sabato, ottobre 19, 2019

L'inferno di Treblinka di Vasilij Grossman

Una lettura angosciante seppur meticolosa ci porta a conoscere ancora di più, se fosse necessario, lo strumento di morte creato dai nazisti per uccidere gli ebrei e tutti i prigionieri rastrellati nelle varie città conquistate dall'esercito del terzo Reich. Questo è 'L'inferno di Treblinka' di Vasilij Grossman; un libro scritto nel 1944 con la seconda guerra mondiale in corso. Grossman reporter al seguito dell'Armata Rossa entrò per primo in questi lager e subito avvertì il grande crimine commesso. Ecco come descrive all'inizio Treblinka: 'Un posto desolato che gli uomini della Gestapo, con il benestare del Reichsführer delle SS Heinrich Himmler, scelsero per edificarvi il patibolo per antonomasia, un luogo che - dalla barbarie della preistoria ai pur feroci giorni nostri - il genere umano non aveva ancora conosciuto; e che, molto probabilmente, l'universo intero tuttora non conosce. Lì venne eretta la principale fabbrica della morte delle SS, degna copia di Auschwitz, che surclassò Sobibor, Majdanek e Belzec.'

Il libro raccoglie le testimonianze di sopravvissuti cosicché riusciamo a conoscere le bestie che hanno caratterizzato il regime nazista; criminali che sarebbero stati casi da analizzare da psichiatri che con i loro crimini sono un elemento imprescindibile del nazismo. 'Migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia di esseri simili sono stati i pilastri del fascismo germanico, il sostegno, la base della Germania di Hitler.
Uniforme addosso, armi in pugno e onorificenze del Reich, per anni essi hanno deciso della vita dei popoli d'Europa. A farci orrore non devono essere loro, ma lo Stato che li ha fatti uscire dalle loro tane, dalle tenebre e dal sottosuolo e li ha resi indispensabili, necessari e insostituibili a Treblinka come a Majdanek, Belzec, Sobibor, Auschwitz, Babij Jar, Domanevka e Bogdanovka (vicino a Odessa), a Trostjanets (vicino a Minsk), a Ponary in Lituania, e in decine e centinaia di prigioni, campi di lavoro e campi di sterminio della vita umana.
'.

Operazione Reinhard era il nome in codice per “sterminio degli ebrei in Polonia” ideato dal nazista Heydrich Reinhard, governatore del protettorato di Boemia e Moravia. Il primo campo di sterminio costruito in questi territori fu quello Chelmno (1941), il secondo fu quello di Belzec, il terzo quello di Sobibor e il quarto quello di Treblinka posto a 60 km circa da Varsavia, in una zona boschiva, scarsamente popolata. Cosicché le terribili esecuzioni di massa che lì furono eseguite, non avrebbero avuto scomodi testimoni. Il genocidio doveva rimanere nascosto.

Ancora prosegue Grossman: 'Treblinka era un lager come tanti, come le centinaia di altri lager che la Gestapo costruì nei territori occupati a est. Sorse nel 1941. Riflessi e deformati nello specchio tremendo del regime di Hitler, vi si coglievano diversi tratti del carattere germanico. Allo stesso modo il delirio di un malato riflette - deformati e mostruosi - pensieri e sentimenti precedenti alla malattia. Allo stesso modo un folle con la mente annebbiata agisce sovvertendo la logica tipica dei comportamenti e delle intenzioni di un normale essere umano. Allo stesso modo un criminale che infligge alla sua vittima una martellata fra gli occhi unisce l'abilità professionale - la mira e la precisione del fabbro - al sangue freddo del mostro. Parsimonia, precisione, oculatezza, attenzione maniacale alla pulizia sono caratteristiche tutt'altro che negative e tipiche di molti tedeschi. Se applicate all'agricoltura o all'industria danno il giusto frutto. L'hitlerismo le applicò ai crimini contro l'umanità: le SS del campo di lavoro polacco agivano come se stessero coltivando patate o cavolfiori'.

Grossman racconta anche il giorno dell'insurrezione da parte di un gruppo di internati del campo di Treblinka; una rivolta che portò a distruggere le baracche del lager e a uccidere molti carnefici nazisti. Un giorno per la vendetta e il riscatto. Quel 2 agosto del 1943 finiva anche Treblinka.
Già perchè come scrive Grossman: '”Beccarsi una pallottola era un lusso”, mi ha detto uno di loro, un ragazzo di Kossów che evase dal lager. Perché a Treblinka essere condannati a vivere era molto peggio che essere condannati a morire'.

Dopo aver visto i resti di Treblinka e ascoltato i testimoni Grossman si domanda quello che ogni uomo si chiede: Come è potuto succedere tutto questo? Grossman conclude il suo piccolo libro ma di grande spessore con queste parole:
'Guerre come quella in corso sono tremende. Il sangue innocente versato dai tedeschi è tanto, troppo. Tuttavia, oggi come oggi parlare della responsabilità della Germania per quanto è accaduto non basta. Oggi bisogna parlare della responsabilità di tutti i popoli e di ogni singolo cittadino del mondo per quanto accadrà. Oggi come oggi ogni singolo uomo è tenuto, dinanzi alla sua coscienza, a suo figlio e a sua madre, dinanzi alla patria e al genere umano a rispondere fascismo, l'hitlerismo non abbiano a risorgere né al di qua né al di là dell'oceano, mai e poi mai, in secula seculorum? L'idea imperialistica dell'eccellenza di una nazione, di una razza o di chissà che cos'altro ha avuto come conseguenza logica la costruzione da parte dei nazisti di Majdanek, Sobibor, Belzec, Auschwitz, Treblinka. Dobbiamo tenere a mente che di questa guerra il razzismo, il nazismo non serberanno soltanto l'amarezza della sconfitta, ma anche il ricordo fascinoso di quanto sia facile uno sterminio di massa. E dovrà tenerlo a mente ogni giorno, e con grande rigore, chiunque abbia cari l'onore, la libertà, la vita di ogni popolo e dell'umanità intera.'.

