mercoledì, dicembre 30, 2015

Buon anno 2016 nel nome di Ernst Bloch

Io appartengo ad una generazione che non ha visto la guerra. La prima generazione dopo molte che l'hanno vissuta.
Alla mia generazione la guerra è stata raccontata dai padri. I loro occhi videro immagini che si augurarono i loro figli non dovessero vedere mai. Mai più. Quelle atrocità; quelle crudeltà e insensatezze vissute nella guerra avevano segnato le loro vite in modo indelebile.
La mia generazione non ha vissuto la guerra e ai nostri figli abbiamo consegnato un certo benessere. Abbiamo allevato figli, che ora sono a loro volta genitori, senza raccontare di guerre; di morti e dolori immani. Certo abbiamo vissuto stagioni difficili quali il terrorismo, lo stragismo politico, le congiunture economiche, catastrofi naturali come terremoti e alluvioni, difficoltà sociali...ma mai qualcosa paragonabile alla guerra. Così ora son tre generazioni che in Europa si vive in pace. Questa è una cosa buona e bella.

Nonostante questo rallegramento oggi viviamo con la paura del terrorismo che è connotato da ideologie religiose: ci sono dei fanatici, che si proclamano islamici, pronti a farsi saltare in aria uccidendo a caso chi si trova vicino a loro. Anche loro sono prodotti di guerre lontane che rimbombano tra le nostre case. Qui sta scomparendo la generazione che ha vissuto le atrocità delle guerre e delle dittature europee. Non ci saranno più i testimoni capaci di raccontare ciò che hanno vissuto.
La memoria cosiddetta collettiva pare esaurirsi con queste persone; abbiamo molti strumenti per prolungarla: ci sono libri, filmati, documentari, registrazioni audio, archivi giornalistici, ecc.. eppure moltissimi giovani hanno una forte ignoranza di ciò che accadde.

Inoltre si riparte con pseudo nuove ideologie di sterminio verso chi non è come loro; altri vorrebbero riportarci ad un passato inneggiando a dittatori e dittature di cui non hanno conoscenza.
Sembra che ripercorrere un cammino sempre uguale, rinascendo bambini ignoranti ogni volta, sia l'atroce condanna di ricapitolare ogni volta la storia. E' così? Pare di sì. Ma tutto può cambiare.

Certamente l'augurio per l'anno che verrà non può essere che di speranza e ottimismo. Sì quel principio di speranza che per il filosofo tedesco Ernst Bloch è un lavoro che si impara poiché l'atto di sperare è superiore alla paura. La speranza è un lavoro che forma il nuovo allargando gli orizzonti umani. Ernst Bloch ricorda anche la capacità dell'uomo, nella costruzione tramite la fantasia, dello spirito utopico, che permette la realizzazione di un uomo che non è mai ancora nato, l'homo absconditus: l'uomo inedito tra ciò che è e che potrebbe essere.
Magari con ciò riusciremmo a sconfiggere la condanna di ricapitolare ogni volta la storia passata. Già, un nuovo mai vissuto dove l'uomo esiste per l'uomo. Buon 2016 come portatore di buone novità.

martedì, dicembre 29, 2015

Lettera sulla Felicità di Epicuro

25 anni fa veniva pubblicato un librino di 32 pagine, che apriva la collana delle 'millelire' per Stampa alternativa dell'editore Marcello Baraghini, dal titolo Lettera sulla Felicità di Epicuro.
Questo testo, di ventitre secoli fa, in forma di lettera all'amico Meneceo parla a noi con estrema semplicità dell'etica, della felicità e di come perseguirla.
Epicuro di Samo, vissuto tre secoli prima di Cristo, insegnava filosofia ai suoi discepoli all’ombra degli alberi del suo giardino. Il suo pensiero, per certi versi pragmatico, era trasmesso dai suoi discepoli, che erano conosciuti come i 'filosofi del giardino'. La sua filosofia arrivò a scontrarsi durante l'impero romano con il Cristianesimo -divenuto religione di Stato- e fu molto in voga fino a quattro secoli dopo Cristo.

La lettera a Meneceo si apre con un’esortazione a praticare la filosofia, unico vero mezzo per raggiungere la felicità. Secondo Epicuro ogni età è adatta alla conoscenza della felicità, da giovani come da vecchi è importante e giusto dedicarci a conoscerla: da vecchi, vivendo una nuova giovinezza ricordando la felicità vissuta in passato, da giovani per non temere il futuro. Perché la felicità è in assoluto il bene sommo: quando la raggiungiamo non ci manca nulla, quando non la abbiamo facciamo di tutto per ottenerla.
Saggezza e felicità non sono disgiunte. La saggezza ci insegna che è saggio colui che non si abbandona alla superstizione, non teme la morte, considera la vita un bene ed è selettivo rispetto al suo tempo. La vita beata e saggia è, perciò, capacità di scelta.
La felicità non può esistere senza il piacere. Un pensiero che, contrariamente a tanti altri, non ha mai fatto e non può fare male a nessuno, che invita ad amare se stessi e soprattutto a rispettarsi, azione primaria per non danneggiare i nostri simili. Epicuro è così uno fra i pensatori più amati e odiati di tutti i tempi, senz'altro il più mistificato, equivocato, vilipeso, il cui pensiero è come un incubo nella storia del cristianesimo. Il cristianesimo considerato il più grande propagatore di sensi di colpa e rifiuto del piacere.

Secondo il pensatore di Samo l’uomo possiede una naturale predisposizione alla religiosità e la nozione di divinità ci suggerisce che la materia divina sia eterna e felice. Perciò non va contro la divinità e agli dei colui che rifiuta la religione popolare, bensì chi gli attribuisce caratteristiche che sono proprie degli uomini.
Come altro farmaco Epicuro consiglia di non temere la morte. La morte non è nulla per gli uomini, dal momento che il piacere e il dolore sono entrambi percepibili tramite i sensi e la morte altro non è che la cessazione del sentire. Chi giungerà a questa consapevolezza sarà a maggior ragione spinto a godere ed apprezzare la condizione mortale della propria vita, privato dell’illusoria speranza di una vita futura immortale. È anche sbagliato temere la morte perché è doloroso sapere che prima o poi giungerà: infatti ciò che non causa dolore sopravvenendo è inutile che ci addolori nell’attesa.
In sostanza per Epicuro la morte non significa nulla né per i vivi né per i morti: quando ci siamo noi la morte non c’è, quando c’è la morte non siamo più.

Importante passaggio è poi quello sulla semplicità che rafforza l'essere saggio:
' I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l'acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca. Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d'apprensione verso i bisogni della vita ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare un'esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi della sorte. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno'.

La lettera si conclude con un’esortazione che Epicuro fa a Meneceo, ovvero di meditare sempre di queste cose con sé stesso e con i suoi simili, in modo da non essere mai in preda all’ansia e poter vivere come un dio tra gli uomini.
Desideri e piaceri vanno sempre ponderati. Epicuro scrive:
'Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l'indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l'inutile è difficile'.

Un libro di filosofia applicata che si dovrebbe continuare a diffondere per aiutare a raggiungere la felicità e insieme conoscenza e salute.

Buon anno 2016

sabato, dicembre 12, 2015

Trasmettere Cultura

Gli immigrati e i rifugiati che sono arrivati o stanno arrivando in Europa potrebbero essere senz'altro una risorsa se sapessimo trasmettere a loro la nostra cultura dei diritti; sapessimo insegnare loro le esperienze della nostra storia...invece abbiamo la conferma che non solo non siamo in grado di trasmettere qualcosa a loro, ma anche a chi è nato qui. Non sappiamo insegnare chi siamo. Non sappiamo parlare della nostra storia, delle nostre conquiste sociali ecc.
Perché? Perchè sta succedendo questo? Oltre che nelle famiglie c'è sicuramente una mancanza nella scuola. Ma si insegna nella scuola l'educazione civica? Si insegna nella scuola come si è arrivati alla cultura dei diritti personali? Come si è arrivati a scrivere le costituzioni dei vari Stati europei?

Il nostro Occidente, e l'Europa che ne è la culla, ha espresso una cultura della libertà che trova una civitate nella carta dei Diritti dell’Uomo. L'individualismo, nell'originale società Occidentale, trova con la libertà i valori buoni. Naturalmente un individualismo non ridotto a semplice egoismo, ma a valorizzazione delle capacità singole.

Nel 2004 Jeremy Rifkin indicava l'Europa come il sogno europeo fosse divenuto il sogno che sostituiva quello americano, giunto alla sua fine. L'Europa con il privilegiare uno sviluppo sostenibile, l'integrazione sociale e la responsabilità collettiva poteva nuovamente essere faro nel mondo come lo è stata la sua cultura scientifica e artistica. Ma forse è bastato trasferire in Europa l'onda della grande crisi finanziaria del 2008, nata negli USA, per far perdere ogni tipo di sogno e di futuro a tutti.

Vedo nei giovani molta ignoranza sui fatti storici. Una ignoranza che diventa terreno fertile per far avanzare culture di vario genere; culture che fanno ritornare indietro, ai preordi delle grandi guerre del secolo passato.
L'Europa è la culla della democrazia parlamentare e non bisogna dimenticare che questo risultato filosofico-civile del pluralismo culturale è stato raggiunto dopo sanguinose guerre civili e di religione. L'Europa è stata dilaniata da conflitti crudeli prima che arrivasse a riconoscere un valore reciproco dell'altro diverso da me.

Ora pare che dovremmo iniziare da capo. Si ha veramente poca memoria nell'affrontare le sfide di oggi. Basta l'attacco terroristico arrivato dagli integralismi religiosi come quello islamico, che si risponde con muri e nuove chiusure sciovinistiche.

