giovedì, dicembre 13, 2007

Il mercato di Palazzo Madama: dal capocomico alla spalla

Marco Travaglio suul'Unità di oggi
Avrei voluto scrivere qualcosa io su questa ennesima telenovela che ci regala il 'nano', la vera anomalia politica italiana che riassume tutta la cattiva classe dirigente. Ma Marco Travaglio è imbattibile e allora posto il suo articolo:
Il supermarket dei senatori che ha innescato l'ennesima accusa di corruzione a Silvio Berlusconi s'inserisce perfettamente nella nuova stagione politica delle «larghe intese», ultimo approdo della commedia all'italiana, a cura di Castellano & Pipolo. Titolo: «Ok il prezzo è giusto» o «Chi vuol esser milionario». Ecco personaggi e interpreti, in ordine di apparizione.
Berlusconi Silvio, il capocomico. Un tempo si comprava Craxi e quello gli faceva due decreti salva-tv più la legge Mammì. Si comprava il giudice Metta e quello gli regalava la Mondadori. I suoi manager si compravano la Guardia di Finanza (a sua insaputa, s'intende) e quella chiudeva un occhio, anzi due sui bilanci del gruppo. E si compravano pure l'avvocato inglese David Mills (senza dirgli nulla, si capisce) perché testimoniasse il falso nei processi a suo carico. Il grande venditore era anche un formidabile compratore: mostrava il libretto degli assegni, diceva «scriva lei la cifra», e di solito funzionava. Ora, per dire com'è ridotto, telefona ad Agostino Saccà perché «sollevi il morale del Capo» sistemandogli certe «attrici» (ieri l'ometto le ha definite «artiste discriminate perché non di sinistra», insomma ideologhe anticomuniste, un po' come quelle che sedevano sulle sue ginocchia nel parco di Villa Certosa). Una, fra l'altro («la Evelina») sarebbe amica di un senatore dell'Unione «che mi può essere utile per far cadere il governo Prodi». E il governo non cade. Allora corteggia e coccola un senatore dell'Oceania, promettendogli un posto nel suo eventuale, prossimo governo (il famoso «sottosegretariato all'Australia»), e la piazza numero 2 nelle liste nazionali di Forza Italia (o come diavolo si chiama adesso) alle presunte elezioni anticipate. Il tutto con la stessa credibilità con cui Totò vendeva la fontana di Trevi all'italoamericano Decio Cavallo, che lui chiamava Caciocavallo. Solo che, diversamente, da Decio Cavallo, il senatore Randazzo non abbocca e lo manda a stendere, inseguito dal povero Cavaliere che gli promette addirittura «un contratto», millanta «ho con me Dini e i suoi» e lo implora in ginocchio: «Mi basta anche solo una piccola assenza...». Poveretto, come s'offre.
Randazzo Nino, l'antagonista. L'uomo che resiste impavido (e inedito) alle profferte del Grande Compratore è un vecchio giornalista italoaustraliano d'altri tempi, che dinanzi ai contratti e alle promesse risponde: «Sono stato eletto col centrosinistra e dunque resto fedele al centrosinistra perché ho una mia moralità». Alla parola «moralità», il Cavaliere chiama Bonaiuti e chiede un dizionario: dev'essere un termine australiano, comunque arcaico. Poi capisce che non c'è nulla da fare: la lunga permanenza all'estero deve aver guastato il senatore, non troppo aggiornato sulle prassi recenti della nostra politica. Affranto per l'affronto, il Cavaliere ripiega sugli italiani doc.
Nick Scavi, il buttadentro. Imprenditore australiano, si materializza alle spalle di Randazzo un giorno che questo sta passeggiando alla galleria Alberto Sordi, a Roma. Da quel momento diventa il suo angelo custode, gentile omaggio del Cavaliere: «Voglio offrirti la possibilità di diventare milionario», gli dice, e pare gli mostri un assegno in bianco accompagnato dalla frase: «Scrivi tu la cifra, fino a 2 milioni». Il suo ruolo è simile a quello delle ragazze buttadentro che accalappiano i giovanotti davanti alle discoteche. Ma Randazzo, tetragono, resiste anche alle sue sirene.
Saccà Agostino, la spalla. Calabrese, giornalista (chi non lo è?), craxiano, poi forzista, poi dalemiano, poi di nuovo forzista («voto Forza Italia come tutta la mia famiglia»), nel 2002 fu l'esecutore materiale dell'editto bulgaro del Capo contro Biagi, Santoro e Luttazzi. Da allora si garantì una serena vecchiaia. Da direttore generale dovettero cacciarlo perché in un anno la sua Rai aveva perso 4 punti di share su Mediaset: sull'onda dell' entusiasmo, era andato anche oltre il mandato. Ma lo sistemarono a Raifiction, una specie di grotta di Alì Babà piena d'oro, che lui amministra da par suo con gli amici degli amici. Ultimamente, mentre partecipava alla campagna acquisti berlusconiana dei senatori e preparava la fiction sul Barbarossa («Bossi non fa che parlarmene», insisteva il Cavaliere), si spacciava per veltroniano: pare che, per essere credibile, pronunciasse solo parole che iniziano con la w: walter, wafer, water, woobinda, wow, woody allen, watussi, wonderbra. Soprattutto wonderbra.
De Gregorio Sergio, il servo furbo. In controtendenza col proliferare in politica di servi sciocchi, il senatore ex socialista, ex forzista, ex democristiano, ex dipietrista, neo forzista ha recuperato la tradizione plautiana del servo furbo. Eletto nel 2006 con l'Italia dei Valori per nobili motivi ideali -un posto da sottosegretario- fu deluso quando non l'ottenne e cominciò a fare la fronda. Intanto fu indagato a Napoli per certi assegni trovati in mano a un contrabbandiere. E cominciò a votare contro la maggioranza che l'aveva eletto. L'improvvisa sintonia programmatica con la Cdl fu corroborata dalla promessa berlusconiana di finanziare la sua associazione Italiani nel mondo con 5 milioni di euro l'anno. Con tanto di contratto spedito via fax e addirittura firmato - scrive Repubblica - dall'ingenuo Bondi.
Fuda Pietro, servitor di due padroni. Calabrese, già forzista, poi margherito, poi numero 2 del Pdm di Loiero, indagato per storie di 'ndrangheta, balzò alle cronache un anno fa per un comma di poche righe che mandava salvi centinaia di pubblici amministratori nei guai con la Corte dei conti per reati contabili. Saccà, suo conterraneo, lo contatta poi riferisce: «Fuda vuol far sapere al Capo che il suo cuore batte sempre a destra, anche se oggi è costretto a stare a sinistra. Ma se gli toccano gli interessi e le cose sue, darà un aiuto al Cavaliere in Parlamento». Ecco, anche Fuda c'ha le cose sue.
P. S. C'è poi da segnalare Fausto Bertinotti che protesta vibratamente con la Procura di Napoli per la «fuga di notizie» e per eventuali «intercettazioni di parlamentari». Speriamo che il Presidente della Camera trovi anche tempo e modo per allarmarsi della compravendita di senatori in corso nell'altro ramo del Parlamento.

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