sabato, dicembre 27, 2014

Un'idea di destino - Diari di una vita straordinaria di Tiziano Terzani

Dico subito che di Tiziano Terzani sono un estimatore: ho letto tutti i suoi libri e considero il suo ultimo: Un altro giro di giostra uno dei più belli da me letti.
All'uscita di questo suo nuovo libro postumo ero perplesso. Che sia una raccolta di articoli già pubblicati? Uno zibaldone del suo pensiero sul mondo? No. Sono i diari e gli appunti conservati nel computer, in quaderni e floppy disk, di questo straordinario viaggiatore dell'Asia, sono le riflessioni e quanto sta dietro alla costruzione dei suoi libri e della sua ricerca spirituale quando viene a conoscenza del male che gli sta erodendo il fisico. Soprattutto poi emerge tra le mille cose, di questo grande testimone del '900, il suo grande amore con la moglie Angela Staude: un rapporto anche conflittuale ma che basato sulla stima reciproca diventa sempre più forte nel tempo. Un vero grande amore che mi ha commosso.
Questo libro Un’idea di destino-Diari di una vita straordinaria, che esce per la Longanesi in occasione del decimo anniversario della morte di Tiziano Terzani, avvenuta il 28 luglio 2004, ed è senz'altro uno strumento utile per approfondire l'uomo Tiziano Terzani, il giornalista, il padre, il marito, il guru, lo scrittore, il viaggiatore, il ricercatore, il mistico...
Tutto il percorso spirituale e di arricchimento personale d Tiziano Terzani è sorretto da una visione laica che mai abbandonerà; lui rimane fino all'ultimo il fiorentino comunista e razionalista che era da ragazzo. Tiziano Terzani nato a Monticelli, quartiere popolare di Firenze; nel diario annota: 'So che ho imparato moltissimo. Specie ad essere quello che son sempre stato: uno di Monticelli'.
Figlio di un meccanico e di una cappellaia, dimostra di essere uno studente eccezionale; un primo della classe portentoso. I professori consigliano i genitori di continuare a farlo studiare: gli comprano i pantaloni lunghi a rate e studia. Liceo, Università Normale di Pisa; poi all'Olivetti, fabbrica dei cervelli dell'Italia migliore, quella che cresce nel Dopoguerra e durante il boom dei Sessanta. Ancora alla Columbia University di New York per la seconda laurea. Lì stringerà amicizie e conoscenze che gli saranno utili nelle varie occasioni della vita.
In lui sente sempre più con il crescere un forte richiamo verso l'est, verso l'Asia. Non a caso ha studiato negli USA il cinese. Ostinatamente cerca un giornale che lo invii in Asia. Troverà dopo tanti giri lo Der Spiegel - un giornale tedesco. Per loro, nel '75, seguirà in Vietnam la caduta di Saigon, dove rimane tre mesi sotto il regime comunista. E poi aprirà per quel giornale le redazioni di Hong Kong, Bangkok, Pechino, Tokyo, Delhi. Intanto collabora con l'Espresso, il Messaggero, la Repubblica, appena nata, e poi con il Corriere.
Quel misterioso richiamo verso l'Asia diceva che era nel suo DNA. L'Asia diventa la sua casa, diventa il luogo dove sviluppa le sue passioni e riceve le sue più grandi delusioni. L'Asia è insieme lo scenario per rispondere alle sue domande più intime, quelle che ogni essere umano si pone nel compiere un personale cammino di evoluzione materiale e spirituale.
Tiziano Terzani nascendo povero era inevitabilmente diventato un comunista. La Cina di Mao gli era parsa un luogo dove si realizzava il comunismo e la giustizia sociale...una volta andato a viverci -prendendo anche un nome cinese, Deng Tiannuo, si accorse che era: un medioevo di morte. Un mondo dove nuovi padroni grassoni cinesi si impossessavano di tutto. Da quell'esperienza scrisse La porta proibita.
Espulso dalla Cina approdò in Giappone che non considerò mai facente parte dell'Asia, ma un paese con un popolo infelice che ha costruito una società alienante.
Nei diari scrive: Imparare dal Giappone? Neanche a pensarci. Anzi dobbiamo conoscerlo bene per non averci niente da imparare, per averlo da temere. Educhiamo i nostri figli alla fantasia, alla libertà e fregheremo i giapponesi, ma soprattutto faremo delle generazioni di felici.
Passato a seguire la caduta dell'URSS scriverà Buonanotte signor Lenin, che ne racconterà le vicissitudini.
Di tutta l'Asia egli troverà l'India come l'ideale rappresentante del mondo asiatico e culla della spiritualità universale. E' qui che deciderà di abitare e perseguire la sua ricerca spirituale; quella capace di far trovare se stessi e la pace.
Nei diari scrive: 'Sono finito in India perché secondo me l'India è l'origine di tutto, è il punto di partenza di tutto. L'India è ancora un paese dove il divino è nella quotidianità della gente, nei gesti...
Per gli indiani la vita non è fatta per essere semplicemente vissuta, ma per essere capita. In altre parole non si vive per vivere, ma per scoprire il senso del vivere. L’India assale, prende alla gola, allo stomaco. L’unica cosa che non permette è di restarle indifferente
.'.
Chi si interessa di spiritualità prima o poi deve fare i conti con l'India. E facendo questi conti, con alla base la cultura occidentale, non può non incontrare le profonde riflessioni di Tiziano Terzani, nate da un'esperienza diretta e originale. Non è un caso se nel peregrinare per l'Asia Tiziano Terzani poi scelga l'India come sua dimora. Scelga quella che definisce un'Arca di Noè delle civiltà e dell'umanità. E' in India che si ritrovano tutte le grandi contraddizioni dell'Uomo e sempre in India che si trovano le più vere risposte alla spiritualità. Insomma se un divino vive in noi, quel divino vaga e ha vagato in questa immensa nazione.
Con Terzani veniamo in contatto con le tante contraddizioni che attraversano l'umanità e per questo vedremo che partendo da quel pensiero, da quella misteriosa forza che gli fa scegliere l'India come luogo prediletto, arriva alla decisione di lasciare il suo corpo nella valle dell'Orsigna; nel luogo che considera la sua casa d'origine. Per questo riflette che 'non c’è una scorciatoia a nulla e che l’unica soluzione è quella conosciuta e che l’ultima risorsa siamo noi, una volta messa da parte la speranza di una soluzione altrove'.
Dopo avere scoperto di essere afflitto da un tumore allo stomaco egli si trasferirà dalla casa di Delhi, dove aveva vissuto tanto con la moglie, in un rifugio sull'Himalaya, a Binsar in una baita ai piedi del Nanda Devi, la montagna più alta e più divina dell’India. A 2300 metri di altitudine, senza elettricità né acqua corrente, nel cuore di una foresta antichissima, qui vuole scrivere la sua storia col cancro, sarà Un altro giro di giostra: 'un libro sull’America, un libro sull’India, un libro sulla medicina classica e quella alternativa, un libro sui tanti modi in cui le diverse culture, specie orientali, affrontano il problema umano; alla fine sono tanti libri in uno: un libro leggero e sorridente, un libro su quel che non va nelle nostre vite di uomini e donne moderni e su quel che è ancora splendido nell’universo fuori e dentro tutti noi'.

