martedì, gennaio 31, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia – parte undicesima

Parte undicesima

Verso la conclusione...

Voglio finire questa mia carrellata di storia personale intercalata con Sestri Ponente con una Litania, alla maniera di Giorgio Caproni, scritta da me per Sestri Ponente. Per Caproni Sestri era Ansaldo. San Giorgio e la Genova degli uomini destri -ovvero capaci, ingegnosi, laboriosi...
Genova d'uomini destri. Ansaldo. San Giorgio. Sestri
Per me è molto altro:

Litania su Sestri Ponente

Sestri Ponente di cantieri.
Grandi navi oggi e velieri ieri.
Sestri ponente di Calcinara.
Scuole. San Giorgio. Via Manara.

Sestri Ponente del Chiaravagna.
Acqua maligna, acqua che non bagna.
Sestri Ponente della mia adolescenza.
Ginocchia a terra. Cose da fare senza.

Sestri Ponente di via Corradi.
Portoni aperti. Il mio letto e gli armadi.
Sestri Ponente del Cantarena.
Canne, pantano e poca pena.

Sestri Ponente della Corea.
Gente nuova, sestrini ancora senza idea.
Sestri Ponente della manifattura tabacchi.
Donne senza età e senza tacchi.

Sestri Ponente di Attilio.
Corse scalze e primo idillio.
Sestri Ponente di mia madre.
Odore di latte. Cullate nelle strade.

Sestri Ponente dei miei nonni.
Arrivi e partenze senza sonni.
Sestri Ponente del Monte Gazzo.
Madonna e calce diventata un razzo.

Sestri Ponente della mia Anna.
Via Travi. I trogoli. Voglia di panna.
Sestri Ponente di piazza della Chiesa.
Il circolo della musica. Corse per la spesa.

Sestri Ponente delle vasche.
Avanti e indietro con le stesse tasche.
Sestri Ponente della Costa.
Case bianche e niente posta.

Sestri Ponente di mia sorella.
Con Gabriella ha trovato una gemella.
Sestri Ponente di mia zia Mariuccia.
Ravioli. Sughi. Mentuccia.

Sestri Ponente di via Biancheri.
Una sbira e da Berretta per due bicchieri.
Sestri Ponente di Via Vigna.
Mussa de feru. Farinata con forno a legna.

Sestri Ponente di Sidea.
Bignè. Cavolini, una marea.
Sestri Ponente del puntinetto.
Rinfrescume. Passerella. Vista letto.

Sestri Ponente di Bagnara.
Monti. Saldi. Cagnara.
Sestri Ponente di Fossati.
Colpi di maglio. Fucinati.

Sestri Ponente di Piazza dei Micone
Spazi nuovi per cose buone
Sestri Ponente del Bar Luigi
Sorrisi. Gelati. Caffè. Tè grigi.

Sestri Ponente di via Merano.
Bar Grifone. Cinema Vittoria mano nella mano.
Sestri Ponente di tutti quanti.
Tutti ingegneri e mai santi.

venerdì, gennaio 27, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia – parte decima

Parte decima

Mia mamma Nina. Mia mamma era Angiolina, Nina per tutti. Nina era la terzogenita della famiglia Bovio. La madre era Attilia Vacca - nata a Orsara Bormida nel 1882 e morta nel 1961; il padre -mio nonno- era Pietro Bovio - nato a Cremolino e morto nel 1950. Lui faceva il fornaio. Prima aveva un forno suo a Murta e poi lavorò come dipendente in un forno di Sestri Ponente.
Nina era nata il 16 giugno del 1916, era la penultima di quattro sorelle. Mia mamma Nina era quella rimasta in casa anche dopo sposata. Era rimasta con i genitori in via Casimiro Corradi. I genitori di mio papà Attilio abitavano invece in sciu puntinetto, in via Sestri...allora via Garibaldi. Succedeva spesso di rimanere in famiglia; non solo c'era il problema di riuscire ad avere una casa propria per via delle spese, ma c'era presente anche il concetto di coabitazione per aiutarsi: unire le centolire condividendo l'affitto e il vitto. Quel vitto, il mangiare, sarebbe stato meglio definirlo il digiunare.
Nina sposò Attilio, che era anch'esso il terzogenito della sua famiglia.
Le altre sorelle poi sposate erano andate a vivere chi con i genitori del marito o degli suoceri. Le sorelle di Nina erano Ines, Lina e la più giovane Mariuccia.
La prima, Ines, si sposò con Santiago Rizzo di Pegli, e subito dopo la guerra emigrò con il marito in Argentina a Buenos Aires. Santiago era stato durante il regime un capofabbrica fascista e finita la guerra, caduto il fascismo, per lui non c'era più vita: schernito dagli operai e discriminato nelle relazioni decise di partire per l'estero. In Argentina abitarono a Buenos Aires, zona villa Bosch. Santiago trovò lavoro alla Fiat argentina e la zia Ines aprì un negozio di tabacchi. Ines con Santiago ebbero tre figli: Gianfranco, Franco e Maria Grazia, chiamata Puny. Di loro negli anni persi ogni notizia.
Lina sposò un marittimo: Settimio Fabbiani, ed era considerata la più ricca: il marito in giro per il mondo guadagnava bene e nella sua casa di proprietà a Pegli crebbe tre figli: Maria, Nanni ed Enrico. Nanni ed Enrico aprirono un negozio di macelleria in Via Vianson e poi Nanni da solo una macelleria in via Arrivabene a Sestri.
Mariuccia è stata la sorella più vicina a Nina, è stata lei che con il marito Pilade Rapallo, valente meccanico alla Piaggio di Sestri Ponente, (anche lui deportato e finito a lavorare vicino a Berlino) si prese cura di mia sorella Ines-Amelia, quando Nina si ammalò di TBC, crescendola insieme a sua figlia Gabriella come una propria figlia.
Nina, Angiolina, morì il 2 marzo 1958 all'ospedale Maragliano di Genova San Martino.

Per questa morte prematura mia mamma fu da me angelicata.
Nina per me era il sapore di latte, sapore di buono, sapore dolce, un sapore purtroppo perso; perso da un oblio, perso da un rimosso di un abbandono non celebrato. Mia madre morì a 42 anni, io avevo 12 anni.
Mia mamma morì di tubercolosi, una malattia che me la sottrasse anche prima.

Era nel settembre del 1957. Ricordo che l’ultima volta che vidi mia madre non potei abbracciarla. Che era l’ultima volta non lo percepii subito, lei era malata di un male che faceva paura, era infettivo e segnava profondamente anche la vita dei familiari: la TBC. C’era molta ignoranza a quei tempi e si aveva timore che il contagio avvenisse anche con un bacio.
Io per un lungo tempo mi vergognai di dire che mia mamma era morta di tubercolosi. Quella malattia colpiva soprattutto i poveri, e forse io non volevo far sapere che ero povero. Quei pensieri li ho superati.