Esistono altre strade; c'è quella della religione cristiana promulgata da Papa Francesco e quella etico-laica della politica dei diritti umani uguali per tutti. Strade da diffondere insieme alla nostra storia. Proviamoci.

domenica, dicembre 06, 2015

Il caso e la necessità di Jacques Monod

Prima di passare al 2016, voglio ricordare che 50 anni fa -nel 1965- Jacques Monod, biologo francese, vinceva il premio Nobel per la Medicina e nel 1970 -5 anni dopo- usciva il suo libro Il caso e la necessità, che avrebbe sollevato un grande dibattito scientifico.
Ricordo anche l'impegno che mi ero preso di parlare di questo libro mentre ho pubblicato su questo blog la recensione di Dio e Darwin di Orlando Franceschelli.
In pratica J. Monod, alla luce delle nuove scoperte della biologia, confermava la teoria darwiniana sull'Origine della specie aggiungendo una nuova comprensione fisico-chimica della pressione selettiva. Una nuova mazzata alla visione antropocentrica della natura.
J. Monod, con una grande cultura umanistica, illustra nel suo libro, Il caso e la necessità, le conseguenze filosofiche delle ultime scoperte della biologia molecolare e della genetica in una prospettiva totalmente nuova del rapporto sotto il profilo ontologico. La Natura non ha progetti o fini, questi implicherebbero l'esistenza di un qualche dio, mentre invece si basa su un postulato di oggettività; base di ogni scienza positiva. Quello che pensa l'uomo non sono proprietà delle cose ma elementi per assicurare la propria conservazione. Sono teleonomie, ovvero azioni finalistiche.
Il libro si apre con la frase di Democrito: Tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità.
Le due possibilità, Caso e Necessità, che determinano tutto ciò che esiste nell'universo (come detto da Democrito) paiono antitetiche: mentre la necessità indica l'impossibilità di non poter esserci altra scelta, il caso indica invece una chiara assenza di cause o scopi...cosa può avvenire allora?
Jacques Monod, generalizzando filosoficamente gli sviluppi della biologia e della genetica, risponde così: 'soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera, poi nella struttura invariante e telenomica dei viventi farà sì che al caso subentri la necessità quale inesorabile determinazione' (posizione condivisa oggi anche da R. Dawkins, il più noto sostenitore del neodarwinismo).
Tutto ciò impone una ridefinizione dei canoni etici con cui l'uomo agisce.
Noi siamo i discendenti di quell’homo sapiens che aveva bisogno della spiegazione mitica. È da loro che abbiamo ereditato probabilmente l’esigenza d’una spiegazione, l’angoscia che ci costringe a cercare il significato dell’esistenza. Angoscia creatrice di tutti i miti, di tutte le religioni, di tutte le filosofie e della scienza stessa.
L’invenzione dei miti e delle religioni, la costruzione di vasti sistemi filosofici sono il prezzo che l’uomo ha dovuto pagare per sopravvivere in quanto animale sociale, senza piegarsi ad un mero automatismo.
J. Monod, ci indica come la Scienza dovrebbe essere sempre di aiuto all'uomo per comprendere quanta responsabilità abbia nella costruzione del proprio destino. Oggi più che mai con l'insorgere di fondamentalismi, di terrorismi, di responsabilità della rottura dello stato ecologico naturale, con il conseguente cambio climatico, ecc. dovremmo rileggere ciò che scrive Monod: 'L’uomo deve accettare il fatto che è solo nell'immensità indifferente dell'Universo da cui è emerso per caso. Ma ciò non toglie all’uomo la libertà e la responsabilità, anzi: il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. A lui la scelta tra il Regno e le tenebre'.

Per chi volesse leggere gratuitamente il libro 'Il caso e la necessità' in formato PDF può farlo a questo url: QUI

sabato, dicembre 05, 2015

This Changes Everything – Capitalism vs the climate. Libro e Documentario di Naomi Klein & Avi Lewis

Naomi Klein e Avi Lewis hanno fatto un nuovo documentario dal titolo: 'This Changes Everything, ovvero 'Questo cambia tutto'.
Il titolo del documentario è il titolo omonimo di un libro della Klein- che a dire il vero ha in aggiunta nel sottotitolo la frase: Capitalism vs the climate (Capitalismo contro il Clima). Questo documentario ne segue un altro, girato nel 2004 sempre dalla stessa coppia -marito e moglie nella vita- canadese, anch'esso tratto da un libro della stessa Klein che si intitolava: The Take (La presa). Quel film documentava l'autogestione delle fabbriche argentine da parte degli operai nel periodo successivo al disastroso collasso economico del 2001. Il racconto verteva nel seguire l’iter giudiziario e il dramma umano attraversato dagli ex-operai di una planta, una officina produttrice di componenti per auto. Nel tentativo di vedersi riconosciuto dal giudice il diritto a gestire da soli la fabbrica, il film attraversa il periodo nero dell'Argentina, dalla fuga del corrotto Menem all’elezione di Kirchner. Anche in quel caso si ipotizzava una alternativa al capitalismo.

Ora il nuovo documentario, fuori dalla retorica allarmistica sul cambiamento climatico, riporta la storia, la narrazione della resistenza di alcune comunità al cambiamento. Girato in diversi continenti per un periodo di tre anni, il documentario 'Questo cambia tutto' esamina dei casi in tutto il mondo, dove l'attivismo di comunità sia riuscito a rispondere all'impatto del cambiamento climatico voluto dal capitalismo.

Si racconta delle sabbie bituminose di Alberta in Canada (città natale di Klein), dove il terreno di copertura è stato spogliato da cose fastidiose come alberi, erba, terra, argilla...per centinaia di migliaia di miglia quadrate per raggiungere le riserve di petrolio sotto. Ancora di molti accadimenti come ad esempio: di una coppia di allevatori in Montana che sta combattendo contro una società petrolifera la cui linea di petrolio rompendosi ha inquinato l'acqua che alimenta il loro allevamento di capre; dei residenti di New York sfollati per l'arrivo dell'uragano Sandy; dei pescatori indiani la cui acqua è stata inquinata da una società elettrica a carbone...
In tutto sette ritratti di comunità in prima linea nella lotta al surriscaldamento del pianeta, dal Canada alla Cina, dalla Grecia all’India e oltre. Queste storie si intrecciano alla narrazione di Naomi Klein che svela i nessi tra il surriscaldamento globale e l'attuale sistema economico. A dimostrazione di come l'incontrollato 'sviluppo', dovuto al capitalismo, porti a distruggere il pianeta e che invece grazie ad alcune iniziative di base si abbia iniziato a combattere tutto ciò dandoci l'opportunità di affrontare e correggere il sistema disumano creato dal neoliberismo. Capitalismo contro il clima. Appunto.

Insieme al tema del clima cresce anche il tema della giustizia sociale, dell'ordinamento economico da cambiare...insomma tutto quello che attraverso ognuno di noi può fare e può contribuire per salvare la Terra.
Un bel programma di diffusione della consapevolezza senza incutere scenari apocalittici, ma servendosi di una ragionevole maniera di quanto è possibile fare da subito. Un bell'esempio per dare speranza a tutti che cambiare si può.

Uscito in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival e nelle sale di tutto il Canada il 6 ottobre scorso è pronto per essere visto in questo periodo in tutto il mondo, proprio in occasione della Conferenza mondiale sul Clima (Cop21) che si svolge dal 30 novembre all'11 dicembre a Parigi. In Italia il documentario è uscito il 2 dicembre in 51 sale e con poca pubblicità. Un vero peccato poiché, oltre ad essere un documentario di denuncia, ha anche un contenuto didattico poiché spiega cosa può fare ognuno di noi per salvare il pianeta Terra.

venerdì, novembre 27, 2015

La bellezza di Dio (negli anni della grande crisi) di Agata Dovì – edizioni liberodiscrivere©

Il libro di Agata Dovì porta un titolo 'La bellezza di Dio (negli anni della grande crisi)' che rimanda ad un saggio, ad una indagine socio-fiosofica, invece è un romanzo che racconta la storia di Lisetta Cantalupi, figlia di Rossana la Rossa, ballerina di avanspettacolo, e allevata da Creola, una meticcia.

La storia di Lisetta, procede attraverso cinque sogni e diversi personaggi tutti al femminile, con l'aggiunta di un amore verso Filippo Beaumont, un libraio. Un altro personaggio la cui bellezza di Dio è visibile a pochi.
Il racconto è alternato da una prosa cronachistica a una più poetica; dove i sentimenti vengono sviscerati tra ritrosie, pudori, paure e difficoltà.

Si può pensare che ognuno di noi abbia dentro di sé 'la bellezza di Dio', insomma una piccola scintilla di divino la conserviamo tutti; d'altronde -si dice- siamo stati fatti tutti a immagine e somiglianza di Dio...ma quella che accompagna Lisetta è una bellezza che è data a vedere solo poche persone: Lisetta ha una forma di paraplegia che la fa crescere con difficoltà e questa menomazione la rende 'invisibile' agli altri.
Eraclito diceva che il carattere di ognuno è il destino...per Lisetta è quanto più vero. La sua solitudine con la sua menomazione deambulatoria le daranno una introversione che sotto certi aspetti maschera una bellezza di Dio ancora più vera...allora cosa le riserva il destino?

Agata Dovì, non so con quanta consapevolezza, è riuscita a costruire la storia di Lisetta Cantalupi con questa verità. Nella quarta di copertina si legge:
'Aveva grandi mani con corte unghie di perla e pallide dita che danzavano sempre nell’aria al suono di archi che solo lei sentiva. Con esse tracciava il sentiero di una magica infanzia che le bambine percorrevano seguendo il volo di quelle due bianche colombe...'.

Questo è un romanzo al 'femminile' nel senso che la protagonista e i principali personaggi sono donne; sono donne che pur dentro le mille difficoltà sanno trovare la chiave di un sentimento d'amore verso chi le sta vicino. Lisetta troverà anche un amore...ma quello verso un uomo che seguirà un'altra storia: una storia che rimanda, questa sì, alla grande crisi che investe tutto e tutti. Ma il finale non si svela. Lo svelerà un epilogo.
Con Lisetta il lettore si troverà a ripercorrere un tempo lungo e pieno di fatti quotidiani che poi riempono la vita di ognuno. Fatti che come si diceva determinano il destino come i tratti del carattere. Che allora l'impressione di un saggio socio-filosofico sia vera? La cosa non spaventi: qui c'è la fantasia e la poetica di un romanzo; quindi il piacere del racconto da condividere.
A questo proposito Agata Dovì, con questo ultimo suo libro, è alla settima pubblicazione di suoi romanzi. Una bella testimonianza di voglia di raccontare e condividere storie.
Ecco i titoli: La lunga estate di Ester; Con gli occhi dei Bianchi Gabbiani; Dove il vento è sempre salato; I sogni di Sebastiano S.; Un radioso risveglio; Nel segno dei gemelli...e oggi: La bellezza di Dio, negli anni della grande crisi.

