venerdì, dicembre 31, 2004

Conoscenza per amare

Scrivo per questo anno 2005 una riflessione e un augurio.
Jung dice che l'incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito.
Il mio percorso d’analisi per conoscermi, non saprei dire quanto è stato sgradevole; è stato difficile e doloroso ma, per quanto sia riuscito, ha portato amore e pietà verso di me. Mi ha portato soprattutto a conoscere la mia parte ‘femminile’, e che dire: la più bella. Quel cammino mi ha dato un’ accettazione con la consapevolezza che quelle cose sgradevoli di me, nascondevano ed erano un aspetto di cose preziose e bellissime. Sempre mie.
Un altro fatto importante, lungo il percorso di conoscenza, è scoprire qualcosa in noi che ci trascende. C’è in noi una voce interiore che è più grande della morale corrente; è quella di una coscienza dove convivono l’abietto e l’eccelso, la verità e la menzogna, il maschile e il femminile, l’infimo e il sommo e per questo ci porta confusione, disperazione, disagio. Imparando ad ascoltare la voce interiore noi diverremo quello che siamo; svilupperemo la nostra personalità, sapremo camminare sull’orlo del precipizio trovando il senso della nostra vita.
Ecco, allora che l’amore acquisterà contorni insperati; l’amore che parte da sé circolerà e diventerà per gli altri. Nel mio caso si chiama Anna.
In verità non so quanto e come l’amo; però certo so che è profondamente nella mia vita; la sento così vicina che anche guardandomi una mano, un ginocchio o che altro, li sento anche suoi: pezzi di corpo, come pezzi di spirito, uniti da quel mistero che è l’amore. Per questo amore, buon anno 2005.



mercoledì, dicembre 29, 2004

Natura Crudele-Uomo Ignorante

La natura crudele, che si presenta con un maremoto, uccide indistintamente giovani, vecchi e bambini. Quella stessa natura che si fa apprezzare, in quei luoghi, per la bellezza del paesaggio, la dolcezza del clima e ricchezza del suo mare con lo stesso porta la devastazione e morte. A noi, pur con tutta la tecnologia, la sapienza scientifica, non ci rimane che il dolore e il pianto. Ci accorgiamo quanto siamo impotenti di fronte alle grandezze degli eventi naturali; ecco che queste immani tragedie, fuori dal controllo umano, devono far riflettere sulla natura umana.
Mentre guardo su Internet le foto, di tutte le parti asiatiche investite dal maremoto, vedendo tutti quei morti raccolti sulle spiagge e in fosse comuni, penso come la nostra vita sia precaria, mortale, effimera.
Poi noi stessi le diamo una mano a renderla così, con l’inconsapevolezza d’essere fragili mortali. Siamo capaci di imporre con la violenza regole e leggi, facciamo guerre, costruiamo città assurde, pensiamo di dominare i fatti, invece senza nessun preavviso ci troviamo, immersi in catastrofi enormi, indifesi e ignoranti.
Questi avvenimenti dovrebbero unirci farci sentire sulla stessa ‘barca’, invece ecco che nella conta ci si scopre europei, francesi, tedeschi e molto. Molto italiani.
Così forse pensiamo di trovarci preparati alla prossima onda lunga. Molto lunga.

sabato, dicembre 25, 2004

Le Stagioni della Vita

Nel libro, ‘Un altro giro di giostra’, Terzani descrive che secondo la visione tradizionale indiana la vita è divisa in quattro precise stagioni. Queste stagioni non sono quelle abituali che noi normalmente consideriamo, ma periodi così suddivisi: il primo, dell’infanzia e adolescenza, è il tempo per imparare e istruirsi; il secondo, della maturità, è quello per mettere in pratica quello imparato, per esaudire i desideri, generare figli, realizzare progetti come la ricchezza la fama la conoscenza. Il terzo è quello ‘dell’andare nella foresta’, ossia del distacco dalle cose perseguite fino a quel momento. Il tempo dove si inizia a cercare qualcosa di permanente. L’ultima stagione o periodo è quello dove si abbandona l’io e ormai bruciato ogni desiderio, ci si prepara alla morte, si cerca solo la liberazione definitiva dall’oceano della vita e della morte, la destinazione finale del viaggio.
Lo svolgimento di queste stagioni non sono certo riferibili a date anagrafiche. Se si può dire quando finisce l’adolescenza o la fanciullezza, quando termina un periodo di studio o apprendimento, non si può certo immaginare quando termina la seconda stagione: quella dell’abbandono dell’Io. L’Io non si abbandona facilmente e quella stagione dei desideri e dei progetti, di perseguimento di ricchezze o di poteri che rafforzano l’ego, può non terminare mai. Anzi è una condizione che ci fa sentire vivi, ci fornisce gratificazioni e allora? Cosa ci può aiutare?
Se poi consideriamo l’ultima stagione, quella che dopo avere raggiunto la maturità ci farebbe abbandonare tutto, allora si capisce quanto è difficile raggiungerla. Allora saremo mai maturi o pronti a spezzare il ciclo delle nascite e delle morti? Ecco un punto cruciale: nella nostra cultura continuiamo tutti a morire ‘giovani’, perpetuando un destino determinato, più che dalle nostre azioni, dalle nostre reazioni. Le nostre difese, i nostri meccanismi di risposta ai problemi che sorgono nella nostra vita sono prestabiliti, automatici; tutte soluzioni che considerano l’uomo separato dal resto della natura e dell’universo.
Questa visione della vita tra noi e l’India è forse la vera discriminante culturale.
E’ la vera divisione tra Occidente e Oriente. Il nostro individualismo non sa riportare ogni cosa al Tutto. Noi non solo conteniamo il mondo ma siamo contenuti dallo stesso. Senza questa consapevolezza noi non conosceremo la Realtà. Con questo, il problema siamo noi e noi siamo la soluzione.


