sabato, luglio 29, 2006

Non sono razzista...

Si inizia sempre così: 'non è che sono razzista, ma non è giusto che gli extracomunitari ci portino via il lavoro...'. Poi si prosegue con la stessa impostazione: 'Non ce l'ho con i negri, gli africani, ci mancherebbe non sono mica razzista io, ma cosa vengono tutti qui a fare?'. Poi, per le categorie, non possono mancare gli zingari: 'Non si tratta di razzismo, ma gli zingari rubano e mettono in pericolo la nostra gente, non vogliamo che occupino le nostre case'...subito dopo gli omosessuali:' Non ce l'ho con i gay, le checche, ma non vorrei che contaminino la nostra gioventù'...
L'importante è ribadire: ‘Non sono razzista’. Quella è la giusta premessa prima di sparare le 'stronzate' e le banalità più grosse. Già, perché in fondo, non siamo noi che siamo razzisti, sono gli altri che non sono come noi. Sono gli altri, che sono tutti 'terroni'. Un conoscente napoletano me lo diceva: 'Non sono razzista, ma non è colpa mia se non sono nati tutti a Napoli'. Vero. Aggiunse anche: 'Dio creò la Padania e poi pentitosi fece la nebbia'. Almeno era simpatico.
Per tutti esiste invece il razzismo inconsapevole; premetto che anch’io posso esserne affetto: sicuramente lo rivelerò quando userò la premessa: ‘Non sono razzista, ma…’. Ecco a quel punto anch’io le sparerò grosse: ’‘Non sono razzista, ma i razzisti non li sopporto’…anche perché le razze non esistono. Esistono uomini e donne. Esistono intelligenti e idioti. Esistono le categorie dove incasellare tutte le cose, per comprendere il mondo…ecco che i razzisti si sono costruiti le caselle più belle: in quelle ci sono solo loro; loro, quelli che lo dicono subito, che non sono razzisti. Li avete mai sentiti?

mercoledì, luglio 26, 2006

Calcio pazzo

Le pazzie per il Calcio continuano, alla faccia degli scandali…e così per Kakà, vengono offerti 100 milioni di euro e forse basterebbero solo due prugne, un purgante naturale. Questa è una notizia che si accompagna ad altre: guerra in Libano, guerra in Iraq, caduta del potere d’acquisto delle famiglie italiane, difficoltà dei giovani a conquistarsi l’autonomia economica e quella conseguente affettiva; sempre se non si è capaci di dare dei calci ad una palla. Ma quello che conta oggi sono le penalità inflitte a chi ha taroccato il Calcio. Ad ogni sentenza diminuiscono un po’. In fondo non è una cosa seria per nessuno. Il Calcio rappresenta ormai in sostanza solo un business e allora chissenefrega del resto. Poi arriva anche lo sport d’agosto, che è quello del mercato, degli acquisti e delle vendite, per la gioia dei tifosi sempre attenti alle notizie della ‘rosa’, che non si interrogano dei loro 900 euro al mese di stipendio, ma forse mi sbaglio: guadagnano di più.
Insomma si costruisce durante le ferie, la stagione del prossimo campionato, con quello si saprà se si soffre o si gioisce: basta spendere e avere un presidente all’altezza della situazione, con disponibilità finanziarie pari all’ambizione sociale e al bisogno di ‘partecipare’. A questo strano sport giocato tanto al bar, quanto nei tribunali, non manca niente…finché ci sono i tifosi.