Questo libro l'ho presentato oggi insieme alla figlia, Mariella Angela Zapolla, valente musicista che ha trasportato, in una sua composizione per violino, i personaggi del romanzo.

giovedì, novembre 19, 2015

Il terrorismo islamico? Un nichilismo di chi ha rimosso cultura, sapere e storia

Il più vecchio dei terroristi è nato nel 1984. I terroristi che hanno colpito il 13 novembre Parigi, uccidendo altri giovani coetanei, sono nati tutti in Europa, nella stessa Europa che da sempre è stata culla dei diritti e esempio di laicità. Ora c'è da chiedersi che cosa abbiano assorbito quei giovani per arrivare a tanto orrore. Quale cultura li ha permeati? quale illusione li ha sedotti? Quali credenze e odio li ha portati a disprezzare la propria vita e insieme quella degli altri? Sono molti gli interrogativi che sollevano ed è difficile dare una risposta univoca.
I terroristi sono giovani compresi in una fascia di età tra i 20 e i 31 anni. Non che ci siano percorsi uguali tra i terroristi e le loro vittime: eppure una stessa società li ha partoriti. Sì, c'è lo stesso mondo occidentale che ha decretato la fine delle illusioni umane, facendo decadere il senso della vita con la perdita di ogni certezza. In termini filosofici quello descritto da Nietzsche. Ma poi?

Per combinazione in questo periodo sto leggendo il libro, di Winfried George Sebald, 'Storia naturale della distruzione' e una risposta mi è venuta da questa opera.
in questo libro straordinario, dello scrittore tedesco, si racconta il grande trauma della Seconda Guerra mondiale soffermandosi sull’apocalisse dei bombardamenti aerei che ridussero il suolo tedesco in macerie. Macerie che a loro volta erano state portate dal popolo tedesco in altri luoghi d'Europa, seminando terrore tra le popolazioni civili, oltre a devastare quanto fosse stato edificato nei secoli passati. La domanda era: perché non c'è stato uno scrittore tedesco che abbia raccontato l'epica di quei fatti? La risposta che l'autore dà a quegli avvenimenti sono molteplici.
Poteva essere quella di una elaborazione della colpa dei tedeschi su quanto succedeva; un'altra era senz'altro dovuta al controllo totale che il nazismo era riuscito ad esercitare nella vita dei tedeschi regolamentandone anche i sentimenti più intimi. Una aberrazione che si estese dalle famiglie a tutta la società. Come si poteva non credere nel mito germanico? Il popolo tedesco non era forse il popolo ariano che avrebbe dovuto governare e sottomettere il mondo? Allora non c'era da piangere, non c'era che sopportare, con stoica determinazione, ciò che loro in fondo avevano previsto per gli altri. Ricordiamo Guernica; Londra; Stalingrado...in ogni caso le esperienze raccapriccianti, gli orrori terrificanti resero al silenzio tutti. Non c'erano e non esistevano parole che potessero raccontare o descrivere quella realtà di morte infernale, di crudeltà immaginabile. Ma poi, una delle ragioni- la risposta che risulta la più importante del libro- era la perdita di memoria personale e collettiva, la mancanza di ricordi. La rimozione della tragedia, il cui potere è distruzione esso stesso.

Così ho l'impressione che una rimozione della propria storia personale e collettiva sia avvenuta, in questi trentenni terroristi, lasciando uno spazio ad una violenza che andando oltre il trasferimento del patrimonio culturale - che si scambia solitamente tra nonni, padri, madri e figli- si sia inserita in queste anime appropriandosi delle coscienze. La violenza per certuni diventa così paradossalmente 'naturale'. Naturale come la morte.
Ci sarà la possibilità di chiudere questi vuoti con storie e memorie? Non bisogna mai smettere di raccontare ciò che eravamo, ciò che siamo e ciò che dovremo continuare ad essere: umani con pietas e gnosi.

lunedì, novembre 16, 2015

Cose stupide. Cose naturali. Cose atroci come il terrorismo...

Scritto che avevo pronto per la pubblicazione in questo blog; visto quello che è successo a Parigi nella notte tra il venerdì 13 novembre e il sabato 14, mi ha fatto aggiungere qualche riflessione per l'attualità del discorso.

E' inutile dire che l'uomo nella sua vita fa tantissime cose stupide; è un segnale della sua limitatezza e insieme della sua pericolosità. E' anche un segnale della diversità dagli altri animali.
Al primo posto delle cose idiote che fa l'uomo senz'altro c'è la guerra. Questa esercita un particolare fascino e l'istinto distruttivo fa vedere anche una bellezza nella devastazione, nelle macerie, nello scoppio di una bomba...con la guerra perseguiamo una distruzione di un nostro simile senza alcun senso: la mors tua vita mea è in realtà morte di tutti.

Ma tutto nasce da una idea. Già, nell'assecondare e promuovere gli interessi nati da una idea che si è sistemata nel proprio cervello, gli umani tralasciano la salute personale, la possibilità di avere figli, compiono enormi sacrifici, soffrono pene pesanti; non dimenticando altresì di dare anche la vita. Ad esempio sull'idea di Giustizia, di Libertà, Democrazia, Verità si è disposti anche a morire. Tutte queste cose ci distinguono dagli altri animali.
Soprattutto in questi giorni vediamo diffondersi la morte attraverso il terrorismo religioso: una nuova forma di diffusione del terrore in nome di una ideologia religiosa sanguinaria.
Le idee su Dio e sulla religione sono quelle che più hanno permeato i comportamenti umani: insieme hanno aperto la ricerca della trascendenza e di qualcosa di superiore alla propria Natura; questo però ha fatto nascere anche le cose peggiori e cretine fatte dall'uomo.
Sigmund Freud ne L'avvenire di un'illusione dice chiaramente che il concetto di Dio, ideato alto e puro, al contrario non è certo la possente personalità di una dottrina religiosa, ma una ombratile parvenza. Allora cosa è servito?

La religione e le sue credenze hanno avuto alti e bassi nella storia umana. In questo periodo pare che le religioni siano diventate un elemento di identità forte. Oggi molti popoli tengono a rivendicare il loro credo religioso come comune appartenenza culturale. In momenti di globalizzazione, di uniformità dei mercati e delle mode, la religione diventa per molti uomini e donne l'elemento di distinzione. L'integralismo religioso specie quello islamico sfocia poi in guerre, terrorismo e fanatismo. Cose stupidissime e insieme pericolosissime.

L'esistenza di idee così forti e radicate nell'uomo hanno una spiegazione scientifica: come abbiamo potuto avere a partire dall'Homo Sapiens, quel punto di vista così straordinario sulle nostre vite? Su vite da spegnere o donare nel nome di un Dio astratto?
Le credenze hanno una origine nella storia evolutiva dell'uomo quando ha iniziato a porsi le domande: 'Perché il Sole sorge e tramonta? Perché si nasce e si muore? Perché ci si ammala?'. Questo bisogno innato di trovare sempre una spiegazione ai fenomeni che ci circondano rende molto semplice, quasi automatico, il passaggio verso l’accettazione di credenze ingiustificate e sovrannaturali.
In fondo, credere è facile. Con la conseguente evoluzione del cervello e lo sviluppo dei concetti di causa ed effetto, la nostra mente è stata 'geneticamente programmata', diventando una vera e propria 'generatrice di credenze', un meccanismo utile ed essenziale per la sopravvivenza della specie. Le credenze fanno così parte della nostra identità.

Infine, se le credenze ci hanno aiutato a superare molti passaggi dell'evoluzione, oggi con l'assunzione della Cultura a nuova Natura corriamo il rischio che le credenze distruggano la nostra vita.
Ad esempio chi ha credenze mistiche fondamentaliste -e li troviamo in tutte le religioni- crede che la vita futura sia più importante di quella presente, per cui a differenza di chi pensa la vita sia tutto ciò che abbiamo e che dovremo godercela aiutando gli altri a godersela, è pronto a far saltare in aria il mondo.

Ma penso che alla fine la ragione prevarrà; la ragione della Natura, quella che ci vuole animali tra gli animali e soggetti ad una legge evolutiva, prevarrà e non ci saranno i vincitori della Cultura di Morte.
Certo che non va dimenticato che tutte le religioni non sono uguali e che i fondamentalisti religiosi professano ogni religione, per cui si perseguono ideali di verità in modo fanatico portando attaccamenti e sottomissioni (da notare che Islam significa proprio questo, sottomissione) a degli stessi risultati.
Nel frattempo ci vorrebbe meno Religione e più Scienza. Il laicismo non si insegna mai abbastanza.

lunedì, ottobre 19, 2015

Ancora sulla morte di Hitler...ma ancora un libro interessante che racconta tutto: Memorie di una interprete di guerra

Sul settimanale 'L'Espresso' di questa settimana compare la notizia, a cura di Gianluca Di Feo, su 'Hitler: davvero morì nel bunker?'. Nel sottotitolo viene scritto: Mancano prove della morte del dittatore. E gli ultimi dossier Fbi desecretati descrivono la sua fuga da Berlino. History Channel li ha fatti esaminare da un ex agente Cia e da uno dei cacciatori di Bin Laden. Scoprendo che la sua presenza fu segnalata in Argentina negli anni Cinquanta...

A distanza di oltre 70 anni si ritira fuori la leggenda del dittatore Adolf Hitler scomparso. E' chiaro che in fondo c'è solo una questione editoriale di vendite e di speculazione morbosa su un fatto che è stato chiarito con testimonianze inconfutabili. Una su tutte è contenuta ne libro di Elena Rževskaja 'La fine di Hitler: fuori dal mito e dal romanzo giallo' In seguito l'autrice di quel libro scrisse anche 'Berlino, maggio 1945', in cui parla dell’attacco a Berlino, delle ricerche e del ritrovamento di Hitler.
In ultimo di Elena Rževskaja, che è lo pseudonimo letterario di Elena Moiseeva Kagan, è uscito per i tipi di Voland nel luglio di quest'anno 'Memorie di una interprete di guerra'.
In questo libro l'autrice racconta le sue esperienze di traduttrice dal tedesco al russo di interrogatori di prigionieri tedeschi; di traduzione di comunicati, di documenti, dossier e ordini militari. Insieme come un taccuino di cronaca, non disdegnando di usare qualche infioritura letteraria al testo, viene descritta la incessante e sanguinosa corsa, al seguito dell'Armata Rossa attraverso cittadine e villaggi sconvolti dal conflitto fino a Berlino.
Appunto arrivata a Berlino, Elena Rževskaja rievoca ciò che poi ha descritto in altri libri e che anche in quest'ultimo diventa la parte centrale e ultriore documento chiarificatore della morte di Hitler.
Nella parte finale del libro, dove viene raccontata ancora tutta la sequenza che portò al riconoscimento del cadavere di Adolf Hitler, di sua moglie Eva Braun e della famiglia intera di Goebbels, c'è lo scambio di battute avuto nell'incontro con il maresciallo Žukov con la sua riflessione che chiude il libro e insieme il caso della morte di Hitler lasciandoci il vero mistero: perché Stalin non volle rivelare la verità sulla morte di Hitler?