Il ricordo di mia mamma è ancora vivo. Mia madre gonfia per una cura cortisonica che proprio in quegli anni si sperimentava e che forse se scoperta prima la avrebbe salvata, era a pochi metri e non potevo toccarla. Quel mancato abbraccio, a ripensarci, mi manca anche a distanza di molti anni. Io lo vivo come una grossa mancanza. Chissà se fossi riuscito a baciarla o stringerla anche solo per poco poi l'avrei ricordata meglio. Sei mesi dopo sarebbe morta. Io lo seppi alcuni mesi più tardi, in un parlatorio di una colonia estiva di Andora.
Era agosto, dopo pochi giorni sarei ritornato a casa per trovare un altro collegio, dove finalmente avrei potuto iscrivermi alle scuole medie. Nel collegio precedente ho dovuto ripetere la quinta elementare poiché, seppur promosso, mio papà non era riuscito a trovare l'iscrizione in un istituto dove avrei potuto continuare la scuola in modo regolare. Fui un ripetente mio malgrado.
Mio papà forse non sapeva come dirmi della morte della mamma e così, come si levasse qualcosa dallo stomaco, una giornata d'estate mi vomitò la frase addosso: 'Devi saperlo, la mamma è morta. Non scriverle più lettere. La mamma non c'è più...'. Fu un momento di sospensione che non si può descrivere. Entrai in un'apnea che preludeva a un grido soffocato pronto far iniziare una serie di singhiozzi. Le mie guance si bagnarono come non mai di lacrime. Eppure avrei dovuto essere preparato a quella notizia. Non ricevetti in quei lunghi 5 mesi nessuna lettera di risposta alle tante mie.
‘Cara mamma io sto bene come spero sia di te…’. Ricordo che così iniziavano tutte le mie lettere speditele. A quelle mie lettere non ebbi nessuna risposta. Avrei dovuto capire che qualcosa non andava. Mia mamma era morta dopo pochissimo tempo da quell’incontro e nessuno aveva avuto il coraggio di avvertirmi. Così io continuavo a scriverle. A scriverle e a sognarla. Ma successe che era entrata in gioco l'intuizione: avevo una specie di strana partecipazione nel rivolgere delle mie preghiere alla Madonna. In vita mia non pregai mai così tanto come in quei cinque mesi. Vedere la statua della Madonna a fianco all'altare, era in un certo senso vedere mia mamma: sovrapponevo a quell'immagine la figura di mia mamma.
Di mia mamma mi rimane soprattutto quel ricordo. Ho delle foto, ma il ricordo vale a scaldarmi il cuore più di ogni cosa. Sappiatelo tutti: i nostri genitori in verità non muoiono; noi portiamo nel nostro corpo i loro geni. Noi siamo la loro continuazione nel bene e nel male. Noi siamo semplici portatori di un testimone che ha impresso un atto d'amore.

Molti anni dopo in un tema in seconda media raccontai quel triste avvenimento. Il tema fu letto dall'insegnate in classe e ricordo che tutti gli alunni, nell'ascoltare quel racconto, piansero.
Sono passati più di 50 anni, una vita: amore, figlia, case e lavori e tante cose la riempiono e la invecchiano, ma quel mancato abbraccio mi fa struggere e mi procura ogni tanto un senso di colpa. Così a volte da collegiale circondato da suore prima e da preti poi, rivedevo spesso mia madre in angoli di muro bianco; la rivedevo in sogni come la madonna, la rivedevo in chiesa cui tra voci di preghiera, confondendo la mia che sussurrava solo: mamma.
'Ma non tirartela da orfano! Sei grande.'. Giusto. Anna con un pizzico di ironia mi richiamava alla realtà. Vero. Non si vive di rimpianti e la vita deve andare avanti.

Seguirà parte undicesima

lunedì, gennaio 23, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia – parte nona

Parte nona

Attilio e Mauthausen. Mio papà non mi raccontò molto della sua permanenza a Mauthausen. Attilio mi raccontò che dopo poco tempo era stato inviato nella vicina città di Linz, e poi nello stesso ospedale della città austriaca: un forte calo della vista lo aveva reso quasi cieco. La debolezza aveva attaccato gli occhi e una miopia già forte si era aggravata. In ospedale aveva ritrovato, con i tre pasti al giorno, la salute. Il riuscire a mangiare era la vera medicina. La fame era diffusa e la ricerca di cibo la costante occupazione quotidiana.
Non c’era altra preoccupazione: salvare la pelle e mettere qualcosa in pancia. Ma era difficile. Una volta mi raccontò, quasi piangendo, il ricordo di quando raccolse alcune mele selvatiche cadute da un albero vicino al campo, un militare tedesco lo voleva uccidere sul posto puntandogli il fucile contro, perché lo considerava un ladro. Per il reato di furto si poteva anche essere uccisi sul posto. Mio padre, pregò e pianse. Fu risparmiato, quel soldato tedesco si impietosì, ma l’orrore di poter essere ucciso per una mela selvatica lo accompagnò per sempre.
Il comandante Mauthausen, Franz Ziereis, era solito accogliere i deportati con questa laconica frase: 'Qui vi è solo un’entrata; l’unica uscita è il camino del forno crematorio'.
Mio papà non mi parlò invece della Scala della morte. Dell'esistenza di questa lo venni a sapere documentandomi da solo e attraverso racconti di altri deportati.
Per raggiungere la cava c'era una scala composta da 186 gradini. Quei 186 gradini furono raccontati in un saggio scritto dal giornalista Christian Bernadac che portava come titolo (Les 186 marches) I 186 gradini. Quei 186 gradini scavati in una parete della cava, poi lungo un sentiero che costeggia l'orlo del dirupo e sale fino sulla cinta della collina, sarà chiamata la scala della morte, la via del sangue e il dirupo il muro dei paracadutisti a scherno delle vittime che le SS e i kapò butteranno giù.
Chissà quante volte Attilio avrà percorso quel tragitto. Lui non me lo disse, ma quando nella sua vita sopraggiungeva il ricordo di quel luogo delle lacrime inumidivano i suoi occhi.
Lo stesso Christian Bernadac scrisse anche un secondo volume dal titolo Il nono cerchio- Mauthausen. In quel libro l'autore descrisse minuziosamente, con l'ausilio di documentazione originale costituita da disposizioni scritte, lettere, circolari del comando SS e testimonianze di reduci, quella che era la vita nel campo e nei sottocampi di Mauthausen, vera e propria fortezza del terrore. Nel libro si legge: 'Fortezza…contemporaneamente fortino e acropoli, muraglie gigantesche. Granito e cemento armato dominanti il Danubio; fili spinati e porcellana intreccianti un’insuperabile rete elettrica di protezione. Sì! La più formidabile cittadella costruita sulla Terra dal Medio Evo. Mauthausen dai 155.000 morti'.
Venni a sapere moltissimi anni dopo da testimonianze da chi era andato a visitare questi luoghi della memoria che in una cella c'era una scritta che diceva: Dio se ci sei dovrai chiederci perdono.

Si calcola che siano passati per il complesso dei Lager dipendenti da Mauthausen circa 230.000 deportati provenienti da tutto il mondo: politici, persone di altre religioni, ebrei, omosessuali, zingari, soldati prigionieri di guerra, criminali comuni. Di questi circa il 50%, ben 122.766 prigionieri, vennero assassinati.
Dall’Italia furono deportati a Mauthausen in oltre 8.000 (dei complessivi 22.204 uomini e 1.514 donne deportati nei campi di sterminio tedeschi): di questi 5.750, ben oltre il 50% non tornarono. I sestrini che vi passarono furono molti.

Ora quei luoghi come Auschwitz, Birkenau, Dachau, ecc. sono diventati luoghi della memoria; santuari del ricordo della sofferenza e della disumanità cui può giungere un uomo. All'interno si viveva la crudeltà come una normalità. Una crudeltà tanto efferata che riusciva ad annichilire un naturale odio o spirito di vendetta. Vittime e carnefici perpetuavano un gioco nel nome di una ideologia che aveva la morte come liberazione.
Passerà circa un anno prima che Attilio fosse nelle condizioni di far ritorno a casa, a Sestri P.. Con un lungo viaggio fatto per la maggior parte a piedi, ritornava a Sestri Ponente.
Fortunatamente rientrarono, con altrettante traversie, anche Mario e Bepin. Tutti abitavano a Sestri e avevano le loro famiglie.
Per leggere l'elenco di tutti i lavoratori Ex Deportati a Mauthausen, il 16 Giugno 1944, rilasciato dalla Prefettura di Genova, cliccare QUI. C'è anche il nome del luogo dove hanno trascorso la prigionia.
7 piatti di minestrone. 7 piatti ne ho mangiati: così ricordava il ritorno a casa e l'incontro con mia mamma e i miei nonni materni. 7 piatti di minestrone, uno dopo l'altro, che non riuscirono a colmare un vuoto, una ferita e una magrezza che, poi solo negli anni '70, raggiunta l'età della pensione con l'adipe e il sottomento ne testimoniarono la fine.
Penso che proprio in quei giorni, appena ritornato e congiuntosi con la moglie Angiolina, fui concepito io. Mi penso frutto di una notte d’amore molto intensa; c’era una fame di sentimenti, di sesso, di alimenti, di vita e di amore fuori del comune. La guerra era appena finita e cosa di meglio festeggiarla con una ubriacatura totale? Dopo nove mesi nascevo io. Era il 2 febbraio del 1946: madonna della candelora…

