giovedì, settembre 29, 2005

Una manciata di spiccioli

Una manciata di spiccioli. E’ così che bisogna uscire. Ad ogni sorriso di barbone, di accattone che incontro pago pegno. Prima di avvicinarmi a chi chiede l’elemosina rivolgo un sorriso, è una specie di contatto preventivo, un segnale che esistiamo per una stessa vita e se io ora sono pronto a dare qualcosa; lui non ha altro che restituirmi un sorriso.
Prima incontro la fisarmonicista, appostata alla Banca Unicredit; suona imperterrita le stesse musiche da chissà quanto, si capisce che va in automatico. La guardo e lei sorride subito: 1 euro. Poco distante c’è il barbone seduto sotto i portici del Palazzo della Borsa. Non guarda nessuno. Non vede neppure me fermo a osservarlo. Non ha certo voglia di sorridere. Sorrido io. Sarò scemo? Beh 50 cent. sono spesi. In lontananza sento una canzone, è una voce forte e melodiosa; è un’altra donna che canta la malinconia: è forse la sua, ma chi non la riconosce? Un sorriso e un altro euro è andato. In San Lorenzo a intramezzare chi chiede l’elemosina ci sono ‘gli artisti di strada’. Loro sorridono sempre, sono anche lì per questo e nella loro immobilità ci ricordano che si può rallentare il passo, andare più lenti. Per andare dove non vogliamo andare, arriviamo sempre in tempo.
La città è sempre più piena di accattoni: sarà forse il frutto della ricchezza conquistata dagli italiani vantata da Berlusconi? E’ certo che aumenta la miseria; soprattutto si sono persi dei freni inibitori che fermavano i poveri a chiedere sfacciatamente aiuto. Buona parte poi sono professionisti: il guadagno è garantito. E’ sparito da tempo il mendicante sotto il Ponte Monumentale, cui una targa in ottone segnalava che era: ‘cieco e povero’; dicevano che era proprietario di molti appartamenti…ora è stato rimpiazzato da una zingarella che mette in evidenza lo sfacelo degli arti inferiori provocato dalla poliomielite; esempio di come una disgrazia possa diventare un investimento.
Finiti troppo presto gli spiccioli, ogni volta che sorpasso un mendicante, e sono tanti, penso alla mia fortuna. Penso se sarei capace in difficoltà a vincere orgoglio e vergogna. Ma con un sorriso si rompe un muro e nasce una speranza: questa condizione passerà.
Però c’è né alcuni che mi fanno rabbia: sono quei giovani che ti vengono incontro chiedendo ‘una monetina’. Ti muovono davanti un bicchiere di plastica e si capisce che la loro non è una condizione di disagio passeggera, come la gioventù; la loro è una condizione di sfottimento, di scelta di vivere alle tue spalle. Proprio perché sono giovani non mi fanno sorridere; sono quelli che costruiscono il loro futuro su una monetina data dal buon cuore di un passante in cambio di niente.
La gioventù dovrebbe anelare a cambiare, sovvertire il mondo, non a chiedere a questo ‘monetine’.

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