Ecco qui trascritta l'ultima parte del libro:
'Žukov, Hitler, Stalin. Berlino, maggio 1945... in questo punto confluiscono le strade di tutti e tre, e il futuro studioso interessato alla personalità di Stalin ne dovrà tener conto, e cercherà lui di risolvere gli enigmi a noi proposti da Stalin. Perché Stalin ha tenuto nascosto il ritrovamento del cadavere di Hitler e lo ha trasformato nel mistero del secolo? Perché lo ha celato anche a Žukov?
E perché Žukov non si è mostrato interessato come avrebbe dovuto alla ricerca di Hitler?
Parlo di quello che so, di quello che ricordo per aver partecipato come testimone a quegli storici avvenimenti, e mentre cerco le risposte tento di scoprire in che modo ha avuto inizio e si è compiuto quell’occultamento della verità.
Per volere del destino mi sono trovata ad avere un ruolo nell’impedire a Hitler di realizzare il suo ultimo progetto: sparire, trasformarsi in un mito e spronare gli animi dei suoi epigoni in quei giorni e negli anni a venire.
Soltanto col tempo sono riuscita a superare ostacoli che sembravano insormontabili persino dopo la morte di Stalin, rendendo pubblico il mistero del secolo. Sono riuscita a fare in modo che non prendesse piede il vago, oscuro progetto di Stalin, che aveva desiderato nascondere al mondo il nostro rinvenimento del cadavere di Hitler. Ma si è trattato di un lungo cammino.'.

domenica, ottobre 04, 2015

L’internet business è davvero un affare.

Tra i 10 più ricchi degli USA, -che equivale in un certo senso essere gli uomini più ricchi della Terra- nella speciale classifica annuale stilata dalla rivista Forbes, risultano 6 personaggi tra i primi 10 che hanno a che fare con internet e la sua applicazione tecnologica.
La Rete di internet risulta senz'altro il nuovo spazio dove nascono i profitti. Dovremmo farci tutti un pensiero.
Ecco chi sono i ricchi che hanno approfittato di internet:
Bill Gates, al primo posto tra i Paperoni, è quello che ha intuito per primo le potenzialità del pc come oggetto personale e casalingo con la sua azienda Microsoft; poi con l'avvento della Rete ha espresso nello sviluppo dei software i suoi massimi interessi.
Larry Ellison, che occupa la terza posizione, dopo Warren Buffett, (CEO-Chief Executive Officer-, ovvero Amministratore Delegato della Berkshire Hathaway) è il personaggio che con Oracle ha fondato la società per cui la tecnologia dei database (la raccolta dei dati informatici, DBMS, Data Base Management System) passano per l'80% su internet, da lì: da Oracle. Appunto. In pratica non ha rivali (lontano secondo in classifica c'è Microsoft SQL Server). Oracle è anche lo sviluppatore del linguaggio Javascript. Al quarto posto c'è Jeff Bezos che tramite Amazon.com ha costruito il più grande negozio elettronico del pianeta. Un rivenditore senza eguali.
Ed ecco dopo i fratelli David e Charles Koch, della omonima società industriale Koch Industries, troviamo Mark Zuckerberg il fondatore di Facebook, il social network più diffuso e che ha aperto un utilizzo originale e amichevole alle comunicazioni e relazioni tra le persone che dialogano in Rete.
Per finire, dopo Michel Bloomberg, Ceo della sua società Bloomberg, e Jim Walton Presidente e Ceo della Bank Group Arvest, ecco a chiudere i primi 10 posti: Larry Page e Sergey Brin: Cofondatori della Google; uno Ceo e l'altro Direttore Special Projects Google. La Google uno dei motori di ricerca più usati e potenti della Rete.
Questa speciale classifica fa quindi pensare come l’utilizzo di uno strumento nuovo come internet, che unisce informazione e persone, abbia un valore aggiunto che potrebbe trasformare l’economia globale.
Intanto tramite sempre la rete di internet esiste un sito kickstarter.com che tramite il crowdfunding (dall'inglese crowd, folla e funding, finanziamento) un finanziamento collettivo in italiano, sono stati finanziati diversi tipi di imprese, tra cui film indipendenti, musica, spettacoli teatrali, fumetti, giornalismo, videogame e imprese legate all'alimentazione, ecc...
Vedremo cosa nascerà.

venerdì, settembre 25, 2015

Boulevard di Dito Montiel L'ultima grande interpretazione di Robin Williams

L'ultima grande interpretazione di Robin Williams è possibile vederla nel film di Dito Montiel 'Boulevard'. In Italia non è ancora uscito poiché è ancora in attesa di distributori interessati.
Il ruolo che Robin Williams affronta è di quelli che lasciano il segno; un segno molto diverso da quelli che lo resero celebre tipo: Good Morning Vietnam, L’attimo fuggente, Patch Adams o Mrs. Doubtfire - Mammo per sempre... per citarne alcuni.BR> Lui è Nolan Mack: un bancario sposato che vive una quotidianità banale e triste come il suo sguardo. Nei dialoghi c'è una sua ripetizione di of course e di shure -di certo e sicuro- che segna la sua passività e rassegnazione ad una vita piatta. Lui a sessant'anni è alle prese con la scoperta di una sessualità repressa che, attraverso un ragazzo di strada, si risveglia.
Nolan conoscerà insieme alla sua natura gay anche la violenza, quello che c'è sulla strada; quello che trova in una sera che decide di svoltare; di cambiare direzione. Il sottotitolo del film dice: it's never too late to make a u-turn (non è mai troppo tardi per fare una inversione a U). Allora cambierà anche la sua vita? La frase finale dirà qualcosa, ma bisogna arrivarci. Vedere il film.

La storia di un omosessuale che Robin Williams ha scelto dimostrando non solo le sue grandi doti d'attore, ma anche un particolare passaggio della sua esistenza che ha aspetti più tragici di quelli della vita stessa raccontata nel film.

Quest'ultima prova d'attore di Robin William è uscita postuma. L'attore si è suicidato l'11 agosto del 2014.
Partito come attore comico ha avuto i suoi migliori successi con ruoli drammatici. Un ulteriore segno della sua versatilità.

Se non avete voglia di aspettare di vederlo all'uscita nelle sale cinematografiche, vi informo che io il film l'ho visto in streaming- in lingua originale e sottotitolato- al seguente url:
http://www.nowvideo.li/video/8213ab2590e69

martedì, settembre 22, 2015

Me lo dai un bacio? Il mio nuovo romanzo

Aggiungo su questo mio blog il booktrailer fatto da me sul mio romanzo in uscita in questi giorni. Il libro rerrà presentato ufficialmente il 27 ottobre presso una libreria genovese molto bella...i dettagli saranno indicati prossimamente.

Così dopo Bourbon & Viagra ecco un nuovo romanzo.
Spero che sappia regalare nuove e belle emozioni. Qualche conferma da amici lettori l'ho già avuta...aspetto la vostra.

sabato, settembre 19, 2015

Papa 'Che' Francesco

A distanza di 56 anni la rivoluzione cubana trova un altro 'Che'; un altro protagonista anch'esso argentino 'Che' Francesco. Sì come 'Che' Guevara, ''Che' Francesco libera a suo modo Cuba, l'isla granda, da un embargo che ha subito da altrettanti anni dalla rivoluzione vincente.
'Che' è un vocabolo argentino che significa 'mio' e a Papa Francesco si addice bene.
Cuba è forse l'ultimo baluardo di un sistema marxista che resiste sul pianeta. Questa isola ha resistito con orgogliosa stoltezza ad un embargo economico misurando il coraggio e l'orgoglio di un popolo che a duro prezzo ha trovato la sua indipendenza. La miseria a Cuba è diffusa, ma c'è da chiedersi ogni volta se il clima e la bellezza dei Caraibi possa attutire e mostrare altri valori e altre priorità su quelle economiche.
Certo che a Cuba sopravvive un regime che ha fatto il suo tempo e, dietro gli affari personali di una famiglia- quella dei Castro- si è incancrenito. La dittatura non è certo quella del proletariato ma di un partito a guida unica nel nome di una sola persona.
E' prevedibile che nel giro di pochissimo tempo Cuba sarà un'altra. 'Che' Francesco è portatore di valori francescani che poco hanno a che vedere con il lusso, l'economia di mercato e il neoliberismo; valori che di questi tempi sembrano rivoluzionari. Ancora rivoluzioni? Cuba non fa più paura agli USA e quello che succederà è prevedibile: Cuba cambierà e quest'altro 'Che' la condurrà verso qualcosa tutto da inventare.

giovedì, settembre 17, 2015

Fisica quantistica per poeti

' Tu ritieni che Dio giochi a dadi col mondo, io credo invece che tutto obbedisca a una legge…' è in questo breve passo citato da Einstein in risposta alle domande di Born che possiamo comprendere appieno la differenza tra la fisica classica studiata nei tre secoli precedenti e la fisica quantistica, ossia quella branca della scienza moderna che studia il comportamento del microcosmo, delle particelle invisibili che compongono la materia, anche dette stati quantici.

Il libro Fisica quantistica per poeti è un bel libro di divulgazione scientifica. Un libro che mi ha affascinato e dato molte risposte alle mie curiosità su una materia davvero ostica e riservata agli addetti ai lavori: scienziati che come poeti -per cui in fondo attraverso medesime sensibilità- si ritrovano a imbattersi in continui incanti della natura misteriosa. Una materia controintuitiva e, in quanto tale come la definiscono gli autori, così simile alla poesia, al contrario di quanto fosse stata la fisica nei secoli precedenti.

Il racconto della scoperta della fisica dei quanti diventa grazie agli autori Leon M. Lederman, (Premio Nobel per la Fisica nel 1988), e il suo emerito collega Christopher T. Hill un romanzo avvincente.
Quello che successe negli anni che vanno dal 1905 fino al biennio 1925-27 fu straordinario per i colpi di genio prodotti dai fisici. Anni davvero eccezionali. In quel periodo storico vi fu l'incontro di fisici di una tale levatura che non si è mai più ritrovata. Erano i fisici del calibro di Einstein, Schrödinger, Heisenberg, Born, Plank, Pauli, Broglie, Bohr, Dirac; essi furono gli artefici, attraverso l'elaborazione di loro teorie, per delineare la materia incredibile della fisica quantistica.