Binsar rappresenta la ricerca di una solitudine rimarcata. In questa solitudine dei boschi in Himalaya, nell’ultima parte della sua vita, Terzani incontra il suo principale interlocutore, il guru Vivek Datta, un intellettuale acuto e un abile provocatore, in cui si misura quotidianamente.
Gli scambi con Vivek Datta e sua moglie Marie Therese, sono passaggi che ho trovato ricchi di spunti per riflessioni sulla vita e la morte che danno a tutto il libro una dimensione spirituale alta e preziosa. Sempre a Binsar, dove Terzani scrive nella sua solitudine le lettere d'amore più belle alla moglie Angela, egli sconta l'inquietudine del suo vivere, dove il restare e il fuggire si alternano senza soluzione di continuità. Angela lo raggiungerà a Binsar diverse volte e quelle note sul suo diario sono pagine bellissime di descrizione di momenti felici che paiono toccare l'eternità con il tocco dell'armonia di una natura incantata che li circonda.
Infine a Binsar, Tiziano Terzani scrive: Nel mio rifugio senza elettricità e senza telefono, solo con la grande Maestra Natura, risento il valore sacro del silenzio, e mi convinco che la cura di tutte le cure, la vera medicina per tutti i mali consiste nel cambiare vita, cambiare noi stessi e con questa rivoluzione interiore dare il proprio contributo alla speranza in un mondo migliore.
Per concludere annoto che per me il libro è stato una miniera; quella stessa miniera che Tiziano Terzani dice poi la si trovi in ogni posto: 'Basta lasciarcisi andare, darsi tempo, stare seduti in una casa da tè ad osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l'amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare'.

Grazie Tiziano.

sabato, dicembre 20, 2014

il cinema di Jia Zhang-ke

Più di ogni reportage, più di ogni indagine sociologica o documentale, il cinema di Jia Zhang-ke con il dittico, Still Life e Il tocco del peccato, ci fornisce il quadro della Cina più vero e profondo: una Cina alienata; una Cina uguale a tutto il mondo occidentale, entrata in una crisi che non lascia speranza.
Mentre nel 2006 Still Life vinceva il Leone d'Oro a Venezia, questo Tian zhu ding -Il tocco del peccato- è stato premiato al Festival di Cannes 2013 per la migliore sceneggiatura.
Anche questo film come il precedente Still Life la trama del film si snoda attraverso 4 storie, di 4 individui, legate ognuna alla violenza; alla alienante condizione umana di una società che per il denaro e per la miseria circostante porta ognuno a trovare soluzioni drammatiche.
Nell'episodio in cui il giovane si suicida si lancia un messaggio annichilente: non esiste nulla per riscattare i valori persi. La Cina assetata di capitalismo sta cancellando non solo la dignità, ma anche i diritti della gente comune. Il film Il tocco del peccato lo racconta con un apologo brutale, duro e pessimista.

Per chi vuole vedere il film in streaming ecco il link: qui http://www.nowvideo.li/video/fa2b00d7c5ec1

Dopo aver visto questo film viene da chiedersi: Cosa succederà ora a Cuba? Infatti dopo 18 mesi di colloqui riservati, gli Stati Uniti e Cuba hanno raggiunto un accordo per la fine dell’embargo economico verso l’isola. Da questo momento parte una normalizzazione destinata a cambiare la fisionomia del paese caraibico.
Cuba ritornerà al clima degli anni '50? Diventerà l'isola-casino dei nuovi ricchi?
Io penso che anche dopo aver perso ogni baluardo di valori sociali e di economia diversa da quella capitalistica, rinascerà sicuramente da qualche parte del mondo un nuovo germoglio di società più giusta. Come la legge del TAO, il tutto nero conserva un punto bianco per la rinascita.

mercoledì, dicembre 17, 2014

L'ometto buono dentro di noi

Come esiste un piccolo fascista all'interno di ognuno di noi- di cui avevo scritto poco tempo fa su questo blog-, così esiste un 'ometto buono': un piccolo animale dentro l'animale che si può chiamare anima: l'ometto dentro l'Uomo.
Da quel momento che quell'ometto buono è stato posto dentro di noi, la somiglianza tra l'anima e l'uomo è così stretta che vi sono anime grasse e anime magre come i corpi. L'anima diventa il carattere, diventa quello che è più nostro e vero. L'anima così ci costringe a portare sempre in avanti la conoscenza e la consapevolezza.
L'anima non invecchia o meglio pur seguendo il corpo e sentendo la stanchezza, ci spinge a portare a compimento quello che di noi rimane inespresso: ci spinge ad essere quello che siamo.
Ora se a quest'anima, a questo ometto gli vogliamo bene; se lo sappiamo ascoltare, se impariamo a parlargli egli saprà dirci sempre quello che è giusto per noi. Egli ci aiuterà a non sbagliare.
L'importante è sapere che questo ometto è il bene, la parte che ci spinge verso il giusto e si trova in continua lotta contro la parte cattiva che spesso è frutto della smania, dell'ignoranza e del pensare che noi siamo di più di quell'ometto che parla sottovoce e non sappiamo ascoltare.

lunedì, dicembre 15, 2014

Bibliografia a supporto del dibattito: L'autogestione nelle fabbriche recuperate: una questione economica, sociale e psicologica

Aldo Marchetti: Fabbriche aperte - L'esperienza delle imprese recuperate dai lavoratori in Argentina
Edizioni: Il Mulino - anno di pubblicazione 2013 - pp. 216, – 18 EURO.
L'esperienza argentina delle «Empresas recuperadas por sus trabajadores» che a più di dieci anni di distanza non solo non è declinata ma continua a svilupparsi. Si tratta del più ampio e duraturo esperimento di autogestione che coinvolge complessi industriali, imprese di servizio, alberghi, ambulatori, organi d’informazione. Ciò di cui si parla è una vicenda umana di coraggio, intraprendenza e solidarietà di rara intensità nella storia recente del movimento operaio, e allo stesso tempo un modo creativo e autonomo per uscire dalla tenaglia della crisi.
Aldo Marchetti ha insegnato Sociologia del lavoro nell’Università Statale di Milano e in quella di Brescia. Giornalista pubblicista, è stato direttore di diverse riviste di cultura. Tra le sue pubblicazioni: «Produttori di stile» (a cura di, con E. Gramigna, FrancoAngeli, 2007) e «Il tempo e il denaro» (FrancoAngeli, 2010).

Andrès Ruggeri: Le fabbriche recuperate - Dalla Zanon alla RiMaflow. Un'esperienza concreta contro la crisi
Edizioni: Alegre- uscita settembre 2014 - Pag.192 -15 Euro
Dopo l'esperienza argentina, sull'onda della crisi globale degli ultimi anni, è divenuto esempio di resistenza anche in Europa. In Italia troviamo la RiMaflow a Milano e le Officine zero a Roma, ma si contano esperienze anche in Francia, Grecia e in altri paesi del vecchio continente.
L’autore approfondisce così l'ipotesi dell'autogestione, sequestrata nel Novecento dalle burocrazie e dagli errori di un movimento comunista internazionale dominato dallo stalinismo e da tendenze socialdemocratiche, e che oggi può offrire un terreno prezioso per impostare un nuovo inizio per le sinistre in crisi.
Andrès Ruggeri, antropologo presso la Facoltà di Filosofia e lettere dell'Università di Buenos Aires oltre a studiare l'esperienza delle "fabbriche recuperate" è anche il promotore degli incontri internazionali "L'economia dei lavoratori" e l'ispiratore del programma "Facoltà aperta" presso l'Uba.

sabato, dicembre 13, 2014

Autogestioni e Cooperative: Convegno all'Università Bicocca di Milano- Dipartimento Psicologia

Il dipartimento di Psicologia dell'Università Bicocca di Milano ha organizzato, il 10 dicembre scorso, un convegno sul tema: L'autogestione nelle fabbriche recuperate: una questione economica, sociale e psicologica.
Ne è scaturito un dibattito dove le cronache del lavoro, per il lavoro e sul lavoro, sono state esposte in maniera interessante attraverso gli interventi sulla materia, spunto per grandi riflessioni.
Io su invito di Luigi Fasce (psicologo in pensione che ha deciso di diffondere impegno e cultura politica) ho partecipato con piacere e qui riporto un sommario resoconto, spero utile ai lettori.
I lavori coordinati dal professor Luigi Ferrari sono stati aperti con la relazione di Aldo Marchetti con: 'La sfida dell'autogestione nel tempo della globalizzazione e del neoliberismo'.
Aldo Marchetti ricorda che la storia della cooperazione caratterizza la prima fase del socialismo come risposta al modello economico liberista della seconda metà dell'Ottocento. Il regime fascista prima distrugge le cooperative esistenti, agricole, imprenditoriali, dei consumatori ma poi nel 1925 il fascismo le istituzionalizza. Attualmente una grande variegata e controversa realtà economica. Infatti non sono assimilabili tra loro le cooperative di consumatori così come quello sociali, del terzo settore no profit con le cooperative di impresa lavorativa.
L'autogestione ha una storia diversa e minore.
Mentre le cooperative si sviluppano e si incardinano nell'economia capitalista, le autogestioni ne sono in conflitto aperto minando il sistema dall'interno delle fabbriche.
Aldo Marchetti svolge un breve excursus su cosa si intenda per autogestione: un autogoverno che si trova a fare esperienza in momenti storici rivoluzionari. Nel 1860 con l'esperienza della Comune di Parigi si pensa all'autogestione perfino della città di Parigi. Ad ogni modo le esperienze di autogestione, sono esperienze economiche che segnano insieme il passaggio per certi versi dall'autoritarismo, dalla gerarchia, al collettivo; alla democrazia economica compiuta. L'autogestione che si riesce a tramandare si trova nei modelli storici come un cane in chiesa. Sono momenti propedeutici al socialismo; sono considerati aspetti più pedagogici che fondamentali per l'economia. I filoni marxisti del socialismo prima e del comunismo poi la cooperazione non l'hanno mai accettata.
Oggi abbiamo, dopo le critiche del passato, delle esperienze che rivalutano le autogestioni. Nel mondo esistono diverse realtà: i Sem Terra in Brasile, dove si sperimenta una riforma agraria autogestita; gli Assefa in India- costruzione di villaggi rurali che dallo sviluppo agricolo passano a quello economico sociale e spirituale-; quello delle le oltre 250 fabbriche recuperate in Argentina, rappresentano elementi di grande interesse.
L'avvilimento della democrazia da parte del neoliberismo trova in queste esperienze un possibile recupero di reale democrazia.

La relazione di Luigi Malabarba è una testimonianza di esperienza diretta di una autogestione: quella della RiMaflow. Tutto nasce dopo le lotte del 2009 per la difesa del posto di lavoro della fabbrica Maflow, che operava nel campo dell'automobile. Quella fabbrica nel dicembre 2012 chiudeva per ragioni di speculazione finanziaria e nel febbraio 2013, con l'avvio di un progetto autogestito, chiamato Rimaflow, iniziava un percorso di autogestione.
Con le parole d'ordine: Reddito, Lavoro, Dignità, Autogestione veniva recuperata la fabbrica ed inserita dentro una idea nuova di intendere produzione e consumi. In quanto sindacalista Gigi Malabarba avverte di quanta poca alternativa esista nelle lotte a difesa dei lavoratori: 'Il progetto capitalista alla produzione pare non abbia alternativa. Su questo punto bisognerà lavorare molto. Lavoro e reddito viaggiano come elementi indistinti...per questo le risposte sono tutte da pensare. '. Oggi la fabbrica aperta grazie a RiMaflow si rapporta con il territorio del Comune di Trezzano sul Naviglio, ed è un laboratorio in divenire.

Altra testimonianza diretta di occupazione e tentativo di autogestione con un obiettivo di cooperativa è quello che vede protagonisti la multinazionale Unilever -colosso agroalimentare secondo al mondo- e i 189 dipendenti della fabbrica a Marsiglia. Qui abbiamo tre sentenze consecutive del Tribunale di Marsiglia che ha dato ragione agli operai contro i piani della proprietà.
A raccontare l'esperienza vissuta è Dominique Basset.
Per gli occupanti della fabbrica marsigliese lo slogan è: Il miglior modo i creare lavoro è quello di mantenere quello che già esiste. La lotta dura da tre anni e all'inizio ha visto l'impegno delle istituzioni e in primo luogo quello dalla Regione di Marsiglia. Oggi visto il cambio di maggioranza politica -andata alla destra- sembra tutto più problematico. Problemi che si aggiungono a quelli della ricerca del marchio e la sua commercializzazione per la produzione di un nuovo thè. Dominique Basset spiega che la questione del marchio dovrà passare in un primo tempo attraverso la grande distribuzione, ma questo sarà solo un primo passaggio. Poi la produzione, che dovrà essere ecologica, avverrà con la sinergia del Mercato equo e solidale. Un primo risultato sarà l'uguaglianza di reddito. Per partire con l'esperienza di cooperativa si avranno all'inizio 50 occupati; in seguito cresceranno fino a 100.
Dominique Basset trova incoraggiamento attraverso gli applausi convinti della sala.

Il coordinatore Luigi Ferrari visto l’assenza giustificata per questioni di salute di un relatore, apre il dibattito ai partecipanti peraltro molto numerosi.

Luigi Fasce coglie subito l'occasione per ricordare che l'esperienza argentina menzionata da Marchetti ha avuto una sua base esperienziale in Italia con la legge Marcora 1986, che per iniziativa delle organizzazioni cooperative Agci, Confcooperative e Legacoop, in applicazione costituzionale dell'art. 46 per cui 'La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.', che prevedeva un fondamento giuridico ed un sostegno economico per la costituzione di cooperative e che ha consentito ai lavoratori di salvare moltissime imprese in via di fallimento. Quella legge ha ricordato Luigi Fasce, c'è da insistere per un rilancio di quei valori fondanti l'economia con finalità sociali.
Altri interventi porranno domande su quanto, nell'attuale realtà di globalizzazione, siano fattibili percorsi di autogestione che durino e diventino esempio per nuove economie del lavoro; insomma di nuove cronache del lavoro.

Il convegno chiude con una Tavola rotonda che illustra su quanto l'autogestione sia poco raccontata e faccia notizia nell'ambito dell'informazione.
Marco Pucciarelli di La Repubblica, Francesco Savelli del Corriere della Sera, Guido Rossi del Giornale radio RAI insieme al sindacalista Gianni Polo coordinati da Francesco Colucci, riporteranno le loro opinioni.
Per M. Pucciarelli l'autogestione, la realtà di fabbriche recuperate è marginale e seppur doveroso raccontarle e darne notizia trova pochi riscontri o meglio interfacce sia nel mondo politico che in quello in generale del lavoro. Per quanto riguarda la cooperazione, quindi le cooperative, visti gli scandali questo mondo ha perso credibilità. Le cooperative pare siano diventate nuovi strumenti di sfruttamento del lavoro: elementi di occupazione a basso costo con finalità che poco hanno a che fare con la filosofia cooperativistica.
Per F. Savelli le notizie di autogestione sono da raccontare, però rimangono confinate in trafiletti, i spazi dove le notizie del campo economico finanziario prendono il sopravvento seguendo un andamento ormai scontato e attualmente difficilmente modificabile. Visto anche l'imperante pensiero del mercato.
Per G. Rossi la RAI cerca di fare molto per illustrare e dare notizie su questo aspetto dell'autogestione delle fabbriche, certo è che non è la notizia o il reportage a modificare l'atteggiamento politico e sociale su questo tipo di lotte e di economia dal basso. Deve cambiare l'approccio politico.
Francesco Collucci conclude augurandosi che dal dibattito ognuno riesca a trarre delle riflessioni che siano utili ad affrontare in modo sempre più consapevole l'aspetto dell'autogestione e quanto queste azioni rimandino ad altri significati profondi di riconquista di democrazia e antiautoritarismo.