Vasilij Grossman, ebreo sovietico, scrittore e giornalista, conobbe direttamente le devastazioni della seconda guerra mondiale, la lotta contro i nazisti, la sconfitta di Hitler quindi l’ascesa di Stalin. Dopo Treblinka, Grossman fu anche il primo ad entrare nel lager di Auschwitz il 27 gennaio 1945 con l'Armata Rossa.
Dopo aver assistito alla campagna antisemita (fra il 1949 e il 1953) si trovò in dissidio con il regime e cadde in disgrazia. Così la stesura finale della sua grande opera, Vita e Destino, venne sequestrata e non avrebbe mai visto la luce se qualcuno non avesse conservato e fatto pervenire clandestinamente una o due copie a Losanna, dove fu stampato nel 1980.

mercoledì, ottobre 16, 2019

Ottobre 2018 -giusto un anno fa...

Ottobre 2018- giusto un anno fa stavo leggendo il libro di Edoardo Albinati 'Maggio Selvaggio' e mi sono scaturite delle riflessioni; già perché il libro stesso è un compendio di riflessioni dettate dalle condizioni e gli incontri fatti in carcere dall'autore stesso. Con quel libro Albinati racconta la sua esperienza di un anno da docente all’interno del carcere Rebibbia, a Roma.
Il diario o reportage di questa esperienza procede con un ordine casuale; d'altronde c'è l'impossibilità di fare un racconto ordinato sulla quotidianità del carcere dove tutto avviene in modo caotico. Solo i rumori e i passi lungo i corridoi sono una costante insignificante e ordinaria della vita carceraria...il resto è formato da una sensazione contraddittoria e ricca di frammenti di memoria.

Queste riflessioni sono di un anno fa: ottobre 2018...
All'ingresso del padiglione di neurologia dell'ospedale Galliera, l'infermiera nel mettermi il braccialetto con nome e cognome più un codice a barre mi saluta con un ' benvenuto in galera...'. Ha ragione. Giorni di ospedale, giorni di galera in cui trovi il tempo per una riflessione ulteriore sulla tua vita, sull'effimero, la fragilità e le disgrazie tue da misurare con quelle degli altri. Un voyeur tra i voyeurs. Un guardone tra i guardoni. Già perché Edoardo Albineti sostiene che chi si occupa degli altri, come gli infermieri e i medici, sia un voyeur. Eppoi nella nostra società ci sono molte galere; oltre a quelle dove vengono rinchiusi i condannati, c'è sempre secondo Albinati anche la scuola: una galera dove vengono parcheggiati gli 'indesiderabili'; i bambini, i figli.

Un'altra riflessione: come può essere che il più feroce dei criminali che compie atrocità uccidendo altre vite poi si comporti come una persona educata, dolce, sia conosciuta come una brava persona, un bravo cittadino, è difficile spiegarlo. Quell'atto di uccidere, quell'azione maligna viene poi nascosta all'interno del sé e vi rimane. Per quel dolore non vi è rimorso. Per Edoardo Albinati per questi criminali è un fatto che è irrimediabile e in quanto tale viene assunto e considerato compiuto e basta. Ma allora esiste una natura criminale? Io continuo a chiedermelo. Io ho sempre pensato che nessuno scegliesse il male; ho sempre sostenuto l'atto criminale come una grande fatica e provocante un dolore esistenziale perenne. Invece poi si scopro che grandi criminali non si pentono e hanno una diversa coscienza del loro male: sono sempre pronti a ri-uccidere; a ricommettere i loro reati. E' come se una animalità bestiale vivesse in loro. Minghella, Izzo, Bilancia sono alcuni esempi di serialità criminale.
Io invece continuo a pensare che esista in noi una spinta al bene che permette ad ognuno di riscattarsi e vivere diventando ciò che è in origine: un'opera unica e irripetibile ricca di talenti: un'opera d'arte dove si può trovare insieme alla bellezza anche il bene. Certo che questo seme vive nascosto e non sempre germoglia, spesso secca e muore...ma poi è vero che esista la pulsione di morte e questa non va sottovalutata. Essa è responsabile di molte brutture umane. L'animale resta -come sosteneva Sigmund Freud- una cattiva bestia. Qui mi viene da ricordare uno splendido aforisma di Melanie Klein: l'uomo nasce cattivo e passa tutta la vita cercando di diventare buono; non sempre ci riesce.
Melanie Klein è una psicoanalista inglese che lavorò insieme ad Anna Freud – figlia di Sigmund- e che portò la psicoanalisi al cuore del tema, ovvero all'infanzia.