Attilio, al ritorno dalla Germania, aveva ripreso il suo posto nella San Giorgio e poco alla volta si ristabiliva con il lavoro una normalità sconvolta dalla guerra, dalla miseria, dal dolore di migliaia di morti violente. Ecco, ancora penso agli uomini comuni come Attilio che hanno attraversato quei periodi con una strana inconsapevolezza: avevano pochi anni quando diventarono Figli della Lupa e poi Balilla, conoscendo uno Stato totalitario che si prendeva cura di loro con schemi e riti fissi. L'Italia, in fondo era diventata una Patria da soli 60 anni, e solo in quel periodo la si sentiva presente e unificante.
Spesso ho pensato a quello che videro gli occhi di quelli che hanno vissuto nel periodo in cui i miei genitori avevano vent'anni. Chi ha visto la guerra e poi Auschwitz deve essere invecchiato di colpo. Era come se si tenessero tutti per il collo per non scappare e guardare. Dovevano raccontarlo. Dovevamo vedere anche noi, quelli arrivati dopo. Dovevamo tenere la testa rivolta indietro; ma fu per poco. C'era l'impellenza di guardare avanti. Dovevamo sopravvivere, costruire nuove fantascienze e inebriarci con nuove droghe dai nomi astrusi...
Ora si ha voglia di trovare negli altri dei nuovi barbari, si ha voglia di dire sempre che c’è un Dio solo nostro che ci protegge e ci salva. Si ha voglia, ma non serve. La loro e nostra salvezza forse è passata nel perderci.
D'altronde quel Gott mit uns dovrebbe farci pensare sempre. Quel Dio tirato sempre da una parte miete sempre delle vittime.

Quello che hanno visto quegli uomini in una vita, noi forse non riusciremmo a vederne in cento. Un salto quantico, nella storia millenaria dell’uomo, è divenuta una vertigine. Dai piedi scalzi di mio padre siamo passati ad auto superaccessoriate; dai pastrani invernali, alle microfibre poliuretaniche. Ora viviamo a fianco di uomini che hanno visto la fine della Natura, ora che abbiamo la memoria virtuale, una memoria su disco, e abbiamo la possibilità di richiamarla con il semplice gesto di un dito. Con un click.

Attilio rimase vedovo a 44 anni con due figli (io e mia sorella Amelia -chiamata sempre Ines) e non pensò mai di risposarsi; d'altronde scelse una vita che gli piaceva: compagnie e ribotte. Una vita senza particolari patemi se non di salute: il fumo e qualche bicchiere di vino troppo negli anni si fece sentire.
Attilio è morto il 10 febbraio del 1981. Fu un infarto che lo colse sulle scale di casa. Nonno Angelo Boratto -cui io porto il secondo nome- lavorava in una ferriera a Sestri Ponente i suoi quattro figli lavorarono tutti alla San Giorgio di Sestri Ponente: Bepin, Mario e Aldo come operai meccanici e Attilio come fattorino.
La nonna Rosa Agostini era di Galliera Veneta e Angelo Boratto era di Castelfranco Veneto.

Seguirà parte decima

giovedì, gennaio 19, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia – parte ottava

Parte ottava

Attilio. Mio papà Attilio, molto magro, con una vaga somiglianza ad Harold Lloyd, con due spese lenti a far uscire ancora di più gli occhi grandi per la miopia, era nato il 5 maggio 1914. Terzo di quattro figli maschi Attilio era nato a Sestri Ponente e precisamente sul puntinetto.
Da ragazzo aveva alternato il lavoro di maschera al cinema Italia e di cameriere presso La Grotta, il Ristorante da Relio in via Sestri. Il mitico locale costruito come una grotta con stalattiti prese dalle grotte del monte Gazzo e un laghetto artificiale con dentro una barca. Un luogo pieno di fascino che faceva arrivare anche a Sestri Ponente dei turisti. Fausto Coppi poi andava lì a festeggiare molte vincite di Giri, Tours e di tappa.
Quando nacqui io Attilio era scarno, portava ancora i segni della deportazione in Germania. Insieme a lui furono deportati anche i suoi fratelli Giuseppe (Bepin) e Mario. Si salvò solo Aldo (u piccin) perchè aveva fatto il turno di notte.
Il 16 Giugno 1944 c'era stata una trappola: La San Giorgio, dove lavorava Attilio, fu circondata dai tedeschi e furono rastrellati tutti i lavoratori che, caricati su vagoni porta bestiame, sarebbero stati deportati in Germania; destinazione Mauthausen.
In quel giorno del 16 giugno 1944 il rastrellamento di operai e impiegati interessò molte fabbriche: S.Giorgio, Piaggio, Cantieri Navali Ansaldo e Siac. Era la risposta reazionaria dei fascio-nazisti ai tentati scioperi delle fabbriche di Genova Sestri Ponente e Sampierdarena. Nel primo pomeriggio del 16 giugno 1944 la fabbrica venne accerchiata dalle pattuglie delle S.S. aiutate dai repubblichini. Vennero allora presi molti lavoratori, in totale 1500, che messi insieme furono portati su furgoni a Campi, dove su 2 treni, formati da carri bestiame avvolti di filo spinato, intrapresero un lungo viaggio verso Mauthausen, dove giunsero due giorni dopo: il 18 giugno 1944. Quello fu il viaggio più importante della vita di Attilio e non fu fatto per piacere ma come deportato.
Ricordo ancora quando mio padre diceva: Pensa un po’, se appena arrivati in quel campo di concentramento, si fossero sbagliati ed invece dell’acqua avessero fatto uscire dalle docce il gas? Pensa se avessero collegato i bocchettoni alle bombole di Zyclon B? Non sarei più qua.
-Nemmeno io sarei qua:
rispondevo.
I tedeschi avevano bisogno di manodopera operaia, soprattutto di meccanici per le fabbriche d’armi, e allora dopo una selezione rapida furono tutti smistati per le varie città tedesche. Operai da una parte e impiegati dall'altra. Attilio non serviva, egli era un semplice fattorino e a differenza dei miei zii che erano operai meccanici, rimase nei pressi di quel campo. La sua mansione era picco e pala, ovvero piccone e pala utili a lavorare nella vicina cava di pietra.

Mauthausen era un grazioso villaggio austriaco vicino a Linz nel cuore dell'ampia valle del Danubio. Quella cava di granito di Mauthausen era famosa: da lì si estraevano le pietre, con il lavoro forzato -per conto della ditta Deutsche Erd- und Steinwerke GmbH (Officine Tedesche delle Terre e delle Pietre Società r.l.) chiamata spesso con l'acronimo DEST- che servivano per edificare gli edifici monumentali e di prestigio della Germania nazista. L'importanza di questo Lager, che poi diverrà esclusivamente prigione per lo sterminio dei dissidenti, oppositori del regime ed ebrei, portò alla costruzione di un sottocampo detto di Gusen.

A questo punto mi fa piacere segnalare il diario del genovese Mario Magonio: un deportato che lavorava ai Cantieri Navali Ansaldo di Sestri Ponente. Leggendo quel diario si comprende molto di quanto successe ai deportati. Il diario di guerra di Mario Magonio è stato pubblicato da suo figlio Alberto sul web nel 2002. Cliccando qui potrete leggerlo.
Scrive il figlio Alberto nella presentazione: E' un diario di vita quotidiana, di piccole cose e di grandi sofferenze, non è un romanzo di grandi eroismi, non è un tragedia teatrale, è la storia di un' uomo che, come altri milioni di suoi simili, è stato travolto da una guerra che non ha voluto, che non ha capito e non ha saputo contrastare.
Proprio così. Penso che la stessa cosa riguardi anche mio padre. Nel racconto giornaliero di Mario Magonio ci sono riportate le vicissitudini di tanti sestrini. Nel riquadro finale ci sono elencati dei nomi citati nel diario; di sestrini troviamo i seguenti cognomi: Benatti, Consigliere, Desana, Magliochetti, Murta e Roba. Sicuramente molti sestrini sono stati dimenticati o solo sfiorati dalla evocazione presente nel diario.
Leggendo il diario di Mario Magonio ho un quadro di quanto successe ai miei due zii: Bepin e Mario, due meccanici della San Giorgio- deportati insieme a mio papà. Magonio ad esempio finì in una fabbrica alla periferia di Berlino e assistette all'ingresso dell'Armata Rossa nella città. Anche Bepin e Mario furono mandati come 'lavoratori coatti' in altre fabbriche tedesche.
Io ho avuto l'occasione di di conoscere Mario Magonio in età avanzata: era un uomo piccolo con due occhi attenti e uno spirito sempre pronto alla battuta; so che ha vissuto fino a 100 anni di età. Era nato a Genova nel 1919 ed è morto nel 2009. Appassionato di marionette seguirà nel tempo libero fino alla morte il suo Teatro dei Burattini. Sarà un marionettista e sceneggiatore che riportò in vita la maschera genovese di Baciccia.