venerdì, dicembre 24, 2004

Closer- Amori in interni

Closer è un film di Mike Nichols, il regista de Il Laureato, che con quattro bravi interpreti, che dirige magistralmente, sa essere di un erotismo intenso senza scene di nudo; bastano gli sguardi. Basta la fisicità, bastano i sentimenti, che si rivelano ambigui, a raccontare l’amore e il sesso; il sesso e l’amore. Prendersi e lasciarsi; lasciarsi e prendersi.
Closer significa più vicini, stretti, intimi; tutto per vincere la solitudine che ognuno sconta nella vita. Non c’è calore di corpi che possa colmare la separazione degli individui. Quell’amore, che dovrebbe essere il balsamo per lenire la ferita originata dagli dei, non placa la sofferenza.
Closer è un film che per la sua origine teatrale potrebbe definirsi ‘amori in interni’. Il gioco di questi amori è crudele ed è così per nascondere la fragilità che l’amore dà a chi ama. Gli unici esterni del film diventano topici: aprono e chiudono la storia. Una storia che potrebbe anche non essere iniziata oppure semplicemente è lì pronta ad essere vissuta.
Closer, a distanza di oltre 32 anni, riprende una tematica affrontata dallo stesso regista con Conoscenza Carnale: i discorsi di sesso fatti in maniera esplicita. Con mano leggera e insieme dissacrante Nichols racconta la storia di due coppie in tempi diversi; incastra le relazioni in un gioco di specchi: le parole diventano rituali. Ti amo e non ti amo, ti lascio e ti voglio…per poi incominciare daccapo ogni volta.

martedì, dicembre 21, 2004

Consiglio di lettura per scrittori impenitenti

Ci si domanda spesso sulle ragioni dello scrivere, sull’essenza di questa pratica diffusa, di mettere in lettere i propri pensieri e desideri, i propri sogni e bisogni; il libro di Cees Nooteboom, ‘Il canto dell’essere dell’apparire’ risponde a questa domanda in modo efficace.
In questo momento di blog, di informatizzazione di massa, dove lo scrivere ha trovato nuove ragioni e nuove forme, rimane nella sostanza lo stesso interrogativo: perché scrivo? Perchè scriviamo?
Oggi che la Rete, Internet, ci fa editori di noi stessi dando la possibilità di dar sfogo in maniera illimitata alla passione dello scrivere, cosa continua a sorreggere lo scrittore in questa avventura comunicativa?
Dall’ introduzione del libro, ‘Il canto dell’essere dell’apparire’, veniamo a sapere che lo scrittore, Cees Nooteboom, ha iniziato a scrivere con la storia di un viaggio in autostop: ‘Philip e gli altri’, seguiranno, con le poesie, altre raccolte di prose di viaggio. Così sappiamo che viaggiare, scoprire, vedere, verificare realtà diverse è il primo elemento dello scrivere, il suo senso: è riflettere sullo sguardo, sul ritratto della realtà che ci si presenta davanti ogni volta e ogni volta vogliamo confrontare con gli altri.
Pubblicato nel 1981, ‘Il canto dell’essere dell’apparire’ è il dialogo tra uno scrittore, intento a scrivere una storia ambientata nella Bulgaria dell’ottocento, con un altro scrittore. Le invenzioni, gli artifici, la creazioni di atmosfere per il solo fatto d’immaginarle diventano reali; reali come i personaggi della storia che, una volta descritti, diventano più veri degli autori stessi.
Il piccolo libro, di appena 95 pagine, riesce a trasmettere tutta la leggerezza e l’importanza della scrittura concludendosi, ironicamente, mischiando luoghi, personaggi e atmosfere. Un romanzo nel romanzo; questo gioco letterario, che ha la lunghezza di un racconto, fa partecipare il lettore ad una realtà fittizia che non esaurisce la storia anch’essa inventata.
Alla fine il racconto non esiste più. Ma è mai stato scritto? Sì, non inventiamo e costruiamo mai niente che non esista già. La scrittura pur con tutta la magia, dell’essere e del far apparire, racconta sempre una realtà: la nostra, tanto nostra, da non poter non essere vera.
Buona parte del fascino di questa scrittura, però bisogna ammettere, è dovuto alle capacità di Nooteboom che in tutti i suoi scritti sa immettere le impressioni di una buona conoscenza di arti e cose, di cultura, proprie di un grande viaggiatore.
Ecco allora che di Nooteboom esce un ‘essere’ a discapito dell’ ‘apparire’ proprio di molti altri scrittori. In fondo qualunque cosa facciamo parliamo sempre di noi e lo scrivere più di ogni altra cosa ci rivela.

