sabato, dicembre 27, 2014

Un'idea di destino - Diari di una vita straordinaria di Tiziano Terzani

Dico subito che di Tiziano Terzani sono un estimatore: ho letto tutti i suoi libri e considero il suo ultimo: Un altro giro di giostra uno dei più belli da me letti.
All'uscita di questo suo nuovo libro postumo ero perplesso. Che sia una raccolta di articoli già pubblicati? Uno zibaldone del suo pensiero sul mondo? No. Sono i diari e gli appunti conservati nel computer, in quaderni e floppy disk, di questo straordinario viaggiatore dell'Asia, sono le riflessioni e quanto sta dietro alla costruzione dei suoi libri e della sua ricerca spirituale quando viene a conoscenza del male che gli sta erodendo il fisico. Soprattutto poi emerge tra le mille cose, di questo grande testimone del '900, il suo grande amore con la moglie Angela Staude: un rapporto anche conflittuale ma che basato sulla stima reciproca diventa sempre più forte nel tempo. Un vero grande amore che mi ha commosso.
Questo libro Un’idea di destino-Diari di una vita straordinaria, che esce per la Longanesi in occasione del decimo anniversario della morte di Tiziano Terzani, avvenuta il 28 luglio 2004, ed è senz'altro uno strumento utile per approfondire l'uomo Tiziano Terzani, il giornalista, il padre, il marito, il guru, lo scrittore, il viaggiatore, il ricercatore, il mistico...
Tutto il percorso spirituale e di arricchimento personale d Tiziano Terzani è sorretto da una visione laica che mai abbandonerà; lui rimane fino all'ultimo il fiorentino comunista e razionalista che era da ragazzo. Tiziano Terzani nato a Monticelli, quartiere popolare di Firenze; nel diario annota: 'So che ho imparato moltissimo. Specie ad essere quello che son sempre stato: uno di Monticelli'.
Figlio di un meccanico e di una cappellaia, dimostra di essere uno studente eccezionale; un primo della classe portentoso. I professori consigliano i genitori di continuare a farlo studiare: gli comprano i pantaloni lunghi a rate e studia. Liceo, Università Normale di Pisa; poi all'Olivetti, fabbrica dei cervelli dell'Italia migliore, quella che cresce nel Dopoguerra e durante il boom dei Sessanta. Ancora alla Columbia University di New York per la seconda laurea. Lì stringerà amicizie e conoscenze che gli saranno utili nelle varie occasioni della vita.
In lui sente sempre più con il crescere un forte richiamo verso l'est, verso l'Asia. Non a caso ha studiato negli USA il cinese. Ostinatamente cerca un giornale che lo invii in Asia. Troverà dopo tanti giri lo Der Spiegel - un giornale tedesco. Per loro, nel '75, seguirà in Vietnam la caduta di Saigon, dove rimane tre mesi sotto il regime comunista. E poi aprirà per quel giornale le redazioni di Hong Kong, Bangkok, Pechino, Tokyo, Delhi. Intanto collabora con l'Espresso, il Messaggero, la Repubblica, appena nata, e poi con il Corriere.
Quel misterioso richiamo verso l'Asia diceva che era nel suo DNA. L'Asia diventa la sua casa, diventa il luogo dove sviluppa le sue passioni e riceve le sue più grandi delusioni. L'Asia è insieme lo scenario per rispondere alle sue domande più intime, quelle che ogni essere umano si pone nel compiere un personale cammino di evoluzione materiale e spirituale.
Tiziano Terzani nascendo povero era inevitabilmente diventato un comunista. La Cina di Mao gli era parsa un luogo dove si realizzava il comunismo e la giustizia sociale...una volta andato a viverci -prendendo anche un nome cinese, Deng Tiannuo, si accorse che era: un medioevo di morte. Un mondo dove nuovi padroni grassoni cinesi si impossessavano di tutto. Da quell'esperienza scrisse La porta proibita.
Espulso dalla Cina approdò in Giappone che non considerò mai facente parte dell'Asia, ma un paese con un popolo infelice che ha costruito una società alienante.
Nei diari scrive: Imparare dal Giappone? Neanche a pensarci. Anzi dobbiamo conoscerlo bene per non averci niente da imparare, per averlo da temere. Educhiamo i nostri figli alla fantasia, alla libertà e fregheremo i giapponesi, ma soprattutto faremo delle generazioni di felici.
Passato a seguire la caduta dell'URSS scriverà Buonanotte signor Lenin, che ne racconterà le vicissitudini.
Di tutta l'Asia egli troverà l'India come l'ideale rappresentante del mondo asiatico e culla della spiritualità universale. E' qui che deciderà di abitare e perseguire la sua ricerca spirituale; quella capace di far trovare se stessi e la pace.
Nei diari scrive: 'Sono finito in India perché secondo me l'India è l'origine di tutto, è il punto di partenza di tutto. L'India è ancora un paese dove il divino è nella quotidianità della gente, nei gesti...
Per gli indiani la vita non è fatta per essere semplicemente vissuta, ma per essere capita. In altre parole non si vive per vivere, ma per scoprire il senso del vivere. L’India assale, prende alla gola, allo stomaco. L’unica cosa che non permette è di restarle indifferente
.'.
Chi si interessa di spiritualità prima o poi deve fare i conti con l'India. E facendo questi conti, con alla base la cultura occidentale, non può non incontrare le profonde riflessioni di Tiziano Terzani, nate da un'esperienza diretta e originale. Non è un caso se nel peregrinare per l'Asia Tiziano Terzani poi scelga l'India come sua dimora. Scelga quella che definisce un'Arca di Noè delle civiltà e dell'umanità. E' in India che si ritrovano tutte le grandi contraddizioni dell'Uomo e sempre in India che si trovano le più vere risposte alla spiritualità. Insomma se un divino vive in noi, quel divino vaga e ha vagato in questa immensa nazione.
Con Terzani veniamo in contatto con le tante contraddizioni che attraversano l'umanità e per questo vedremo che partendo da quel pensiero, da quella misteriosa forza che gli fa scegliere l'India come luogo prediletto, arriva alla decisione di lasciare il suo corpo nella valle dell'Orsigna; nel luogo che considera la sua casa d'origine. Per questo riflette che 'non c’è una scorciatoia a nulla e che l’unica soluzione è quella conosciuta e che l’ultima risorsa siamo noi, una volta messa da parte la speranza di una soluzione altrove'.
Dopo avere scoperto di essere afflitto da un tumore allo stomaco egli si trasferirà dalla casa di Delhi, dove aveva vissuto tanto con la moglie, in un rifugio sull'Himalaya, a Binsar in una baita ai piedi del Nanda Devi, la montagna più alta e più divina dell’India. A 2300 metri di altitudine, senza elettricità né acqua corrente, nel cuore di una foresta antichissima, qui vuole scrivere la sua storia col cancro, sarà Un altro giro di giostra: 'un libro sull’America, un libro sull’India, un libro sulla medicina classica e quella alternativa, un libro sui tanti modi in cui le diverse culture, specie orientali, affrontano il problema umano; alla fine sono tanti libri in uno: un libro leggero e sorridente, un libro su quel che non va nelle nostre vite di uomini e donne moderni e su quel che è ancora splendido nell’universo fuori e dentro tutti noi'.

Binsar rappresenta la ricerca di una solitudine rimarcata. In questa solitudine dei boschi in Himalaya, nell’ultima parte della sua vita, Terzani incontra il suo principale interlocutore, il guru Vivek Datta, un intellettuale acuto e un abile provocatore, in cui si misura quotidianamente.
Gli scambi con Vivek Datta e sua moglie Marie Therese, sono passaggi che ho trovato ricchi di spunti per riflessioni sulla vita e la morte che danno a tutto il libro una dimensione spirituale alta e preziosa. Sempre a Binsar, dove Terzani scrive nella sua solitudine le lettere d'amore più belle alla moglie Angela, egli sconta l'inquietudine del suo vivere, dove il restare e il fuggire si alternano senza soluzione di continuità. Angela lo raggiungerà a Binsar diverse volte e quelle note sul suo diario sono pagine bellissime di descrizione di momenti felici che paiono toccare l'eternità con il tocco dell'armonia di una natura incantata che li circonda.
Infine a Binsar, Tiziano Terzani scrive: Nel mio rifugio senza elettricità e senza telefono, solo con la grande Maestra Natura, risento il valore sacro del silenzio, e mi convinco che la cura di tutte le cure, la vera medicina per tutti i mali consiste nel cambiare vita, cambiare noi stessi e con questa rivoluzione interiore dare il proprio contributo alla speranza in un mondo migliore.
Per concludere annoto che per me il libro è stato una miniera; quella stessa miniera che Tiziano Terzani dice poi la si trovi in ogni posto: 'Basta lasciarcisi andare, darsi tempo, stare seduti in una casa da tè ad osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l'amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare'.

Grazie Tiziano.

sabato, dicembre 20, 2014

il cinema di Jia Zhang-ke

Più di ogni reportage, più di ogni indagine sociologica o documentale, il cinema di Jia Zhang-ke con il dittico, Still Life e Il tocco del peccato, ci fornisce il quadro della Cina più vero e profondo: una Cina alienata; una Cina uguale a tutto il mondo occidentale, entrata in una crisi che non lascia speranza.
Mentre nel 2006 Still Life vinceva il Leone d'Oro a Venezia, questo Tian zhu ding -Il tocco del peccato- è stato premiato al Festival di Cannes 2013 per la migliore sceneggiatura.
Anche questo film come il precedente Still Life la trama del film si snoda attraverso 4 storie, di 4 individui, legate ognuna alla violenza; alla alienante condizione umana di una società che per il denaro e per la miseria circostante porta ognuno a trovare soluzioni drammatiche.
Nell'episodio in cui il giovane si suicida si lancia un messaggio annichilente: non esiste nulla per riscattare i valori persi. La Cina assetata di capitalismo sta cancellando non solo la dignità, ma anche i diritti della gente comune. Il film Il tocco del peccato lo racconta con un apologo brutale, duro e pessimista.

