venerdì, marzo 31, 2006

La finanza islamica ci può insegnare...

Un piccolo articolo su Affari e Finanza- il supplemento di La Repubblica del lunedì- di qualche settimana fa, mi ha fatto pensare: però, e se per le banche diventassimo tutti islamici? Se gli interessi venissero considerati usura? Che, malgrado la legge già lo sono, cosa succederebbe? Forse ci sarebbero meno furbetti del quartierino? Ci sarebbero meno ladri? Meno banche padrone di tutto? Senz’altro ci sarebbe un po’ più di moralità e rispetto per il cliente.
Con parole chiare la religione islamica, tramite il Corano, detta i principi di finanza: le fonti di ricchezza -halal- sono il lavoro- amal- e il rischio -mukhatara; il resto è haram, non buono, proibito come l’usura- riba. Così il rischio è l’unica cosa che è permessa come guadagno, e viene condivisa con l’istituzione bancaria. Inoltre si saprebbe che, la banca cui ci affidiamo, rispettando le norme etiche coraniche, non finanzierà allevamenti di carne suina, produzioni di alcool, attività illegali come la pornografia, il tabacco, i giochi d’azzardo e gli armamenti. Un bel programma. Mi dispiacerebbe, a dire il vero, per i salumi, i prosciutti e per il vino, ma per il resto è giusto che ci si arrangi con altre fonti, e non con i soldi di tutti. Alla fine la scelta etica pagherebbe, non è un caso che gli sportelli bancari islamici stanno crescendo.
Però penso che non sia il caso di diventare tutti islamici per ottenere il principio che tutti gli interessi, per bassi che siano, dovrebbero considerarsi usura. Si potrebbe fare normalmente…ma allora vietare l’usura sarebbe la fine del capitalismo? Del libero mercato? Del denaro come merce? Io credo di no; credo potrebbe essere un momento per ritrovare il senso morale dell’economia.
E se tutto il problema fosse proprio in quel non dare valore morale al denaro? Se tutto fosse dovuto all’artificiosa divisione, sostenuta da Adam Smith, tra la sfera privata e quella economica?
L’idea che il perseguimento del benessere individuale genera automaticamente il bene comune, la ‘ricchezza delle nazioni’, era un passaggio alla razionalità quale unica legge per governare il mondo. Ora, come vediamo, l’applicazione della razionalità in ogni campo è irragionevole. L’avvento dell’homo oeconomicus, con la sua ossessione che porta a ridurre tutto a grandezze quantificabili, ha ridotto la felicità al piacere della soddisfazione dei bisogni materiali: il bisogno al quanto si consuma, e tutto questo sulla base del Prodotto Interno Lordo e del denaro. L’applicazione dei principi del Corano, nell’economia bancaria, ci farebbe comprendere la necessità di riportare molte ‘scienze’ matematiche, sociali e umane in quell’alveo di filosofia morale e politica che rappresenta ancora la strada della Phrónesis: della saggezza.

Nessun commento: