venerdì, dicembre 30, 2016

La mia Sestri: una storia nella Storia.

Premessa

Mi è capitato di leggere in questi giorni questi scritti che raccontano di me e di Sestri Ponente. Queste brevi memorie le avevo scritte per mia figlia e le nipotine; erano pensieri a margine di un libro fotografico personale che raccoglieva tre generazioni di due famiglie: la mia e quella di mia moglie- tutte e due sestrini.
Ora ho pensato di integrarli con nuove riflessioni ed è scaturito questo racconto che mi piace consegnare -con questo mio blog- ad ipotetici posteri. La raccolta di memorie è molto lacunosa, d'altronde è difficile riportare la nostra storia intima in modo completo. Forse per il lettore è meglio così, sicuramente i suoi ricordi soggettivi riusciranno a definire in modo migliore i periodi trascorsi. Per quelli che non hanno attraversato quello spazio storico temporale rimarrà il racconto utile a conoscere avvenimenti, costumi e pezzi di vita che oggi non ci sono più. Sono cambiati con il mondo.

Prima parte

Io sono nato a Sestri Ponente. Sono nato nel giorno della 'Madonna della Candelora - e un vecchio adagio diceva che- dell'inverno semo fora'. Niente di più sbagliato: in quell'anno faceva un freddo cane. Quel 2 febbraio era un sabato grasso. Era un sabato di festa, eppure di lavoro. Si era appena usciti dalla guerra e le fabbriche lavoravano con ritmi sostenuti e continui: si doveva ricostruire l'Italia. Sestri Ponente, antico Comune genovese a 11 chilometri dal centro città, era considerato insieme a Sampierdarena la Manchester italiana: un agglomerato di fabbriche e industrie tra le più importanti d'Italia.
Sestri Ponente aveva anche un altro appellativo: la Stalingrado italiana; quest'altra nomea era divisa invece con Sesto San Giovanni, nell'hinterland milanese. Sì, a Sestri P. c'era da sempre, insieme alla presenza operaia, una forte coscienza politica di classe: i comunisti rappresentavano, insieme ai socialisti di Nenni, la maggioranza assoluta.
Le sirene avevano suonato anche quel giorno di sabato. A scandire la vita di Sestri P. erano i corni (le sirene) delle 7,30 - 7,45 - 8 -12 -12,30- 13 -14 -18 - 19. Tanti erano i suoni dei corni che segnavano il tempo a Sestri: quelli dei Cantieri Navali, dell'Ansaldo, delle fonderie Multedo, della Nuova San Giorgio, della Marconi, della Piaggio. Il lavoro segnava la ripresa; non era passato neppure un anno dalla fine della guerra, ma pareva già un ricordo lontano. Era sabato grasso a Sestri Ponente; era un sabato di festa: nascevo io.
Ero un primogenito, un progetto, una gioia, ma rappresentavo anche nuove responsabilità, preoccupazioni e sacrifici...
Mi avrebbero chiamato Giorgio. Chissà con quale criterio avevano scelto quel nome. La Nuova San Giorgio era il nome della fabbrica dove lavorava mio padre, chissà se era per omaggiare quel luogo: allora potevo essere benissimo un figlio del lavoro, la ricchezza veniva da lì. La stessa fabbrica con cui forse mio papà Attilio celebrava la felicità dandomi lo stesso nome. Poi San Giorgio è anche il patrono di Genova, è l'uccisore del Drago e proprio l'anno prima nel giorno del 24 Aprile, giorno di San Giorgio, si era celebrata a Genova la fine del Drago fascio-nazista. San Giorgio, mi piace pensarla anche come la data del mio concepimento. Un atto d'amore fatto per festeggiare la liberazione della città di Genova. E' bello immaginare mio papà e la mamma che felici per quello che era successo si abbracciassero e poi si fossero lasciati trasportare dal clima del momento; meglio dire si lasciassero andare. Anche loro giovani e liberi con di fronte un altro destino; finalmente diverso da quello che un regime ventennale aveva preparato a tutti gli italiani prendendoli in affidamento dalla culla alla bara...soprattutto quest'ultima si era diffusa portandone nei simboli dei teschi, applicati alle camicie nere, il loro proclama.

Ogni luogo era lavoro e coniugato all'economia della penuria, della povertà. Quei pentoloni neri perennemente sul fuoco di cucine economiche a carbone o a legna; quei profumi di cavoli e fagioli, segnalavano un incessante lavoro nelle case, come le strade popolate solo di bambini e carri erano il frutto di un continuo lavoro nelle fabbriche: quella che si poteva chiamare la nostra università. Era la parte di Genova cantata da Giorgio Caproni: Genova d'uomini destri. Ansaldo. San Giorgio. Sestri.
Il nascere in certi luoghi e in certe condizioni segnava il destino. Nascere a Sestri P. come a Sesto S. Giovanni voleva dire per moltissimi fare l'operaio. In quelle fabbriche si formava la coscienza di classe che voleva dire essere uomini uguali che producendo e lottando volevano migliorare la loro condizione e insieme la società.
In quei grandi capannoni industriali si costruivano treni, aerei, navi e pezzi di storia personale. La fabbrica era una scuola di formazione non solo professionale; lì incontravi gli altri uguali a te e imparavi che chi comandava là dentro comandava anche fuori, nel mondo. Imparavi il sacrificio e la disciplina: stare al tuo posto ed essere responsabile. Così si integrava un'educazione che nel tempo prendeva forma di un soggetto e una morale nuova. Era quella aristocrazia operaia che insieme all'amore per il proprio lavoro aveva la coscienza di un compito storico.