Il racconto delle loro scoperte si snoda come un giallo, un thriller dove non c'è l'assassino, ma un elettrone sfuggente, un 'colpevole' imprendibile e indefinibile nella sua sostanza. Le teorie si avvicendano con veri e propri colpi di scena. Ognuno dei fisici citati porta un suo contributo che viene ogni volta rivisto e superato, contraddetto e riconfermato, fino ad arrivare ad una sintesi chiamata 'principio di indeterminazione'; un principio che rese il suo estensore Heisenberg, immortale.
Il 'principio di indeterminazione' diventa la pietra miliare di tutta la fisica quantistica. Quel principio può chiamarsi anche principio di inconoscibilità. Per certi versi è il principio che regola il percorso della scienza, che fa dell'inconoscibile la sua materia di studio. Seguiranno poi il principio di esclusione di Pauli e l'equazione di Schrödinger... altre teorie che saranno usate per misurare i comportamenti degli atomi.

Grazie a questo libro si riesce, anche senza una preparazione specialistica necessaria, a capire di che cosa si stia parlando e soprattutto quale visione del mondo venga prospettata: un mondo privo di buon senso e in grado di meravigliarci non lasciandoci più indifferenti. Un mondo che ha qualcosa di magico e non ubbidisce a nessuna legge che fino a quel momento aveva regolato le cose conosciute della nostra vita. Un mondo anche per poeti, perché no?

'Ma se è vero che Dio gioca a dadi con l'universo, è rimasto comunque a controllare gli esiti delle giocate'...così la stregoneria della meccanica quantistica entra nel nostro quotidiano attraverso molti oggetti: forni a microonde; telefoni cellulari; laser; transistor, fotocamere digitali; fino al campo medico con le risonanze magnetiche ecc. Senza di lei non avremmo Internet; con la meccanica quantistica abbiamo poi compreso tutti i meccanismi della chimica, si è riusciti a spiegare le basi fisiche di questa scienza che unendo elementi creava materiali diversi e nuovi. Spiegava l'esattezza della tavola periodica degli elementi, così ben inventata da Dmitrij Ivanovic Mendeleev.

Il protagonista dello studio della fisica quantistica è l'atomo: l'elemento che caratterizza il microcosmo; un mondo regolato da leggi che non si riescono a comprendere con le regole universali classiche, dettate da Galilei e Newton, del nostro mondo ordinario, quello del macrocosmo. L'atomo al centro dell'attenzione nessuno lo ha mai visto; lo si è sempre immaginato in maniere diverse: quella ormai accettata è di un piccolo sistema solare dove esiste un nucleo (una stella) formato dal positrone e da altre particelle elementari -alcune di queste definite quanti- e da diversi satelliti (per l'atomo di idrogeno uno solo) chiamati elettroni. Il microcosmo riflette il macrocosmo...così sembra ma solo che per il piccolo non valgono le regole del macro.

Di qui nasce, per questa scienza contemporanea, tutto il casino. Sebbene continuiamo a usare la matematica e adattarla per indagare il comportamento della fisica quantistica e molti risultati sono stati raggiunti e in un certo senso si è riusciti anche a conciliare alcune regole della fisica classica con quella quantistica, si è dovuto procedere inventando o adattando nuove teorie. Hanno preso campo sia la statistica che la probabilistica.

Interessante la disputa tra Einstein e Bohr; uno scontro tra chi voleva riportare tutto alla fisica classica -quella newtoniana- (l'Einstein del Dio che non gioca a dadi) e chi sosteneva che per il mondo atomico e subatomico i parametri classici non servono (la scuola di Copenaghen per cui la misurazione è il modo che dà vita ad un reale che diversamente non esiste e ha altre regole).
Nel libro di Leon M. Lederman e Christopher T. Hill si parte dall'indagare lo strano fenomeno dei fotone (quanto di luce) che è insieme un'onda e un corpuscolo...o l'uno o l'altro, dicono gli scienziati e così come un rompicapo ecco snodarsi il racconto.
L'enigma da risolvere nasce guardando una vetrina dove oltre a vedere ciò che sta al di là del vetro viene riflessa anche in modo diffuso l'immagine di chi guarda. Come è possibile? Qualche elettrone (che per la luce è chiamato fotone) non passa il vetro e viene rifranto...quali elettroni non passano? E perché? Ecco che indagando gli elettroni qualcosa si inizia a comprendere...quegli elettroni sono sia onde che particelle: sono ambivalenti. Con la spiegazione si entra nella meccanica quantistica cercando di svelarne comportamenti e misteri. Un viaggio affascinante, grazie ai due bravissimi divulgatori Leon Lederman e Christopher Hill, nella ricerca scientifica per arrivare a farci capire cosa si intenda per fisica quantistica.

Fisica quantistica per poeti,
di Leon M. Lederman, Christopher T. Hill
traduzione di Luigi Civalleri
Bollati Boringhieri, 2013 Saggi Scienze - Euro 24

domenica, agosto 30, 2015

Oliver Sacks- neurologo e scrittore di successo

E' morto oggi all'età di 82 anni il neurologo e scrittore Oliver Sacks. Nato a Londra nel 1933; trasferitosi negli Stati Uniti, dal 1965 viveva e professava la sua attività di neurologo a New York.
I suoi numerosi libri sono diventati best seller. Vanno ricordati ad esempio: L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello oppure Risvegli, in cui raccontava di alcuni pazienti affetti da encefalite letargica che brevemente erano usciti dal loro stato catatonico (nel 1990 uscì anche il film omonimo con Robin Williams e Robert De Niro).
Io ho letto ultimamente di Oliver Sacks, L'occhio della mente. In questo libro Sacks racconta della prosopagnosia, la malattia che causa difficoltà nel riconoscere i visi delle persone; insieme descrive la sua patologia di perdita della visione binoculare a causa di un tumore che colpì il suo occhio destro.
In seguito Oliver Sacks racconterà delle sue molteplici patologie; questa voglia di raccontare lo rende sicuramente uno scrittore e non a caso riceverà molti riconoscimenti in campo scientifico e artistico.
La sua curiosità ed eccentricità lo porterà a provare diverse droghe raccontandone gli effetti. Il libro, che descriverà le sue esperienze di alterazioni mentali, si titolerà: Allucinazioni.
Oliver Sacks diceva di essere rimasto celibe a causa della eccessiva timidezza, che considerava anch'essa una patologia. In seguito dichiarò di essere omosessuale.
L'ultima patologia, quella che lo ha condotto alla morte, è stata un cancro al fegato. Di questa ne aveva dato notizia lui stesso. Insieme aveva detto che stava terminando diversi libri...chissà se sarà riuscito a concluderli e darci così una ulteriore testimonianza diretta e soprattutto artistica di qualche altra patologia.
Grazie Oliver.

A questo LINK la traduzione della lettera di Oliver Sacks in cui annuncia la sua malattia terminale.

venerdì, agosto 21, 2015

Dio e Darwin di Orlando Franceschelli

Ho appena terminato di leggere Dio e Darwin -Natura e uomo tra evoluzione e creazione- di Orlando Franceschelli. Con questo saggio chiaro e conciso ho compreso che perfino la nostra mente, la nostra capacità etica, può essere spiegata con il naturalismo evoluzionistico di Darwin.
La plausibilità di questa teoria ha aperto alla scienza scenari sempre più nuovi e difficili da intaccare con creazionismi o disegni intelligenti.
Charles Darwin, che all'inizio era un fervido credente, alla fine dei suoi studi si proclamò non ateo ma agnostico, senza religione. E' proprio la religione il legame difficile da estirpare nella mente di un uomo a cui fin da bambino è stato educato a queste credenze: così sosteneva Darwin.
Darwin ha segnato un punto di svolta epocale e semplicemente non raggirabile. Dopo Darwin, è veramente cambiato per sempre il nostro modo di guardare al mondo, alla natura umana, all’etica.

Tutti noi volenti o nolenti abbiamo assorbito la concezione del platonismo cristiano; con Darwin usciamo dalla componente personale e divina della natura per comprendere che quella forza che opera nella selezione naturale non persegue nessun disegno consapevole o finalistico, ma solo ciecamente adattivo, con le componenti stocastiche delle mutazioni e delle forze dell'ambiente. Il tutto senza assicurare nessun risultato ottimale...anzi sprecando e procedendo per errori.

Leggendo questo libro mi è venuto alla mente-anche se l'autore non lo cita- il lavoro di Jacques Monod descritto nel libro: Il caso e la necessità, (di questo libro mi riprometto di parlarne in un altro post).

E' solo dopo Darwin che alla domanda che continuamente si chiedeva Kant in modo lacerante: 'O uomo da dove vieni? Troppo poco per essere opera di un Dio, troppo per essere frutto del caso', possiamo dare una risposta plausibilmente emancipata da ogni residuo creazionistico e antropocentrico.

Con Darwin viene acquisito definitivamente che non c'è alcun anello mancante nella genealogia dell'Homo sapiens, per cui non ha né una provenienza né una destinazione extra-naturali e neppure una condizione speciale all'interno della natura. Come appunto aveva ben visto prima Spinoza, che avendo rinaturalizzato insieme a Dio anche l'uomo, ammoniva a considerare quest'ultimo non 'un potere all'interno di un potere (imperium in imperio)', bensì parte della natura. Anzi e saggiamente: 'particula naturae'. Darwin concludeva: 'Che le circostanze abbiano dato all'ape il suo istinto non è meno meraviglioso del fatto che abbiano dato all'uomo il suo intelletto'.

Possiamo indagare allora su l'uomo e la sua storia senza una concezione che preveda il ricorso ad una anima immortale, un suo Dio creatore e ad una Provvidenza divina? Riusciamo a considerare la dignità umana e con essa i valori etici, la giustizia e la civilizzazione indipendenti da un'anima immortale? Sì, con Darwin riusciamo a considerare l'uomo alla stregua di tutti gli altri esseri viventi.

Darwin nega la diversità tra l'uomo e i mammiferi più elevati riguardo alle loro facoltà mentali. Con ciò, destituito da quel ruolo predominante che gli era stato attribuito all’interno del creato, nonché mettendo in discussione la allora imperante teoria creazionista, si può riscrivere la storia.
La sola differenza che Darwin aveva prospettato tra l'intelligenza e il linguaggio dell'uomo e quelli degli altri animali, era di grado – spiegabile con la legge della selezione naturale – e non di genere.

