro la forza conosciuta di un Hitler o uno Stalin. La vera forza del male è nell’esercito degli sgherri, dei gregari, adulatori, sudditi fedeli, è il dovere: il non pensiero. Riusciremo allora a trasmettere con un circolo virtuoso il pensiero? La critica e l’introspezione? Buona ricerca a tutti. Poi chissà…