domenica, gennaio 26, 2014

Sulle preferenze elettorali...

L'articolo di Giovanni Sartori, sul Corriere della Sera, dice: 'Siccome sono io che ho inventato a suo tempo le etichette Mattarellum e poi Porcellum, oramai mi è venuto il vizio e così provo ancora. Italicum proprio non mi va. Sa di treno. Al momento proporrei Bastardellum'.
Mi va bene. Non mi va però quello che sostiene dopo, ossia che le preferenze siano una questione annosa e superata...'Poi, d’un tratto, venne in mente alle nuove generazioni di politici e giornalisti che così gli eletti non erano veramente eletti dal demos votante ma «nominati» dai partiti. Stranezze della storia'.
A mio parere è proprio la storia a reclamarle. Sotto sotto c'è ancora e sempre la grande anomalia politica rappresentata da Berlusconi e il suo potere. Un potere derivato dal non avere risolto il conflitto di interessi e nel tollerare tutte le furbate ottenute dal suo esercito di avvocati e fans. Buona parte del degrado della classe politica è dovuta a Berlusconi e alle sue scelte di portare in Parlamento personaggi non solo discutibili ma anche inquisiti, pregiudicati e incredibilmente inadatti alla politica: erano in buona parte solo servi del loro padrone. Gli altri partiti hanno seguito.
Uno dei personaggi politici che più hanno abbassato la qualità del personale politico è stato poi Antonio Di Pietro: si devono a lui personaggi come Scilipoti e Razzi. Nasce così, a mio parere, l'esigenza di rimettere le preferenze; con quelle almeno si potranno coinvolgere gli elettori nella responsabilità delle scelte degli uomini. Si spera che forse con le preferenze non avremmo più in Parlamento, Scilipoti e Razzi: messi nuovamente in lista da Berlusconi come favore da pagare per il loro acquisto alla sua causa (personale).
Non parliamo poi dei listini dei sindaci e dei presidenti regionali nelle elezioni locali. Qui in Liguria i cosiddetti dipietristi in Regione sono tutti inquisiti per peculato e nessuno mi pare abbia qualche merito politico. Proviamo a levare i listini e a reintrodurre la preferenza?

domenica, gennaio 19, 2014

Le regole del gioco in democrazia...

Ora si chiede e si desidera che la legge elettorale, sia largamente condivisa. Giusto. Scelta allora obbligata incontrare anche il capo-padrone della forza politica denominata Forza Italia. Anzi, dato che in quel partito, sorto senza congressi e discussioni, decide tutto un unico uomo è normale incontrarlo.
Non bisogna però dimenticare che la regola del gioco, l'attuale legge elettorale bocciata dalla Corte Costituzionale, era stata fatta a maggioranza e votata da una sola parte dello schieramento politico.
Perchè non dire che quella legge era stata voluta proprio da Silvio Berlusconi per impedire il risultato di una vittoria schiacciante del suo avversario politico che in quel periodo era Romano Prodi? Quale altro bisogno c'era di cambiarla? Sapendo poi di quante leggi scritte male e dal profilo infingardo, erano state votate da quella maggioranza di centro-destra, c'era da aspettarsi che quella legge elettorale -definita dallo stesso estensore una porcata- avesse vita effimera.
La legge elettorale porcata è stata bocciata su vari punti e uno importante era quello cui si dava senatori in maggioranza, non suddividendoli pariteticamente nelle varie Regioni ma, in base a quelle più popolose e guarda caso in mano al centro-destra: Lombardia, Veneto e Piemonte.
Ora è giusto decidere regole del gioco condivise, però stiamo attenti a trattare con chi per sua natura cambia sempre le carte in tavola ed è stato condannato per frode; e ha in corso processi su compra vendita di parlamentari. C'è da fidarsi di Silvio Berlusconi? Io sarei molto cauto.
Quell'uomo è capace di gridare ai golpe, di parlare di complotti della magistratura, di diventare una vittima ebrea, di far votare al parlamento: cose false come se una marocchina fosse la nipote di un dittatore egiziano. A quell'uomo interessa poco dell'Italia e delle regole: il suo interesse è solo personale. Io non mi fiderei...per realismo politico però quell'uomo ha ancora consensi in una fetta di italiani e allora? La democrazia ha questi difetti: possono vincere anche gli infingardi.

sabato, gennaio 18, 2014

A volte i Buddha da uccidere (metaforicamente), uccidono realmente.

