lunedì, aprile 05, 2004

Un motore della guerra

Una volta le crisi economiche delle nazioni si risolvevano con le guerre; si dichiarava solitamente guerra al vicino e poi finita la carneficina ecco la ricostruzione e insieme la crescita economica. Oggi sembra uguale e il nemico, che non può più essere il vicino di frontiera, eccolo nel musulmano, nell’asiatico o ancora in quello che consideriamo diverso e nemico; poi dopo le devastazioni ecco che ci sarà la ricostruzione con le società multinazionali, le vere vincitrici.
Sembrano spiegati così i cicli della crescita capitalista, dove con il solito diagramma di alti e bassi si perpetua un cammino che chiamiamo progresso ma che in sostanza paghiamo con il regresso spirituale e umano.
In questo percorso poi non devono meravigliare le cadute nel fascismo e nel comunismo che possono essere considerate fenomeni interni alla contraddizione capitalista, in quanto merce o lavoro, progresso o tradizione vengono mitizzati a discapito della centralità umana.
Si può allontanare la condanna capitalista di una crescita attraverso la morte dell’altro? Si può uscire da questa spirale mortuaria? Da questo falso progresso? Dalla mercificazione dei sentimenti, dei sogni, dei desideri? Io penso di sì; io credo che ogni uomo aspiri alla felicità e alla gioia da condividere con gli altri, non sottraendo o rubando ricchezza al prossimo ma ricercandola in noi.
Una crescita diversa è possibile ricordando che il peccato più grande dell’uomo è di invecchiare senza sapere niente di sé.


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