domenica, agosto 28, 2016

'I filosofi di Hitler' di Yvonne Sherratt

Il libro di Yvonne Sherratt mi è stato utile per comprendere come la filosofia in quel drammatico periodo storico sia stato non solo un elemento per formare una weltanschauung -una visione del mondo- ma anche strumento per plasmarlo.
Il '900 è stato un secolo dove la storia della filosofia ha avuto svolte importanti ed epocali. Tutto si apre con la morte di Nietzsche avvenuta proprio nel 1900. Da allora i tre filosofi tedeschi, Kant, Schopenhauer e Nietzsche, che hanno segnato la cultura tedesca e anche quella europea, verranno indicati come gli artefici ideali per la costruzione del nazismo tedesco. Hitler che leggerà i tre filosofi e con una sua interpretazione arbitraria, per cui si eleverà lui stesso a filosofo, getta le basi per una filosofia che descritta nella sua opera il Mein Kampf.

La filosofia tedesca mostra il suo lato oscuro e diventa la ragione per giustificare una violenza mai conosciuta prima.
All'origine di tutto c'è l'antisemitismo dei tre filosofi e l'applicazione di un ideale di evoluzione sociale mutuata da studiosi del darwinismo, quali Ernst Haeckel e Karl Wilhelm von Nägeli, che esportava la sopravvivenza del più adatto o del più forte ai tipi di società. Era in sintesi l'applicazione del darwinismo sociale. Uno storico molto seguito che avallava quella teoria fu Oswald Spengler. Il darwinismo sociale si propose subito come una filosofia di legittimazione del potere, sia esso coloniale, razziale o di classe. Questa derivava in verità da Herbert Spencer (1820-1903)i cui concetti furono espressi da lui ancora prima di tutti: più propriamente il darwinismo sociale dovrebbe essere definito spencerismo sociale.

Durante il secolo XX i teorici del nazismo Hitler e Rosenberg senza mai nominare Darwin, lo utilizzarono largamente sia in senso eugenetico, sia per eliminare, a milioni, ebrei, zingari, testimoni di Geova, oppositori politici, prigionieri di guerra nei campi di concentramento.
Charles Darwin tuttavia non sposò mai le tesi classiste, razziste e sessiste. Il darwinismo sociale si presenta, quindi, come una ideologia con pretese di scientificità, che vede nelle lotte civili, nelle ineguaglianze sociali e nelle guerre di conquista l'estensione alla specie umana di una supposta legge generale di natura che si esprime nello struggle for life and death, a sua volta generalizzato come solo meccanismo della selezione naturale; in tal modo esso vuole legittimare, sul piano biologico-antropologico, le disparità tra gli uomini e l'eliminazione dei più deboli.

L'antisemitismo creerà una frattura profonda nella cultura tedesca: dietro la concezione di un Reich millenario si uccise e venne amputata una intellighenzia europea eccezionale. Theodor Adorno, Max Horkheimer, Walter Benjamin, Ernst Cassirer, Hannah Arendt, Karl Lowith, Theodor Lessing, Karl Jaspers e vari altri furono ridotti al silenzio o costretti all'esilio.
Altri filosofi, tra i quali spiccano i nomi di Martin Heidegger, Carl Schmitt, Alfred Rosenberg, Wilhelm Grau, Alfred Bӓumler, Ernst Krieck e Max Boehm, contribuirono invece nel dare al nazismo una facciata di rispettabilità che gli mancava e che non avrebbe mai dovuto avere...
Un filosofo che emerge nel dissenso interno è Kurt Huber, egli fu il professore animatore della Rosa Bianca e per questo giustiziato. Con lui emergono i tratti personali e intimi che stridono dolorosamente con le storie dei colleghi dei capitoli precedenti: vincitori sul mercato delle idee e carrieristi accademici le cui vicende paiono di rara meschinità e squallore. Heidegger su tutti si rivelerà un opportunista, uno squallido detrattore dei suoi maestri e sentito in difficoltà solo davanti ad una destituzione (arrivata nel dopo crollo nazista) che lui aveva riservato agli altri. L'opera di Yvonne Sherratt è senza dubbio un importante lavoro per conoscere molti aspetti della filosofia tedesca. Un discorso che trova in Martin Heidegger e i suoi interrogativi sulla persona e sulle idee una specie di emblema. Quanto sopravvive ancora di antisemitismo e di nazistificazione nella filosofia tedesca? Idee quelle sviluppate da Heidegger che hanno trovato nella cultura filosofica europea una contaminazione che giunge fino ai nostri giorni.