Un altro diario sulla deportazione a Mauthausen che tratteggia in presa diretta la bruttura della Seconda Guerra Mondiale e di tutto quello che ne è conseguito è pubblicato dall'editore genovese Chinaski. Il diario è stato scritto dall'operaio genovese Orlando Bianconi che in quel fatidico 16 giugno lavorava come elettricista alla Piaggio di Sestri Ponente. Due narrazioni fatte da due operai che avevano -come scrisse il sindacalista sociologo Paolo Arvati nel commemorare Orlando Bianconi- 'Mestiere, orgoglio professionale, coscienza fiera, indipendenza intellettuale. L’operaio medio genovese è infatti adulto, istruito, ad elevata qualificazione professionale: tratti molto nitidi di un soggetto sociale forte, capace di esprimere autonomamente valori e culture'.

l'11 marzo di quello stesso anno ci fu il bombardamento in via Pola nella val Varenna-sopra Pegli-; quindi poco distante da Sestri Ponente, avvenne che un aereo alleato, un 'piper', sganciò tre bombe per colpire un presidio tedesco che si era installato, in località Tre Ponti, nell’edificio in precedenza occupato dalla scuola. Due bombe colpirono invece un caseggiato procurando la morte di 16 vittime civili, tra questi un bimbo di solo un anno e alcuni feriti gravi. La terza bomba rimase inesplosa e fu fatta brillare alcuni giorni dopo. Questo fatto doloroso fu uno dei più tragici sofferti dalla città di Genova durante la guerra. Mio papà mi parlò spesso di questo aereo che veniva chiamato da tutti 'Pipetto'. Questo aereo girava di notte e per questo bisognava oscurare tutte le finestre. Evidentemente in quel caseggiato colpito qualche luce trapelò all'esterno.
Anche se per me era una cosa non vissuta mio papà spesso mi ripeteva:
'Smortâ a lûxe chi l'arîa Pipetto!'- 'Spegni la luce che arriva Pipetto!'.
Ecco oggi potremo dividerci tra chi ha sentito arrivare Pipetto e chi no!

Seguirà parte nona

lunedì, gennaio 16, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia – parte settima

Parte settima

Abbiamo parlato dei personaggi sestrini ma non dell'associazionismo. Le associazioni sestrine sono un ulteriore segnale della vitalità di questo antico Comune. Genova a dire il vero è una delle città italiane che ha un altissimo numero di associazioni che investono tematiche tra le più varie; vanno dagli appassionati di ciclotappi e raccolta di lattine fino ai fans club più esclusivi. Sestri Ponente è per numero di associazioni storiche forse il Municipio più vivace.
Al primo posto va messa la Pubblica Assistenza Croce Verde Sestri Ponente che è un'associazione di volontariato (ONLUS) nata nel 1903 con la sede in via Gian Giacomo Cavalli 5. La sua storia è lunga e non c'è sestrino che non si sia rivolto a lei in qualche momento della vita.
L'Unione Sportiva Sestri Ponente, una società polisportiva nata nel 1897. Molti dei propri atleti hanno partecipato a diverse Olimpiadi e in un paio di occasioni sono arrivati anche alle medaglie d'oro.
La Fratellanza Sportiva Sestrese Calcio, fondata nel 1919, è la nostra squadra verdestellata. Con alti e bassi è sempre riuscita ad infiammare i tifosi sestrini. Ricordo tante partite viste sulle spalle di mio papà nel vecchio campo sportivo di via Chiaravagna.
L'UCAM - Unione Camminatori Amici della Montagna, fondata nel 1930. E' stata creata per chi ha il piacere di camminare sui monti e soprattutto tra l'aria pulita. Negli anni poi si sono aggiunti sciatori e ciclisti. La sede è in via Ciro Menotti 25 A. Qui è presente anche l'associazione: Coro Monti Liguri. Per gli amanti dei cori della montagna...
Per Sestri Ponente vanno ricordate, o meglio non dimenticate, inoltre l'Università Popolare Sestrese nata nel 1907 e che si proponeva di accompagnare, insieme alle conquiste tecniche delle fabbriche -che sempre più si insediavano nel territorio- anche l’elevazione morale e culturale dei lavoratori. Questo sodalizio ha voluto e gestisce l'Osservatorio Astronomico di Genova alle pendici del Monte Gazzo.
La Filarmonica Sestrese, fondata nel 1845 è stata la prima banda musicale ad eseguire l'Inno d'Italia scritto da Mameli. La Filarmonica Sestrese è una delle più importanti associazioni italiane in campo musicale e nel campo della cultura e della solidarietà sociale della città di Genova.

C.N.G.E.I. Corpo Nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici Italiane- Gruppo Genova 5 in Via Priano 3- all'interno del Parco Pubblico Aleadro Longhi presso una antica villa ora Centro Poliassociativo (Villa Brignole, esattamente davanti all’entrata superiore dell’ITIS Calvino e delle piscine di Borzoli). Questa è l'associazione degli scout laici nata intorno al 1915. Lo scoutismo è un movimento educativo attivo da più di cento anni, nato dall'idea di Robert Baden Powell, in Inghilterra, nel 1907. Il Gruppo 5 raccoglie i giovani del ponente ed è attivo dal 1984
Nello stesso edificio di Villa Brignole – al secondo piano- è presente anche l'associazione ONLUS Amici del Chiaravagna, che dal 1987 si impegna a difendere l'ambiente e a promuovere il rispetto del territorio, del lavoro e della salute. Dobbiamo ricordare che con il torrente Chiaravagna, Sestri otteneva il triste primato di avere il corso d'acqua più inquinato d'Italia. Il percolato della discarica di Scarpino andava a finire nel Chiaravagna attraverso il suo affluente Cassinelle.
Altre associazioni da ricordare sono: la Bocciofila Sestrese in via Chiaravagna 107. Una delle bocciofile che resistono e capace di organizzare anche eventi ricreativi; la Società Ciclistica Sestri Ponente in via Vigna 45, nata nel 1992 a rinverdire la passione per il ciclismo sestrino, che ha visto Fausto Coppi tra i suoi concittadini.
I Pagliacci della Lanterna in Viale Ermelinda Rigon 4. Nel solco di Patch Adams, portano sorrisi e solidarietà dove c'è disagio e difficoltà.
Il Museo Gipsoteca Studio Venzano in via Stefano Jacini 4-6. Qui sono raccolti i modelli in gesso di quasi tutte e opere importanti dello scultore Luigi Venzano.

Alcune curiosità: possiamo affermare che in tutta la città di Genova c'è una parte di Sestri Ponente ed è nella calce che è stata prelevata dal monte Gazzo.
Il monte Gazzo alto 419 mt. che è la sede del santuario della Madonna della Misericordia, una volta era ricoperto di una ricca vegetazione formata da lecci e pini marittimi, è diventato sede di molte cave di pietrisco per ricavare la calce...una calce a detta degli esperti buonissima. Da quelle cave hanno ricavato la calce utile a intonacare tutti i palazzi di Genova e non solo.
Ora il monte Gazzo appare un torsolo di mela rosicchiata.
Il monte Gazzo offre con il suo Museo Speleologico, attiguo al Santuario, molte curiosità; una davvero singolare è la tigre con i denti a sciabola. Interessante anche la galleria di ex-voto. Un invito a visitarlo anche ai non sestrini.