Una notizia di agenzia ci dice che oggi a Mumbai, in India, sono morte almeno 18 persone e rimaste ferite una quarantina per la calca durante una veglia ad un santone musulmano sciita di nome Syedna Mohammed Burhanuddin.
In questo caso bisognerebbe dire -parafrasando il titolo di un famoso libro di Sheldon B. Kopp, 'Se incontri il Buddha per la strada, uccidilo', - Se incontri un Buddha ti uccide.
Scritto nel 1972, l'interessante e provocatorio libro di Sheldon B. Kopp- psicoterapeuta di Washington- insegnava a superare il mito del maestro, del guru, del sacerdote, del terapeuta o guida religiosa. Insegnava a rinunciare al ruolo di discepolo, facendoci assumere la responsabilità di quello che facciamo, abbandonando l'idea che qualcun altro possa guidare le nostre scelte.
Purtroppo sembra che l'umanità non sia mai pronta ad abbandonare le figure genitoriali e l'autorità che ne deriva. In questo senso larghe masse di persone e popoli non saranno mai veramente adulte, libere e responsabili.
E' difficile far passare la nozione che i guru, i santoni, ecc. sono solo dei mezzi che aiutano a raggiungere se stessi, non sono il fine della nostra ricerca. Ucciderli (metaforicamente) significa riconoscere che sono strumenti di aiuto, compagni di strada che non vanno mitizzati. Essi sono figure umane importanti ma provvisorie, che ci accompagnano per un tratto della nostra vita.
In breve dovremmo sapere tutti che in questa nostra vita noi siamo tutti pellegrini. Non c'è alcun maestro, non c'è alcun allievo.
Chi si rivolge a dei maestri di vita, a saggi, guru, guide spirituali o psicoanalisti è un pellegrino che si mette a cercare fuori di sè, mentre dovrebbe imparare con la sua vera e propria conoscenza-coscienza che la sua forza è costituita dal desiderio di crescita. Ognuno ha in sè le risorse per cambiare ed evolvere. Maestri, guru, Buddha e psicanalisti sono solo mezzi per scoprire quelle risorse.
Per ciascuno di noi quindi, l'unica speranza risiede nei propri sforzi per completare la propria storia, non nell'interpretazione di un altro. I passi per trovare la strada di casa sono nostri; la strada che un altro ha percorso, non mi ci porterà.

