giovedì, gennaio 07, 2016

Maledetti architetti – dal Bauhaus a casa nostra di Tom Wolfe

Tom Wolfe è un saggista, giornalista e scrittore statunitense che ha pubblicato diversi libri. Uno di questi Il falò delle vanità, lo ha reso famoso anche in Italia. Da quest'ultimo libro è stato tratto anche un film di successo.
A me è capitato di leggere ultimamente un suo saggio: Maledetti architetti – dal Bauhaus a casa nostra. Edito nel 1981 e pubblicato in Italia a cura della Bompiani.
Il libro è un phamplet polemico, scritto con ironia e con lo stile inconfondibile di Tom Wolfe, verso l'influenza della corrente cosiddetta razionalista europea nell'archittetura statunitense; quella casa nostra del sottotitolo è ben intesa quella dei nordamericani. L'arrivo negli USA dei componenti il movimento della Bauhaus di Gropius ha fattosì che le universtà, le accademie e i comittenti di costruzioni, si rivolgessero a questi nuovi professionisti architetti per progettare le nuove strutture architettoniche statunitensi. Questo modernismo legato al razionalismo ha permesso di costruire 'nuovi scatoloni di cristallo rivestiti di lastre specchianti in modo da riflettere gli edifici vicini, anch’essi scatoloni di cristallo, e distorcere così quelle noiose linee rette, facendole sembrare curve'.
Tom Wolfe analizza con maestria l'accadere di quella moda e citando nome per nome tutti i vari responsabili ne elenca cause, condizionamenti e vizi.
Dell'autore possiamo leggere:'...il presupposto che in Europa tutto, nel campo dell’arte, fosse fatto meglio: L’artista europeo! Che ammaliante figura! André Breton, Louis Aragon, Jean Cocteau, Tristan Tzara, Picasso, Matisse, Arnold Schoenberg, Paul Valéry… spiccavano, tutti costoro, come bronzeo-dorate statuette di Gustave Miklos sullo sfondo delle fumiganti macerie della Grande Guerra'...
E ancora:'Pure la decadenza era chic: Quei calcinacci, quelle rovine della civiltà d’Europa, erano parte essenziale del quadro. La catasta d’ossami sullo sfondo era, appunto, ciò che dava quel brillante risalto agli avanguardisti. Ovvio che la figura più smagliante di questo Pantheon fosse Walter Gropius, il fondatore del Bauhaus che giunse in America nel ’37 tra gli inchini di tutti, il “Principe d’Argento” secondo Paul Klee, «un trentaseienne snello, dalla semplice ma meticolosa eleganza, dai folti capelli neri, irresistibilmente bello per le donne, corretto e signorile alla maniera classica tedesca, tenente di cavalleria durante la guerra, decorato al valore, una figura emblematica di calma, sicurezza e convinzione, al centro del maelström'.
In breve l'autore Tom Wolfe smonta il mito del Bauhaus sbeffeggiando i vari aderenti a quella scuola che lui chiama 'converticola'. Per l'Europa forse non c'è niente da dire: la semplicità estrema e il razionalismo che proponeva il Bauhaus era dettata dalla ricerca antiborghese e da un funzionalismo che rompeva schemi consolidati.

Negli USA senz'altro i borghesi e i magnati commissionari delle opere, avrebbero voluto nel fondo della loro cultura qualcosa di diverso...ora dopo essere stati abbindolati, con questo saggio di Tom Wolfe a distanza di anni trovano la forza di una critica che non risparmia nessuno.
Bèh, Tom Wolfe usa il sarcasmo anche per descrivere la svolta per un 'ripartire da zero' in Europa dopo la Grande Guerra dove c'era il bisogno di andare incontro ad una classe operaia che otteneva in quel periodo le prime vittorie e conquiste: usciva dalla melma e allora ecco che c'era bisogno di costruire per loro case. Quelle erano allora affidate a degli architetti che non erano più semplici esecutori di ordini di capitalisti, ma artisti al servizio di governi socialdemocratici. Poveri operai, finiti in piccole cubature bianche, beige e grige -senza fronzoli borghesi- raccordate da stretti corridoi.
Ma cosa c'entrava tutto questo negli Stati Uniti? Gli operai non interessavano a nessuno e tantomeno le Case Operaie...perchè importarle? Sotto la dicitura Lo Stile Internazionale due studiosi, Henry-Russel Hitchcock e Philip Johnson, cantarono le opere dei quattro funzionalisti europei: Gropius, Mies van der Rohee, Le Corbusier e Oud, il gioco dell'apertura allo The International Style per far invadere gli USA dai nuovi profeti fu pronto.
In questa critica forte e serrata ecco la demolizione insieme a Gropius e della sua banda, anche di Le Corbusier. Pagine piacevoli da leggere anche per lo stile e l'intelligenza della critica che non scade mai nell'epiteto o nel volgare.
Infine non mancano i profili degli architetti che rilanceranno o meglio dire sposteranno l'asse, dopo l'ubriacatura dello stile europeo, su una strada statunitense: Robert Venturi in prima fila, che fa abbandonare le elite universitarie e fa scoprire una nuova modernità; ma anche i pionieri del ritorno nord americano, gli apostati Frank Lloyd Wright, Bruce Goff, Herbert Greene, Eero Sarinen (finlandese naturalizzato statunitense), Edward Durrel Stone, Morris Lapidus e John Portman...
Per chi è appassionato di storia dell'architettura un libro da non perdere.

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