Per chi vuole vedere il film in streaming ecco il link: qui http://www.nowvideo.li/video/fa2b00d7c5ec1

Dopo aver visto questo film viene da chiedersi: Cosa succederà ora a Cuba? Infatti dopo 18 mesi di colloqui riservati, gli Stati Uniti e Cuba hanno raggiunto un accordo per la fine dell’embargo economico verso l’isola. Da questo momento parte una normalizzazione destinata a cambiare la fisionomia del paese caraibico.
Cuba ritornerà al clima degli anni '50? Diventerà l'isola-casino dei nuovi ricchi?
Io penso che anche dopo aver perso ogni baluardo di valori sociali e di economia diversa da quella capitalistica, rinascerà sicuramente da qualche parte del mondo un nuovo germoglio di società più giusta. Come la legge del TAO, il tutto nero conserva un punto bianco per la rinascita.

mercoledì, dicembre 17, 2014

L'ometto buono dentro di noi

Come esiste un piccolo fascista all'interno di ognuno di noi- di cui avevo scritto poco tempo fa su questo blog-, così esiste un 'ometto buono': un piccolo animale dentro l'animale che si può chiamare anima: l'ometto dentro l'Uomo.
Da quel momento che quell'ometto buono è stato posto dentro di noi, la somiglianza tra l'anima e l'uomo è così stretta che vi sono anime grasse e anime magre come i corpi. L'anima diventa il carattere, diventa quello che è più nostro e vero. L'anima così ci costringe a portare sempre in avanti la conoscenza e la consapevolezza.
L'anima non invecchia o meglio pur seguendo il corpo e sentendo la stanchezza, ci spinge a portare a compimento quello che di noi rimane inespresso: ci spinge ad essere quello che siamo.
Ora se a quest'anima, a questo ometto gli vogliamo bene; se lo sappiamo ascoltare, se impariamo a parlargli egli saprà dirci sempre quello che è giusto per noi. Egli ci aiuterà a non sbagliare.
L'importante è sapere che questo ometto è il bene, la parte che ci spinge verso il giusto e si trova in continua lotta contro la parte cattiva che spesso è frutto della smania, dell'ignoranza e del pensare che noi siamo di più di quell'ometto che parla sottovoce e non sappiamo ascoltare.

lunedì, dicembre 15, 2014

Bibliografia a supporto del dibattito: L'autogestione nelle fabbriche recuperate: una questione economica, sociale e psicologica

Aldo Marchetti: Fabbriche aperte - L'esperienza delle imprese recuperate dai lavoratori in Argentina
Edizioni: Il Mulino - anno di pubblicazione 2013 - pp. 216, – 18 EURO.
L'esperienza argentina delle «Empresas recuperadas por sus trabajadores» che a più di dieci anni di distanza non solo non è declinata ma continua a svilupparsi. Si tratta del più ampio e duraturo esperimento di autogestione che coinvolge complessi industriali, imprese di servizio, alberghi, ambulatori, organi d’informazione. Ciò di cui si parla è una vicenda umana di coraggio, intraprendenza e solidarietà di rara intensità nella storia recente del movimento operaio, e allo stesso tempo un modo creativo e autonomo per uscire dalla tenaglia della crisi.
Aldo Marchetti ha insegnato Sociologia del lavoro nell’Università Statale di Milano e in quella di Brescia. Giornalista pubblicista, è stato direttore di diverse riviste di cultura. Tra le sue pubblicazioni: «Produttori di stile» (a cura di, con E. Gramigna, FrancoAngeli, 2007) e «Il tempo e il denaro» (FrancoAngeli, 2010).

Andrès Ruggeri: Le fabbriche recuperate - Dalla Zanon alla RiMaflow. Un'esperienza concreta contro la crisi
Edizioni: Alegre- uscita settembre 2014 - Pag.192 -15 Euro
Dopo l'esperienza argentina, sull'onda della crisi globale degli ultimi anni, è divenuto esempio di resistenza anche in Europa. In Italia troviamo la RiMaflow a Milano e le Officine zero a Roma, ma si contano esperienze anche in Francia, Grecia e in altri paesi del vecchio continente.
L’autore approfondisce così l'ipotesi dell'autogestione, sequestrata nel Novecento dalle burocrazie e dagli errori di un movimento comunista internazionale dominato dallo stalinismo e da tendenze socialdemocratiche, e che oggi può offrire un terreno prezioso per impostare un nuovo inizio per le sinistre in crisi.
Andrès Ruggeri, antropologo presso la Facoltà di Filosofia e lettere dell'Università di Buenos Aires oltre a studiare l'esperienza delle "fabbriche recuperate" è anche il promotore degli incontri internazionali "L'economia dei lavoratori" e l'ispiratore del programma "Facoltà aperta" presso l'Uba.

sabato, dicembre 13, 2014

Autogestioni e Cooperative: Convegno all'Università Bicocca di Milano- Dipartimento Psicologia

Il dipartimento di Psicologia dell'Università Bicocca di Milano ha organizzato, il 10 dicembre scorso, un convegno sul tema: L'autogestione nelle fabbriche recuperate: una questione economica, sociale e psicologica.
Ne è scaturito un dibattito dove le cronache del lavoro, per il lavoro e sul lavoro, sono state esposte in maniera interessante attraverso gli interventi sulla materia, spunto per grandi riflessioni.
Io su invito di Luigi Fasce (psicologo in pensione che ha deciso di diffondere impegno e cultura politica) ho partecipato con piacere e qui riporto un sommario resoconto, spero utile ai lettori.
I lavori coordinati dal professor Luigi Ferrari sono stati aperti con la relazione di Aldo Marchetti con: 'La sfida dell'autogestione nel tempo della globalizzazione e del neoliberismo'.
Aldo Marchetti ricorda che la storia della cooperazione caratterizza la prima fase del socialismo come risposta al modello economico liberista della seconda metà dell'Ottocento. Il regime fascista prima distrugge le cooperative esistenti, agricole, imprenditoriali, dei consumatori ma poi nel 1925 il fascismo le istituzionalizza. Attualmente una grande variegata e controversa realtà economica. Infatti non sono assimilabili tra loro le cooperative di consumatori così come quello sociali, del terzo settore no profit con le cooperative di impresa lavorativa.
L'autogestione ha una storia diversa e minore.
Mentre le cooperative si sviluppano e si incardinano nell'economia capitalista, le autogestioni ne sono in conflitto aperto minando il sistema dall'interno delle fabbriche.
Aldo Marchetti svolge un breve excursus su cosa si intenda per autogestione: un autogoverno che si trova a fare esperienza in momenti storici rivoluzionari. Nel 1860 con l'esperienza della Comune di Parigi si pensa all'autogestione perfino della città di Parigi. Ad ogni modo le esperienze di autogestione, sono esperienze economiche che segnano insieme il passaggio per certi versi dall'autoritarismo, dalla gerarchia, al collettivo; alla democrazia economica compiuta. L'autogestione che si riesce a tramandare si trova nei modelli storici come un cane in chiesa. Sono momenti propedeutici al socialismo; sono considerati aspetti più pedagogici che fondamentali per l'economia. I filoni marxisti del socialismo prima e del comunismo poi la cooperazione non l'hanno mai accettata.
Oggi abbiamo, dopo le critiche del passato, delle esperienze che rivalutano le autogestioni. Nel mondo esistono diverse realtà: i Sem Terra in Brasile, dove si sperimenta una riforma agraria autogestita; gli Assefa in India- costruzione di villaggi rurali che dallo sviluppo agricolo passano a quello economico sociale e spirituale-; quello delle le oltre 250 fabbriche recuperate in Argentina, rappresentano elementi di grande interesse.
L'avvilimento della democrazia da parte del neoliberismo trova in queste esperienze un possibile recupero di reale democrazia.

La relazione di Luigi Malabarba è una testimonianza di esperienza diretta di una autogestione: quella della RiMaflow. Tutto nasce dopo le lotte del 2009 per la difesa del posto di lavoro della fabbrica Maflow, che operava nel campo dell'automobile. Quella fabbrica nel dicembre 2012 chiudeva per ragioni di speculazione finanziaria e nel febbraio 2013, con l'avvio di un progetto autogestito, chiamato Rimaflow, iniziava un percorso di autogestione.
Con le parole d'ordine: Reddito, Lavoro, Dignità, Autogestione veniva recuperata la fabbrica ed inserita dentro una idea nuova di intendere produzione e consumi. In quanto sindacalista Gigi Malabarba avverte di quanta poca alternativa esista nelle lotte a difesa dei lavoratori: 'Il progetto capitalista alla produzione pare non abbia alternativa. Su questo punto bisognerà lavorare molto. Lavoro e reddito viaggiano come elementi indistinti...per questo le risposte sono tutte da pensare. '. Oggi la fabbrica aperta grazie a RiMaflow si rapporta con il territorio del Comune di Trezzano sul Naviglio, ed è un laboratorio in divenire.