Da bambino mio zio Pilade -il marito di mia zia Mariuccia- mi raccontava una storia sulla statua della Madonna del Gazzo che per quanto assurda io la credevo vera. Mi raccontava che quella statua un tempo non era molto alta; non era come la vediamo ora alta 5 metri, dentro quella cappella che pare non riesca più a contenerla, ma molto più piccola. La sua crescita era dovuta non a un miracolo, ma semplicemente alle ripetute imbiancature succedute in molti anni.
Ti vèddi a Madònna du Gazzu a crèsce de un cìtto l'ànnu pe e man de pitûa che sun costrèiti a dâghe. Pe o smog a diventâ sempre ciù nèigra.
Una leggenda che non so quanti altri sestrini l'abbiano sentita.
Quella Madonna, opera dello scultore savonese Antonio Brilla, è visibile da tutta Sestri.

Seguirà parte ottava

venerdì, gennaio 13, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia – parte sesta

Parte sesta

In ogni comunità, paese, gruppo ecc. esistono personaggi che caratterizzano la vita che vi scorre all'interno. Sono persone che alimentano storie e a loro volta ce le fanno rammentare come elementi di continuità tra l'oggi e il passato.
Il mondo cambia si trasforma ma finché esisterà, ad esempio, il matto del paese, quel paese esisterà per tutti.
A Sestri Ponente abbiamo -come Hollywood- anche una Walk of fame, ovvero un 'cammino dei famosi'. Si tratta di Via Biancheri, la via dei portici sotto i quali, per iniziativa di Attilio Canneva (un personaggio anche lui) sono state affisse 48 formelle -una per colonna- che ricordano i sestrini 'famosi'.
Su YOUTUBE è possibile vedere un video dove lo stesso Attilio Canneva illustra il suo progetto.
Mi fa piacere ricordare qui alcuni di quelli menzionati nelle formelle di ardesia e terracotta che, come scrive Vito Elio Petrucci nella prefazione del libro sempre di Attilio Canneva, Noiätri -Personaggi sestrini del passato-, erano gente comune che hanno dato alla gente comune il coraggio di essere gente comune.

Luigi O Scultô, (Luigi Venzano 1885-1962) scultore e grande artista di Sestri Ponente: sue le statue che compongono il Monumento ai Caduti di Sestri Ponente in Piazza Monte Santo. Suoi anche molti lavori artistici nel Cimitero Monumentale di Staglieno, oltre che del cimitero I Pini Storti.
Rina di motti, (Caterina De Negri 1880-1978) venditrice di dolci in via Paglia (caröggio largo).
O sciô Diego, (Diego Bagnara 1900-1985) figlio di Giglio che si poteva incontrare sempre in giro per il negozio. Diego Bagnara era conosciutissimo anche come sportivo di primo piano.
O Celesia, (Federico Celesia 1884-1974) Il sinonimo di tassista per Sestri Ponente. La sua famiglia aveva iniziato con i tranvaietti tirati dai cavalli.
Marinin de Zena, (Teresa Castello 1875-1947)guaritrice, pranoterapeuta, esperta in medicamenti era riconosciuta non solo a Sestri. La sua specialità era aggiustare le storte.
O Lorenzini, (Cesare Lorenzini (1895-1982) simpaticissimo ciclista con il negozio-officina di biciclette in via Puccini. Chi in tutta Genova aveva la passione della bicicletta lo conosceva: un meccanico-ciclista veramente bravo.

Quindi non matti ma sestrini riconosciuti in ruoli che li hanno resi famosi. Anche in questo caso si tratta di ruoli innescati in un corpo vivo come cunei di linfa. Ecco, oggi è difficile nella nostra società globalizzata trovare quei ruoli. Chissà se il ricordarli aiuterà a non perderci; a risentirci gente comune tra i comuni.
In questa schiera di famosi io aggiungerei Ines Boffardi (1919-2014) che di Sestri Ponente fu protagonista per oltre mezzo secolo. Proveniente da una famiglia d’operai, decima di undici figli, ha sempre lavorato nella sua veste pubblica a contatto con la realtà quotidiana della sua gente. A Sestri ha risieduto per oltre 65 anni in una casa d'affitto in via Casati. Non aveva mai dimenticato la sua origine poverissima. E' stata partigiana e democristiana che nella rossa Sestri era stimata da tutti. Molti si rivolgevano a lei per ottenere aiuti e lei non dimenticava nessuno. Il presidente Sandro Pertini la chiamava 'Passionaria' e lei per Sestri lo era davvero.
Saputo che le colonne dei portici di via Biancheri sono 52 ci sarebbe proprio lo spazio per 4 personaggi...oltre che alla passionaria Ines io aggiungerei anche Fernando Botta- Hermes; un altro potrebbe essere Luigi Carbone uno dei Mille di Garibaldi nato Sestri Ponente il 20 giugno 1837, morto nel 1913. Fu un costruttore navale. Per finire ci sarebbe una figura di sindacalista anomalo, ma sicuramente uno degli uomini che più ha segnato il cambiamento del Ponente, quello che ha avuto come punto di svolta lo spegnimento dell'ultimo altoforno Ilva: Franco Sartori. Nato nel 1941 a Sestri Ponente è morto nel 1996. Franco Sartori fu il primo ad aprire il dialogo con le donne di Cornigliano, a colloquiare con i comitati, a parlare di rapporto tra ambiente e lavoro, in tempi nei quali in fabbrica chi si allontanava dalla difesa della lotta di classe era visto quasi come un traditore.

Quanto a me al Secolo XIX iniziai negli anni '90 anche a collaborare scrivendo e divenni giornalista pubblicista. Con l'avvento del web ci fu la possibilità poi di collaborare a diversi webmagazine – riviste su internet.
Con il prepensionamento dovuto al rinnovamento tecnologico divenni collaboratore di diverse case editrici e dopo aver presentato centinaia di libri e i loro autori pensai di scriverne qualcuno anch'io. Tutto naturalmente con l'intento del divertissement.
Sestri Ponente l'avevo abbandonata per il lavoro agli inizi degli anni '70. Mi capitò poi di passarci per andare al Centro Stampa di Multedo -dove Il Secolo XIX aveva costruito il suo nuovo stabilimento- o per andare trovare mia sorella o gli zii rimasti. Ma Sestri, come d'altronde tutto il mondo stava cambiando.
Pensate che vortice di cambiamenti è diventato il mondo. Questo centro Stampa di Multedo è durato solo 15 anni per poi essere abbandonato per un altro più nuovo (per la stampa a colori) a Bolzaneto; che dopo altri 15 anni è stato dismesso lasciando a casa molti poligrafici. Un vero peccato!
Una volta mi ritrovai nella libreria, allestita nel palazzo di Giglio Bagnara, per la presentazione del libro dell'amico Bruno Morchio, Rossoamaro. Un romanzo che ha e aveva per protagonista, insieme all'investigatore privato Bacci Pagano, Sestri Ponente. Là si muoveva una storia che saltava dal presente al 1944: un racconto avvincente che vedeva all'azione sigaraie, operai, partigiani, tedeschi...ma soprattutto luoghi che facevano sentire l'anima di Sestri. Nel leggerne alcuni brani mi commossi. Da una finestra vedevo dritto via Casimiro Corradi e un po' devo dire che uno struggimento particolare mi assalì. Ma là non c'era più nessuno da evocare...là c'era altra vita, c'era un altro mondo.
Sestri non era e non è più quella dei miei ricordi. La nostalgia non può cambiare nulla ed è giusto così.

Ci fu un momento che io e Anna decidemmo di acquistare casa. Pensammo subito a Sestri Ponente. La trovammo in via Sestri sul puntinetto...ironia della sorte era lo stesso caseggiato dove era nato mio papà e sul portone un citofono recava ancora il nome della sua famiglia: Boratto. Era un segno del destino? Il destino però mi aveva riservato qualcosa d'altro e oggi ne sono felice. Quell'appartamento non aveva il terrazzo di proprietà come mi era stato detto dall'agente immobiliare. Per me il terrazzo era importante. Una telefonata di una persona che non conoscevo mi aveva avvertito dell'inghippo un giorno prima della firma del preliminare d'acquisto. Pensai fosse stata l'anima di mio papà che mi fece avvertire. L'acquisto fu bloccato. Comprammo poi un appartamento in Carignano dove abito ancora: fu l'affare più importante della mia vita...avevo mancato il ritorno a Sestri e una fregatura. Meglio così.

