Erich Fromm e la distruttività umana di Giorgio Boratto
Anche Erich Fromm psicoanalista e filosofo tedesco, come James Hillman -psicoanalista junghiano- ha scandagliato la violenza e distruttività umana con il libro: 'Anatomia della distruttività umana'. Una ricerca che alla luce delle continue guerre che interessano il mondo umano acquista una valenza sempre attuale. Per quanto riguarda l'aggressione e le guerre, questi sono uno dei principali ostacoli al progresso umano.
Gli ambiti scientifici che si palesano nell'analisi sui motivi che fanno agire l'uomo esercitando la violenza e la distruttività umana seguono due strade: la psicologia istintuale comportamentista e la psicoanalisi freudiana. L'invito anche di Erich Fromm, come sostanzialmente quello di James Hillman, è quello di usare il linguaggio dei miti e dei simboli per conoscere e capire la nostra origine primitiva. Il linguaggio simbolico è la caratteristica dell'Uomo; solo l'Uomo è capace di trascendere il proprio linguaggio e a darle una dimensione universale. Nasce con il pensiero la narrazione del Mito che accompagna l'Uomo attraverso migliaia di anni; questo è il tratto comune di tutta l'umanità. Erich Fromm lo spiega nel suo libro: 'Il linguaggio dimenticato' che definisce il linguaggio del mito ed i suoi simboli come lo strumento per conoscere l'inconscio. Una operazione che C.G. Jung fece in modo molto più ampio interessandosi alla varietà dei miti, dei riti e delle religioni.
Nel libro di Eriche Fromm si prende in considerazione la tesi di Konrad Lorenz per cui esiste una distruttività che è geneticamente insita nella natura umana e ha le sue origini nel mondo animale da dove proviene con i suoi istinti, per cui prevale una dimensione comportamentista che a sua volta ha legami con la sfera sociale, culturale e politica. La differenza tra istintivisti e comportamentisti sta che mentre i primi vivono il passato della specie per i secondi vive il presente del suo sistema sociale. Secondo il pensiero di quest'ultimi, il comportamento umano è plasmato esclusivamente dall'influsso dell'ambiente, cioè da fattori sociali e culturali, in opposizione a quelli innati degli istintivisti. Così mentre per gli istintivisti l'Uomo è una macchina che può produrre soltanto schemi ereditati dal passato; per i comportamentisti è una macchina che può produrre soltanto schemi sociali del presente. Istintivismo e comportamentismo hanno una premessa fondamentale in comune: l'uomo non ha una psiche con una struttura e leggi proprie. Qui sta la differenza per cui la psicoanalisi freudiana scandaglia le ragioni della distruttività e le guerre umane. Per la visione freudiana si fa invece riferimento alle due principale pulsioni inconsce: quella dell'Eros e quella di Thanatos ovvero la pulsione vitale e quella di morte. Queste pulsioni inconsce contraddicono in buona parte la teoria di Konrad Lorenz e i suoi caratteri istintivi filogenetici.
Erich Fromm ha passato molto tempo negli USA e sa quindi come la psicologia comportamentista sia stata molto influente in quella cultura americana. La psicologia comportamentista spiegava e risolveva il tutto inserendo i comportamenti umani in un ambito socio-culturale dando alle istituzioni un ruolo fondamentale a quanto avveniva nell'individuo. E' chiaro che si tralasciava con quella psicologia di fare i conti con l'inconscio: la vera causa di ogni atto umano. Tutti e due i campi di indagine hanno risvolti scientifici e se vogliamo illuministici; tendono a trovare positivi riscontri nella risoluzione del problema della distruttività. Sigmund Freud ritiene che aumentare la consapevolezza dei meccanismi inconsci e delle sue forze ritenute quasi invincibile poteva creare un giusto allontanamento della distruttività: 'la dove c'è l'Es ci sia l'Io'. Sigmund Freud fu uno degli ultimi esponenti della filosofia dell'Illuminismo. Credeva sinceramente nella ragione come nell'unica forza che l'uomo possieda, e che sola può salvarlo dalla confusione e dal decadimento. Postulò sinceramente l'esigenza della conoscenza di sé, mettendo a nudo i desideri inconsci dell'uomo.
Ad ogni modo nel suo libro Erich Fromm lamenta come gli antropologi non abbiano indagato molto sulle comunità umane primitive che dimostrano come l'aggressività sia un carattere sociale e non individuale; analizzando circa 30 comunità primitive Fromm ha notato come prevalesse una natura pacifica e la violenza, la crudeltà e l'ostilità siano ridotte al minimo: in quelle società si esalta la vita.
Quindi la guerra è un fatto raro e non dovuto all'interpretazione istintuale: violenza e crudeltà non sono innate. Questo non vuol dire che non siano diffuse e nelle società più moderne. Per Erich Fromm quindi la storia non va confusa con la biologia.
Erich Fromm poi aggiunge al 'terribile amore per la guerra' di James Hillman anche la riflessione che la guerra è una ribellione indiretta contro l'ingiustizia, l'ineguaglianza e la noia che dominano la vita sociale in tempo di pace, e non bisogna sottovalutare il fatto che, se un soldato combatte il nemico per la sua pelle, non deve combattere contro i membri del suo gruppo per avere cibo, cure mediche, riparo, vestiario, che gli vengono forniti da una specie di sistema perversamente socializzato. Il fatto che la guerra abbia queste caratteristiche positive è un triste commento alla nostra civiltà.
In conclusione: l'uomo evolvendo ha la capacità di orientare il proprio sviluppo con l'intelligenza determinando lo schema della sua cultura; questa capacità, che nessun animale possiede, permetterà di abbandonare le guerre. Quindi le guerre ci potranno dire a che punto è la nostra evoluzione. Quanto umanesimo abbiamo raggiunto.

Nessun commento:
Posta un commento