Premessa
Mi è capitato di leggere in questi giorni questi scritti che raccontano di me e di Sestri Ponente. Queste brevi memorie le avevo scritte per mia figlia e le nipotine; erano pensieri a margine di un libro fotografico personale che raccoglieva tre generazioni di due famiglie: la mia e quella di mia moglie- tutte e due sestrini.
Ora ho pensato di integrarli con nuove riflessioni ed è scaturito questo racconto che mi piace consegnare -con questo mio blog- ad ipotetici posteri. La raccolta di memorie è molto lacunosa, d'altronde è difficile riportare la nostra storia intima in modo completo. Forse per il lettore è meglio così, sicuramente i suoi ricordi soggettivi riusciranno a definire in modo migliore i periodi trascorsi. Per quelli che non hanno attraversato quello spazio storico temporale rimarrà il racconto utile a conoscere avvenimenti, costumi e pezzi di vita che oggi non ci sono più. Sono cambiati con il mondo.
Prima parte
Io sono nato a Sestri Ponente. Sono nato nel giorno della 'Madonna della Candelora - e un vecchio adagio diceva che- dell'inverno semo fora'. Niente di più sbagliato: in quell'anno faceva un freddo cane. Quel 2 febbraio era un sabato grasso. Era un sabato di festa, eppure di lavoro. Si era appena usciti dalla guerra e le fabbriche lavoravano con ritmi sostenuti e continui: si doveva ricostruire l'Italia. Sestri Ponente, antico Comune genovese a 11 chilometri dal centro città, era considerato insieme a Sampierdarena la Manchester italiana: un agglomerato di fabbriche e industrie tra le più importanti d'Italia.
Sestri Ponente aveva anche un altro appellativo: la Stalingrado italiana; quest'altra nomea era divisa invece con Sesto San Giovanni, nell'hinterland milanese. Sì, a Sestri P. c'era da sempre, insieme alla presenza operaia, una forte coscienza politica di classe: i comunisti rappresentavano, insieme ai socialisti di Nenni, la maggioranza assoluta.
Le sirene avevano suonato anche quel giorno di sabato. A scandire la vita di Sestri P. erano i corni (le sirene) delle 7,30 - 7,45 - 8 -12 -12,30- 13 -14 -18 - 19. Tanti erano i suoni dei corni che segnavano il tempo a Sestri: quelli dei Cantieri Navali, dell'Ansaldo, delle fonderie Multedo, della Nuova San Giorgio, della Marconi, della Piaggio. Il lavoro segnava la ripresa; non era passato neppure un anno dalla fine della guerra, ma pareva già un ricordo lontano. Era sabato grasso a Sestri Ponente; era un sabato di festa: nascevo io.
Ero un primogenito, un progetto, una gioia, ma rappresentavo anche nuove responsabilità, preoccupazioni e sacrifici...
Mi avrebbero chiamato Giorgio. Chissà con quale criterio avevano scelto quel nome. La Nuova San Giorgio era il nome della fabbrica dove lavorava mio padre, chissà se era per omaggiare quel luogo: allora potevo essere benissimo un figlio del lavoro, la ricchezza veniva da lì. La stessa fabbrica con cui forse mio papà Attilio celebrava la felicità dandomi lo stesso nome. Poi San Giorgio è anche il patrono di Genova, è l'uccisore del Drago e proprio l'anno prima nel giorno del 24 Aprile, giorno di San Giorgio, si era celebrata a Genova la fine del Drago fascio-nazista. San Giorgio, mi piace pensarla anche come la data del mio concepimento. Un atto d'amore fatto per festeggiare la liberazione della città di Genova. E' bello immaginare mio papà e la mamma che felici per quello che era successo si abbracciassero e poi si fossero lasciati trasportare dal clima del momento; meglio dire si lasciassero andare. Anche loro giovani e liberi con di fronte un altro destino; finalmente diverso da quello che un regime ventennale aveva preparato a tutti gli italiani prendendoli in affidamento dalla culla alla bara...soprattutto quest'ultima si era diffusa portandone nei simboli dei teschi, applicati alle camicie nere, il loro proclama.
Ogni luogo era lavoro e coniugato all'economia della penuria, della povertà. Quei pentoloni neri perennemente sul fuoco di cucine economiche a carbone o a legna; quei profumi di cavoli e fagioli, segnalavano un incessante lavoro nelle case, come le strade popolate solo di bambini e carri erano il frutto di un continuo lavoro nelle fabbriche: quella che si poteva chiamare la nostra università. Era la parte di Genova cantata da Giorgio Caproni: Genova d'uomini destri. Ansaldo. San Giorgio. Sestri.
Il nascere in certi luoghi e in certe condizioni segnava il destino. Nascere a Sestri P. come a Sesto S. Giovanni voleva dire per moltissimi fare l'operaio.
In quelle fabbriche si formava la coscienza di classe che voleva dire essere uomini uguali che producendo e lottando volevano migliorare la loro condizione e insieme la società.
In quei grandi capannoni industriali si costruivano treni, aerei, navi e pezzi di storia personale. La fabbrica era una scuola di formazione non solo professionale; lì incontravi gli altri uguali a te e imparavi che chi comandava là dentro comandava anche fuori, nel mondo. Imparavi il sacrificio e la disciplina: stare al tuo posto ed essere responsabile. Così si integrava un'educazione che nel tempo prendeva forma di un soggetto e una morale nuova. Era quella aristocrazia operaia che insieme all'amore per il proprio lavoro aveva la coscienza di un compito storico.
Seguirà Parte Seconda...