Seguirà parte settima

martedì, gennaio 10, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia – parte quinta

Parte quinta

A Sestri Ponente oltre che per fare le vasche molti giovani e non solo vi arrivavano per i suoi rinomati negozi e per andare al cinema.
Oltre Giglio Bagnara, che rimaneva non solo per Sestri un punto d'eccellenza, (anche se è notizia di questi giorni la sua entrata in crisi) c'erano altri buoni negozi d'abbigliamento e sartorie. Negozi d'abbigliamento che formavano con altri, un centro commerciale assai ricco di proposte di ogni tipo. Per descriverli ed elencarli servirebbe un capitolo a sé. Nella realtà attuale sono pochi i negozi sopravvissuti negli anni e che oggi si potrebbero definire storici.
Potremmo dire che a Sestri Ponente c'erano le donne più eleganti di tutta la grande Genova. Le vasche di una volta rappresentavano anche una sorta di passerella.


Guardate queste donne di Sestri Ponente ad una manifestazione di molti anni fa come erano eleganti!

Per Giglio Bagnara bisognerebbe aprire una parentesi.
A Sestri Giglio Bagnara è un'istituzione. Quello che divenne il più importante negozio tessile e di abbigliamento di Genova deve la sua fortuna all'idea di far credito alle famiglie operaie con una formula chiamata monte. Giglio Bagnara dava la possibilità di pagare ratealmente gli acquisti concedendo appunto un monte: un credito di tot. Lire, che ogni famiglia poteva saldare senza interessi ma soprattutto sulla 'parola'. Per ottenerlo bastava la parola e la garanzia di qualche dipendente o vecchio cliente...
Si può dire che tutti a Sestri Ponente avessero il 'monte' presso Giglio Bagnara. Anche la mia famiglia l'aveva e non si estingueva mai; ad ogni stagione il monte veniva rinnovato con nuovi acquisti e così di mese in mese e di anno in anno si continuava a pagare secondo le possibilità.
Quello che era nato per andare incontro ai lavoratori delle fabbriche sestresi si era rivelato per Giglio Bagnara un grande meccanismo di fidelizzazione commerciale e riserva finanziaria. Pochi alla fine risultavano quelli che non pagavano: la parola e l'onore famigliare in quei casi erano sacri.
Il monte a nome Boratto lo estinse mio papà negli anni '70. Nel frattempo Bagnara era diventato una rivendita di 'griffe'. Le mie ultime visite erano riservate ai saldi. Precisamente ai saldi dei saldi. Una occasione per venire a Sestri anche per me.
Una curiosità: l'azienda di Bagnara nasceva come fabbrica di cappelli ad opera di Angelo Bagnara in via Paglia e come dipendente vi lavorò per 4 anni Giuseppe Borsalino, il fondatore dell’azienda di Alessandria che ancora oggi in tutto il mondo è sinonimo indiscusso di cappello elegante.

Torniamo ai cinema. Le sale dove si proiettavano film a Sestri Ponente erano tante. Possiamo ricordare: il cinema Teatro Verdi, il cinema Teatro Roma (famoso anche per il suo tetto apribile), il cinema Splendor (che fu il primo a trasmettere due spettacoli al prezzo di uno), il cinema Vittoria, il cinema Italia (che aveva uno spazio per l'arena estiva), il cinema parrocchiale San Giovanni Battista e il cinema Sangiorgio (nella struttura della scuola Calcinara- dove c'era anche il circolo dopolavoro della San Giorgio). Per le cosiddette delegazioni forse il più alto numero di sale.

Parlando di cinema posso dire che per me, come per moltissimi della mia generazione, questa forma di spettacolo-passatempo ha avuto una forte valenza culturale formativa. Insomma era il cinema che dettava mode, costumi, miti e sogni. Anticipava la televisione con minor impatto sociale.
Io ad esempio conobbi e ritrovai il clima della Resistenza e del dopoguerra attraverso alcuni film denominati in seguito della scuola neorealista. Erano film diretti da Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Giuseppe De Santis, Luchino Visconti, Carlo Lizzani, Pietro Germi e Renato Castellani...essendo piccolo non potevo comprendere quello che accadeva intorno a me e devo dire che quel cinema fece un'ottima operazione di memoria storica.
I film che mi rimasero impressi e che vidi ad un'età cui potevo comprendere furono: Roma città aperta, Ladri di biciclette, Paisà, Sciuscià, La Ciociara, Germania anno zero, Achtung! Banditi!, Il cammino della speranza, Riso amaro, La terra trema, E' primavera...
Vedere quei film era stato anche il modo per conoscere le atmosfere, i sentimenti che avevano attraversato mio papà Attilio e mia mamma Angiolina. I miei genitori.

Quei film da me citati, lessi dopo su riviste specializzate, furono pietre miliari per l'intera storia del cinema. Erano film fatti in povertà di mezzi finanziari, ma che raccontavano come nessun altro mai aveva fatto una condizione umana nei sentimenti più genuini. I protagonisti erano poi gente comune; gente come si poteva incontrare in ogni strada
Per me poi si aggiungeva il cinema americano, che più di ogni altra propaganda indicava un sogno e una via, difficile da sradicare dalla mente. La cultura che emergeva era quella degli USA (proprio là il cinema era diventato una industria, e seppur riconosciuto per la propaganda proprio dal fascismo l'arma più forte, fu dagli statunitensi reso il più formidabile mezzo di indirizzo ideologico. Il cinema in generale per me poi è stato un elemento importante della mia formazione culturale. Mentre si parlava di egemonia culturale comunista e socialista, il cinema era senz'altro il mezzo per far passare le ideologie filo occidentali in contrapposizione al blocco filo sovietico rappresentato dall'URSS.
Chi non si immedesimava nei vari personaggi (quasi sempre positivi) interpretati da Clark Gable, Glenn Ford, Marlon Brando, Paul Newman, Gregory Peck, Montgomery Clift, John Wayne? Erano gli eroi che entravano nella nostra quotidianità attraverso il mezzo di divertimento più diffuso. Migliaia di sale cinematografiche inghiottivano milioni di italiani regalando come un passatempo anche un'idea di vita e di mondo possibile.


Locandina originale del film: Il buio oltre la siepe

Seguirà parte sesta

sabato, gennaio 07, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia – parte quarta

Parte quarta

Quegli anni '70 non furono solo terrorismo, per me ci fu l'incontro con Anna, l'amore vero e la nascita di mia figlia Chiara, la gioia. In quegli anni cambiai lavoro o meglio lasciai il mestiere di litografo: l'azienda grafica editoriale dove lavoravo si era trasferita da Mura di Santa Chiara in Carignano a Recco -Avegno. Un conto era fare il viaggio da Sestri Ponente a Genova, ma da Genova a Recco no! Per essere più vicino al lavoro avevo trovato in affitto un appartamento in viale Aspromonte...che distava circa 100 metri dall'azienda che produceva Lo Scolaro e bellissimi libri sulla città di Genova, le sue valli e i suoi forti.
Anche se molti mi invitavano a non lasciare quel posto di lavoro, che era una delle aziende grafiche più importanti della città, io preferii licenziarmi. Feci allora domanda per entrare a Il Secolo XIX. Fui assunto come cambio per sostituire chi lavorava di notte su una rotativa che faceva un rumore infernale...vigeva la legge di anzianità e le mansioni nell'organico di macchina prevedevano gli ultimi arrivati a spingere le bobine sulle benne...io ero a spingere le bobine.
La sede de Il SecoloXIX era in via Varese a due passi dalla stazione Brignole. Per me un posto vicino a casa e soprattutto pagato meglio.

Quel lavoro di notte durò circa due-tre anni e poi feci la richiesta per entrare nella squadra tecnica. Un rinnovamento tecnologico senza precedenti stava investendo la produzione dei giornali. Nel giornale seguì la rivoluzione informatica: sparì il piombo, sostituirono le linotype con delle tastiere munite di schermo (videoterminali) e attraverso l'elettronica, i computer e i programmi software cosiddetti wordprocessor, avvenne la grande trasformazione dei media- i mezzi di comunicazione. Si era imboccata una strada di non ritorno, il mondo subì una accelerazione vorticosa che con l'avvento di internet non è ancora cessata.
Lo constatammo passando dalla '500 (di cilindrata) alla "1200" in un crescendo di comfort e velocità. Oggi sembriamo tutti più ricchi ma siamo più nevrotici; siamo più longevi, ma più malati. Oggi appariamo tutti più giovani levando a quelli veri la possibilità di vivere la loro età... ma ancora avremo degli abbracci mancati, ancora avremo delle gioie di nome Chiara e soprattutto riusciremo con le lacrime e l'allegria a scoprire l'amore che si ha già, che per me porta il nome Anna.