Altra testimonianza diretta di occupazione e tentativo di autogestione con un obiettivo di cooperativa è quello che vede protagonisti la multinazionale Unilever -colosso agroalimentare secondo al mondo- e i 189 dipendenti della fabbrica a Marsiglia. Qui abbiamo tre sentenze consecutive del Tribunale di Marsiglia che ha dato ragione agli operai contro i piani della proprietà.
A raccontare l'esperienza vissuta è Dominique Basset.
Per gli occupanti della fabbrica marsigliese lo slogan è: Il miglior modo i creare lavoro è quello di mantenere quello che già esiste. La lotta dura da tre anni e all'inizio ha visto l'impegno delle istituzioni e in primo luogo quello dalla Regione di Marsiglia. Oggi visto il cambio di maggioranza politica -andata alla destra- sembra tutto più problematico. Problemi che si aggiungono a quelli della ricerca del marchio e la sua commercializzazione per la produzione di un nuovo thè. Dominique Basset spiega che la questione del marchio dovrà passare in un primo tempo attraverso la grande distribuzione, ma questo sarà solo un primo passaggio. Poi la produzione, che dovrà essere ecologica, avverrà con la sinergia del Mercato equo e solidale. Un primo risultato sarà l'uguaglianza di reddito. Per partire con l'esperienza di cooperativa si avranno all'inizio 50 occupati; in seguito cresceranno fino a 100.
Dominique Basset trova incoraggiamento attraverso gli applausi convinti della sala.

Il coordinatore Luigi Ferrari visto l’assenza giustificata per questioni di salute di un relatore, apre il dibattito ai partecipanti peraltro molto numerosi.

Luigi Fasce coglie subito l'occasione per ricordare che l'esperienza argentina menzionata da Marchetti ha avuto una sua base esperienziale in Italia con la legge Marcora 1986, che per iniziativa delle organizzazioni cooperative Agci, Confcooperative e Legacoop, in applicazione costituzionale dell'art. 46 per cui 'La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.', che prevedeva un fondamento giuridico ed un sostegno economico per la costituzione di cooperative e che ha consentito ai lavoratori di salvare moltissime imprese in via di fallimento. Quella legge ha ricordato Luigi Fasce, c'è da insistere per un rilancio di quei valori fondanti l'economia con finalità sociali.
Altri interventi porranno domande su quanto, nell'attuale realtà di globalizzazione, siano fattibili percorsi di autogestione che durino e diventino esempio per nuove economie del lavoro; insomma di nuove cronache del lavoro.

Il convegno chiude con una Tavola rotonda che illustra su quanto l'autogestione sia poco raccontata e faccia notizia nell'ambito dell'informazione.
Marco Pucciarelli di La Repubblica, Francesco Savelli del Corriere della Sera, Guido Rossi del Giornale radio RAI insieme al sindacalista Gianni Polo coordinati da Francesco Colucci, riporteranno le loro opinioni.
Per M. Pucciarelli l'autogestione, la realtà di fabbriche recuperate è marginale e seppur doveroso raccontarle e darne notizia trova pochi riscontri o meglio interfacce sia nel mondo politico che in quello in generale del lavoro. Per quanto riguarda la cooperazione, quindi le cooperative, visti gli scandali questo mondo ha perso credibilità. Le cooperative pare siano diventate nuovi strumenti di sfruttamento del lavoro: elementi di occupazione a basso costo con finalità che poco hanno a che fare con la filosofia cooperativistica.
Per F. Savelli le notizie di autogestione sono da raccontare, però rimangono confinate in trafiletti, i spazi dove le notizie del campo economico finanziario prendono il sopravvento seguendo un andamento ormai scontato e attualmente difficilmente modificabile. Visto anche l'imperante pensiero del mercato.
Per G. Rossi la RAI cerca di fare molto per illustrare e dare notizie su questo aspetto dell'autogestione delle fabbriche, certo è che non è la notizia o il reportage a modificare l'atteggiamento politico e sociale su questo tipo di lotte e di economia dal basso. Deve cambiare l'approccio politico.
Francesco Collucci conclude augurandosi che dal dibattito ognuno riesca a trarre delle riflessioni che siano utili ad affrontare in modo sempre più consapevole l'aspetto dell'autogestione e quanto queste azioni rimandino ad altri significati profondi di riconquista di democrazia e antiautoritarismo.


Un interessante incontro di cui bisogna complimentarsi con il Dipartimento di Psicologia della Università Bicocca di Milano e gli organizzatori del convegno.

giovedì, dicembre 04, 2014

Democrazia italiana e corruzione

La storia politica della Repubblica italiana è interpuntata da scandali. Senza soluzione di continuità, il malaffare delle ruberie, delle tangenti, della corruzione, che sfocia quasi naturalmente in quel modus operandi rappresentato dalla mafiosità tutta italica, segna il cammino della nostra democrazia malata o semplicemente stracciona e puzzona.
Sì, si può pensare che la democrazia abbia i suoi costi e comporti per la sopravvivenza delle istituzioni che la garantiscono dei prezzi; ma con gli scandali scopriamo l'opposto: una democrazia debole, che è sempre pronta ad alterarsi e farsi regime al servizio del più furbo e del più ricco.
La democrazia tutt'altro che confronto di idee, ricerca di consenso su progetti sociali, mediazioni tra diversi interessi e riconoscimento reciproco delle diversità...qui siamo alla mera gestione di denaro sottratto alla collettività, al finanziamento delle bande delinquenziali che attraverso i partiti arricchiscono cosche e lobby.
22 anni fa tutti i partiti si trovarono coinvolti in uno scandalo che prese il nome di Tangentopoli: un perverso meccanismo di distribuzione di denaro pubblico a partiti e politici regolamentato con il tacito assenso di tutti. Ognuno trovava il suo tornaconto e sotto l'egida di un triumvirato definito CAF (Craxi-Andreotti-Forlani) si era creata una corruzione e una illegalità che è stata uno dei principali motori nella costituzione del debito pubblico italiano, tra i più alti al mondo.
22 anni fa tutti i partiti cambiarono nome, molti nacquero sull'onda di un rigetto della vecchia politica e per un nuovo corso...il risultato è un enorme fallimento: le ruberie non solo non cessarono ma si estesero in maniera esponenziale alle nuove forze in campo. Sempre la magistratura, che si cercò di fermare e mettere sotto il controllo dei partiti, è quella che scoperchia e continua a trovare il malaffare e le gesta mafiose dei cosiddetti nuovi politici. Politici che si rivelano cultori dei propri interessi personali e al servizio della banda-partito, se non del boss di turno.
22 anni passati uno scandalo dopo l'altro ha messo in luce quanta illegalità esista tra gli esponenti della politica: i nuovi servitori che non riescono a produrre nessun cambiamento morale e anticorruttivo.
22 anni dopo ci troviamo a fare i conti con uno scandalo emblematico, che attesta una più marcata discesa della classe politica a fianco della criminalità mafiosa. L'indagine prende il nome di Mafia Capitale. Esiste un libro nero dove sono segnati tutti i compensi, le tangenti, i regali, le mazzette che i politici prendono dalla criminalità. Dal libro nero emerge l’intrigo tra politica e corruzione che delinea quel Mondo di Mezzo evocato dal principale imputato: un terrorista fascista Massimo Carminati, definito il Guercio.
Ancora una volta ci sono coinvolti tutti. Destra e Sinistra. Ma i partiti non dovrebbero essere istituzioni dove avviene anche una selezione della classe politica? Non dovrebbero essere i partiti i primi a denunciare il malaffare mafioso?
L'Italia forse non riesce a digerire la democrazia che a sua volta dovrebbe essere una diga al dilagare della corruzione politica...sarà che il fascismo continui, con la mafiosità, ad essere la nostra biogra

martedì, dicembre 02, 2014

Quale politica per le riforme? Bussola per un orientamento a sinistra - Recensione di Sergio Dalmasso

Dopo due precedenti scritti più brevi, Luigi Fasce, per anni psicologo-psicoanalista, offre con questo libro la sintesi del proprio pensiero politico, della propria visione del mondo. Lo fa in modo corrispondente al proprio carattere, con passione, energia, ottimismo.
Nel testo vi è addirittura "troppo": analisi di posizioni politiche, definizioni di termini, brevi notazioni storiche su decenni di vicende italiane, discussione sul ruolo degli organismi internazionali. La bibliografia è ampia e va dalla storia alla politologia, dalla psicoanalisi (in particolare Erich Fromm) alla ecologia, dall'economia al diritto.

Possiamo, schematicamente, dividere le duecento pagine in tre parti:
1) la distinzione fra destra e sinistra, alla ricerca di una "rosa di valori" che le contraddistingua (chiaro il riferimento a Norberto Bobbio). La rassegna delle ideologie politiche (e anche la loro crisi) è articolata negli spazi di destra (autoritarismo, liberismo, uso della violenza...) e sinistra (eguaglianza, attuazione della Carta costituzionale, scelte ambientali...). E' qui inserito l'indiscutibile valore della laicità.
2) La centralità del tema del lavoro per una "società diversamente ricca" (è chiaro il richiamo ad una espressione di Riccardo Lombardi, altro riferimento di Fasce). Il lavoro è al centro della Costituzione e base per una repubblica "liberaldemocratica".
3) L'apertura del discorso alla realtà internazionale. Il nemico peggiore è il neoliberismo che deve essere superato da una politica di riforme, con forte connotazione ecologica.