Se accanto agli attacchi dei creazionisti, si considerano anche le strumentalizzazioni delle teorie di Darwin da parte dei darwinisti sociali, le incomprensioni nichilistiche di Nietzsche (volontà di potenza contro evoluzione culturale concepita come snaturamento), e quelle storicistiche di Marx (natura umana essenzialmente storica contro la riduzione dell'uomo a pura animalità), il contributo davvero epocale del naturalismo darwiniano al passaggio moderno dall'universo-creazione all'universo-natura e dall'uomo imago Dei a Homo sapiens, si tocca con mano.

Darwin aveva visto giusto. Anche dopo gli attacchi di Nietzsche e Marx, il pensiero di Darwin di inserire anche la cultura come frutto dell'evoluzione rafforza la sua teoria e l'integrazione tra biologia e cultura, capacità morale genetica si inseriscono in una effettiva evoluzione; sempre a partire dalla naturalizzazione non avida dell'uomo.

Ebbene, il cuore di tutta l'impresa, indubbiamente complessa, di Darwin, altro non è che il tentativo di trasformare proprio una simile assurdità in plausibilità. Si dimostra che l'evoluzionismo può rendere conto di tutto il sistema naturale, senza fare ricorso ad alcun piano di un Creatore. A quest'ultimo subentravano due inconsapevoli meccanismi soltanto naturali: la casualità delle mutazioni e la selezione di quelle più adatte alla sopravvivenza.
Tutta la saggezza inventiva dell'universo si potrebbe spiegare con le eterne rivoluzioni della materia cieca (Hume)

In sostanza il riconoscimento dell'evoluzionismo darwiniano può aprire la porta al dialogo tra fede e disincanto, perché rende entrambi più critici e consapevoli. La ricerca di un Dio che non sia contrapposto al naturalismo, ma dialogante. Un Dio che non sia votato a vedere il male nell'evoluzione naturalista. Un Dio che venga concepito anch'esso come un Dio dell'evoluzione.
Ecco cosa ci regala Darwin, la possibilità di rivedere un Dio laico; un Dio umile che si sottomette alla autonomia evolutiva dell'universo e alla libertà dell'uomo.
Allora sarà sconfitto ogni fondamentalismo andando oltre alla contrapposizione tra ateismo e teismo.

Dio e Darwin - Natura e uomo tra evoluzione e creazione
di Orlando Franceschelli
Edizioni Donzelli 2005, pp. VI-168, ISBN: 9788879899987 - € 12,50
L'autore Orlando Franceschelli, filosofo, insegna Teoria dell’evoluzione e politica presso l’Università La Sapienza di Roma.

giovedì, agosto 13, 2015

Una risposta scientifica al problema dell'emigrazione di massa

L'emigrazione di carattere epocale di tanta parte della popolazione africana verso l'Europa, come sta avvenendo in questo periodo storico, potrebbe essere letta come forza naturalista inserita nell'evoluzione darwiniana.
La ricerca di sopravvivenza e per un bilanciamento dello sfruttamento delle risorse -ora ad appannaggio dell'occidente- nonché per un apporto di sangue nuovo in una popolazione europea sempre più vecchia, ha nel quadro delle leggi naturalistiche la sua ragione intrinseca.

Gli spostamenti di gioventù, in particolare di donne fertili, da una parte di zone povere e a rischio di vita diventano incontrastabili. Cosa fare? Per l'animale uomo è indubbio che la sua cultura ha acquisito una dimensione di nuova natura. Sarà proprio la sua cultura a dare una risposta adeguata e non cruenta utile a fronteggiare questa fase epocale.
Naturalmente dipenderà dall'uomo quale tipo di cultura scegliere di adottare. Se saprà essere saggio la risposta culturale giusta dovrà essere quella della solidarietà e della condivisione delle risorse. La cultura umana ha trovato proprio nella socializzazione e nell'apertura delle comunità la dimensione che le ha permesso di progredire -seppure con diverse fortune dovute proprio all'alternarsi di culture di chiusura a quelle di solidarietà.
L'uomo ha trovato nella cultura della costruzione sociale condivisa la maniera non solo per sopravvivere, ma anche per progredire. L'incontro pacifico tra uomini ha permesso di sviluppare idee e superare immani difficoltà. Le più grandi e ricche comunità di oggi sono quelle dove si sono incontrati gli uomini più diversi. Quelli che provenivano da zone lontane con caratteristiche etniche molto differenti.

Ecco allora che se sapremo fare ricorso alla cultura più vera dell'uomo riusciremo a superare, non solo indenni quelle che ora vediamo come difficoltà, ma a scoprire i valori fondamentali del suo essere.
Non ci saranno economie astruse, legate al consumo di materie e ricchezze a scapito di qualcuno o qualcosa, ma economie vere: dove l'eco non verrà scambiato con l'ego. A noi la scelta.

lunedì, agosto 10, 2015

'La lettera a Hitler. Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento'

'La lettera a Hitler. Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento' è un libro di Gabriele Nissim che racconta la vita di uno straordinario personaggio del '900.
Armin T. Wegner è stato testimone dei passaggi più cruenti e crudeli che il popolo tedesco abbia compiuto. Il suo pacifismo, nasceva dalla profonda convinzione contro ogni forma di violenza acquisita vivendo in prima persona le nefandezze del secolo in cui visse: il '900.

Armin Theophil Wegner è colui che ha testimoniato il genocidio del popolo armeno del 1909. Da quell'esperienza scriverà una lettera a Hitler con cui chiederà di fermare la persecuzione contro gli ebrei. L'odio non avrebbe vinto...anzi. Wegner era un ingenuo? Difficile a dirlo; forse non aveva letto il Mein Kampf dove si descrivevano chiaramente le ragioni per cui sopprimere il nemico giudaico-marxista, responsabile per Hitler di tutto il male che il popolo tedesco pativa. Un'altro motivo della lettera a Hitler potrebbe essere stato benissimo la storia d'amore con Lola Landau, una artista di origine ebraica. Armin con Lola aveva avuto una figlia e rappresentava quanto l'arte e la bellezza potevano essere a servizio della Germania, indipendentemente dall'essere ebraica.

Armin T. Wegner aveva chiaro che l'odio verso gli ebrei avrebbe portato alle stesse conclusioni patite dagli armeni. Inoltre Armin T. Wegner conosceva quanto gli ebrei avevano contribuito alla grandezza della cultura tedesca.
Armin Wegner vedrà così compiersi un altro genocidio. La testimonianza el genocidio armeno ad opera dei turchi -con l'indifferenza del popolo tedesco- è stata fornita da Wegner anche attraverso molte fotografie da lui stesso scattate. In un certo senso egli anticipa la testimonianza degli audiovisivi, voluta dai comandi delle truppe alleate per documentare quei crimini che solo raccontati a voce potevano non essere creduti.


Il libro di Nissim ricorda anche le numerose lettere che Wegner inviò ai potenti della Terra per per protestare contro le emergenze umanitarie del XX secolo. Lo farà nella sua particolare funzione di scrittore e poeta segnato dall'esilio, vissuto in Italia fino alla morte. In lui troviamo, oltre al poeta sempre fedele alla lingua, il Giusto universale, onorato a Yerevan e a Yad Vashem per la sua solidarietà con armeni ed ebrei, pagata a caro prezzo.
Ad esempio in una lettera inviata al presidente degli USA, Thomas Woodrow Wilson per fare presente di quanta responsabilità abbiano tutti, in particolare il popolo tedesco, per il genocidio armeno chiedeva l'impegno per ricostituire la nazione dell'Armenia.
Un'altra lettera la inviò anche a Mussolini per intercedere per l'amica Irene Kowaliska da cui ebbe un figlio. Era la richiesta di non infierire contro di lei -apprezzata ceramista a Vietri- per qualche goccia di sangue ebraico. Stranamente quella lettera invece ottenne il risultato e sul passaporto di Irene non fu applicata la scritta dell'origine ebraica

Tra i molti interrogativi, che la figura di Armin T. Wegner, evoca, va ricordato con quello che successe il 3 giugno del 1921, quando un tribunale tedesco assolse l'assassino di Talaat Pascià -il maggior responsabile del genocidio operato dai turchi.
L'assassino Soghomon Tehlirian, aveva ucciso Talaat Pascià in una strada di Berlino, dove si era rifugiato sotto falso nome. Infatti si chiede: 'Chi aveva in mano la chiave del destino?'.Quei giudici furono gli arbitri del destino perchè ascoltarono la voce del cuore e non quella di una giustizia astratta. Così essi diedero un senso a quegli avvenimenti con una sentenza che divenne un giudizio sulla storia universale. Una problematica che Wegner prevede e si riscontrerà in maniera più drammatica nella Germania del secondo dopoguerra. Wegner riflette di quanto e sempre nel nome di un bene superiore gli uomini siano stati disposti a infrangere ogni etica e a fare le cose peggiori.
Nel miraggio di un bene universale, con la promessa di un paradiso che difficilmente si potrà trovare nell'aldilà, si costruisce un inferno vero. Si sopprime ogni avversario ritenuto ostacolo al 'bene assoluto'.
Questa verità Wegner la constaterà di persona. Anche aderendo e poi uscendone, denunciandone le perversioni, al comunismo che si stava costruendo in Russia.

Il personaggio Armin Wegner riesce a rivelarci altre molte verità. Una riguarda il significato del suo cognome tedesco che significa viandante: presagio al suo continuo peregrinare che lo porterà in viaggi avventurosi, sia per i tormenti dell’anima, intellettuali e morali, che l’hanno sempre accompagnato.
Ad esempio, lui che è un predestinato capace di cogliere l'incombenza del male, fa comprendere che l'educazione, la miglior famiglia, la cultura più buona, i migliori geni, non ci salvano e alla fine -come osserva Eraclito- il nostro destino è plasmato dal carattere che ci costruiamo da soli.
Crescere imbevuti nella propria cultura non ci salva. La cultura, pur rappresentando un elemento per crescere la qualità della vita, non ci salva.

La cultura che forma Armin T. Wegner è quella tedesca, su questa fonda i principi morali della propria personalità, ma questi si andranno a scontrare con l'altro aspetto della stessa medaglia: la reazione orgogliosa e distruttrice di ciò che è altro dal 'noi' nazionalistico.