domenica, luglio 23, 2006

Finti qualcuno

Molti continuano a domandarsi cosa spinga tantissime persone a partecipare alle più orrende trasmissioni televisive, pur di esserci, apparire; insomma, perché si cerca qualunque cosa che ci renda ‘famosi’ per poi essere riconosciuti, fermati per strada, e diventare per questo ‘qualcuno’?
Già, perché è meglio essere qualcosa di finto, di ammirato o visto, piuttosto di essere un normale, reale nessuno. Così pensano quasi tutti, e forse è passato tra la testa anche a voi; ma non c’è da recriminare, non è una cosa di cui vergognarsi. L’invadenza dei media, dello strumento televisivo attuale con la sua diffusione e programmazione ha reso questo desiderio un fenomeno sociale: oggi, si dice, è di moda. Anche sul versante virtuale tecnologico di Internet esiste una esposizione simile, che attraverso la produzione di blog, foto e video, inclusa la partecipazione a chat line, fa passare una persona dal fenomeno mediale di nicchia a quello di massa. La risposta chiara al desiderio di apparire è nella nostra psicologia; è una risposta semplice e immediata: per vivere abbiamo bisogno di carezze, abbiamo bisogno che qualcun altro ci dica che esistiamo, ci confermi che ci siamo. Siamo vivi, reali, concreti...poi per paradosso accettiamo, per quelle benedette ‘carezze’, anche di essere virtuali, di essere qualcosa d’altro, di immaginario e finto; appunto.
Queste ‘carezze’ Eric Berne –psichiatra americano-, con i suoi studi, le aveva analizzate quali unità di misura di riconoscimento. Ad esempio un ‘Ciao’, si può considerare una carezza minima, per arrivare, passando dai baci e abbracci, all’applauso, alla portata in trionfo- a tutto quello che la televisione pare regali in fretta- al massimo dei punti.
Ecco che la caccia alle ‘carezze’, ai molti riconoscimenti, è resa, con lo strumento televisivo, immediata. Poi è chiaro che ognuno ne ha fame in modo diverso.
C’è chi si appaga con l’affetto degli amici, di quelli domestici, casalinghi e familiari, c’è a chi basta un ‘buongiorno’, detto all’angolo della strada, di una mano sulla spalla insieme ad un sorriso; esiste poi chi le carezze non bastano mai: non è sufficiente la notorietà estrema, l’essere riveriti e fermati per un autografo, seguiti da milioni di fans, votati da centinaia di migliaia di elettori, scelti e amati per doti speciali…tutto allora può diventare patologico. L’esibizione, quale strumento per piacere ed essere riconosciuti, diventa una distorsione. Quei fans, quegli ammiratori non conosceranno mai abbastanza quella persona; non riusciranno mai ad entrare in intimità con quel personaggio, così allora si comprenderà che la conferma più bella alla nostra esistenza è l’amore.
E’ l’amore la carezza che da sola riempie il cuore più di ogni altra cosa: il resto è un surrogato a quel sentire, a quello speciale bisogno di riconoscimento. E’ l’amore il sentimento e la relazione intima per eccellenza, quello che svela la nostra essenza: ci fa conoscere disarmati e impotenti per quello che siamo realmente; ci mette a nudo di fronte al mondo. Per quello poi la felicità può diventare un vestito da indossare; indossare sul nostro essere vero, senza finzioni.
Quanta fatica però per trovare la spontaneità; quante manovre per cercare conferme alla nostra vita…tante che si preferisce anche l’odio, gli schiaffi e le parolacce pur che l’indifferenza. Quella alla fine è la vera tragedia. Allora vale anche l’apparire ridicoli, stronzi, stupidi; vale anche un Grande Fratello, o una Fattoria, per trovare quello che riempia astrattamente una fame reale: l’amore e la capacità di viverlo.

mercoledì, luglio 19, 2006

Terroristi

- Cosa vuol dire terroristi? Quello che chiami terrorismo è la guerra di chi non ha eserciti, non ha armi potenti o sofisticate; è la guerra di chi ha conosciuto per primo il terrore di quei soldati cosiddetti regolari, con le divise, che uccide al pari e più di noi.
Puoi chiamarci disperati, vigliacchi, crudeli, inumani, ma questa è la guerra. Questo è il modo di lenire l’odio profondo che abbiamo coltivato nel vedere morire i nostri figli, madri e fratelli. Io sono sicuro che se anche tu fossi nato in certi posti, non ti saresti posto il problema di uccidere e morire; tutto è relativo a come e dove vivi…
Così mi parla il palestinese. Io non riesco ancora a comprenderlo. Rispondo così:
- Anche noi in Italia abbiamo avuto il terrorismo: era una frangia che pensava di cambiare la nostra società con la paura e uccidendo personaggi simbolo del sistema che volevano abbattere. Si sarebbe fatta la rivoluzione…pensavano di liberare gli oppressi; pensa, dicevano proprio così. Con il terrore pensavano di costruire una società diversa. Te lo immagini però un ministro di Grazia e Giustizia come Curcio o Moretti, a dispensare sentenze di morte? Li abbiamo sconfitti. Sono stati vinti dalla compattezza del nostro popolo e della superiorità della morale che si è opposta a quegli assassini. Ricordo i figli di Vittorio Bachelet che perdonarono, di fronte alla bara del loro papà, gli uccisori. Pensa, uccisero un uomo cui loro non ‘erano degni di allacciargli neppure i calzari’: per dirla con le Sacre Scritture. Gli italiani amano la pace, il dialogo e finalmente hanno acquisito la coscienza di non delegare a qualcun altro le scelte e il proprio destino: la responsabilità è sempre individuale. Il dialogo e il perseguimento della pace aiutano sempre a costruire il futuro per tutti.
- Tu dici questo perché il tuo futuro non è morire e soggiacere ad uno straniero, ad una cultura e una lingua che non riconosci tua. Come combatti contro questi invasori che portano la divisa di un altro paese? Noi abbiamo la speranza che il nostro agire, limitato e individuale, diventi di tutto il popolo. Ecco che a quel punto, la storia insegna, quel terrorismo di popolo sconfiggerà chi calpesta da straniero il suo suolo. L’invasore ha già perso.
Il palestinese è perentorio.
Posso a questo punto citare Gandhi, la sua grandezza morale con cui è riuscito, aborrendo la violenza, liberare l’India. Posso ricordare l’imperativo del rispetto della vita umana, qualunque essa sia: il precetto di ogni religione e ogni Dio. Ma il palestinese non ascolta più. Altre bombe stanno zittendo le nostre voci, zittiscono anche pensieri ‘alti’. Oggi per lui è tempo di morire, tempo di odio…eppure fra un po’ si capirà che non vincerà nessuno: non vincerà né lui, né gli altri. Forse vincerà un bambino portato via di lì, ed educato nell’amore, all’amore.

