lunedì, luglio 01, 2013

Il mistero dell'aspirina

Una notizia di qualche tempo fa diceva che un'aspirina al giorno, per cinque anni di fila combatte il cancro. Lo studio pubblicato dalla rivista Lancet sosteneva che una assunzione di 75 mg sarebbero in grado di proteggere dalla morte per diverse neoplasie (tra cui quella all'esofago, al polmone, allo stomaco, al pancreas e al cervello) in una percentuale compresa tra il 20 e il 35%. L'aspirina continua a far parlare di sé come un farmaco dalle molteplici applicazioni.
All'inizio, quella che comunemente chiamiamo aspirina era una polvere di corteccia di salice usata per curare la febbre, con la semplice credenza secondo la quale gli ambienti che provocano certe malattie forniscono anche i rimedi naturali per combatterle. L'ambiente in cui crescono i salici è molto umido e quindi facile contrarre in quei luoghi alcune malattie.
L'acido acetilsalicilico è un farmaco tra i più antichi e conosciuti del mondo e il suo successo commerciale è dovuto alla sintetizzazione, ovvero alla resa in forma pura e inalterabile del prodotto. Questa operazione di sintesi fu iniziata nel 1897 ad opera della Bayer, che poi mise in commercio 2 anni dopo con il nome di Aspirina. Il nome aspirina deriva dalla “A” di 'acetil' e dalla 'spir' di Spirsäure, il vecchio nome tedesco dell’acido salicilico.
Inizialmente serviva come antidolorifico, antinfiammatorio e antipiretico, per diminuire la febbre. Con il tempo si è scoperto anche come antiaggregante e fluidificante del sangue, utile a prevenire le trombosi e gli ictus.
Così ogni tanto l'aspirina sale alla ribalta per le sue doti farmacologiche; doti che per la scienza restano ancora un mistero.
Come influisce l'acido salicilico nel nostro organismo? La verità è che ancora si ignora il meccanismo d'azione dell'aspirina. Uno studio ha trovato la capacità dell'acido acetilsalicilico di inibire la sintesi delle prostaglandine: proteine che sono presenti non solo nella prostata ma in molte parti del corpo, soprattutto nel tratto gastrointestinale, nei bronchi, nell'utero, nel cervello e nel sistema cardiovascolare.
John Vane -un biochimico e farmacologo britannico, premio Nobel per la medicina nel 1982- e la sua equipe hanno dimostrato che l'acido acetilsalicilico, l'aspirina, inibisce l'attività dell'enzima che trasforma l'acido arachidonico in prostaglandine. In un certo senso, l'aspirina è la 'nemica stretta' delle prostaglandine bloccandone la sintesi, ossia bloccandole sul nascere. Sostanze chimiche che agiscono sul sistema nervoso centrale fanno sintetizzare le prostaglandine e così si ha la febbre. L'aspirina lo impedisce. Le prostaglandine prendono parte direttamente all'aggregazione delle piastrine, alla vasodilatazione e alla sensibilizzazione dei recettori del dolore. L'aspirina le contrasta sul nascere: ecco perché è un anticoagulante, un antinfiammatorio e un analgesico.

A proposito non pensiate che con il termine prostaglandine, -che si riferisce chiaramente alla ghiandola prostatica, dal fatto che per la prima volta furono individuate nel liquido seminale e pertanto un prodotto della prostata- c'entri solamente il particolare organo sessuale. Dalla testa giù fino all'utero, se siete una donna, le prostaglandine svolgono una miriade di funzioni.
Le prostaglandine sono sostanze ormonosimili derivate dagli acidi grassi essenziali linoleico e linolenico. Ve ne sono di più tipi, le cui funzioni variano a seconda della famiglia di appartenenza.
I principali effetti sul piano fisiologico sono prodotti da quelle di serie 1 e 2 che derivano dai grassi omega 6, il cui capostipite è l'acido linoleico (LA) e da quelle di serie 3 che provengono dai grassi omega 3, il cui capostipite è l'acido linolenico (LNA). Le prostaglandine di prima e terza serie (PGE1 e PGE3) sono vasodilatatrici, regolano la coagulazione, abbassano il colesterolo LDL, aumentano il colesterolo HDL, svolgono azione antinfiammatoria. Le PGE2 hanno l'effetto opposto: causano ritenzione idrica, aggregazione piastrinica, infiammazioni, aumento della pressione sanguigna. Purtroppo oggi queste ultime tendono a prevalere a causa dell'alimentazione attuale sempre più carente di fonti naturali di omega 3. Pesce non di allevamento, semi oleaginosi e microalghe possono sopperire a queste insufficienze.

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