Un interessante incontro di cui bisogna complimentarsi con il Dipartimento di Psicologia della Università Bicocca di Milano e gli organizzatori del convegno.

giovedì, dicembre 04, 2014

Democrazia italiana e corruzione

La storia politica della Repubblica italiana è interpuntata da scandali. Senza soluzione di continuità, il malaffare delle ruberie, delle tangenti, della corruzione, che sfocia quasi naturalmente in quel modus operandi rappresentato dalla mafiosità tutta italica, segna il cammino della nostra democrazia malata o semplicemente stracciona e puzzona.
Sì, si può pensare che la democrazia abbia i suoi costi e comporti per la sopravvivenza delle istituzioni che la garantiscono dei prezzi; ma con gli scandali scopriamo l'opposto: una democrazia debole, che è sempre pronta ad alterarsi e farsi regime al servizio del più furbo e del più ricco.
La democrazia tutt'altro che confronto di idee, ricerca di consenso su progetti sociali, mediazioni tra diversi interessi e riconoscimento reciproco delle diversità...qui siamo alla mera gestione di denaro sottratto alla collettività, al finanziamento delle bande delinquenziali che attraverso i partiti arricchiscono cosche e lobby.
22 anni fa tutti i partiti si trovarono coinvolti in uno scandalo che prese il nome di Tangentopoli: un perverso meccanismo di distribuzione di denaro pubblico a partiti e politici regolamentato con il tacito assenso di tutti. Ognuno trovava il suo tornaconto e sotto l'egida di un triumvirato definito CAF (Craxi-Andreotti-Forlani) si era creata una corruzione e una illegalità che è stata uno dei principali motori nella costituzione del debito pubblico italiano, tra i più alti al mondo.
22 anni fa tutti i partiti cambiarono nome, molti nacquero sull'onda di un rigetto della vecchia politica e per un nuovo corso...il risultato è un enorme fallimento: le ruberie non solo non cessarono ma si estesero in maniera esponenziale alle nuove forze in campo. Sempre la magistratura, che si cercò di fermare e mettere sotto il controllo dei partiti, è quella che scoperchia e continua a trovare il malaffare e le gesta mafiose dei cosiddetti nuovi politici. Politici che si rivelano cultori dei propri interessi personali e al servizio della banda-partito, se non del boss di turno.
22 anni passati uno scandalo dopo l'altro ha messo in luce quanta illegalità esista tra gli esponenti della politica: i nuovi servitori che non riescono a produrre nessun cambiamento morale e anticorruttivo.
22 anni dopo ci troviamo a fare i conti con uno scandalo emblematico, che attesta una più marcata discesa della classe politica a fianco della criminalità mafiosa. L'indagine prende il nome di Mafia Capitale. Esiste un libro nero dove sono segnati tutti i compensi, le tangenti, i regali, le mazzette che i politici prendono dalla criminalità. Dal libro nero emerge l’intrigo tra politica e corruzione che delinea quel Mondo di Mezzo evocato dal principale imputato: un terrorista fascista Massimo Carminati, definito il Guercio.
Ancora una volta ci sono coinvolti tutti. Destra e Sinistra. Ma i partiti non dovrebbero essere istituzioni dove avviene anche una selezione della classe politica? Non dovrebbero essere i partiti i primi a denunciare il malaffare mafioso?
L'Italia forse non riesce a digerire la democrazia che a sua volta dovrebbe essere una diga al dilagare della corruzione politica...sarà che il fascismo continui, con la mafiosità, ad essere la nostra biogra

martedì, dicembre 02, 2014

Quale politica per le riforme? Bussola per un orientamento a sinistra - Recensione di Sergio Dalmasso

Dopo due precedenti scritti più brevi, Luigi Fasce, per anni psicologo-psicoanalista, offre con questo libro la sintesi del proprio pensiero politico, della propria visione del mondo. Lo fa in modo corrispondente al proprio carattere, con passione, energia, ottimismo.
Nel testo vi è addirittura "troppo": analisi di posizioni politiche, definizioni di termini, brevi notazioni storiche su decenni di vicende italiane, discussione sul ruolo degli organismi internazionali. La bibliografia è ampia e va dalla storia alla politologia, dalla psicoanalisi (in particolare Erich Fromm) alla ecologia, dall'economia al diritto.

Possiamo, schematicamente, dividere le duecento pagine in tre parti:
1) la distinzione fra destra e sinistra, alla ricerca di una "rosa di valori" che le contraddistingua (chiaro il riferimento a Norberto Bobbio). La rassegna delle ideologie politiche (e anche la loro crisi) è articolata negli spazi di destra (autoritarismo, liberismo, uso della violenza...) e sinistra (eguaglianza, attuazione della Carta costituzionale, scelte ambientali...). E' qui inserito l'indiscutibile valore della laicità.
2) La centralità del tema del lavoro per una "società diversamente ricca" (è chiaro il richiamo ad una espressione di Riccardo Lombardi, altro riferimento di Fasce). Il lavoro è al centro della Costituzione e base per una repubblica "liberaldemocratica".
3) L'apertura del discorso alla realtà internazionale. Il nemico peggiore è il neoliberismo che deve essere superato da una politica di riforme, con forte connotazione ecologica.