domenica, luglio 16, 2006

Sport e Giustizia

Si può in un mondo di tifosi fare giustizia? E’ chiaro che dove c’è il tifo difficilmente si riesce ad esercitare una visione obiettiva dei problemi e delle misure adatte a risolverli; non parliamo poi delle pene da infliggere a chi sgarra.
Qualunque sentenza non andrà bene. Le penalizzazioni di punti? Un affronto. La serie B? un insulto. Le responsabilità oggettive? Non esistono più, i responsabili sono ‘spariti’. Si vuole punire solo i tifosi…facile nascondere gli interessi illeciti, le furberie e il malaffare dietro il tifoso. Ricordiamoci che proprio da quel mondo –di tifosi- poi si è mutuato il tipo di scontro nella politica italiana. Dopo Berlusconi per fare politica, si scende in campo per competere a suon di gol, ma soprattutto di falli, calci di punizione, rigori e fuori gioco; quelli diventano il vero gioco e guai agli arbitri, che si sa sono tutti ‘cornuti e venduti’. Come i magistrati.
Così c’era successo anche di sentire dire che chi aveva avuto l’investitura popolare, con l’elezione a parlamentare, non poteva essere giudicato: valeva più il voto dei cittadini che una sentenza di un’aula di tribunale- anche perché i giudici non venivano eletti dal popolo.
Ancora una perfida lotta di potere che si sposta con l’astuzia di cavalieri, industriali, finanzieri, palazzinari e le loro corti, da questioni di soldi e comando, a questioni di panem et circenses. Tutto qui. Tutto per continuare un andazzo antico quanto il mondo. E lo sport serve. Eccome serve! Voi scannatevi, con i discorsi e le Tv, con il tifo ovunque; quelli, gli altri, hanno in mente di raggirare la giustizia sempre.

sabato, luglio 15, 2006

Nel romanzo ‘Porno’, di Irving Welsh, grazie al suo traduttore Massimo Bocchiola, ci troviamo tutto il nostro parlare conformista italiano, lo scandire delle frasi ripetute. Bocchiola è anche poeta e con licenza poetica si è permesso di re-interpretare tutti i modi di dire, dei luoghi dove sono raccontati i fatti del libro, tra Londra ed Edimburgo. Forse nella sostanza non cambia molto, ma dubito che ‘fuori come un poggiolo’,'attimino', ‘nisba’, ’cioè, voglio dire’,'c'havete','dimmerda','checcazzo', siano tradotti dalla versione inglese. Non ho visto l’originale, ma penso che non ci sia stata una traduzione letterale, quanto un originale adattamento. Una conferma al traduttore-traditore.
Nella lettura di ‘Porno’, troviamo poi tutto quanto è trash, volgare, ed è entrato nel linguaggio comune, quello normalmente parlato: le intercettazioni telefoniche, in questo caso, ci hanno rivelato quanto la volgarità non risparmi nessun strato sociale. Leggendo Massimo Bocchiola, traduttore, mi sembra di sentire parlare Moggi, Sottile o Vittorio Emanuele: contaminazioni gergali che denotano certo comuni frequentazioni.
Diverso è invece Bocchiola quando scrive per sé…qui sembra che non usi il linguaggio della strada per le sue poesie –anche se Sanguineti insegna quanto la poesia debba impregnarsi di quotidianità e il lievito sia quello di una lingua viva in trasformazione, sperimentata nella relazione parlata.
Ecco due esempi di Bocchiola poeta:

