domenica, maggio 04, 2003

Provincialismo


Il provincialismo che affligge gli italiani, paesani antichi d'antica fame, si avverte anche nei politici diventati autorità, ministri che lo paiono per grazia ricevuta o meglio per vincita alla lotteria. In questo perfino Napoleone era proprio italiano quando alla sua incoronazione disse, rivolto al fratello: "Se ci vedesse nostro padre!".
D'altronde non si tradiscono le origini e le nostre sono proprio di paese e seppur questo si chiamasse Milano o Torino; non importa: là c'è un rione, c'è una porta che ci conosce tutti, ci sono muri che ci hanno visti nudi. Allora si ha ben voglia di indossare un bel vestito alla moda, quest'ultima potrebbe prescrivere anche una parure di scimmia, ma anche se si mette per rimarcare indifferenza e un tempo che corre oltre, rimaniamo così. Possiamo rimanere come il ministro Umberto Bossi nato a Cassano Magnago, che incarna tutto il provincialismo bieco della pianura e del suo dio Po, il quale propone, forte del suo 3 e qualcosa per cento, di istituzionalizzare il provincialismo.
Così si è provinciali indossando una cultura senza ironia per sentirsi sempre poveri. Poveri e defraudati da un potere malgrado tutto che si incarna senza consapevolezza.
Cambia così l'essere provinciale, quella parvenza di saggezza, con il provincialismo che non tollera problemi di coscienza. Ci si sente moderni abbracciando lo zio d'America o il magnate della nuova Tv; si chiama devolution una riforma per dargli importanza internazionale, ma in fondo si aspira all'antico orticello sotto casa. D'altronde il ministro suddetto è anche membro del parlamento e assemblea padana che ha come presidente Enrico Speroni e giura a Pontida dopo averlo fatto a Roma. Ed io dovrei con questo sentirmi italiano? Certo è che non sono neanche padano.

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