Anche la mia Anna è di Sestri Ponente. Abbiamo scoperto di essere di sestrini nel centro di Genova, in un bar di Carignano, dove ci siamo conosciuti e vicino a dove lavoravamo...io presso una casa editrice, lei caposala all'Ospedale Galliera. Lei era nata in via Travi. Lì aveva come me giocato in strada tra i trogoli vicini e via Biancheri...meglio dire da 'i portici'. Sì a Sestri Ponente nessuna via rispettava la toponomastica corrente...Via Garibaldi -diventata poi via Sestri -era semplicemente la via dritta; via Mazzini -diventata via Ciro Menotti -era la parallela. Vico Erminio ad esempio era conosciuto solo come vico Spunciacû; come via Ghiara era vicolo del pappagallo. Non dimentichiamo poi la quarta, l'ottava, erano i nomi delle cooperative edilizie...quelle cooperative che nacquero per prime in Italia proprio a Sestri Ponente. In via Guido Sette ci sono le prime case nate in cooperativa d'Italia. Infatti molte vie riportano i nomi delle cooperative costruttrici come via Libertas, via Concordia, via San Luigi, via Rollino, via Canobbio. Quanti poi sapranno che via Sparta è l'acronimo di Società Per Azioni Rivendita Terreni Appartamenti? Forse è più naturale pensare alla città dell'antica Grecia, alla rivale di Atene.

Anche a Genova negli anni '50, come in molte città italiane, nascevano le coree; in particolare fu proprio a Sestri Ponente che nacque un quartiere che prese il nome di Corea. Quel nome segnalava, per dove venivano costruiti quegli agglomerati periferici, un territorio fatto per accogliere i nuovi immigrati. Quell'appellativo aveva come riferimento distanza, marginalità disagio...ma lì si insediarono e arrivarono quelli che poi sarebbero diventati i nuovi sestrini. Ho sempre pensato che chi sa conservare le sue tradizioni, trasmettendole agli altri faccia diventare del posto anche chi non lo è. E Sestri di cose da insegnare e trasmettere ne aveva tante.
C'era forte un senso di comunità. Era facile trovare solidarietà. Una povertà diffusa rendeva le persone più vicine e questo facilitava ad aiutare chi era in difficoltà. I luoghi di lavoro poi cementavano amicizie. Devo aggiungere che chi mangia e apprezza la cucina del posto con le sue specialità, che per Sestri Ponente sono la Farinata di zucca e il Preboggion, diventa sestrin a tutti gli effetti.
Con la costruzione della Corea, Sestri raggiunse negli anni '70 il suo massimo storico di abitanti: circa 80.000.
In molte città come Milano quegli insediamenti chiamati coree avevano anche una connotazione di abusivo, di irregolare. Per Sestri Ponente bisogna dire che la Corea divenne da subito parte integrante del quartiere e le case che vi furono costruite avevano dei requisiti di buona vivibilità, anche se è facile vedere anche lì molti aspetti speculativi; l'utilizzo intensivo degli spazi. Quella della Corea sestrina fu una speculazione che non raggiunse i livelli che oggi possiamo vedere nelle costruzioni degli anni '60, che hanno deturpato le colline sopra Marassi, Quezzi ecc...via Giglioli, via Fereggiano, via Robino, sono esempi di cementificazione selvaggia. Possiamo anche aggiungere che la Corea di Sestri Ponente non ha il degrado dei quartieri collinari costruiti con l'emergenza casa negli anni '70 come il CEP di Prà, la Diga di Begato o le cosiddette Lavatrici di Pegli-Prà.

Seguirà parte quinta

mercoledì, gennaio 04, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia - Parte terza

Parte terza

Erano iniziati gli anni '60: si passò dal boom economico, per arrivare alla congiuntura; si passò dalla contestazione giovanile per arrivare ai Beatles. Si passò dal Maggio francese del '68 per arrivare all'autunno italiano sindacale del '69 e vennero gli attentati terroristici.
Spartiacque della storia italiana fu una data: 12 dicembre 1969; a Milano fu fatta scoppiare una bomba dentro la Banca Nazionale dell'Agricoltura. Con gli anni '70 uscirono le Brigate Rosse: era il 1974 e si era alla vigilia del referendum per abrogare il divorzio. Proprio a Genova ci fu la prima azione eclatante...qualche tempo prima una banda denominata XXII ottobre assaltava il fattorino portavalori dell'Istituto Autonomo delle Case Popolari (IACP).
Anni bui, anni di piombo.
Ricordo che la notizia della strage alla Banca Nazionale dell'Agricoltura a Milano la appresi dalla televisione all'interno del Bar Grifone in via Merano a Sestri P.
Ogni bar di Sestri era un microcosmo che poteva raccontare la storia di una piccola comunità. Ognuno aveva in comune gli stessi personaggi. Ogni bar a Sestri era poi in fondo una bisca. Non c'erano come oggi le Slot Machine, le Videolottery o i Gratta e Vinci, però il gioco la faceva da padrone anche in quegli anni. Al bar Grifone in via Merano, varia umanità riempiva i due locali. Uno era occupato dal biliardo e anch'esso era banco di scommesse. C'erano i giocatori di altri bar della zona che arrivavano a sfidare i locali, gli indigeni. Si raccontava che qualcuno vivesse di rendita grazie a quello vinto negli incontri. Gli spacconi nostrani diventavano leggende e qualcuno si diceva che avesse vinto anche degli appartamenti. Ma il vero azzardo si svolgeva ai tavoli, dove il poker era il gioco principale. Le carte che non servivano al mazzo da poker formavano le fiche: 50 lire i numeri e 100 lire le figure.
Molti di quei personaggi incontrati lì, li avrei ritrovati leggendo il romanzo di Stefano Benni, Bar Sport.
Ricordo il bar Elena in via Sestri, il bar pasticceria Sidea, dove si poteva incontrare spesso Michele Maisano (il cantante), il bar Luigi, covo dei tifosi della Sestrese, il bar Beretta sotto i portici, il bar Tremate con le sue vetrate liberty, il bar '900 sul puntinetto, il bar Milano...
Molti di quei locali avevano anche la specialità della casa: poteva essere u mâingraiou; a mêxìnn-a, u giàncuamâo particolare o un gianchétto di propria produzione, ecc.

Ma a dire il vero io divenni di più un conoscitore delle trattorie operaie di Sestri Ponente. All'epoca fine anni '60 e inizio anni '70 trattorie operaie a Sestri ce n'erano moltissime. Per la malattia grave che colpì mia mamma (che racconterò più avanti), io fui mandato in collegio a Genova, mentre mia sorella fu affidata ad una zia che aveva già una figlia della stessa età. Lui è un maschio e si arrangerà!: quello era stato il verdetto. Succedeva così che i weekend che avrei potuto trascorrere a casa, finivo per passarli invece dentro alle osterie che mio papà sceglieva a dimora...infatti lui in casa non si era mai cucinato nulla e quindi mi attendeva presso la trattoria di turno per poi andare a casa dopo cena.
Ricordo la prima trattoria era a fianco alla direzione della San Giorgio, le palazzine di Via Manara disegnate da Gino Coppedè -quello del Castello Mackenzie di Genova. Il grande caseggiato di via Siffredi che ospitava la trattoria- dove se ne trovavano addirittura altre due che avremmo frequentato dopo-, era soprannominato il palazzo delle figure e si diceva che lì nacque Alberto Lupo, trasferitosi poi a Pegli. Altre trattorie da me frequentate furono la Bottiglieria di via Giotto; da u Lazzu in via Chiaravagna; da Nestin e dalla Rosa in via Puccini; di altre non ricordo il nome, ma sicuramente una che mi ricordo bene era da Angelo in via Ciro Menotti. Quella trattoria era vicina al negozio di Ferdinando Botta e così spesso mi capitò di averlo seduto al mio tavolo insieme a mio papà. Ciao Hermes, Lo salutava mio papà... io timidamente dicevo solo Ciao Nando. Mio papà lo ricordava con quel sopranome per le sue applaudite performance al Teatro Roma davanti agli alleati. Io invece lo avevo visto esibirsi più modestamente al circo-teatro Fagiolino che stazionava spesso in Piazza Tazzoli, che per tutti era piazza Calabria. Vestito di una calzamaglia nera Botta cantava: Amove fevmati, questa seva non andavtene...