I riferimenti che compaiono nel testo sono in particolare: - il manifesto del liberalsocialismo (1941) di Calogero e Capitini, i due nomi ai quali è intestato il circolo culturale di cui l'autore è presidente - il manifesto di Ventotene alla base dell'idea europea - il documento del congresso di Bad Godesberg (1959) del Partito socialdemocratico tedesco.
Il neoliberismo è declinato nei suoi atti, nella sua ideologia, nelle conseguenze nefaste sullo stato sociale e sull'ecologia:
- privatizzazione delle banche e delle imprese di interesse pubblico. L'esempio più chiaro è la "privatizzazione" della Banca d'Italia, una delle cause delle difficoltà economico - sociali del nostro paese.
- cancellazione dei vincoli di movimento di denaro, merci e manodopera. Ognuno ricorda i timori per l'iniziativa sulla Tobin tax, piccolo vincolo alle transazioni finanziarie, giudicato insostenibile dal potere economico. La circolazione della manodopera produce tutte le contraddizioni (razzismo, scontro fra etnie, crescita della guerra tra i poveri...) che vivono le società di capitalismo sviluppato.
- cancellazione dell'intervento pubblico in economia, considerato parassitario e nemico della "libera concorrenza".
- soppressione progressiva dello stato sociale.
- cancellazione di ogni vincolo di tutela ambientale.
A questa deriva l'autore contrappone una "terza via ad alta intensità socialdemocratica" e soprattutto il riferimento a Olof Palme e al suo progetto (il piano Meidner), interrotto dalla tragica morte e basato sulla cogestione e con la possibilità da parte dei lavoratori di comprare azioni in borsa e diventare azionisti di riferimento "golden Share" delle imprese e sull'uso di parte dei profitti per fini sociali.

Ancora l'attuazione della Costituzione, vero riferimento per la sinistra.

Mi permetto alcune considerazioni che spero servano per una maggiore discussione e per mettere in luce posizioni e matrici, anche diverse, che possono convergere sulle grandi attuali emergenze.
1) Fasce usa il termine comunismo partendo da un giudizio sul comunismo storico novecentesco e sulle esperienze di "socialismo reale" (dall'URSS all'Europa dell'est, dalla Cina alla Corea del nord).
Credo, non da oggi, che occorra sempre distinguere tra la deriva del movimento comunista e le sue origini ed i suoi principi, forse ancora sulle sue potenzialità.
Continuo a pensare alla funzione epocale della rivoluzione sovietica, durante il macello della prima guerra mondiale, prodotta da contrasti inter-imperialistici e dal cedimento della socialdemocrazia, a figure come Rosa Luxemburg, alla riflessione preziosa di Gramsci, ai movimenti anticoloniali ed antimperialistici, al Che, grande non solamente per il sacrificio, ma per le posizioni internazionaliste e antiburocratiche, a tanti pensatori del "marxismo occidentale", alla riflessione, purtroppo tardiva, avvenuta dopo la sconfitta, di Trotskij, a tanti autori cancellati, a milioni e milioni di militanti per cui il comunismo è stata la più grande speranza laica della storia.
2) La socialdemocrazia è non solamente quella di Palme o di Brandt. A parte il peccato originale dell'aver accettato la guerra mondiale ed in alcuni casi anche il colonialismo, ed il fatto che quella italiana sia stata la peggiore a livello europeo, anch'essa vive difficoltà profonde.
In Grecia, le scelte del PASOK sono attualmente tra le cause della crisi frontale del paese, in Francia mai un presidente è stato impopolare quanto Hollande, la politica del governo produce uno spostamento a destra che fa crescere esponenzialmente Sarkozy e LePen, la socialdemocrazia tedesca  governa con la Democrazia cristiana della presidente Merkel, i governi Zapatero, in Spagna, hanno bene operato sulle libertà civili, ma sono stati incapaci di affrontare le questioni sociali (disoccupazione, povertà, migrazione). I governi socialisti in Portogallo vedono un bilancio negativo, il laburismo inglese ha continuato, nonostante le teorizzazioni blairiane della "terza via", le politiche liberiste.
Anche la socialdemocrazia nordica che ha indubbi meriti storici nella attuazione dello stato sociale, vive una non contingente crisi di prospettiva.
Le stesse forze ecologiste, negli anni '80, viste come innovatrici e capaci di modificare il quadro politico, vivono difficoltà non episodiche, non avendo mai saputo superare l'equivoco del "né di destra né di sinistra", cosa che ha significato incomprensione delle grandi questioni sociali ed anche accettazione delle guerre neocoloniali degli ultimi decenni.
3) L'ONU. Importante il suo ruolo, fondamentali alcuni testi (la Dichiarazione dei diritti dell'uomo), significative le sue strutture (Unesco, Unicef, FAO, OIL) nate nello spirito propositivo del dopoguerra. Occorre, però, guardare alla realtà concreta, soprattutto del periodo post 1989 (crollo dell'est). La mancanza di un equilibrio nella realtà internazionale ha portato alla egemonia di un solo paese, al peggioramento delle garanzie sociali conquistate nei decenni, a guerre "democratiche ed umanitarie", al depotenziamento delle strutture sopra ricordate (pensiamo ad un continente come l'Africa). L'America latina e il BRICS, con tutte le sue contraddizioni possono costituire una alternativa o almeno elemento di correzione delle peggiori storture, ma resta il problema di un'ONU dei popoli e non strumento di potenza di uno o più paesi che applicano le ricette della Banca mondiale (anch'essa nata con altra finalità), del Fondo Monetario, dell'Organizzazione per il commercio.
4) La Costituzione italiana, vero cardine e bussola dello scritto di Fasce. Non a caso, Raniero La Valle, in "Quel nostro '900", vede in essa e nella Carta dell'ONU il rovesciamento delle logiche della storia passata per l'introduzione del concetto di eguaglianza, per il ripudio della guerra, per la sovranità attribuita ai cittadini.
Questo spirito del dopoguerra: è stato cancellato già negli anni immediatamente successivi. Non a caso l'attuazione di alcuni principi è stata rimandata per anni e si è creata la dicotomia fra Costituzione scritta e attuata (praticata).
Non a caso, la "via italiana al socialismo", teorizzata all'8° congresso del PCI (1956) era centrata proprio sulla attuazione della Costituzione, impedita dalle forze conservatrici.
- è ancora maggiormente sotto attacco oggi, per l'insofferenza di tante forze politiche, perché considerata ostacolo all'"innovazione", perché passano le formule del "meno stato", "lo vuole l'Europa", perché viviamo un progressivo appannamento del sentire sociale, perché prevale un modello basato sulla semplice crescita quantitativa, perché aumentano le diseguaglianze sociali.

