domenica, febbraio 26, 2006

Ancora sulle radici

Le nostre radici? Sono nelle lasagne al pesto, sono in un bicchiere di barolo, sono nel paesaggio che ci circonda e nella nostra lingua…
Io non ho paura di diventare musulmano, ebreo o mormone; io so di essere italiano e quello che sono me lo dà il vivere e l’esser nato in un determinato ambiente.
C’è una tappa della storia dell’umanità che è nata e vissuta in Italia, si chiama Rinascimento. L’uomo di Vitruvio è diventato il cuore di una cultura che rende più facile ad un musulmano diventare italiano, che un italiano diventare arabo.
Io non ho paura di perdere le radici. E se questa paura me la vuole insegnare uno che ha creato la padania; che ha paura di perdere le sue, nel nome di un dio Po e di riti celtici, io rispondo che non conosce il mare. Dico anche che non conosce Pico della Mirandola ed il suo De hominis digitate; dove si afferma che tutti gli uomini hanno pari dignità indifferentemente dalla religione e dalla politica.
Potrei dire di Dante che mise Maometto all’Inferno, tra i seminatori di discordie, e in eguale misura si potrebbe oggi mettere nello stesso luogo, molti politici; ma li troveremo come lui a dilaniarsi il petto?
Nei vizi e nelle debolezze le nostre radici diventano le stesse, e si fa un gran peccato di superbia definirci cristiani, come sepolcri imbiancati. Allora coltivate un orto e raccogliete i frutti; poi ogni anno concimatelo e ripetete i gesti della semina…quella rinnova radici. Rinnova il futuro di cose antiche. Ecco allora nascere un ‘prebuggiun’, piatto genovese fatto con un mazzo erbe, e si ritrovano le radici. Ma mi sa che in padania non lo sanno.

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