In ricordo di 'Gino' Veronelli
E’ morto Luigi Veronelli giornalista enogastronomo; così titolano i giornali.Per me, suo lettore, dico che è morto un filosofo e scrittore conosciuto; ma questo si sa: collaborò con il filosofo Giovanni Emanuele Bariè e scrisse con Mario Soldati, Gianni Brera, Luigi Carnacina arrivando a pubblicare De Sade, nel 1957, che fu l’ultimo rogo della censura italiana. Ma poi, sempre per me, fu un inventore e fine letterato, direi poeta dei prodotti della terra, in primis vino e olio.
Beh io con Veronelli ho goduto di molte bevute, pur non ubriacandomi mai; certo bevevo le sue parole scritte e con quelle ho gustato mille vini.
Non c’era nessuno come lui che sapesse descrivere i sapori, le tonalità, i profumi, gli afflati, le sensazioni, gli umori appena accennati di un vino o di un piatto di fagioli.
Ecco per chi non lo conosceva, alcuni suoi scorci di scrittura:
“Anni ’50. Gli offiziali e gli enologi giuravano: i vignaioli si sarebbero mutati in operai e le aziende agricole in industrie.
Anche tra i giornalisti ero l’unico, proprio l’unico, a credere nei valori della vigna, dei vignaioli e del vino adatto agli individui e non alle masse. Proprio per dare peso ed importanza al termine, decisi di scrivere vignaiuoli. Quella u avrebbe avuto lo stesso effetto che i baffoni di re Umberto nelle foto 1800…”
Raggiunto lo scopo Veronelli tornerà a scrivere ‘vignaioli’…
“I miei vignaioli d’antan, duri, lividi, con le toppe al culo, umiliati, dicevano al loro vino appena pronto – a bassa voce, come fosse una ragazza in fiore – «la Barbera». Con la stessa emozione del «Ti amo».
In Verona - sia al Vinitaly, sia e ancor più al Critical Wine - si è discusso a lungo dei vini autoctoni. Credo che Giacomo avrebbe consentito e Riccardo consenta con la mia affermazione: essere la Barbera, se accompagnata dalla più puntuale indicazione d’origine, il più autoctono dei vini”.
E poi, l’unica esaltazione dell’ultimo dei vini…il lambrusco.
”Parteciperò – sol mi protegga il santo personale, Bernardino da Siena – con alcune bottiglie di un “mio” Lambrusco psichedelico. I giovani allievi hanno raccolto, l’autunno scorso, per le terre destinate all’ingorgo “autodromale”, le uve dei pochi ceppi individuati qua e là: la cornona, la oliva, l’amabile di Genova, la filucca, l’uva della Quercia, la termarina rossa, l’uva Tosca, la picol ross, la scorza amara, la bisa, la nobel, la viadanese, la marzamino e la sgavetta.
Vinificato al meglio, ne è venuto il più umano tra i vini. Lo bevi. È come se ogni goccia fosse a sé e ti facesse il racconto di piante fatte dimenticare dalla stupidità d’industria.
Ne porterò a casa una bottiglia per berla nel mio grande giardino, al canto del cucù pieno d’aria che pare soffiato in un flauto.”
Il grande Veronelli, Gino, ci mancherà.
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