La storia di Armin T. Wegner, consapevole della grandezza umana rappresentata da molti personaggi suoi compatrioti, lo porta a sentirsi colpevole e responsabile del genocidio ebraico in quanto tedesco; componente del proprio popolo che è stato l'artefice di tutta quella immane tragedia.
Ecco perchè la cultura in fondo non salva. Pur riconoscendo l'inconsapevolezza di tanta parte di tedeschi, morti in guerra dopo aver innescato l'orrore della Shoah, questi non meritano il perdono.
Wegner proverà vergogna per il suo popolo e per questo non si assolverà neppure lui che ha fatto molto per la giustizia e per il bene.
Morirà a Roma nel 1978, all'età di 92 anni.

La lettera a Hitler.
Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento.
Autore: Gabriele Nissim,
Edizioni Mondadori, 2015, pagine 304, euro 20

domenica, luglio 26, 2015

Il razzismo del provinciale. Considerazioni per comprendere quello che viviamo nella società globalizzata.

Capita spesso di sentire sui bus, al mercato o in qualche ufficio che: 'ce ne sono troppi di immigrati...ma cosa vengono a fare qui...rubano il lavoro agli italiani...e poi non sono come noi'. Spesso sono frasi che seguono una logica così ovvia e banale che viene da considerarle come frutto di un pensiero comune e condiviso: 'ha ragione signora (o signore). E' proprio così, vengono qui in tanti e vogliono comandare loro. Fanno anche i prepotenti. Sarebbe meglio che tornassero al loro paese. Basta immigrati. Non devono più farli entrare in Italia'. E' difficile, con chi esprime questi sentimenti, aprire un dialogo; infatti quasi sempre alle loro parole fanno una premessa: 'Guardi che io non sono razzista...ma questi non li sopporto...'.

Come far capire che prima di una condizione di emigrato, di rifugiato, c'è soprattutto un diritto di persona? Prima di una appartenenza ad una etnia, ad una nazione, Stato o territorio esiste un individuo singolo che vive in un luogo formato da altri individui? Quale differenza si vorrebbe sostenere? Certo che la convivenza a volte diventa una inevitabile condivisione di spazi che spesso eccita degli istinti aggressivi.

Voglio ricordare che all'indomani della Seconda Guerra mondiale-il 10 dicembre 1948- e proprio sull'onda di quella disastrosa esperienza nata sulla negazione di diritti e di libertà, si proclamò ad opera delle Nazioni Unite la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Con quella Dichiarazione, attraverso 30 articoli si stabilirono i principali Diritti Umani che ogni individuo deve aver riconosciuti.
Tra questi è bene ricordare che ci sono, insieme agli articoli dove si proibisce ogni tipo di discriminazione, anche quelli che garantiscono il diritto di libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato e diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese. (art.13). Altri diritti riconosciuti ad ogni individuo sono quelli di avere una cittadinanza e di poterla cambiare; oltre al cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. (art. 14 e 15)
Ho messo in risalto questi punti poiché sono quelli all'ordine del giorno.

Dopo di ciò si comprende che quello che sta accadendo ha aspetti di dimensioni epocali, e il trasferimento di milioni di persone da un continente all'altro crea realtà nuove. Con ciò nessuno dovrebbe dimenticare che si ha a che fare con individui umani; si ha a che fare con disuguaglianze e di opportunità di vita molto distanti. Di fronte a questo, non saranno eserciti, leggi punitive, incrementi di PIL o muri a salvarci.
A questo punto non dovremo perdere la 'bussola' dell'uguaglianza dei diritti e creare una economia diversa: una economia che non veda gli individui solo come dei 'consumatori' di prodotti del mercato e di risorse naturali.
Ogni uomo sarà lui stesso una risorsa per sé e per gli altri: il posto non è vero che non ci sia. E' la nostra sopraffazione che annulla gli spazi attorno a noi.
Sapremo osservarci?

domenica, luglio 19, 2015

L'affare Grecia

Ho sostenuto -naturalmente non solo io- che essere espulsi dall'euro, come uscirne, è una cosa non fattibile né tecnicamente né politicamente. La moneta Euro in quanto moneta corrente e legale in tutto il mondo non può essere messa fuori legge.

In Grecia le persone corrono a prendersi gli Euro in banca per paura che con il ritorno alla Dracma i loro risparmi (tramutati dalle banche in una nuova moneta) perdano tutto il valore. Il fatto è che nel loro mercato interno nessuno vorrebbe la nuova Dracma, ma ognuno -ad iniziare dai commercianti- desidererebbe essere pagato sempre in Euro.

Una nuova moneta servirebbe soltanto al governo greco per pagare i suoi dipendenti e i suoi debiti interni -non quelli esterni che dovranno sempre pagarli in Euro. Questo aiuterebbe il governo a scapito di una forte inflazione (lo Stato greco inizierebbe a stamparsi da sé la moneta in quantità utile per sé). Il resto sarebbe un ritorno al doppio mercato che esisteva un po' prima dell'entrata in corso dell'Euro.

Allora? Cos'è tutta questa manfrina e pseudo-trattativa? Niente.

A detta di Giuseppe Turani questo 'niente' è solo una disputa politica tra chi vuole un “bel gesto” verso la Grecia (umiliando un po’ la Germania) e chi invece vuole lasciare le cose come stanno.

Giuseppe Turani (articolo su blitzquotidiano.it )sostiene che la questione del debito greco non esista perché:

'Il debito greco (e non importa qui quanto sia alto) è in grandissima parte nei confronti di istituzioni pubbliche europee (più Fondo monetario). Si tratta di un debito che non verrà mai ripagato (esattamente come quello italiano). Accade che alle varie scadenze viene regolarmente rinnovato. Da un punto di vista formale si rimborsano le vecchie cedole e se ne emettono di nuove, per pari importo (o più). I fondi necessari, naturalmente, sono forniti da quelle stesse istituzioni pubbliche già creditrici della Grecia. Chi ha prestato mille alla Grecia, alla scadenza incassa mille, e poi ripresta alla Grecia mille. Un giro di conto. Niente di più.
Tutto quindi si riduce al pagamento degli interessi, che sono modestissimi dato che in questo momento i tassi di interesse sono bassissimi. La gestione del debito, cioè, costa alla Grecia, come a altri debitori (tipo Italia) pochissimo perché il costo del denaro oggi è vicino a zero. Questo, fra l’altro, è uno dei punti forti delle teorie di Krugman, il quale sostiene che conviene fare debiti per rilanciare l’economia perché tanto il denaro non costa niente.
Se il debito della Grecia venisse cancellato interamente, che cosa cambierebbe? Assai poco. Il giorno dopo la Grecia (come l’Italia, nel caso) riprenderebbe a fare debiti e andrebbe quindi rifinanziata ad opera degli stessi finanziatori pubblici di oggi (il mercato non dà un euro a Atene).
Ma allora perché tutta questa guerra sulle “condizioni” per accettare di dare nuovi finanziamenti alla Grecia? Solo perché possa “ripagare” il debito, cosa che nessuno pretende. No. Solo perché la smetta di gettare soldi nello scarico del lavandino, come ha fatto in tutti questi anni. Il debito della Grecia, per essere chiari, è di competenza dei finanziatori, cioè dell’Europa. Per la Grecia è solo una partita di giro contabile.'

Conclude poi Giuseppe Turani scrivendo: 'La verità, come si diceva all’inizio, è che questo è un braccio di ferro tutto politico fra chi vuole dare uno schiaffo alla Germania (ingraziandosi Obama e le minoranze populiste europee) e chi invece pensa che sia più saggio continuare così. E pretendere che la Grecia faccia un po’ di ordine in casa propria'.

Sarà così? C'è qualcuno che può spiegare la cosa in termini ugualmente comprensibili? Forse Tsipras ha capito e con quanto si accinge a fare lo dimostra.

venerdì, luglio 17, 2015

César Vallejo Mendoza. Un poeta peruviano

César Vallejo Mendoza, mi ha parlato di questo grandissimo poeta peruviano un amico della stessa nazione sudamericana; un poeta César Vallejo Mendoza, che io non conoscevo. Questo poeta è stato definito da Thomas Merton (scrittore e religioso statunitense dell'ordine dei monaci Trappisti, autore di oltre sessanta tra saggi e opere in poesia e in prosa dedicati soprattutto ai temi dell'ecumenismo):'il più grande poeta universale, dopo Dante'
Laureato in lettere nel 1915, César Vallejo, dopo aver pubblicato Trilce nel 1923 e perso il posto di insegnante a Lima, emigrò in Europa, dove visse fino alla sua morte avvenuta a Parigi nel 1938. Fu sepolto nel Cimitero di Montparnasse.
César Vallejo è il poeta della povertà fino alla miseria. È il poeta del poco e del nulla, che non basta, ma deve essere fatto bastare, perché non c’è altro. In questo drammatico orizzonte, alla povertà del quotidiano, si oppone l’implicita ricchezza, sia pure ironica di un’epica, che non può essere trionfalistica se non del trionfalismo del puntigli umano, che non si arrende.

Ecco due poesie trovate in Rete che mi sono piaciute:

Ágape
Hoy no ha venido nadie a preguntar;
ni me han pedido en esta tarde nada.
No he visto ni una flor de cementerio
en tan alegre procesión de luces.
Perdóname, Señor: qué poco he muerto!
En esta tarde todos, todos pasan
sin preguntarme ni pedirme nada.
Y no sé qué se olvidan y se queda
mal en mis manos, como cosa ajena.
He salido a la puerta,
y me da ganas de gritar a todos:
Si echan de menos algo, aquí se queda!
Porque en todas las tardes de esta vida,
yo no sé con qué puertas dan a un rostro,
y algo ajeno se toma el alma mía.
Hoy no ha venido nadie;
y hoy he muerto qué poco en esta tarde!

Traduzione

Agape
Oggi nessuno mi ha fatto domande;
né questa sera mi hanno chiesto nulla.
Neanche un fiore di cimitero ho visto
in un corteo così allegro di luci.
Dio, perdono: son morto così poco!
In questa sera tutti, tutti passano
e non domandano o chiedono nulla.
E non so cosa scordano e mi resta
appena in mano, come cosa d’altri.
Sono andato alla porta,
e mi vien voglia di gridare a tutti:
Se vi manca qualcosa, qui è rimasto!
Perché tutte le sere in questa vita,
non so che porte sbattono su un viso,
e cosa d’altri prende la mia anima.
Nessuno oggi è venuto;
oggi son morto poco in questa sera!