Coerente con le tesi di Yvonne Sherratt la citazione da Theodor Adorno, ovvero la replica del filosofo e musicologo tedesco all’ex nazista Peter R. Hofstätter, che, guarda caso, aveva fatto carriera e che lo accusava di voler opprimere la nazione con il senso di colpa: 'L’orrore di Auschwitz, se lo sono dovuto assumere le vittime, non coloro che non lo vogliono ammettere' (p. 253).

libro: I filosofi di Hitler
autore: Yvonne Sherratt
editore: Bollati Boringhieri, Bologna 2014
pp. 312, € 24

'I filosofi di Hitler' di Yvonne Sherratt

Il libro di Yvonne Sherratt mi è stato utile per comprendere come la filosofia in quel drammatico periodo storico sia stato non solo un elemento per formare una weltanschauung -una visione del mondo- ma anche strumento per plasmarlo.
Il '900 è stato un secolo dove la storia della filosofia ha avuto svolte importanti ed epocali. Tutto si apre con la morte di Nietzsche avvenuta proprio nel 1900. Da allora i tre filosofi tedeschi, Kant, Schopenhauer e Nietzsche, che hanno segnato la cultura tedesca e anche quella europea, verranno indicati come gli artefici ideali per la costruzione del nazismo tedesco. Hitler che leggerà i tre filosofi e con una sua interpretazione arbitraria, per cui si eleverà lui stesso a filosofo, getta le basi per una filosofia che descritta nella sua opera il Mein Kampf.

La filosofia tedesca mostra il suo lato oscuro e diventa la ragione per giustificare una violenza mai conosciuta prima.
All'origine di tutto c'è l'antisemitismo dei tre filosofi e l'applicazione di un ideale di evoluzione sociale mutuata da studiosi del darwinismo, quali Ernst Haeckel e Karl Wilhelm von Nägeli, che esportava la sopravvivenza del più adatto o del più forte ai tipi di società. Era in sintesi l'applicazione del darwinismo sociale. Uno storico molto seguito che avallava quella teoria fu Oswald Spengler. Il darwinismo sociale si propose subito come una filosofia di legittimazione del potere, sia esso coloniale, razziale o di classe. Questa derivava in verità da Herbert Spencer (1820-1903)i cui concetti furono espressi da lui ancora prima di tutti: più propriamente il darwinismo sociale dovrebbe essere definito spencerismo sociale.

Durante il secolo XX i teorici del nazismo Hitler e Rosenberg senza mai nominare Darwin, lo utilizzarono largamente sia in senso eugenetico, sia per eliminare, a milioni, ebrei, zingari, testimoni di Geova, oppositori politici, prigionieri di guerra nei campi di concentramento.
Charles Darwin tuttavia non sposò mai le tesi classiste, razziste e sessiste. Il darwinismo sociale si presenta, quindi, come una ideologia con pretese di scientificità, che vede nelle lotte civili, nelle ineguaglianze sociali e nelle guerre di conquista l'estensione alla specie umana di una supposta legge generale di natura che si esprime nello struggle for life and death, a sua volta generalizzato come solo meccanismo della selezione naturale; in tal modo esso vuole legittimare, sul piano biologico-antropologico, le disparità tra gli uomini e l'eliminazione dei più deboli.

L'antisemitismo creerà una frattura profonda nella cultura tedesca: dietro la concezione di un Reich millenario si uccise e venne amputata una intellighenzia europea eccezionale. Theodor Adorno, Max Horkheimer, Walter Benjamin, Ernst Cassirer, Hannah Arendt, Karl Lowith, Theodor Lessing, Karl Jaspers e vari altri furono ridotti al silenzio o costretti all'esilio.
Altri filosofi, tra i quali spiccano i nomi di Martin Heidegger, Carl Schmitt, Alfred Rosenberg, Wilhelm Grau, Alfred Bӓumler, Ernst Krieck e Max Boehm, contribuirono invece nel dare al nazismo una facciata di rispettabilità che gli mancava e che non avrebbe mai dovuto avere...
Un filosofo che emerge nel dissenso interno è Kurt Huber, egli fu il professore animatore della Rosa Bianca e per questo giustiziato. Con lui emergono i tratti personali e intimi che stridono dolorosamente con le storie dei colleghi dei capitoli precedenti: vincitori sul mercato delle idee e carrieristi accademici le cui vicende paiono di rara meschinità e squallore. Heidegger su tutti si rivelerà un opportunista, uno squallido detrattore dei suoi maestri e sentito in difficoltà solo davanti ad una destituzione (arrivata nel dopo crollo nazista) che lui aveva riservato agli altri. L'opera di Yvonne Sherratt è senza dubbio un importante lavoro per conoscere molti aspetti della filosofia tedesca. Un discorso che trova in Martin Heidegger e i suoi interrogativi sulla persona e sulle idee una specie di emblema. Quanto sopravvive ancora di antisemitismo e di nazistificazione nella filosofia tedesca? Idee quelle sviluppate da Heidegger che hanno trovato nella cultura filosofica europea una contaminazione che giunge fino ai nostri giorni.