I riferimenti che compaiono nel testo sono in particolare: - il manifesto del liberalsocialismo (1941) di Calogero e Capitini, i due nomi ai quali è intestato il circolo culturale di cui l'autore è presidente - il manifesto di Ventotene alla base dell'idea europea - il documento del congresso di Bad Godesberg (1959) del Partito socialdemocratico tedesco.
Il neoliberismo è declinato nei suoi atti, nella sua ideologia, nelle conseguenze nefaste sullo stato sociale e sull'ecologia:
- privatizzazione delle banche e delle imprese di interesse pubblico. L'esempio più chiaro è la "privatizzazione" della Banca d'Italia, una delle cause delle difficoltà economico - sociali del nostro paese.
- cancellazione dei vincoli di movimento di denaro, merci e manodopera. Ognuno ricorda i timori per l'iniziativa sulla Tobin tax, piccolo vincolo alle transazioni finanziarie, giudicato insostenibile dal potere economico. La circolazione della manodopera produce tutte le contraddizioni (razzismo, scontro fra etnie, crescita della guerra tra i poveri...) che vivono le società di capitalismo sviluppato.
- cancellazione dell'intervento pubblico in economia, considerato parassitario e nemico della "libera concorrenza".
- soppressione progressiva dello stato sociale.
- cancellazione di ogni vincolo di tutela ambientale.
A questa deriva l'autore contrappone una "terza via ad alta intensità socialdemocratica" e soprattutto il riferimento a Olof Palme e al suo progetto (il piano Meidner), interrotto dalla tragica morte e basato sulla cogestione e con la possibilità da parte dei lavoratori di comprare azioni in borsa e diventare azionisti di riferimento "golden Share" delle imprese e sull'uso di parte dei profitti per fini sociali.

Ancora l'attuazione della Costituzione, vero riferimento per la sinistra.

Mi permetto alcune considerazioni che spero servano per una maggiore discussione e per mettere in luce posizioni e matrici, anche diverse, che possono convergere sulle grandi attuali emergenze.
1) Fasce usa il termine comunismo partendo da un giudizio sul comunismo storico novecentesco e sulle esperienze di "socialismo reale" (dall'URSS all'Europa dell'est, dalla Cina alla Corea del nord).
Credo, non da oggi, che occorra sempre distinguere tra la deriva del movimento comunista e le sue origini ed i suoi principi, forse ancora sulle sue potenzialità.
Continuo a pensare alla funzione epocale della rivoluzione sovietica, durante il macello della prima guerra mondiale, prodotta da contrasti inter-imperialistici e dal cedimento della socialdemocrazia, a figure come Rosa Luxemburg, alla riflessione preziosa di Gramsci, ai movimenti anticoloniali ed antimperialistici, al Che, grande non solamente per il sacrificio, ma per le posizioni internazionaliste e antiburocratiche, a tanti pensatori del "marxismo occidentale", alla riflessione, purtroppo tardiva, avvenuta dopo la sconfitta, di Trotskij, a tanti autori cancellati, a milioni e milioni di militanti per cui il comunismo è stata la più grande speranza laica della storia.
2) La socialdemocrazia è non solamente quella di Palme o di Brandt. A parte il peccato originale dell'aver accettato la guerra mondiale ed in alcuni casi anche il colonialismo, ed il fatto che quella italiana sia stata la peggiore a livello europeo, anch'essa vive difficoltà profonde.
In Grecia, le scelte del PASOK sono attualmente tra le cause della crisi frontale del paese, in Francia mai un presidente è stato impopolare quanto Hollande, la politica del governo produce uno spostamento a destra che fa crescere esponenzialmente Sarkozy e LePen, la socialdemocrazia tedesca  governa con la Democrazia cristiana della presidente Merkel, i governi Zapatero, in Spagna, hanno bene operato sulle libertà civili, ma sono stati incapaci di affrontare le questioni sociali (disoccupazione, povertà, migrazione). I governi socialisti in Portogallo vedono un bilancio negativo, il laburismo inglese ha continuato, nonostante le teorizzazioni blairiane della "terza via", le politiche liberiste.
Anche la socialdemocrazia nordica che ha indubbi meriti storici nella attuazione dello stato sociale, vive una non contingente crisi di prospettiva.
Le stesse forze ecologiste, negli anni '80, viste come innovatrici e capaci di modificare il quadro politico, vivono difficoltà non episodiche, non avendo mai saputo superare l'equivoco del "né di destra né di sinistra", cosa che ha significato incomprensione delle grandi questioni sociali ed anche accettazione delle guerre neocoloniali degli ultimi decenni.
3) L'ONU. Importante il suo ruolo, fondamentali alcuni testi (la Dichiarazione dei diritti dell'uomo), significative le sue strutture (Unesco, Unicef, FAO, OIL) nate nello spirito propositivo del dopoguerra. Occorre, però, guardare alla realtà concreta, soprattutto del periodo post 1989 (crollo dell'est). La mancanza di un equilibrio nella realtà internazionale ha portato alla egemonia di un solo paese, al peggioramento delle garanzie sociali conquistate nei decenni, a guerre "democratiche ed umanitarie", al depotenziamento delle strutture sopra ricordate (pensiamo ad un continente come l'Africa). L'America latina e il BRICS, con tutte le sue contraddizioni possono costituire una alternativa o almeno elemento di correzione delle peggiori storture, ma resta il problema di un'ONU dei popoli e non strumento di potenza di uno o più paesi che applicano le ricette della Banca mondiale (anch'essa nata con altra finalità), del Fondo Monetario, dell'Organizzazione per il commercio.
4) La Costituzione italiana, vero cardine e bussola dello scritto di Fasce. Non a caso, Raniero La Valle, in "Quel nostro '900", vede in essa e nella Carta dell'ONU il rovesciamento delle logiche della storia passata per l'introduzione del concetto di eguaglianza, per il ripudio della guerra, per la sovranità attribuita ai cittadini.
Questo spirito del dopoguerra: è stato cancellato già negli anni immediatamente successivi. Non a caso l'attuazione di alcuni principi è stata rimandata per anni e si è creata la dicotomia fra Costituzione scritta e attuata (praticata).
Non a caso, la "via italiana al socialismo", teorizzata all'8° congresso del PCI (1956) era centrata proprio sulla attuazione della Costituzione, impedita dalle forze conservatrici.
- è ancora maggiormente sotto attacco oggi, per l'insofferenza di tante forze politiche, perché considerata ostacolo all'"innovazione", perché passano le formule del "meno stato", "lo vuole l'Europa", perché viviamo un progressivo appannamento del sentire sociale, perché prevale un modello basato sulla semplice crescita quantitativa, perché aumentano le diseguaglianze sociali.

L'attuazione
Nel 1954 il professor Balladore Pallieri (Università Cattolica) si chiede quale attuazione abbia avuto la Carta costituzionale e risponde tristemente: "nessuna". La paralisi ha avvolto i punti qualificanti (CSM, regioni, CNEL; Corte costituzionale, referendum), i diritti di libertà non sono più garantiti che in precedenza, nessun passo in avanti è avvenuto per i diritti sociali.
Nel decennale della Liberazione, Piero Calamandrei scrive che la Costituzione non è attuata, che si è assistito alla restaurazione dei vecchi ordinamenti, che il regime esistente è del tutto diverso da quello voluto dai costituenti.
Nel 1958, Lelio Basso, nel suo "Il principe senza scettro", esamina la nascita della Costituzione, le forme della sovranità popolare il ruolo dei partiti ma lamenta la continuità della legislazione fascista, le inadempienze, il ruolo conservatore della magistratura, il sottogoverno, il "regime" democristiano.
Ricorda come, sull'Assemblea costituente, abbia pesato il mutamento, in peggio, del quadro politico nazionale e internazionale fra il 1946 e il 1947 e come le norme siano sempre espressione di rapporti di forze.
Cita Ferdinand Lassalle, nel suo discorso sulla Costituzione: Le questioni istituzionali non sono originariamente questioni di diritto, ma questioni di forza; la costituzione reale di un paese consiste soltanto nei rapporti effettivi delle forze in esso operanti: le costituzioni scritte hanno valore e durata solo quando sono l'esatta espressione dei reali rapporti esistenti tra le forze del paese.
E continua riferendosi all'analisi di Marx ne "Le lotte di classe in Francia" sulla Costituzione francese del 1848: La Costituzione era stata eletta quando era ancora vivo lo slancio rivoluzionario del febbraio e se anche il fervore democratico s'era attenuato durante il periodo dei suoi lavori, com'è accaduto alla Costituente italiana, tuttavia la Costituzione rimaneva pur sempre la più avanzata di quei tempi. Ma l'Assemblea nazionale, eletta dopo l'entrata in vigore della Costituzione, aveva segnato un ritorno offensivo dei ceti conservatori e non si era sentita affatto vincolata alla Costituzione...
Mutato il rapporto delle forze sociali e politiche nel paese, spostato più a destra l'indirizzo delle forze dirigenti, ridotta al silenzio l'opposizione operaia, lo Stato francese veniva necessariamente assumendo una fisionomia diversa da quella che i costituenti avevano sperato. Abbiamo avuto in Italia lo stesso arretramento dalla Resistenza alla Costituente, dalla Costituente al parlamento successivo. Alla Costituzione scritta è venuta sostituendosi una Costituzione di fatto assai diversa.