Il canto dell’essere e dell’apparire
Di Cees Nooteboom
Ed. Iperborea
Euro 16

giovedì, dicembre 16, 2004

Storia naturale dei ricchi

Se diamo ascolto a Richard Conniff scrittore, autore di una “Storia Naturale dei Ricchi”, essere ricchi sfondati non è così glamour. Hai voglia a organizzare feste nella villa di Aspen con ospiti che affogano nello champagne; regalare un miliardo di dollari all’Onu come Ted Turner, o farti sparare nello spazio (sborsando 20 milioni di dollari) per vedere l’effetto che fa: ma poi che ti dice la psicologia evoluzionista? Che ti stai comportando come un babbuino del delta dell’Okavango, o come un cercopiteco dell’Amboseli, e se ti va molto bene come un blabber arabico, un uccelluccio che svolazza qua e là nel deserto del Negev…però vale per la durata della vita. Dallo studio di Coniff si viene a saper che più cresce il patrimonio, più si allungano gli anni di vita. Interessante in generale. Preoccupante per l’Italia.
Guardando i ricchi come una categoria animale, che è bene ricordare ha in comune, come tutti noi, il 98,4% con gli scimpanzè, si scoprono molti comportamenti simili a varie specie animali: la gerarchia del branco abbisogna sempre di riferimenti da definire. Una volta poteva essere il capo chi era più muscoloso, un’altra volta chi era più bello o vecchio ora chi possiede più beni: mobili e immobili. E’ sempre più chiaro che il possesso genera potere sul branco; riserva privilegi e diversità. Così può capitare che la Politica, strana arte per far convivere ricchi e poveri senza farsi la guerra, a volte diventi campo di raccolta dei ricchi tanto da servirsene per accrescere il potere.
In Italia per arginare il ritorno alla legge del branco, consiglierei di varare una legge che chi porta quel nome e cognome preciso, non può essere condannato e inquisito, poiché oltre che ricco sta lavorando in politica per fare arricchire tutti i suoi simili: gli orangotanghi.

domenica, dicembre 12, 2004

Pietà per loro, pietà per noi


Qualche anno fa era solo Bossi che sosteneva e gridava nelle piazze che Berlusconi era, più che milanese, palermitano avendo rapporti con la mafia. Oggi lo dicono i giudici di Palermo, con la sentenza che condanna a 9 anni Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Non ci sarebbe da aggiungere altro poiché gli italiani un'opinione, su chi ci governa e su gli interessi che si difendono, se la sono già fatta. Resta il fatto di assistere sempre più al decadimento dell'etica politica. Molti protagonisti, che assiepano l'attuale arengo politico, dovrebbero farsi da parte; invece si ostinano, per il "nostro bene", a lavorare per una Storia che alla fine diventerà solo cronaca giudiziaria.
Riusciranno questi politici che ci amano tanto a togliersi di mezzo? Sarebbe un atto liberale, un atto di rispetto verso di noi e verso loro stessi. Fuori dai riflettori, dalle dichiarazioni roboanti, dalle prediche e promesse, guardandosi nel loro profondo ed interrogandosi, scoprirebbero la pietà per loro, che spero poi riverseranno a noi. Allora diremo: grazie.
Allora anche con qualche tassa in più e qualche spettacolo n meno, vivremo meglio.