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Un hombre pasa con un pan al hombro…
Un hombre pasa con un pan al hombro
¿Voy a escribir, después, sobre mi doble?
Otro se sienta, ráscase, extrae un piojo de su axila, mátalo
¿Con qué valor hablar del psicoanálisis?
Otro ha entrado a mi pecho con un palo en la mano
¿Hablar luego de Sócrates al médico?
Un cojo pasa dando el brazo a un niño
¿Voy, después, a leer a André Bretón?
Otro tiembla de frío, tose, escupe sangre
¿Cabrá aludir jamás al Yo profundo?
Otro busca en el fango huesos, cáscaras
¿Cómo escribir, después, del infinito?
Un albañil cae de un techo, muere y ya no almuerza
¿Innovar, luego, el tropo, la metáfora?
Un comerciante roba un gramo en el peso a un cliente
¿Hablar, después, de cuarta dimensión?
Un banquero falsea su balance
¿Con qué cara llorar en el teatro?
Un paria duerme con el pie a la espalda
¿Hablar, después, a nadie de Picasso?
Alguien va en un entierro sollozando
¿Cómo luego ingresar a la Academia?
Alguien limpia un fusil en su cocina
¿Con qué valor hablar del más allá?
Alguien pasa contando con sus dedos
¿Cómo hablar del no-yó sin dar un grito?

Traduzione
Un uomo passa con il pane in spalla…
Un uomo passa con il pane in spalla.
Potrò scrivere dopo sul mio sosia?
Un altro si siede, si gratta, cava un pidocchio dall’ascella, lo schiaccia.
Con che ardire parlar di psicoanalisi?
Un altro mi è entrato nel petto con un palo nella mano.
Parlare poi di Socrate col medico?
Passa uno zoppo e dà il braccio ad un bimbo.
Potrò leggere dopo André Bretón?
Un altro trema dal freddo, tossisce e sputa sangue.
Ci starà un’allusione all’Io profondo?
Un altro cerca nel fango, i noccioli ed i gusci.
Come descriver dopo l’infinito?
Un muratore cade da un tetto, muore e non pranza più.
Innovare poi il tropo, la metafora?
Un commerciante ruba un grammo sul peso ad un cliente.
Parlar dopo di quarta dimensione?
Un banchiere falsifica il bilancio.
Con quale faccia piangere a teatro?
Un paria dorme e ha un piede sulla schiena.
Parlar dopo a qualcuno di Picasso?
C’è chi singhiozza lì ad un funerale.
Come fare poi ingresso all’Accademia?
C’è chi pulisce il fucile in cucina.
Con che ardire parlar dell’aldilà?
C’è chi passa contando sulle dita.
Come parlar del non-io senza un urlo?

sabato, luglio 11, 2015

Ancora Se questo è un Uomo


Ricordo l'enorme dolore che mi procurò la notizia del genocidio di Srebrenica venti anni fa. Quel crimine fu compiuto da forze cristiane serbe contro i musulmani; con la responsabilità di molta parte dell'occidente.
Era da tempo che in quel paese, la Serbia, una delle nazioni che comprendevano la Jugoslavia, si combatteva una guerra civile.
Sarajevo che fino a poco tempo prima era considerata la città della pacifica convivenza tra le diverse etnie e religioni era diventata una città assediata e martirizzata da continui bombardamenti e tiri al bersaglio su una popolazione civile inerme.
Per quei fatti in quel tempo scrissi queste frasi, che furono pubblicate da Il SecoloXIX :

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Ancora a guardare, ora con gli occhi di televisioni e giornali, un altro dramma.
Ancora a guardare, con il ricordo delle parole di chi ha già visto: Primo Levi, Se questo è un uomo.
Ripetilo ancora, ogni volta: Se questo è un uomo.
Ricorda come La mala novella di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all'uomo di fare all'uomo.
E ancora qui, in Ruanda, a Sarajevo; in Somalia, Etiopia, a Srebrenica: Se questo è un uomo.
Ogni volta la domanda, dove un potere ci divide tra sommersi e salvati.
Ma ancora ci sarà un Lorenzo a farci vedere un uomo e a non farci dimenticare d'essere noi stessi uomini.
E da voi tedeschi, che vi credevate i più potenti, che parlate la musica di Goethe e cantate le parole di Mozart, abbiamo avuto la capacità di distruggere l'uomo e di domandarci: Se questo è un uomo.
E da voi serbi che credete in una vostra etnia, che pregate il nostro Dio e avete il nostro paesaggio, continuiamo a vedere la capacità di uccidere e ci fate domandare: Se questo è un uomo.
Ma ancora potremo, in questa coazione a ripetere, trovare l'interrogazione per continuare a sperare?
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Oggi viene commemorata quella strage e ancora dobbiamo riflettere di quanto sia facile ogni volta far uscire la bestia in noi, tanto da domandarci sempre: Se questo è un Uomo.

giovedì, giugno 25, 2015

Autostop con Buddha: viaggio attraverso il Giappone di Will Ferguson

Autostop con Buddha: viaggio attraverso il Giappone di Will Ferguson
Titolo originale: Hokkaido highway blues

Tutto prende spunto quando l'autore Will Ferguson, che insegna inglese in Giappone, decide di seguire la fioritura dei ciliegi, che in quel paese è seguita in modo particolare -viene chiamata Sakura Zensen-, con un viaggio da Capo Sata a Capo Soya; ovvero dall'estremo sud al nord.
Ogni tappa dell'autostop è un capitolo a parte; è un modo nuovo, sarcastico e intelligente per conoscere il Giappone e soprattutto i suoi abitanti.
All'inizio ad esempio veniamo a sapere che il Giappone che consideriamo un insieme di isole ha in verità una superficie più grande della Germania.
Will Ferguson che si era fatto conoscere per il romanzo Fortuna con questa seconda opera -una sorta di guida o racconto di viaggio-sembra prendere in giro il Giappone e i giapponesi; ma lo fa da gaijin, da straniero molto spesso deriso: straniero che tale rimane in questo paese dalla cultura enigmatica. Il Giappone infatti è un paese sempre in bilico tra le tradizioni provenienti dal passato più remoto alle mode d'avanguardia.
Il racconto di questo viaggio è raccolto in quasi 500 pagine, ma non troverete mai il momento per annoiarvi. Questo libro a tratti mi ricorda Strade Blu -va ricordato che in originale il titolo è Hokkaido highway blues- di un altro Will(iam)...quello Least Heat-Moon; il racconto di un viaggio fatto attraverso le strade provinciali degli Stati Uniti: in entrambi i viaggi vengono evitate le città conosciute e in tutte e due emergono le figure delle persone incontrate. Tutte molto speciali.
Mi pare che dopo questo diario di viaggio in autostop, Will Ferguson si sia specializzato in libri di viaggio. Non è un caso poi che in 'Autostop con Buddha', lo scrittore affermi di essere un discendente lontano del noto esploratore David Livingstone.
I dialoghi sono molto divertenti e tra frasi in giapponese e in un inglese particolare: quello che studiano come base i giapponesi a scuola infarcito da espressioni intraducibili- risultato più della pubblicità e delle canzoni rock-pop che del senso compiuto-, riusciamo ad entrare anche nella psicologia di questo popolo.

Iniziamo a domandarci: il Giappone è una nazione asiatica? Per l'autore del libro non si sa quanto; di sicuro ha sviluppato una cultura che in una continua relazione amore-odio con l'occidente lo stacca dagli altri paesi asiatici come la Corea, la Cina e l'India. Da quest'ultimo ha sviluppato un buddismo zen del monaco Kobo Daishi o Kukai (774-835) ed uno nazionale, che è oltre che una religione anche espressione per un partito politico (la Soka Gakkai). Il Giappone è il paese di molti dei e nel suo insieme riesce a conservare unità attraverso lo shintoismo.
Gli aspetti che caratterizzano i giapponesi come la gentilezza formale, la timidezza diffusa, le idiosincrasie, i rituali, i miti, gli dei, i vizi, le cerimonie, il teatro No...sono esperienze vissute dall'autore, che le racconta in modo spassoso e leggero. Moltissime curiosità scovate dall'autore non sono nemmeno riportate dalle guide più conosciute come la Lonely Planet. Musei del sesso; sculture rappresentanti dei e monaci buddisti su rocce in riva al mare ecc.. Altre curiosità conosciute vengono rivisitate con un arguzia; così alcune locande, come alberghi con posti letto tipo capsule o loculi, sono vissute esaltandone le contraddizioni.

Ferguson descrive quello che gli succede con una scrittura umorale e così lo stato del momento gli suggerisce l'argomento. Un passaggio interessante è quello che segue il suo desiderio di scroccare a degli impiegati una serata a base di cibo e bevute. Ecco cosa scrive: “Nessuno può dire di aver davvero vissuto se non ha mai visto un colletto bianco giapponese che canta la ballata di Frank Sinatra My Way. È una di quelle scene che incarnano la quintessenza dello squallore e sembrano definire il Giappone. Che spettacolo strambo e tuttavia frequente: un uomo d'affari scarmigliato, che vive una vita di inchini e soffocante conformismo, un uomo sposato con la sua azienda, un uomo che - ogni anno del millennio - si ammazza di lavoro per il bene della sua impresa, un uomo che deve mangiare merda e sorridere ogni giorno, un uomo che alimenta il motore dell'economia eppure è ignorato, poco apprezzato e spesso apertamente sbeffeggiato. Un uomo di questo genere che si alza e canta, in un inglese che gli viene dal cuore, di aver fatto un bilancio, di aver incassato i colpi ma di aver sempre fatto a modo suo! È una cosa che non si dimentica facilmente.” Quella serata finirà con lui invischiato a bere fino a sfinirsi per ritrovarsi intronato e con il morale a terra.
Ma il viaggio offre anche il racconto della magia della Sakura -l'esplosione della fioritura dei ciliegi- di Hirosaki. Con lo spirito più allegro ritroveremo l'autore prima ad Hakodate e poi a Sapporo a gustare, nella città più occidentale del Giappone, la sua birra a competere con le migliori del mondo.
Nel finale troveremo l'autore perso sull'isola di Rishiri, dopo essere arrivato al capo Soya, l'estremo nord del Giappone. Autostop con Buddha si rivela un viaggio che offre molti spunti di riflessione e un insieme di note per continuare noi l'avventura.

Libro: Autostop con Buddha: viaggio attraverso il Giappone
Titolo originale: Hokkaido highway blues, poi ripubblicato come Hitching rides with Buddha
Autore: Will Ferguson
Editore Feltrinelli - Anno di pubblicazione: 1998 - Traduzione di Claudio Silipigni