Mi auguro che questo schema e queste osservazioni possano essere utili per una discussione sui temi che il libro di Luigi Fasce porta all'attenzione di tutti.

sabato, novembre 29, 2014

Se incontri il Buddha per la strada uccidilo di Sheldon Kopp

Il libro Se incontri il Buddha per la strada uccidilo di Sheldon Kopp - uno psicoterapeuta statunitense scomparso nel 1999- aiuta a prendere consapevolezza di noi che per paradosso cerchiamo una autorità esterna (psicoterapeuta, guru, filosofo, ecc) per superare i nostri disagi esistenziali. Il libro è stato scritto nel 1972 e pubblicato in Italia da Astrolabio - Ubaldini Editore nel 1975.
Sheldon Kopp, è chiaro fin dal titolo del suo libro: Se incontri il Buddha per la strada uccidilo. Già, prima o poi siamo costretti a prendere atto che quella via d'uscita non la conosce nessuno al di fuori di noi, di conseguenza la soluzione sta nel riconoscere che l'autorità che stiamo cercando siamo noi stessi.
Però intendiamoci: nessuno dice che è inutile cercare consiglio o affidarsi all'aiuto di altre persone, più o meno carismatiche, che sembrano star lì apposta per indicarci la via. Il giusto atteggiamento di fondo è sapersi relazionare con quelli che ci potranno guidare. Come non sono riusciti i nostri genitori a darci e ricette della libertà e della felicità, nessun altro sarà in grado di trasmettercele. Il loro scopo dovrebbe essere (in un gioco degli specchi') quello di indicarci i talenti che abbiamo e non sappiamo riconoscerci; oltre a trovare la relazione corretta con gli altri e il mondo.
Il ruolo importante dei maestri, terapeuti, filosofi e genitori è quello di aiutarci a scoprire dentro di noi gli strumenti che ci permetteranno di trovare la nostra strada.
In breve non dovremo mai rinunciare alla nostra autonomia: quella stessa che ci aiuterà ad assumerci la nostra parte di responsabilità nel cammino alla ricerca del nostro senso della vita.
E' un po' come per il cammino dell'individuo dall'infanzia alla maturità. Le persone adulte più autonome e indipendenti (non nel senso che non hanno bisogno di nessuno, ma nel senso che sanno stare in piedi sulle proprie gambe) in genere sono quelle che hanno potuto godere di un'infanzia nella quale hanno sperimentato la totale dipendenza, almeno nei primi anni, dalle loro figure genitoriali o di qualche adulto significativo. Diversamente sarà più facile che si renda dipendente di qualche guru, maestro o filosofo...
Ecco qui alcune perle che l'autore Sheldon Kopp mette in elenco a conclusione del libro.

Nulla dura per sempre
Non c’è alcun modo per ottenere tutto ciò che si vuole
Non puoi aver nulla a meno che non lasci la presa
Puoi conservare soltanto ciò che dai via
Ogni parte di te ha il suo valore, se solo l’accetti
In realtà non controlli nulla
Non puoi costringere nessuno ad amarti
Il mondo non è necessariamente giusto
L’essere buoni spesso non viene ricompensato e non c’è alcuna ricompensa per la sventura; nondimeno hai la responsabilità di fare del tuo meglio
Ciascuno di noi è in definitiva solo
Non ci sono grandi uomini
Tutti sono, a modo proprio, vulnerabili
Nessuno è più forte o più debole di te
Se hai un eroe, dagli un altro sguardo: in qualche modo hai diminuito te stesso
Siamo sempre tutti responsabili dei nostri atti - Nessuna scusa sarà accettata
Puoi fuggire, ma non puoi nasconderti
Impara a perdonare te stesso, più e più e più e più volte…
L’unica vittoria importante sta nell’arrendersi a se stessi
E’ importantissimo trovarsi senza più capri espiatori

giovedì, novembre 27, 2014

'Quale politica per le riforme? Bussola per un orientamento a sinistra' di Luigi Fasce

La mia recensione.
E' appena giunto nelle librerie un libro molto utile per orientarsi nel marasma della politica italiana odierna. Inoltre per l'autore Luigi Fasce c'è il particolar orgoglio che questo libro sia stato pubblicato dalla Biblion edizioni, che quest'anno compie 10 anni di attività. Questa casa editrice milanese, nata nel 2004 attraverso le sue prime collane - Civiltà del libro, Storia, politica, società, Fotografia, Circolo Polare - ha iniziato a progettare e creare nuovi percorsi di ricerca e divulgazione.
Il libro di Luigi Fasce: 'Quale politica per le riforme? Bussola per un orientamento a sinistra' si inserisce in un filone divulgativo e di riflessione politica che sono temi editoriali cui si articola la produzione saggistica della Biblion edizioni, con la collana Quaderni di politica. Questo da valore aggiunto all'opera che ha il merito di affrontare il tema dell'orientamento politico a Sinistra...e oggi sappiamo quanto ce ne sia bisogno.
Inizialmente per il titolo del libro era stato scelto da parte dell'autore: 'La cabina elettorale non è un ascensore'; ora esce con questo titolo più serioso e in linea con la collana della Biblion: 'Quale politica per le riforme? Bussola per un orientamento a sinistra'. Forse è meno intrigante però si inserisce in un contesto di domande a cui vengono date risposte e soprattutto indicazioni su rotte da percorrere a Sinistra.
Spesso ci accaloriamo in discussioni sull'origine delle crisi e sui metodi e le strade per uscirne: Luigi Fasce va al nocciolo; le sue risposte e analisi hanno il dono della sintesi. la Sinistra esiste e dovrebbe ritrovare la sua anima: un'anima che si trova nella Costituzione italiana e nello spirito liberalsocialista.
Il libro che si apre con una presentazione di Felice Besostri e la mia prefazione, contiene nella prima parte un glossario completo dei vari termini politici che vanno dal Discorso sulle ideologie al capitolo della Torre di Babele dei linguaggi, passando su Religioni e Laicità. Un aspetto didattico importante. Le altre parti: Il Lavoro Stella Polare della Sinistra e Uno sguardo sul mondo, delineano una alternativa al modello capitalista e neoliberista con lo spirito economico-sociale previsto dalla nostra Costituzione e vera bussola per una politica che non perda i suoi valori fondanti.
Ricordiamo che l'autore Luigi Fasce è un genovese, psicologo-psicoanalista adleriano, che seguendo le orme di Erich Fromm e avvalendosi dell'esperienza professionale, si cimenta nel campo della cultura politica, in particolare nella fenomenologia politica.
Luigi Fasce, Presidente del Circolo culturale di Genova dedicato a Guido Calogero e Aldo Capitini, propone terapie di orientamento laico, ecologista e liberalsocialista.

lunedì, novembre 17, 2014

La ricchezza di pochi avvantaggia tutti' Falso!

Libro di Zygmunt Bauman - ed. Laterza -la mia recensione

Un piccolo e interessantissimo libro di Zygmunt Bauman, 'La ricchezza di pochi avvantaggia tutti' Falso! -edito nel 2013 da Laterza- che punta in 128 pagine al centro dell'ingiustizia più grande del mondo: quella che genera povertà.
Questo pianeta, che dal punto di vista informatico e della circolazione delle merci sta diventando sempre più piccolo, reca con sé la povertà dovuta ad una malvagia distribuzione della ricchezza che separa sempre più i poveri dai ricchi. Tra ricchi e poveri c'è un abisso profondo che è incolmabile.
Si è sostenuto da molto tempo che solo la concorrenza, il perseguimento del profitto individuale, i premi più alti e tasse più basse al vertice stimolino l’imprenditorialità e mettano a disposizione una più grande torta economica da spartire fra tutti...la verità è che è effettivamente aumentata la ricchezza, ma senza produrre progresso economico; senza niente da spartire. Quella ricchezza aumentata paradossalmente ha generato miseria. D’altro canto, basta guardare alla disuguaglianza crescente fra poveri e ricchi: i poveri diventano sempre più poveri, nello stesso momento in cui i ricchi diventano sempre più ricchi. Non dovrebbe essere il contrario? O, quanto meno: non dovremmo star diventando tutti ricchissimi? Secondo lo slogan d’apertura, sì; ma pare che la realtà sia ben diversa.
Nella storia la diseguaglianza economica si è autoriprodotta da sempre; una conferma arriva dalla frase del Vangelo riprodotta in epigrafe al libro:
'Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha'- (Matteo 13, 12). Questa non è profezia, ma una realtà che ci arriva a distanza di 2000 anni.
Paradossalmente chi genera miseria poi si trova a fare i conti con il crescere della sua ricchezza. Questa ad un certo punto si arresta. Come mai? Ecco, chi compra le sue merci, chi segue i suoi bisogni e desideri ad un certo punto non lo fa più...il calo dei salari dei consumatori sottrae la concentrazione della crescita economica dalle mani dei ricchi. La realtà di disuguaglianza sociale è dannosa per tutti o quasi tutti i membri della società. Questa disuguaglianza, questa enorme ingiustizia mette poi a rischio la democrazia. La guerra tra i poveri che si scatena coinvolgerà tutti: privilegiati, bisognosi, indifesi e gli stessi ricchi. Le attuali crisi nascono da questi meccanismi perversi; dallo scatenarsi di logiche d'arricchimento senza freni.
Con i dogmi della naturale ingiustizia che non si può sanare, per cui l'avidità crea un bene per tutti, da Margareth Thatcher in poi si è costruita la più grande ingiustizia sociale e crisi economica mondiale, mai affrontata dal sistema occidentale. La conclusione di una approfondita riflessione di Zygmunt Bauman invece dice: 'Non c’è vantaggio nell’avidità. Nessun vantaggio per nessuno. E nell’avidità di nessuno'.
La guerra economica con alla base la persistenza di una povertà sempre più spaventosa farà sprofondare le società democratiche in un baratro autodistruggente. E' evidente che più si va avanti su questa strada solo i criminali, gli arrampicatori senza scrupoli e più forti prevarranno; questo a discapito della convivenza sociale. Queste in sostanza le conclusioni di Zygmunt Bauman contenute nel libro.
Pensiamo cosa era in verità il naturale: non era né giusto né ingiusto, era semplicemente nell’ordine delle cose: dovevano essere così e basta; era normale. Era naturale che ci fossero dei privilegiati; dei nobili a cui tutto era dovuto. Il naturale era un ordine famigliare per cui era naturale avere degli schiavi; era naturale avere uno status naturalmente uguale oppure naturalmente inferiore.
John Maxwell Coetzee, formidabile filosofo e squisito romanziere -Premio Nobel per la letteratura nel 2003-, oltre che acuto rilevatore dei peccati, dei grossolani errori e delle vacuità del nostro mondo, osserva che 'Le economie competitive esistono perché noi abbiamo deciso di dare loro questa forma. La competizione è un surrogato sublimato della guerra. La guerra non è affatto inevitabile. Se vogliamo la guerra, possiamo scegliere la guerra; ma se vogliamo la pace, possiamo ugualmente scegliere la pace'.
Fermarsi dal baratro è possibile. Basterebbe volerlo al di là di quel naturale tanto astruso!