martedì, dicembre 07, 2004

Segnali disperanti

Segnali disperanti per uscire dal berlusconismo: le sorelle Lecciso sbancano l’Auditel. Le Lecciso passano nello stesso giorno da Mediaste alla Rai e, in ognuna delle trasmissioni, si registrano ascolti record.
Non ci posso credere…ma saranno veri quei dati d’ascolto? Non saranno come i sondaggi berlusconiani?
Non ci posso credere…è voglia d’evasione? Eppure l’investitura del ‘nulla’ a fenomeno mediatico ci deve far pensare.
Ci sono immagini, flash, situazioni che diventano emblematiche e descrivono la società, la filosofia, in cui viviamo in modo puntuale. A me è parso di coglierne diverse. Esempio: ho visto Vittorio Feltri (direttore di Libero) che spiega cosa c’è scritto veramente nel Corano. Il Corano letto da Vittorio Feltri in versione integrale, non integralista. “Per cui sono orgoglioso di firmare, assieme a Maometto, quest’opera, la quale poi, rilegata in volume, non resterà impolverata”. (testuale). Non commento. Cosa dire di fronte alla frase’…sono orgoglioso di firmare, assieme a Maometto, quest’opera?...’. Si passa dall’esaltazione del niente a quello che può insegnarci il tutto. Poi, dopo la taglia di 25.000 euro, messa a disposizione dalla Lega Nord, per bocca di un ministro della Repubblica italiana, su un delinquente che ha ucciso, non un uomo ma, un padano; vengo a sapere che le gemelle sopraccitate, saranno sostituite dal cantante lanciato da Berlusconi, Apicella. Un altro segnale forte: il trash sostituito dal trash. Forse stiamo toccando il fondo della cultura berlusconiana. Si inizierà a risalire oppure si è iniziato a scavare?

Noi amiamo non si sa bene chi


Noi amiamo non si sa bene chi. Noi amiamo un altro, un’altra.
Noi amiamo un mistero o semplicemente un’idea d’amore.
Così raccontiamo le stesse storie. Così continuiamo i tanti sbagli.
Invece di sorrisi e gioia avanza, con quell’amore, il dolore e la tristezza.
Abbiamo perduto qualcosa? Ci siamo persi, noi che non ci siamo incontrati o semplicemente non ci siamo conosciuti.
E così difficile trovarci? Sono belli gli involucri, piacciono quegli innumerevoli artifici per apparire.
Poi ascolta le parole; volano alte. Aggiungiamo nomi, nomi propri, alla parola t’amo. Amo Maria, Giacomo e Lucia...
Ma quando ami tu abbracci, tocchi, accarezzi; stringi l’amore per te.
Già, quell’amor-te, quel per te-amor, è la morte.
Noi amiamo si sa bene perché. Noi amiamo per morire. Morire a questa vita.

lunedì, dicembre 06, 2004

L'Ulivo ritorna

Solitamente la sofferenza ed il dolore isolano, fanno sentire soli; invece può capitare che una ferita, patita da molte persone insieme, diventi un dolore che aggrega, diventi Storia. Questo è quello che ho avvertito partecipando a Montecatini all'assemblea della Rete dei cittadini per l'Ulivo. Ho avvertito che l'Italia, in questo delicato momento, non può tradire la sua intelligenza, non può fare a meno della serietà delle sue persone migliori. Ecco allora emergere, come anticorpi naturali, le capacità curative per difendere la comunità civile dagli attacchi alla sua integrità. Si può forse pensare di tenere unito un popolo, una cultura italiana, una grande patrimonio culturale e artistico con Bossi? Con Berlusconi, Previti o Dell'Utri? Con Gasparri o Castelli?
Forse qualcuno troverà di qualità questi ultimi uomini e la loro politica, ma senza dubbio si può affermare, come Pietro Scoppola, che essi hanno corroso il costume etico di questo paese.
Quale modernità, quale rivoluzione fiscale o svolta storica nei rapporti tra Stato e cittadino, c'è con questo governo di centrodestra? Quello cui si assistiamo è un depauperamento ed uno svilimento della convivenza civile: l'agonia dello stato sociale. Di fronte a questo movimento disgregante, di rottura dei sentimenti di solidarietà propri del popolo italiano, ecco che Romano Prodi ritorna. Ecco che una speranza si riaccende.
No, non è stata una battuta chiamare 'mercenari' gli attivisti di Forza Italia, da parte di Prodi, ma il rimarcare la profonda differenza di come si intende la democrazia. Con Berlusconi, con i suoi sondaggi, le sue decisioni e rapporti con gli stessi alleati, si assiste ad una sorta di democrazia delegata, per non dire altro; con Prodi la democrazia è partecipazione: è avvicinare i cittadini sempre più alle scelte di governo, rendendo trasparente e chiaro l'esercizio del potere.
Prodi si è rivolto alla platea di Montecatini, ai cittadini per l'Ulivo, formata da semplici volontari che hanno a cuore lo spirito di radici comuni ed il senso profondo delle cose che uniscono, nei valori della libertà e della solidarietà, dicendo: "Dobbiamo risanare la ferita inferta alla Costituzione e alla convivenza civile, ricostruendo un'etica, coinvolgendo i cittadini a 'spendersi' -non 'vendersi'- per cercare e creare consenso. Questo è possibile con le elezioni primarie, strumento con cui è possibile spezzare sia il controllo dei media, sia il potere esercitato per interessi personali, in modo opposto al servizio della comunità…Il mondo è cambiato profondamente e quello che ci aspetta è saper interpretare i grandi cambiamenti. Lo 'stato sociale', il welfare, sono le due grandi novità di questa parte del mondo e se qualcuno cade, noi lo tiriamo su. Il mediterraneo centro del mondo bisogna che torni ad essere centro della Storia…".
Ecco allora un grande messaggio; insieme cura e speranza per la rinascita dell'Italia.