Ferdinando Botta era un raccontatore di barzellette formidabile e a quel tavolo ricordo me ne raccontò tantissime. Mio papà diceva: me racumando Hermes! Stanni bravu.-Ma che bèllo zoênottu che ti ghe Tiliu -rispondeva Botta...
Lui rideva e raccontava. Qui riporto una sua brevissima battuta:
Gioàn zughémmu a ascóndese? Se ti me trovi ti me fe u cû ...se nu ti me trovi sun in cantìnn-a.
Delle tante trattorie e osterie della mia memoria solo due mi pare reggano con successo il tempo: Toe Drûe in Via Carlo Corsi e l'osteria da Zina conosciuta come la Mussa de feru (oggi chiamata C'era una volta...)in via delle Vigne. L'osteria Toe Drûe deve la sua fortuna ad una visita del compianto Veronelli, che segnalata sulla sua guida nel giro di poco tempo si trasformò in un locale alla moda e da trattoria operaia di torte e farinate si trasformò in un luogo da gourmet.
Attraverso gli avventori di quei tavoli delle trattorie di Sestri Ponente che frequentai conobbi molta umanità, in un certo senso anche l'Italia. Erano molti i trasfertisti che giungevano da ogni parte d'Italia per lavorare nei cantieri sestrini. Per me era una specie di viaggiare stando seduto a tavola. Fu un'altra mia scuola.

Seguirà parte quarta

domenica, gennaio 01, 2017

La mia Sestri: una storia nella Storia -Parte Seconda

Parte seconda

La strada intanto in quegli anni '50 era la mia vita. Il libro di Molnar, I ragazzi della via Pal, lo avrei letto molti anni dopo ma li avevo vissuti nella mia strada: via Casimiro Corradi. Quella strada era il mondo, il territorio dove si svolgeva il gioco, per noi ragazzi, la vita. Ginocchia sbucciate, tagli alle braccia, gomiti spellati...Pisciaci sopra, quella era la cura delle ferite. Intanto si pisciava dappertutto, negli angoli di quella strada a segnare, anche noi come gli animali, il territorio ma soprattutto per non perdere tempo a salire in casa e farla in un cesso alla turca: un foro su un piano d'ardesia e sul muro un chiodo dove i ritagli di giornale, "Il Secolo XIX" o "Il Lavoro" acquistavano una dimensione ancora più utile. La merenda veniva gettata giù dalla finestra. Un fischio o un nome urlato, interrompeva il gioco: un panino, condito con aglio olio e sale, fasciato nella carta straccia, cadeva dal cielo; era divorato in un momento tra la fame e il gioco.
I nostri avversari erano quelli di via Paglia. Erano i cattivi. Con quelli si faceva a prionate – lanci di pietre. Ma più spesso erano i rimasugli di ortaggi e cassette di frutta del mercato vicino a diventare le armi di lancio. In gioco c'era come sempre la conservazione degli spazi. Gli stessi spazi stradali dove ognuno svolgeva i suoi giochi: I "giri d'Italia" con le grette, i tappi di gazzosa, chinotto o aranciata. Un po' di stucco a riempire la gretta e sopra appiccicata l'immagine del ciclista. Coppi e Bartali erano i campioni più gettonati ma a Sestri Ponente non c'erano dubbi: tutti per Fausto Coppi che di Sestri Ponente aveva sposato una giovane donna, Bruna Ciampolini. Quante volte mi è capitato di vederlo passare sotto casa...era il Campionissimo: alto e magrissimo.
Secondo le stagioni i disegni fatti col gesso nella strada mutavano: dal Pampano, al Giro; mutavano i giochi dai "4 canti" alla "zuiarda", la trottola di legno, i carretti con i cuscinetti. Si saliva un pezzo di via Gazzo e via Molfino per poi lasciarsi andare giù in discesa...attenti però a girare nel punto giusto per non centrare le porte della Chiesa Metodista che c'era all'angolo di via Fabio da Persico.
Giochi d'antan, giochi persi al cambiamento, giochi in cui la fisicità era sempre presente, consumava ginocchia e scarpe, gomiti e legni. In quel tempo via Casimiro Corradi nella zona a monte era interrotta. Non c'era la scala che portava alle case di Pre Luigi, ma un montetto era il nostro fortino, l'ultimo baluardo della resistenza agli invasori della strada. Strada che comprendendo via Fabio da Persico aveva altri confini: a sud via Paglia a est Piazza Oriani, a ovest invece, come un passaggio a nordovest, ci si addentrava attraverso via Gazzo e via Molfino in Cantarena. Lì tra canneti, lucertoloni, ramarri, gracidii di rane si viveva la dimensione misteriosa ed esotica. Era la mia mitica gea.

Sestri Ponente aveva molti angoli misteriosi...

Mia nonna parlava in piemontese con mia mamma e mio nonno, mio papà parlava in genovese con mia mamma e i suoi parenti; con me parlavano tutti in italiano: se no va male a scuola, dicevano, ma certo non serviva poiché nei miei pensierini scritti a scuola andavo sempre a giocare nella gea e belin, me demuavo tantu.

Ogni giorno si ascoltavano le canzoni alla radio sulla mensola sopra il tavolo in cucina: un tavolo robusto con piano di marmo e incassata la tavola di legno per impastare e il mattarello per stendere la sfoglia. Quella tavola di legno diventava la mia scrivania, posta in basso con la mia seggiolina a fare le aste, le croci, i per: interi quaderni riempiti di geroglifici senza senso. 25 anni dopo mia figlia Chiara scriverà, il primo giorno di scuola, la parola: erba. Impiegherà tutto un pomeriggio e finirà la scritta fuori dal quaderno, ma finalmente in un giorno era nata la parola erba.
Erano gli anni '50, gli anni della ricostruzione, ora mi rimangono delle foto in bianco e nero ad aiutare la mente: la prima comunione, foto di rito con gli abiti della festa, la fascia al braccio e le mani giunte davanti al mobile buono.

Le foto con i giocattoli ed io con il broncio a guardare geloso quello in mano a mia sorella: un parallelepipedo di legno colorato con le ruote. Mia sorella con il fiocco in testa: un bambolotto rosa; una carrozzella, carrozzata tipo auto, sul lungomare di Pegli. Già il lungomare di Pegli: per noi di Sestri P. la riviera iniziava lì, si raggiungeva a piedi e il mare era disponibile a tutti. Pegli era la festa, era l'aria buona, era per il suo particolare microclima l'altra parte di Nervi. Pegli per me era Castelluccio, i bagni Doria, la Pria Pulla. A Pegli si potevano incontrare i turisti venuti da Alessandria, Novi Ligure, da Crema, da Piacenza e Pavia...Pegli era per me i primi amori, ricordo Mariella di Vernasca, provincia di Piacenza: era bastato solo un ballo, una sola serata a farmi sentire innamorato; non c'era stato che un bacio senza lingua, un bacio goffo a bocca aperta ad alitare emozioni. A Pegli c'era la mia compagnia in prevalenza formata da studenti che io, già operaio, frequentavo felice della mia conquistata autonomia a differenza di loro studenti. Uguali avevamo i sogni.
In quegli anni a Pegli, come a Sestri P., come penso ovunque, i ricchi erano quelli che già lo erano; lo era la figlia del dottore, del farmacista, il figlio del tal direttore di stabilimento, del proprietario di 2 negozi in centro da 2 generazioni. Da lì a poco anche i figli degli operai sarebbero diventati dottore; da lì a poco il mondo si trasformò...si entrava negli anni della contestazione e subito dopo nel '68 che in Italia, a differenza dei francesi, venne il '69 e prese il nome di autunno caldo.

seguirà parte terza...