la luce
C'era la luce in principio, o piuttosto
un liminare fra il cortile e il bianco
e le ombre di ondulati, scale a pioli
e carri. Oh, l'improvviso soprassalto
a uno sfumare di linee, l'estate
che impallidiva, diventava aritmica
salvo rifarsi come una ranocchia
nell'elettricità del temporale.

il ragno
Macchinalmente tenere ogni filo
del sortilegio infermo, come i ragni
tessevano nell'orto quelle tele
basse nella verdura, che infuocava
Il sole pieno verso mezzogiorno;
e c'era anche un dolore per le strade
sterrate…come invece di abbracciarsi
in capo all'avventura, si perdessero
a una chiusa, frustrando scorribande.
(E i lunghi funerali che fermavano
tutto il paese - osterie, bar, botteghe.)
(Tratte dal sito web: miserabili.com)
Giuseppe Genna, nel recensire il libro di Massimo Bocchiola, Le radici dell’aria’, scrive: ‘una specie di nostalgia del presente, che i diversi tempi della memoria e della storia concorrono a formare. Una nostalgia per questo tempo che costa grande fatica e pare sempre regalato, in mezzo all'assedio degli orrori mondiali, da cui ci troviamo preservati abbastanza, in fondo, ma sentendo insinuarsi in noi stessi il sospetto di complicità. Bocchiola suggerisce, non denuncia (per pudore e per una colpevole gratitudine); lascia capire che - a dire il vero - sappiamo così poco, ed è la nostra vita tutta lì, nel silenzio di quello che diciamo’.
Forse allora Bocchiola come traduttore, non ha tradito: ha solo ridetto le cose di un altro; lui è, in fondo, rimasto fedele tradendo se stesso.

giovedì, luglio 13, 2006

Iraq finito

L’Iraq è finito. L’Iraq come nazione indipendente, e soprattutto democratica, non esiste neppure più come idea. E’ in corso una guerra civile che farà rimpiangere Saddam Hussein; certi popoli e culture pare vivano meglio sotto un sistema poliziesco estremo.
Gli USA hanno fallito due volte e se per loro l’Iraq non si trasformerà in un Vietnam, sarà pur sempre una sconfitta; oltre che la perdita di autorevolezza su tutto il mondo arabo.
Quello che sta succedendo in Libano è il risultato di una politica sbagliata di Bush e dell’america conservatrice. Pensare che un po’ di democrazia d’esportazione, innesti circoli virtuosi positivi in Medioriente è stata una grande illusione. Insieme la conferma che la democrazia si può conquistare con le armi in Europa ed in altri stati del mondo, ma non dove non è mai stata conosciuta e, al di là di un voto segreto e libero, non rappresenta niente. La democrazia è qualcosa di più: è consapevolezza di diritti e doveri; è partecipazione alle scelte per risolvere problemi comuni…è libertà anche di costumi.
L'Iran è il vero vincitore della partita giocata in quella zona. Teheran ha tutti gli strumenti per rafforzare la propria influenza su molta parte del mondo arabo e può ragionevolmente progettare di cacciare a pedate gli Stati Uniti. Ora si rivolgeranno tutti ad Ahmadinejad per accettare un compromesso sul nucleare e sulla ridefinizione della politica mediorientale. Il momento è tragico e buona parte della responsabilità è ancora degli Usa e di Bush; possiamo solo sperare, che quel cowboy, non ci trascini in una nuova guerra mondiale.
La soluzione armata ai problemi ne crea di nuovi e più forti, carichi di odio e morti. Israele, forse conoscendo i suoi vicini, che pare ascoltino solo la repressione violenta, si fa prendere da i suoi antichi precetti di un Dio di vendetta: occhio per occhio, dente per dente. A noi disarmati spettatori non resta che pregare quel Dio nuovo, tanto nuovo che non ha ancora convinto quelli a cui ha donato la vita: il Dio d’amore.

martedì, luglio 11, 2006

Famiglie oggi

‘No alle coppie omosessuali’, che il Papa dicesse qualcosa di diverso mi sembrava impossibile: come se dicesse sì al divorzio o sì ai rapporti sessuali fuori da matrimonio. Quello è un precetto dottrinale e morale giusto per chi ha fede e crede; ma la legislazione civile, che riguarda tutti -credenti e no- deve prevedere, come la legge sul divorzio e quella su l’aborto, una regolamentazione che disciplini e preservi i diritti, la libertà e la dignità di chiunque cittadino.