venerdì, gennaio 17, 2014

Recensione al libro di Michele Serra: Gli sdraiati

Una lunga Amaca, quasi a rimarcare il senso de gli sdraiati, ovvero il Gruppo dei Giovani. Il libro di Michele Serra -Gli sdraiati- appare così come una lunga riflessione, un romanzo breve, ma soprattutto un lungo j'accuse ad una condizione giovanile da chi ha imparato a stare in piedi diritto e a camminare in montagna. Un atto d'accusa ad una generazione che nel suo stare sdraiata ha provocato una frattura nella scala evolutiva.
Ecco la riflessione impietosa e ironica nello stile umoristico dell'autore su quanto si avverte nella guerra generazionale: quasi un trattato sociologico su quanto sta accadendo.
Si sta combattendo una guerra tra due eserciti: quello del Vecchi contro i Giovani. Uno numeroso, quello dei Vecchi e l'altro, quello dei Giovani, destinato a vincere, obbligato a vincere, poiché diversamente sarebbe la fine della specie umana...ma quale specie?
C'è da riflettere e pensare se quei 'mostri' sdraiati non siano in fondo una appendice del nostro essere, del nostro pensare e insieme del nostro agire; insomma figli del nostro tempo. Tempo nostro sotto tutti i punti di vista.
La scelta di fare dell'economia un nostro fine è nostra? E' stata in una certa maniera il solo mezzo per uscire da una miseria aggravata dalla seconda guerra mondiale? E' questa la generazione dei Vecchi che hanno fatto il '68?
Poi è sorta la rassegnazione ed è forse quest'ultima che ha sdraiato chi è arrivato dopo: quelli senza colpa e voglia di cambiare.
Quello che testimonia Michele Serra è la voce di un padre. E' la voce di un genitore che parla al proprio figlio. Un figlio che teme, che biasima, che cerca di capire e che non conosce. Quel figlio è un esempio di incomunicabilità. Un esempio non nuovo. Ricordo che all'inizio degli anni '60 Michelangelo Antonioni girò una trilogia di film che affrontavano la difficoltà esistenziale a comunicare. C'era l'alienazione dell'uomo di fronte ad una società che si trasformava velocemente e metteva nel paesaggio l'aridità dei sentimenti. Un riproponimento sotto altre forme dialettiche.
Così attraverso Gli sdraiati di Michele Serra possiamo scorgere nuovi punti di vista per interpretare il grande vuoto, la cesura generazionale attuale.
Bisognerebbe rispolverare la teoria dei modelli e contromodelli, ovvero quei canoni culturali ed educativi che formano lo script del nostro destino. Gli esempi da assumere o rifiutare; condividere o controbattere.
Andare insieme al figlio sul Colle della Nasca è l'ossessione del padre. E' l'elemento metaforico di un cammino insieme verso una cima, una meta raggiunta diverse volte. Andare sul Colle della Nasca è stata una passeggiata fatta con i nonni, con gli zii, i parenti, gli amici; una esperienza da tramandare ora che il mondo ha esaurito ogni esperienza, digerito ogni cibo, cantato ogni canzone, letto e scritto ogni libro, combattuto ogni guerra, compiuto ogni viaggio, inventato e smontato ogni idea...
Cosa passare ai figli? Qui c'è Michele Serra padre che riflette. E' il padre borghese di sinistra che sa che il figlio è altro. Un padre che con il suo relativismo non ha potere e non lo vuole. Il padre riflette e allora una ragione la si trova di fronte alla rabbia e alla malinconia; la trova nell'amore.

Qui sotto la presentazione del libro alla Feltrinelli di Torino con Luciana Littizzetto
La mia recensione l'ho scritta senza vedere e leggere nessuna recensione. Ho trovato e visto dopo questo video e mi fa piacere segnalarlo. Riesce a descrivere bene l'aspetto narrativo.

martedì, gennaio 14, 2014

Il razzismo della Destra e della Lega in particolare

Mi sono imbattuto durante una ricerca sul web in una pagina di Libero di circa cinque anni fa -12 maggio 2009-, diretto a quel tempo da Vittorio Feltri. La prima pagina di quel quotidiano conteneva un test che avrebbe dovuto far scoprire chi è più razzista, la Lega o la Sinistra? Le domande erano 10 del tipo:
Un gruppo di clandestini ubriachi è solito pisciare proprio nell'aiuola dei giardinetti pubblici in cui tuo figlio gioca con i suoi amici. Come reagisci?
Risposte da scegliere: A) Mi arrabbio come un serpente a sonagli. B) Non lo apprezzo ma lo giustifico, vista la difficile condizione in cui si trova a vivere questa povera gente. C) Non saprei, mio figlio e i suoi amichetti sono iscritti al Tennis Club e non vanno ai giardinetti.
La teoria di quel giornale, spacciata con il test, è che chi sceglieva il primo tipo di risposte (A) apparteneva al borghese che ha scelto di stare a destra, uno che lavora duro e che non vuole immigrati tra i piedi. Il secondo tipo di risposte (B) è di quei cattolici che vivono nel mondo delle fiabe, hanno il parroco no global e amano la tolleranza e l'apertura verso il prossimo. E infine, quelle del terzo tipo (C) sono quelle della sinistra radical chic che ama gli immigrati, soprattutto dopo che hanno indossato la livrea. Insomma, tra deprimenti frizzi e lazzi la ricetta di Libero è semplice, come può apparire semplice il populismo: gli immigrati? Ributtiamoli a mare e staremo tutti meglio.
Si capisce che le domande erano costruite apposta per far scoprire quanto è ipocrita la Sinistra nel suo buonismo verso gli immigrati. Il soprattitolo del test pubblicato in prima pagina, spiega il gioco più di ogni riflessione: Clandestini e Furbettini, e qui si capisce chi sono i furbettini e come si devono trattare i clandestini, che poi saremmo noi: quelli che non si abituano al conformismo e e razzismo di Borghezio, Gentilini, Calderoli e Salvini...
Gli anni passano ma il razzismo non finisce. Si sa, è endemico all'ignoranza, al non accettare l'altro, il diverso.
Ora la maggior parte degli italiani restano ammutoliti davanti alla tragedia delle morti che continua nel mare di Sicilia, con l'arrivo di barconi sgangherati pieni di profughi, disgraziati e migranti che cercano in Europa un'occasione di riscatto, di uscita dalla disperazione vissuta a casa loro. Noi non sappiamo come rispondere. Certo non è con la repressione o leggi punitive che si riesce a fermare queste persone in maggior parte donne con figli piccoli. Dovremo pensare sempre al mondo, alla nostra Terra, come ad una cosa unica dove quello che succede in qualche parte di esso interessa tutti.