Coerente con le tesi di Yvonne Sherratt la citazione da Theodor Adorno, ovvero la replica del filosofo e musicologo tedesco all’ex nazista Peter R. Hofstätter, che, guarda caso, aveva fatto carriera e che lo accusava di voler opprimere la nazione con il senso di colpa: 'L’orrore di Auschwitz, se lo sono dovuto assumere le vittime, non coloro che non lo vogliono ammettere' (p. 253).

libro: I filosofi di Hitler
autore: Yvonne Sherratt
editore: Bollati Boringhieri, Bologna 2014
pp. 312, € 24

giovedì, agosto 11, 2016

Il libro: L'arte di essere felici di Arthur Schopenhauer

Che il campione del pessimismo, ossia Arthur Schopenhauer ci indichi la strada per essere felici appare paradossale. Lui che del pessimismo è maestro come potrebbe parlare di felicità? In verità questo libro, che si compone di 50 aforismi o massime, non l'ha scritto con questo titolo ma aveva avviato una raccolta di aforismi sotto la denominazione di Eudemonologia o Eudemonica– ossia dottrina della felicità. Edito da Adelphi ora il libretto ha come sottotitolo i due nomi riportati prima.
Le citazioni che compongono il piccolo libro sono state raccolte tra i vari scritti di Arthur Schopenhauer che aveva in mente di elaborare un manualetto, un piccolo vademecum per vivere in saggezza; per mantenere a lungo uno stato di contrasto alle avversità.

Schopenhauer però non si smentisce; per lui la felicità è solo un eufemismo: 'la felicità e i piaceri sono soltanto chimere che un’illusione ci mostra in lontananza, mentre la sofferenza e il dolore sono reali e si annunciano immediatamente da sé, senza bisogno dell’illusione e dell’attesa'.
Così insieme a 'l'arte per ottenere ragione', 'l'arte di ottenere rispetto', 'l'arte di ignorare il giudizio degli altri', l'arte di conoscere se stessi', 'l'arte di invecchiare', 'l'arte di insultare' e 'l'arte di trattare le donne', Arthur Schopenhauer ha scritto su 'L'arte di essere felici'.
Per Arthur Schopenhauer la vita oscilla tra la noia e il dolore; in mezzo a questi due stati esiste la possibilità, data dall'ingegno, di trovare regole di comportamento che allevino le pene e soprattutto allontanino il dolore.
Un po' come successe per 'l'arte di invecchiare', dove Arthur Schopenhauer raccolse citazioni, riflessioni, appunti, massime e norme comportamentali -a cui diede il nome di Senilia- per rendere sopportabile e perfino piacevole la vecchiaia; qui condensa la sapienza per farci vivere meglio. La filosofia come conoscenza sapienziale, saggezza pratica. Tutto con il fine di vivere il meno infelici possibile. Vivere passabilmente.

Vediamo qualche consiglio di Arthur Schopenhauer annotato come massima nel libro:
Viviamo il presente. Il meglio che il mondo ci può offrire è un presente quieto e senza dolore. Non guastiamo questo con la ricerca di un futuro sempre incerto che per quanto lottiamo rimarrà sempre nelle mani del destino.
Non essere invidioso. Niente è più implacabile e spietato dell'invidia.
Abbiamo oltre al nostro carattere intellegibile e quello empirico (immutabili) un terzo carattere che è quello acquisito. Quest'ultimo si forma con la vita e la pratica del mondo. Questo carattere artificiale è frutto dell'esperienza e della riflessione. Solo con l'esperienza possiamo imparare ciò che vogliamo e ciò che possiamo. Tramite il carattere acquisito sapremo quali sono i nostri poteri, virtù, doti e quali le debolezze e limiti. Conosciamo la nostra individualità e quindi misurando le nostre forze e debolezze ci risparmieremo molti dolori.
Il possesso e il suo desiderio determinano l'infelicità. La ricchezza assomiglia all'acqua di mare; quanta più se ne beve, tanto più si ha sete.
Fondamentale, infine, la differenza fra 'ciò che si è' e 'ciò che si ha', perché è il primo che determina il secondo e non viceversa.
Non viviamo come vogliamo ma come possiamo.
La giusta proporzione è la saggezza per vivere quieti per questo dobbiamo vivere in modo giusto tanto il presente quanto il futuro...e attenzione che vive troppo il presente è uno sconsiderato e chi troppo il futuro non avrà più solo un istante tranquillo.
L'uomo saggio non persegue ciò che è piacevole ma l'assenza di dolore.
Non manifestare grande giubilo o grande afflizione per ogni avvenimento; la mutevolezza di tutte le cose può trasformarlo in ogni momento.
La vita degli uomini si compone in un lato soggettivo interno e un lato oggettivo esterno. Nel primo troviamo le gioie e i dolori; con questo abbiamo visto prima come dobbiamo misurarci nei comportamenti a tale proposito. Nel secondo c'è l'immagine della condotta della nostra vita; il modo in cui interpretiamo il nostro ruolo: qui troviamo le virtù, le nostre opere di ingegno, gli atti di eroismo e sempre qui troviamo le distinzioni tra maschi e femmine e soprattutto tra uomo e uomo. Quest'ultimo lato dovrebbe essere sviluppato maggiormente poiché vivendo si ritrova il lato bello della vita...purtroppo non lo seguiamo abbastanza.
La vita è come un gioco ai dadi, se il punto in più non è uscito devi essere tu a correggerlo con la tua abilità.
Seguono poi altre massime; altri aforismi e consigli per una vita se non felice almeno senza grossi dolori.
Un vademecum filosofico pratico per il benessere. Da tenere sul comodino.