L'autore: Zygmunt Bauman è un sociologo polacco ed è uno dei pensatori più influenti al mondo. Professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia, ha pubblicato diversi saggi tra cui Voglia di comunità, La società sotto assedio, Vite di scarto, Amore Liquido, Vita liquida, Paura liquida.

Titolo: '''La ricchezza di pochi avvantaggia tutti' FALSO!''
Autore: Zygmunt Bauman
Editore: Laterza
Anno: 2013 -Pag.128 – Prezzo:€ 9,00

lunedì, novembre 10, 2014

La coscienza: due libri a confronto

La coscienza è tema di molti studi ed è argomento di trattati di filosofia, storia, psicologia, fisica, neurologia ecc. Ad oggi, la coscienza, non è stata ancora ben illustrata, cosicché continuiamo a interrogarci su cosa sia. Quella, che per certi versi è diventata una caratteristica dell'anima, certamente evolve. Ecco, al pari della morale, la coscienza da l'impressione di variare, di trasmettere stati d'animo differenti. Vediamo attraverso due libri alcune caratteristiche e teorie delle origini della coscienza.

I libri che metto a confronto sono: Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza di Julian Jaynes -uscito nel 1976, pubblicato in Italia nel 1984 da Adelphi- e La scintilla di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi di Carlo Augusto Viano -pubblicato nel 2013 da Bollati Boringhieri.

Il libro di Carlo Augusto Viano - La scintilla di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi -ripercorre la parabola della coscienza nel percorso storico-politico e religioso che ha portato all'idea del concetto di coscienza morale. Soprattutto Carlo Augusto Viano indaga l'accidente storico che cambia la coscienza e la sua natura di volta in volta, da chi la richiama e la lega ai suoi interessi. La coscienza acquista una dimensione etica e morale. La coscienza uno strumento per la relazione privilegiata con Dio.
Il titolo del libro di Carlo Augusto Viano richiama alla scintilla conscientiae che secondo Girolamo 'non si era estinta neppure nel petto di Caino'. La consapevolezza di un male compiuto viene conservato dal delinquente per antonomasia.
Carlo Augusto Viano tratta dell’uso e dell’abuso del concetto di coscienza morale. E lo fa con vigile spirito critico, attento alle giustificazioni interessate, agli alibi e all’auto-inganno di quanti vi fanno ricorso. L'insieme del racconto che l'autore propone è sorretto dalle conoscenze filosofiche e storiche.
L’interpretazione della coscienza ha subito non poche trasformazioni nel corso del cristianesimo. La coscienza è entrata in modo laterale nella cultura cristiana, soprattutto a opera di Paolo di Tarso, che l’ha invocata in occasioni diverse, ma sempre come uno strumento per difendere il modo in cui svolgeva la propria missione. Contro l’ostilità di altri predicatori, che dovevano avere qualche vantaggio su di lui, si richiamava alla coscienza, come luogo cui Dio ha pieno accesso, per difendere le proprie posizioni, sulle quali si potevano nutrire dubbi. Ma il richiamo alla coscienza gli serviva anche per giustificare l’indulgenza nei confronti degli ebrei convertiti, che restavano fedeli ai propri tabù alimentari: li considerava coscienze deboli, che, incapaci di liberarsi dagli scrupoli, anche da quelli indebiti, vanno tuttavia rispettate.
Si profilava così una doppia interpretazione della coscienza, come sede di scrupoli, che possono essere ingiustificati perché suggeriti dalle circostanze accidentali, nelle quali le credenze, anche quelle religiose, si formano, e come strumento di comunicazione diretta con Dio. Una parte della cultura cristiana ha cercato di dare alla coscienza un contenuto, identificato con la legge naturale.
Per Carlo Augusto Viano la coscienza conserva una ambiguità di fondo che attraverso una scala di finzioni, arriva a degradarsi. La condanna di tali distorsioni (provocate da convinzioni religiose incapaci di separare quel che è di Cesare da quel che è di Dio) è netta. Il lato oscuro e ambiguo dei richiami alla coscienza, che mettono in gioco contenuti pubblici presentati come privati, ai quali solo il titolare della coscienza ha accesso, ha risultati controversi: non si tratta di un errore della coscienza o del suo uso, da correggere con qualche filosofia, ma dell’uso effettivo ed efficace della coscienza.
Quando il peggior malfattore dice ho la coscienza a posto o io so, nella mia coscienza, quali erano le mie intenzioni, chi gli nega il diritto di accampare queste scuse? Ma chi ignora che esse non vanno prese sul serio? Quando, messo alle strette, uno si appella alla propria coscienza, non gli si fanno storie, anche se si può prevedere ciò che dirà: ciò che dicono tutti in quelle condizioni. Nel raccontare la storia della coscienza il problema dell’obiezione di coscienza, diventa centrale nel libro, viene inquadrato sia all’interno della tradizione cristiana, dove la coscienza del singolo è considerata un santuario che custodisce la presenza di Dio in noi, sia nel pensiero filosofico, dove in genere rappresenta la voce interiore del dovere.

Quello che unisce i due libri è quindi il concetto di trasformazione della coscienza attraverso i tempi.

Il percorso indicato invece dal libro Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, di Julian Jaynes, sovverte ciò che si era pensato fino allora: il punto di partenza e di arrivo è la divisione del cervello in due emisferi. Il libro, che è strutturato in tre parti, affronta il problema della nascita della coscienza. Ma cos'è la coscienza? L'autore parte da questa domanda per svolgere un lungo excursus su quello che noi erroneamente pensiamo sia la coscienza. La coscienza non è il ragionare, il pensare, il calcolare, il riflettere, il fare esperienza per imparare o formulare concetti...è qualcosa che ha a che fare con la mente e con la sua formazione nel doppio cervello, che porta ad una coscienza della coscienza. La coscienza si rivela essere un linguaggio metaforico col quale comprendiamo la realtà delle cose.
Per Julian Jaynes, all'inizio quello che chiamiamo coscienza era un'insieme di voci che muovevano gli uomini come fossero automi e che li facevano cantare poesie epiche attraverso le loro labbra. Erano voci le cui istruzioni, le cui parole, potevano essere udite distintamente – allo stesso modo delle voci che sentono gli schizofrenici. Voci che parlavano costantemente dall'interno del sistema nervoso: dio è parte dell'uomo.
La coscienza nasce nel momento che la mente bicamerale, ossia la suddivisione equilibrata del cervello diviso in due emisferi, cessa. Quando l'emisfero destro, che possiede le aree del linguaggio in grado di comunicare prende il sopravvento su l'emisfero sinistro, che invece non riconosce le voci come proprie.
Jaynes individua anche un preciso periodo storico: è il momento del passaggio da una società di cacciatori a una società stanziale di agricoltori, raccolti in piccole città che richiede lo sviluppo di capacità di trasmissione dei comandi a distanza nello spazio e nel tempo. Allora entra in gioco l’emisfero destro. E' il momento che nasce anche la scrittura e avviene quel fenomeno, ancora misterioso, che a tutte le cose venne dato un nome.
Julian Jaynes seppure professore di psicologia a Princeton è stato uno studioso che spaziava in diversi campi del sapere quali l'archeologia, la letteratura antica, la linguistica, la neurologia, l'arte e l'architettura. Ed è con questi strumenti che Jaynes affronta l’analisi della nascita della coscienza. Il primo oggetto che Jaynes decide di studiare è l’Iliade, il poema con il quale inizia ufficialmente la letteratura occidentale; il risultato è sconcertante: nell’Iliade non esiste coscienza. Per lui quella che definiamo oggi coscienza è il frutto dell'evoluzione umana.
La realtà della coscienza è dello stesso ordine della matematica: più che una cosa, o un serbatoio di oggetti, è un operatore, che lavora su analoghi e metafore del mondo reale. E uno degli oggetti sui quali opera è l’analogo io. La coscienza è in grado di costruire una rappresentazione metaforica, o analogizzata, dell’io, che può essere fatto muovere in un mondo virtuale, al fine di prendere una decisione: è il modo con il quale ciascuno di noi sceglie un lavoro, un compagno, una casa. Senza questa capacità di vedere se stessi, di pensare ai propri pensieri, di immaginare il futuro o di rielaborare il passato, non c’è coscienza.
Tutto è racchiuso nel dramma vissuto dall’umanità nel corso degli ultimi 4000 anni: nel II millennio a.C. abbiamo smesso di sentire le voci degli dèi. Nel I millennio a.C. si sono estinti anche quelli di noi che ancora udivano le voci, i nostri oracoli e profeti. Nel I millennio d.C. è attraverso i loro detti e le parole divine da loro udite e preservate nei testi sacri che noi continuiamo a obbedire agli dèi perduti. Nel II millennio d.C. questi scritti perdono la loro autorità. La Rivoluzione scientifica ci distoglie dagli antichi detti per andare alla scoperta dell’autorizzazione perduta. Ciò che abbiamo vissuto in questi quattro millenni è la lenta, inesorabile profanazione della nostra specie.
Riassumendo brevemente i passaggi di Jaynes sono: l’emisfero destro possiede aree del linguaggio in grado di comunicare con l’emisfero di sinistro, che non riconosce le voci come proprie; nell’Iliade, un libro di tremila anni fa, non c’è traccia della coscienza, e gli eroi sembrano mossi da voci divine; il passaggio da una società di cacciatori a una società stanziale di agricoltori raccolti in piccole città richiede lo sviluppo di capacità di trasmissione dei comandi a distanza (nello spazio e nel tempo): entra in gioco l’emisfero destro; la coscienza non entra nella maggior parte delle azioni complesse che un uomo può compiere.
Bisogna aggiungere che sul piano scientifico la teoria di Julian Jaynes ha già ricevuto dei riscontri positivi. Nel 1963 due studiosi, Penfield e Perot, stimolando l’area di Wernicke (area dell'emisfero sinistro) di settanta pazienti, risultò che i pazienti udirono voci, ammonizioni, consigli, provenienti da luoghi strani e sconosciuti, altri rispetto a sé: altri udirono musiche, melodie ignote che erano in grado di canticchiare al chirurgo. Alcuni sentirono la voce della madre, altri di un uomo che poteva essere loro padre e del quale avevano paura; molti intimavano alle voci di smettere di parlare o di urlare. Praticamente tutti non riconoscevano come proprie quelle voci.
Jaynes stringendo il cerchio attorno alla tesi principale del libro: all'inizio quello che chiamiamo coscienza era un'insieme di voci che muovevano gli uomini come fossero automi e che li facevano cantare poesie epiche attraverso le loro labbra. Erano voci le cui istruzioni, le cui parole, potevano essere udite distintamente – allo stesso modo delle voci che gli schizofrenici. Voci che parlavano costantemente dall'interno del sistema nervoso: dio è parte dell'uomo. Per Jaynes: 'Dopo il crollo della mente bicamerale ogni dio è un dio geloso' (p. 399).
In fondo la coscienza si piazza in parte in quell'Io freudiano che, attraverso una propria rappresentazione metaforica o analogizzata, riesce a fare le scelte; prendere delle decisioni con le quali ciascuno di noi sceglie un lavoro, un compagno, una casa. Senza questa capacità di vedere se stessi, di pensare ai propri pensieri, di immaginare il futuro o di rielaborare il passato, non c’è coscienza. La teoria di Jaynes è suggestiva e ricca di molte riflessioni su cui dobbiamo fare i conti.