Insomma, se uno vuole divorziare o convivere con una persona dello stesso sesso dovrebbe essere libero di farlo: non dovrebbe offender nessuno né tanto meno chi vive in famiglia, che si sa è il posto più bello per viverci, quanto il più infernale quando non funziona più: è assodato che i peggiori crimini maturano spesso in ambiente familiari, ma questo si ricorda poco.

Intanto l’Istat, proprio oggi, 10 luglio 2006, ci ricorda che il 99,4% della popolazione italiana vive in famiglia: i 58.751.375 residenti in Italia vivono in 23 milioni e 600 mila famiglie; quindi ogni famiglia è composta in media da 2,5 persone. Solo lo 0,6% di abitanti vive in convivenze anagrafiche (caserme, case di riposo, carceri, conventi, ecc.). Quali paure abbiamo?

E’ invece negativo il saldo della popolazione: nel 2005 sono stati più i morti che i nati, -13.282. Ci salva però l’incremento degli emigrati che con l’arrivo in Italia ha portato ad aumentare dello 0,5% gli abitanti con 289.336 persone in più rispetto al 2004. Ci sarà paura anche dei matrimoni misti?

Lasciate liberi d’amare chiunque: i frutti e i benefici positivi si svilupperanno. Non sarà certo un divieto religioso a fermare il bisogno d’amore e affetto.

Se qualcuno paventa la famiglia in crisi non lo è certo per colpa dei Pacs, che ricordiamo sono un acronimo che significa Patto Civile di Solidarietà. La Chiesa cattolica ha tutto il suo diritto di fare la sua propaganda e richiamare i ‘suoi’ fedeli; ma l’Italia, il suo Stato e le sue leggi non sono fatte per servire i fondamentalismi religiosi, la morale di qualcuno, contro qualcun altro, ma per aiutare tutti i cittadini a vivere in pace e cercare la propria felicità.

venerdì, luglio 07, 2006

Il più pulito ha la rogna

Come gli esami, di eduardiana memoria, anche gli scandali non finiscono mai. Appena insediato il nuovo governo Prodi, ecco affiorare gli scandali sul Calcio, quello sulle concussioni sessuali, sui Monopoli, su un discendente dell’ex dinastia regnante…che ha riaperto indagini anche sul cosiddetto Laziogate (scandalo su elezioni e sanità nella regione governata da Storace), per arrivare a quello del Sismi- i nostri servizi segreti militari.
Anche qui i personaggi che troviamo, a cui è affidata la sicurezza nazionale dei cittadini e delle istituzioni, è davvero incredibile: abbiamo un generale comandante Niccolò Pollari, un direttore di divisione Marco Mancini, un professore addetto alla disinformazione, Pio Pompa ed un giornalista, Renato Farina, vice direttore del quotidiano ‘Libero’, che fa l’informatore e il depistatore mediatico su commissione, nominato in codice, fonte Betulla. Visto i nomi e la storia ci sarebbe da fare, non un thriller ma, una commedia all’italiana. Invece per il fondo tragico che fa intravedere un attentato alle regole democratiche, si tratta di un dramma, per cui bisognerà affidarci ad un repulisti radicale.
Innanzi tutto spero che quel Farina abbia il buon gusto di cambiare mestiere e di non giocare più all’agente spione. Quel Pio Pompa, l’eminenza grigia delle trame e dei dossier diffamanti, mi auguro sia processato presto insieme agli altri capi agenti segreti militari.
Tutto nasce per aver permesso il rapimento da parte di un cittadino egiziano indiziato di terrorismo, sul nostro territorio, da parte della CIA. Insomma si è dato concretezza a quello che si pensa e non dovrebbe essere: l’Italia una colonia degli USA, una sovranità limitata dagli interessi ‘superiori’ americani.
Dietro poi si viene a scoprire altri affari sporchi, giochi di potere in favore di una parte politica. Altre brutte pagine di storia patria. Altre trame oscure italiane, che confermano il detto popolare: in certi ambienti, il più pulito ha la rogna.