L'attuazione
Nel 1954 il professor Balladore Pallieri (Università Cattolica) si chiede quale attuazione abbia avuto la Carta costituzionale e risponde tristemente: "nessuna". La paralisi ha avvolto i punti qualificanti (CSM, regioni, CNEL; Corte costituzionale, referendum), i diritti di libertà non sono più garantiti che in precedenza, nessun passo in avanti è avvenuto per i diritti sociali.
Nel decennale della Liberazione, Piero Calamandrei scrive che la Costituzione non è attuata, che si è assistito alla restaurazione dei vecchi ordinamenti, che il regime esistente è del tutto diverso da quello voluto dai costituenti.
Nel 1958, Lelio Basso, nel suo "Il principe senza scettro", esamina la nascita della Costituzione, le forme della sovranità popolare il ruolo dei partiti ma lamenta la continuità della legislazione fascista, le inadempienze, il ruolo conservatore della magistratura, il sottogoverno, il "regime" democristiano.
Ricorda come, sull'Assemblea costituente, abbia pesato il mutamento, in peggio, del quadro politico nazionale e internazionale fra il 1946 e il 1947 e come le norme siano sempre espressione di rapporti di forze.
Cita Ferdinand Lassalle, nel suo discorso sulla Costituzione: Le questioni istituzionali non sono originariamente questioni di diritto, ma questioni di forza; la costituzione reale di un paese consiste soltanto nei rapporti effettivi delle forze in esso operanti: le costituzioni scritte hanno valore e durata solo quando sono l'esatta espressione dei reali rapporti esistenti tra le forze del paese.
E continua riferendosi all'analisi di Marx ne "Le lotte di classe in Francia" sulla Costituzione francese del 1848: La Costituzione era stata eletta quando era ancora vivo lo slancio rivoluzionario del febbraio e se anche il fervore democratico s'era attenuato durante il periodo dei suoi lavori, com'è accaduto alla Costituente italiana, tuttavia la Costituzione rimaneva pur sempre la più avanzata di quei tempi. Ma l'Assemblea nazionale, eletta dopo l'entrata in vigore della Costituzione, aveva segnato un ritorno offensivo dei ceti conservatori e non si era sentita affatto vincolata alla Costituzione...
Mutato il rapporto delle forze sociali e politiche nel paese, spostato più a destra l'indirizzo delle forze dirigenti, ridotta al silenzio l'opposizione operaia, lo Stato francese veniva necessariamente assumendo una fisionomia diversa da quella che i costituenti avevano sperato. Abbiamo avuto in Italia lo stesso arretramento dalla Resistenza alla Costituente, dalla Costituente al parlamento successivo. Alla Costituzione scritta è venuta sostituendosi una Costituzione di fatto assai diversa.

Mi auguro che questo schema e queste osservazioni possano essere utili per una discussione sui temi che il libro di Luigi Fasce porta all'attenzione di tutti.