mercoledì, novembre 05, 2014

Il piccolo fascista che alberga sempre nella natura umana

Viviamo momenti difficili, momenti di straordinaria crisi, da cui una volta - ma non è detto che non possa succedere anche oggi- si usciva con guerre o dittature.
Ritornare ad esperienze del passato è facile ed il motivo è anche semplice: tutti conserviamo in noi un 'piccolo fascista'. Alberga nella nostra natura un sentimento di conservazione che ci tiene legati al sangue, alla tribù e rappresenta l'ostacolo più forte all'evoluzione umana. L'ingordigia e la violenza dell'uomo delle caverne, che avevano un senso per superare le difficili condizioni di vita di quei tempi, sono giunte fino a noi attraverso quel piccolo fascista, trasformando l’egoismo in crudeltà.
Per questo bisogna ricordare che il fascismo, come il nazismo, non sono soltanto fenomeni politici, ma sono anche il disperato tentativo di fermare la volontà di andare oltre: prefigurare un mondo migliore. Sono forme di disumanità. Quel dittatore o leader politico che sarà capace di estrarre il piccolo fascista da ognuno facendogli svolgere il suo ruolo sociale e a recitare la sua parte, riuscirà a far ripetere la storia degli orrori passati.
Che fare? Teniamo gli occhi ben aperti facendo attenzione a chi si professa guida infallibile, padre, duce...tutto naturalmente dopo aver dato uno sguardo attento dentro di noi.
Ippolyte Taine- filosofo, storico e critico letterario francese, che riduceva la psicologia a fisiologia, faceva discendere tutto a fattori deterministici dettati dalla Natura. Taine ricordava: 'la zoologia ci mostra che l’uomo ha i canini; stiamo attenti a non provocare in lui l’istinto carnivoro e feroce. La storia mostra come gli stati, i governi, le religioni, le chiese e tutte le istituzioni sono i mezzi grazie ai quali l’uomo (animale e selvaggio) acquisisce la sua piccola parte di ragione, giustizia e verità. Così si creano le civiltà: una mano di vernice sottilissima, sotto la quale si trovano intatti gli istinti e le passioni primitive dell’animale uomo. (Lombroso)'.
Ancora Ippolyte Taine: 'Dentro di noi c’è sempre un selvaggio, un pazzo addormentato e incatenato sempre pronto ad uscire dalla caverna del nostro cuore. La normalità diventa il risultato di una costante allerta contro le latenti potenze di disgregazione. Come la malattia è sempre pronta ad intaccare il corpo; così la follia è pronta a impossessarsi dello spirito'.

domenica, novembre 02, 2014

NON DITE MAI A UN BIMBO: "NON DEVI PIANGERE"

Il bisogno di controllare tutto, specialmente i sentimenti genera persone infelici e frustrate.
Eppure quante volte abbiamo sentito dire: Non devi piangere; Non devi arrabbiarti; Non devi essere triste; Non fare la femminuccia, un vero maschietto non piange; Non frignare, una signorina non piange...
Si parte con queste affermazioni, da parte dei genitori, per non vedere soffrire i figli o farli smettere di lamentarsi e fare i capricci, -questo può risultare giusto- ma attenzione, si possono anche provocare dei danni!
Intanto si potrebbe instaurare una incapacità a fare esprimere le emozioni. Reprimere il dolore diventa così una pratica normale a cui sottostare per essere accettati dagli altri.
Attraverso quelle frasi, dette prima e introiettate dal bambino, si rischia di far perdere alle persone il contatto con il proprio mondo emozionale e ad esprimere così la vasta gamma degli stati emotivi.
Per l'integrità psico-affettiva noi sviluppiamo una intelligenza emotiva che aiuta a gestire i sentimenti, non disperdiamola.
La questione di fondo è il nostro rapporto con il dolore. Il bambino va aiutato a comprendere, nominare ed esprimere i suoi sentimenti come manifestazioni naturali e non dannose anche se a volte dolorose. Se ridi, se senti gioia è naturale poi piangere e sentire dolore. Se puoi sentirti allegro poi puoi arrabbiarti, essere triste...non bisogna reprimere niente e questo vale il nostro equilibrio psichico.

Gestire i sentimenti soprattutto quelli dolorosi è importante. Piangere per un dolore, un lutto, fa bene: aiuta a scaricare l'energia prodotta nella sofferenza. Solitamente le manifestazioni psicopatologiche che affliggono spesso le persone, come la depressione, le ansie eccessive, i disturbi dissociativi e psicosomatici ecc., nascono dalla incapacità di dare espressione al nostro dolore.
Per questo, non dite mai a un bambino: Non devi...
Quando compare un dolore dentro di noi impariamo ad abbracciarlo, anche piangendo e consolandoci ma senza reprimerlo; non giudichiamoci male per questo. Con i sentimenti ci sentiamo vivi e con la compassione verso noi stessi impariamo a volerci bene.
Per questo, dite ad un bambino: Raccontami, ci sono qua io...

venerdì, ottobre 31, 2014

La strutturazione del tempo come strutturazione della comunicazione

La strutturazione del tempo è stata introdotta da Eric Berne come categoria generale entro cui ricadono tutte le possibili serie di transazioni. Si tratta di una forma di 'strutturazione della comunicazione'.
Ciao e poi? Questo è il titolo di un libro di Eric Berne (in Italia edito da Bompiani) che parla dei copioni, degli stati dell'Io e dei giochi all'interno dell'Analisi Transazionale. Dal titolo però emerge uno speciale problema umano: quello della strutturazione del tempo. Il tempo ha da sempre fatto interrogare gli uomini e ancora di più li ha posti di fronte al suo scorrere ineluttabile, senza che loro stessi non assumessero una posizione esistenziale verso questo tempo.
Per l'autore Eric Berne, dove esiste in fondo ad ogni tipo di comunicazione il modo di dare e ricevere delle carezze; queste comunicazioni sottostanno a 6 modelli:
L'isolamento
, quando ci si sottrae alla relazione sociale. Spesso diventa un caso limite che ci blocca nel perseguire ciò che realmente vogliamo. Oppure quando assorti nei nostri pensieri e dalle nostre fantasie ci estraniamo dagli altri; in un caso di riflessioni o ricarica ci sono valenze positive.
Il rituale, le relazioni schematizzate, prevedibili e stereotipate come i semplici saluti: Ciao, come stai? Bene e tu?
Questi scambi che 'accarezzano' i relatori sono molto praticati nelle cerimonie religiose o in comportamenti di costume tradizionali in molti paesi africani. Si pensi che nelle tribù dei Dogon in Mali, il rito del buongiorno può durare oltre mezz'ora. Vengono ricordati tutti i membri della famiglia ecc.
Il passatempo, sono le conversazioni più o meno strutturate, meno stereotipate dei rituali, che si focalizzano su argomenti relativamente innocui. Il gossip e il calcio la fanno da padroni. Poi ci sono la moda, il cinema, gli spettacoli etc. Anche il sesso diventa un importante passatempo. Pensandoci bene, anche estraendolo da una relazione intima d'amore, il sesso è il passatempo preferito dalla maggioranza. Peccato che sia quello che all'atto in sé forse dura meno di tutti gli altri. Per il calcio e gli sport esistono invece trasmissioni ininterrotte che alimentano la chiacchiera oltre ogni limite.
Sul passatempo bisognerebbe indagare l'avvento dei social-network: l'era del digitale ha certamente amplificato l'offerta.
L'attività lavorativa, è diretta al raggiungimento dello scopo basilare di trovare le risorse vitali: soldi, casa, cibo, beni materiali, oggetti, comodità ecc. In questo caso l'attività non si riduce al semplice parlare, e a volte può essere anche un hobby, il cui raggiungimento del risultato programmato è fonte di carezze.
Il gioco, il gioco in questo caso è quella forma di comunicazione reciprocamente distorto ed ingannevole, per avere carezze. Con queste relazioni si ha l’amara sorpresa per entrambi i giocatori di una sensazione finale di stupore e di spiacevolezza: è il nucleo della teoria-pratica dell'Analisi Transazionale. Il gioco qui inteso è costituito da un inizio e da una sequenza ripetitiva di transazioni incongruenti, tra il livello sociale (esplicito) e quello ulteriore (psicologico), da una fine e da un tornaconto che spinge i giocatori a partecipare.
L'intimità, è la relazione sana e autentica che permette lo scambio di carezze positive. Con l'intimità possiamo esprimere le nostre emozioni e i nostri pensieri in modo diretto e autentico. Nell’intimità, anche se ci sentiamo vulnerabili, ci assumiamo personalmente il rischio e la responsabilità dell’esito dello scambio; tutto l'opposto del gioco dove ogni giocatore cerca di addossare all’altro la responsabilità dell’esito nefasto.