mercoledì, gennaio 01, 2014

Recensione al libro: Il club degli incorreggibili ottimisti di Jean-Michel Guenassia

Inizio i post dell'anno 2014 con la recensione di questo romanzo di oltre 700 pagine, con la lettura appena conclusa.
Saga famigliare? Affresco storico? Romanzo di formazione? Difficile classificarlo, certo è che questo romanzo ha al centro il tema della memoria e per le parole dell'autore stesso del come salvarla e tenerla viva.
Il romanzo ruota attorno a Michel Marini, ragazzo figlio di una famiglia italiana emigrata a Parigi. Un giorno nel suo divagare con gli amici nel quartiere parigino dove abita, si imbatte nel bistrò il Balto; qui conosce un gruppo di uomini, che parlano un francese a volte approssimativo e portano dentro di sé storie e passioni sconosciute. Sono profughi dei Paesi dell'Est, uomini traditi dalla Storia, ma visionari che ancora credono nel comunismo.
Frequentare il Balto vuol dire scoprire il mondo. Michel impara a conoscere l'amicizia, l'amore, la complessità degli ideali.
Nel retro di un bistrò si litiga, si beve, si gioca a scacchi, si raccontano storie terribili di esilio che si intrecciano sullo sfondo di un decennio epocale, tra filosofia e rock'n'roll, Sartre e Kessel, la conquista dello spazio e l'inizio della Guerra fredda.
Il club degli incorreggibili ottimisti è un romanzo che prende strade inaspettate dove le molte vite sono il rivolo di un unico letto di fiume, quello di una sola vita che ne racchiude tante. Già, giochi di memoria. Giochi della storia. Giochi di partite a scacchi che hanno risvolti inattesi.
Bellissimo romanzo capace di racchiudere gli orrori del '900. Orrori che dovrebbero aiutarci a fare un salto e che invece appesantiscono i piedi. Fiaccano le membra.
Il titolo alla fine trova una ragione che durante la lettura non si scopre; bisogna arrivare al fondo. Al fondo della verità che rimane tale per ognuno. Divisa. Un mosaico che ha bisogno di lontananza per essere capito. Per essere visto.
Dopo sì, possiamo pure entrare anche noi in quel club che alla fine si dissolve come l'epoca che ha attraversato.
L'ottimismo non ci abbandona.
L'anno dove prende l'avvio la storia è il 1959. Siamo nella Parigi in fermento per i conflitti coloniali e per essere la meta di molti uomini allo sbando. Lo stesso fermento dell'età di Michel che si trova a vivere l'adolescenza. I protagonisti oltre a Michel Marini sono: Igor, Leonid, Imrè, Pavel, Tibor e Sasha oltre a Camille, Cecile, Frank e altre figure della famiglia Marini.
Il mio pensiero, appena girata l'ultima pagina, è stato quello che è vero che ci muoviamo all'interno di storie più grandi di noi e che appaiono difficili da riuscire a controllare, ma a ciò dovremo opporre sempre una nostra coscienza e responsabilità personale: un solo nostro essere vivi e liberi...con ottimismo
Questo libro fa riflettere su quanti equivoci, rimpianti, colpe, bugie e rimorsi ingabbino la vita di ognuno.

Autore: Jean-Michel Guenassia
Titolo: Il club degli incorreggibili ottimisti
Titolo originale: Le Club des incorrigibles optimistes
Editore: Salani - Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 18,60 euro - Pagine: 708 - 18,60 € - ISBN 978-88-6256-210-2