lunedì, luglio 03, 2006

Corporazioni

Le corporazioni per loro natura sono contrarie sia allo spirito liberale e a quello socialista. Nate come associazioni, in un lungo percorso storico, si sono trasformate in un patto sindacale che regola autonomamente e difende i lavoratori di uno specifico settore. Le corporazioni hanno una origine antichissima; nate sotto l’impero romano, si consolidarono nel Medioevo con le prime corporazioni di arti e mestieri. L'ingresso nelle corporazioni era regolato da precise condizioni: essere figli legittimi di un membro della stessa arte, dare prova della propria abilità artigiana e pagare una tassa.
Nel 1844 in Piemonte scomparirono le corporazioni a causa dei vincoli che esse ponevano ad ogni ipotesi di libero commercio (incompatibilità con ideologia liberista) e nel 1848 sull'onda delle libertà concesse dallo Statuto albertino, delle trasformazioni economiche e dei nuovi sviluppi industriali, che misero in difficoltà i mestieri e le lavorazioni tradizionali. In Italia date importanti per la ripresa delle corporazioni sono l’atto fondamentale del regime fascista, datato 21 aprile 1927.
Il fascismo con l’istituzione dello Stato Corporativo, le porta a sistema giuridico con un comitato centrale costituito da 22 corporazioni…il fascismo si prometteva con ciò di dichiarare chiusa la stagione liberale, superato il capitalismo e la conseguente lotta di classe. Non dimentichiamo che anche la Massoneria trae origine dalle corporazioni, in particolare da quella dei Muratori; sarà forse per questo che non si riesce a smantellarle?
Finalmente il governo Prodi inizia con il suo ultimo decreto, anno 2006, una grande rivoluzione liberale.
Il lavoro che occorre fare è spiegato molto bene nel libro di Francesco Giavazzi: Lobby d’Italia, edito da Rizzoli e in libreria dall’ottobre dello scorso anno. ‘Non si può chiedere ai tacchini di festeggiare Natale’, sostiene Giavazzi e quindi bisognerà mobilitare tutti i cittadini, vessati da questi interessi corporativi che fanno aumentare i prezzi dei servizi di circa il 7%. La sfida è appena iniziata e alla fine, se il governo riuscirà a concluderla, staremo meglio tutti. Sia di destra che di sinistra. Bisognerà insieme diminuire anche i costi della politica; non ci possiamo permettere che continui pure la lobby dei parlamentari, dei consiglieri regionali e di tutti i furbetti che alzano la mano ad ogni ‘bonus’ e aumento di stipendio, loro. Così, forse, ci sarà la fine di un’era- insieme al berlusconismo, anch’esso illustre portatore di corporazioni; vedi le leggi ad personam e la detenzione di concessioni televisive e pubblicitarie per legge: il famoso duopolio. Forza Italia vera. Viva la libertà.

domenica, luglio 02, 2006

Incontro con Francesca Romana Capone

Mercoledì scorso ho presentato due libri ed insieme una giovane autrice: Francesca Romana Capone. Avrebbe dovuto essere presente all’incontro anche un’altra scrittrice, Patrizia Chelini, ma un impedimento gioioso l’ha trattenuta a Roma. Spero ci sia un’altra occasione. I libri sono due opere molto originali: ‘Quello che non ti ho detto’ e ‘Continua a parlare’; due libri editi da Baldini e Castoldi, Dalai. Facile, attraverso i titoli, l’accosto al tema della parola ,ma fuori di questo i due libri trattano argomenti diversissimi: quasi opposti. C’è un non detto che non abbiamo la possibilità di dire perché non abbiamo di fronte la persona a cui dirlo e soprattutto vorremmo ascoltare. Per quello gli diremmo ‘Continua a parlare’…Chissà se poi ci dirà quello che non ha mai detto. Ho giocato anch’io sulle parole, ma per l’occasione devo dire che la cosa bella è stata la conoscenza di Francesca che si è rivelata una autrice sensibile, curiosa, attenta e impegnata nella scrittura con uno slancio davvero genuino. Poi lei è una grande lettrice e questo conferma che non ci si improvvisa scrittori ma ‘dietro’ occorre una grande preparazione che solo la lettura può fornire. In bocca al lupo Francesca, meriti di essere conosciuta e apprezzata perché il tuo libro sa muovere delle corde dell’anima che innestano un percorso di crescita spirituale: una consapevolezza alla struttura dei sentimenti intimi.
In fondo è questo che ho detto alla sua presentazione, anche se ho un po’ ‘tergiversato’ e ‘girovagato’, sulla letteratura in generale.