mercoledì, dicembre 01, 2004

In ricordo di 'Gino' Veronelli

E’ morto Luigi Veronelli giornalista enogastronomo; così titolano i giornali.
Per me, suo lettore, dico che è morto un filosofo e scrittore conosciuto; ma questo si sa: collaborò con il filosofo Giovanni Emanuele Bariè e scrisse con Mario Soldati, Gianni Brera, Luigi Carnacina arrivando a pubblicare De Sade, nel 1957, che fu l’ultimo rogo della censura italiana. Ma poi, sempre per me, fu un inventore e fine letterato, direi poeta dei prodotti della terra, in primis vino e olio.
Beh io con Veronelli ho goduto di molte bevute, pur non ubriacandomi mai; certo bevevo le sue parole scritte e con quelle ho gustato mille vini.
Non c’era nessuno come lui che sapesse descrivere i sapori, le tonalità, i profumi, gli afflati, le sensazioni, gli umori appena accennati di un vino o di un piatto di fagioli.
Ecco per chi non lo conosceva, alcuni suoi scorci di scrittura:
“Anni ’50. Gli offiziali e gli enologi giuravano: i vignaioli si sarebbero mutati in operai e le aziende agricole in industrie.
Anche tra i giornalisti ero l’unico, proprio l’unico, a credere nei valori della vigna, dei vignaioli e del vino adatto agli individui e non alle masse. Proprio per dare peso ed importanza al termine, decisi di scrivere vignaiuoli. Quella u avrebbe avuto lo stesso effetto che i baffoni di re Umberto nelle foto 1800…”
Raggiunto lo scopo Veronelli tornerà a scrivere ‘vignaioli’…
“I miei vignaioli d’antan, duri, lividi, con le toppe al culo, umiliati, dicevano al loro vino appena pronto – a bassa voce, come fosse una ragazza in fiore – «la Barbera». Con la stessa emozione del «Ti amo».
In Verona - sia al Vinitaly, sia e ancor più al Critical Wine - si è discusso a lungo dei vini autoctoni. Credo che Giacomo avrebbe consentito e Riccardo consenta con la mia affermazione: essere la Barbera, se accompagnata dalla più puntuale indicazione d’origine, il più autoctono dei vini”.
E poi, l’unica esaltazione dell’ultimo dei vini…il lambrusco.
”Parteciperò – sol mi protegga il santo personale, Bernardino da Siena – con alcune bottiglie di un “mio” Lambrusco psichedelico. I giovani allievi hanno raccolto, l’autunno scorso, per le terre destinate all’ingorgo “autodromale”, le uve dei pochi ceppi individuati qua e là: la cornona, la oliva, l’amabile di Genova, la filucca, l’uva della Quercia, la termarina rossa, l’uva Tosca, la picol ross, la scorza amara, la bisa, la nobel, la viadanese, la marzamino e la sgavetta.
Vinificato al meglio, ne è venuto il più umano tra i vini. Lo bevi. È come se ogni goccia fosse a sé e ti facesse il racconto di piante fatte dimenticare dalla stupidità d’industria.
Ne porterò a casa una bottiglia per berla nel mio grande giardino, al canto del cucù pieno d’aria che pare soffiato in un flauto.”
Il grande Veronelli, Gino, ci mancherà.