PAROLE GERGALI
Ci sono parole gergali, in specie per i sostantivi genitali, che si sono perse e altre, forse per la potenza d'uso di particolari media, sono divenute voci enciclopediche per significato e puntualità.Ne ricordo due: la prima coniugata (per accidente) al maschile dà "fico" ed indica nel linguaggio corrente il "bello" o meglio ambito (bono per l'occasione), come per il femminile vale per "bella" o meglio buona (bona per la precisione).
L'altra parola in sintesi vale come "cosa" e nel linguaggio discorsivo si sente dire: "Ma che c…vuoi?"; ma se vogliamo, l'oggetto in questione per la sua qualità erettile, nel suo tendere all'alto, per simbologia si eleva a logos, potenza, e si può intendere come "pensiero". Tralascio per quest'ultimo un termine d'origine sicula, distantissimo però, il cui accrescitivo riporta allo stesso senso di stupido o sciocco.
Ora come si può essere arrivati a pensare, nell'incontro tra la "bella" e la "cosa" che è anche pensiero, ad una operazione di pulizia da fare con una scopa? Per carità astenetevi da usare quel termine per indicare la copula. "Fare l'amore" rimane forse il modo più pregnante per indicare il rendez-vouz vitale, dove ognuno rende qualcosa di sé e non spazza via nulla se non l'istinto.
Detto questo dove voglio arrivare? Semplicemente a quello che con splendida sintesi ha detto Zavattini: "Se ghè la figa, Dio al ghè"; se c'è la bellezza c'è Dio. Scusate se qui in fondo la parola che ho cercato di evitare è emersa, ma alla fine con il pensiero più vero, come Cirano: "Io tocco!".
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