Seguirà Parte Seconda...

lunedì, dicembre 12, 2016

Lo schiavista - di Paul Beatty

Il libro lo schiavista di Paul Beatty fa emergere quel razzismo USA che con una fantastica previsione ha portato alla presidenza Donald Trump. In verità il razzismo denunciato dal libro lo schiavista non è caratteristica solo degli USA, ma si può affermare che in verità questo è presente in ogni tipo di società.
Il libro di Paul Beatty, che ha avuto due riconoscimenti importanti vincendo il premio National Book Critics Circle Award 2015 e pochi giorni fa il Man Booker Prize, ci dà l'occasione in maniera paradossale oserei dire assurda e insieme divertente di conoscere le ragioni di chi vive la condizione di 'nero' oggi.

Un incalzante racconto narra le vicende di Bonbon un afroamericano nato a Dickens, ghetto alla periferia di Los Angeles. L'uomo è rassegnato al destino da nero della lower-middle class. Nel suo passato Bonbon ha subito gli esperimenti sociologici del padre, single e studioso, convinto di poter risolvere i problemi della sua famiglia con degli studi sulla razza. Quando il padre di Bonbon viene ucciso in una sparatoria, lui ha un'idea ancora più radicale: ripristinare la schiavitù e la segregazione razziale a Dickens.
Questo caso viene discusso alla Corte Suprema degli USA e il protagonista, come se avesse vinto alla lotteria, verrà ascoltato come promotore e teste al dibattimento.

Il libro ha la particolarità che affronta attraverso la satira tutti i luoghi comuni di una cultura consolidata che ci fa pensare per schematismi. Paul Beatty è davvero bravo a rovesciare le cose e facendoci immergere nel conformismo estremo riesce a mostrarci la contraddizione del nostro modo di pensare. Già la richiesta alla Corte Suprema degli USA del ripristino della schiavitù e della segregazione razziale è paradossale: quel paese è stato il primo che ha scritto nella propria Costituzione che ogni uomo nasce libero e uguale...allora?
Il libro affronta con il paradosso, che nella sua contraddizione e bizzarria riporta alla verità della nostra limitazione di ragionamento.
In una società dove entrano in crisi l'identità ecco che il ritorno ai primordiali ruoli di padrone e schiavo la rivitalizzano. Ecco che l'ingiustizia sociale non deve passare i filtri della falsità perbenistica ma diventa evidente e accettata.

Bonbon, l'unico nome sopranome che sappiamo del protagonista, è anche The Sellout, -ovvero Il Venduto- che è il titolo originale del libro di Paul Beatty. Lui viene chiamato 'venduto' da Foy Cheshire membro dei Dum Dum Donut Intellectuals poiché avrebbe voluto riscrivere il romanzo di Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, mettendo la parola 'guerriero' al posto di negro e al posto di schiavo il termine “volontario dalla pelle scura”...tutto con una nuova trama riadattata: “Le avventure prive di termini spregiativi e i viaggi intellettuali e spirituali dell’afroamericano Jim e del suo giovane protetto, il fratello bianco Huckleberry Finn, mentre vanno in cerca della perduta unità della famiglia nera”. Ma le implicazioni letterarie sono molteplici. Si comprende come l'autore sia immerso totalmente nella cultura occidentale e in particolare quella statunitense e così che i richiami si fanno pregnanti e godibili sotto molti aspetti.

L’altro episodio esplosivo che da propulsione alla storia è la ‘morte’ di Dickens. Cinque anni dopo la morte del padre, la cittadina viene inghiottita dal mostro urbano Los Angeles, il cartello di benvenuto divelto, e il nome Dickens cancellato dalla carta geografica. Ormai nel quartiere ci sono più messicani che neri: è il culmine dell’opera di omologazione sociale in cui i bianchi fanno i neri e i neri i bianchi. Ormai essere neri non è più come una volta. Quindi cosa rimane da fare per salvare il salvabile della razza?

Insieme a Bonbon c'è un altro personaggio che dà forza alla narrazione comica-satirica: è Hominy Jenkins, noto per aver recitato nella famosa serie della Metro Golden Mayer 'Our gang (Simpatiche canaglie)'. Hominy Jenkins si offre a Bonbon come schiavo dopo che questi lo ha salvato da un suicidio. Hominy è il prototipo di schiavo: 'Troppo sfaticato per lavorare come ogni schiavo che si rispetti, implora il 'badrone' di frustarlo quotidianamente sulla schiena'. Questo fatto darà a Bonbon (e all'autore) di prendere in giro tutte le varianti su quanto esiste di cultura negra negli USA.

Una lettura interessante che aiuta a riconoscere il razzismo che sempre pervade ogni tipo di società.

Lo schiavista - di Paul Beatty
(editore Fazi, traduzione di Silvia Castoldi pagg. 369 euro 18,50)