Spero che questa breve disamina sulla strutturazione del tempo sia stata utile. Un piccolo contributo alla presa di consapevolezza del nostro agire, al sapere di noi e delle nostre dinamiche sociali.

lunedì, ottobre 27, 2014

A proposito di carezze

A proposito di carezze, menzionate nel post precedente, bisogna sapere che la natura e la gestione di queste ultime sono state analizzate dallo psicologo statunitense Eric Berne con il libro: A che gioco giochiamo, edito da Bompiani.
Egli descrivendo i giochi, ovvero quelle relazioni costruite artatamente per procurarci degli stimoli, conferme d'esistenza, ha parlato in sostanza delle carezze- manifestazioni che confermano che noi esistiamo, siamo qui e vivi.
Nel libro di Eric Berne, che illustra la teoria-pratica dell'Analisi Transazionale, il termine carezza è inteso come una unità di stimolo per la relazione. Le carezze possono essere di diverso tipo, grado e modalità; possono essere fisiche, verbali, mimiche, mediali, condizionate o incondizionate, distruttive o costruttive, positive o negative. La fame di carezze o di stimoli -che ha ognuno di noi e potremo aggiungere ogni essere vivente-, è fame di riconoscimento ed è importante come il cibo e l'aria. Questa fame è così sentita che si preferisce una carezza negativa (es. un rimprovero o uno schiaffo) piuttosto che l'indifferenza. Senza carezze non si vive.
E' stato riconosciuto da studiosi della materia che i neonati hanno bisogno delle carezze fisiche: hanno bisogno per crescere bene e sani di essere manipolati, toccati, massaggiati. Crescendo poi le carezze fisiche si trasformano in verbali, e qui le lodi, i complimenti, gli incoraggiamenti sono importantissimi nello sviluppare personalità positive.
Le carezze sono così importanti che in mancanza di carezze buone si preferiscono le sberle. La fame di carezze è diversa in ognuno di noi, c'è a chi non bastano mai e chi riesce a vivere anche con una sola carezza al giorno. Un esempio di un bisogno elevato di carezze è dato dai divi dello spettacolo o dai personaggi pubblici, per cui le carezze ricevute con il successo o la riconoscibilità, pare non bastino mai; cadere nella dimenticanza, li fa sprofondare in gravi crisi depressive. Per contro ci sono persone, soprattutto anziane, che a volte la carezza si riduce ad un semplice 'buongiorno', ricevuto per strada per farle sentire vive e riconosciute -loro che spesso diventano cittadini invisibili.

Secondo Claude Steiner (un allievo di Eric Berne), in occidente i bambini vengono allevati attraverso una gestione delle carezze basata su 5 punti: 1) Non chiedere carezze 2) Non dare carezze 3) Non accettare carezze 4) Non rifiutare carezze negative 5) Non accarezzare te stesso.
Chi viene allevato rispettando queste regole, vive cercando beni materiali, si accontenta di essere frustrato, insultato e infine cerca sostitutivi alle carezze tipo il bere e la droga. Rifiutare invece queste regole dell'educazione occidentale, significa conquistare l'autonomia e l'intimità rifiutando carezze negative.
Va da sé poi aggiungere che il sistema per avere le carezze più appaganti, quelle che ti portano in paradiso e ti fanno felice, sono quelle dell'amore. Quelle date nello scambio intimo tra chi si ama: lì ci sono le carezze più vere. Allora 'Buone carezze a tutti'.

mercoledì, ottobre 22, 2014

L'arte del sapere di noi: arte del vivere, arte del benessere.

Il più grande psicoanalista junghiano vivente, James Hillman, lo aveva detto: la psicoanalisi più che una scienza, una terapia o altro, è un'arte.
Anche il compianto Aldo Carotenuto -psicoanalista, scrittore e docente di Psicologia alla Sapienza di Roma-, aveva affermato nei suoi libri che l'aspetto terapeutico di una psicoanalisi era dovuta allo scambio empatico tra analizzato e analizzante...l'analizzante per primo doveva riconoscere in sé la ferita che produceva il malessere dell'analizzato, solo a quel punto la cura avveniva insieme: l'analizzante si curava con l'analizzato. Infatti si è sempre sostenuto che chi si avvicina alle tematiche psicologiche e trova curiosità nel campo dell'analisi è perchè ha una qualche ferita dentro di sé; ha un malessere esistenziale che lo spinge a conoscerne le cause. Diversamente non ci sarebbe empatia.
Ad ogni modo una psicoanalisi riuscita porta all'accettare parte di noi negate o meglio non volute e che fanno parte della nostra essenza. Questa accettazione, questo imparare a vivere con le nostre ombre (ombre, così chiamava Jung le parti oscure e rifiutate da noi) è un presupposto alla nostra salute mentale e all'arte di stare bene con se stessi.
Per raggiungere l'obiettivo di stare bene e sapere di noi, non si deve necessariamente passare attraverso il percorso della psicoanalisi, o meglio, non esistono percorsi schematici, istituzionali ecc. ma proprio per la caratteristica creatrice, dunque artistica del cammino che compiamo con la nostra vita, ognuno troverà da sé -se lo vuole- una propria via. Troverà la maniera di conoscere i propri limiti e i propri talenti. Esisteranno delle interazioni, degli scambi emozionali forse anche dolorosi, ma tuttavia il raggiungimento e la conoscenza si potrà sentire soltanto da soli. Dipende da noi e dall'esercizio dei nostri talenti, che tutti abbiamo, impostare la vita.
Oggi viviamo nella cultura della terapia: tutto pare bisognoso di cure. Il male che avvertiamo naturalmente è poi frutto di qualcosa successo ieri, nel nostro passato e con ciò dobbiamo andare a fare i conti con quello per guardare al futuro: ecco che così il passato diventa anche il nostro futuro. Il nostro destino appare segnato da ciò che è successo nel passato. Sbagliato. Il destino lo creiamo noi giorno per giorno attraverso le nostre scelte. Queste scelte sono decisioni e le decisioni sono in nostro potere. Bisogna anche sapere che a guidare le nostre decisioni sono i nostri bisogni e desideri...li conosciamo? Conoscendoli conosciamo insieme noi stessi.
I bisogni creano la nostra mappa: quel sistema di credenze che disegna come riuscire a soddisfarli. Bisogna allora sapere che i bisogni primari sono l'amore e l'essere riconosciuti con la relazione: sono quelli delle coccole, delle carezze (che per Freud erano quegli 'utili di malattia' che ricercano i malati- sempre per restare nel campo delle culture terapiche); sono quelli della sicurezza, della fiducia; sono quelli dell'autonomia, dell'appagamento, del bastare a noi stessi...in ultimo del crescere; da quest'ultimo allora si arriva al bisogno di fare qualcosa per gli altri. Di passare da l'io al noi...
Tutti gli altri bisogni seguono. Seguono con gli aspetti identificativi del nostro essere.
Impastando tutto nasce l'arte del vivere: l'arte del sentirsi bene; l'arte del cambiamento.

martedì, ottobre 14, 2014

Goethe muore di Thomas Bernhard

Ho appena terminato di leggere il libro di Thomas Bernhard, Goethe muore. Il libro è formato da 4 racconti, in cui l'autore mette in mostra il suo stile letterario che per me è formato da un'ossessiva ripetizione di frasi a supporto di descrizioni di situazioni claustrofobiche. Che sia il Genio di Germania o il quarantaduenne amante di Montaigne, succube dei genitori; che sia la nevrosi per la montagna, trasmessa ancora da genitori o l'odio per nazioni, culture e città, la struttura letteraria non cambia.
A me non è piaciuto. Non è piaciuta neppure la formattazione del testo che senza interruzioni 'daccapo', fanno della pagina compatta un ulteriore segnale di soffocamento, di mancanza di respiro. Sicuramente Thomas Bernhard ha molti estimatori e l'editrice Adelphi -che considero la migliore in Italia – se lo pubblica è perché ha trovato delle qualità; ma a me non è piaciuto.
L'editore nella 'quarta di copertina' scrive: 'In questo piccolo gioiello c'è in nuce tutto Bernhard: qui si ride, ci si commuove e si pensa. Il racconto che dà l'irriverente titolo al volume vede il Titano, ormai allo scorcio della vita, in fase di bilanci'...
Il risultato che l'autore si era sempre prefisso era esaltare una comicità delle situazioni, io non l'ho trovata. Anche se l'ironia accompagna sempre le riflessioni dei protagonisti degli scritti, non ho trovato quello spunto che porta la lettura ad un piano superiore; a quello dove la componente filosofica e metaforica acquistano un nuovo senso delle cose. No. Tutto sembra avvitarsi, come la ripetizione delle frasi, in un circuito discendente.
Ad ogni modo l'autore è considerato uno dei massimi scrittori del '900.
Andate a fuoco è l'ultimo dei quattro racconti e qui penso che si raggiunga il massimo, l'apice dello stile di Thomas Bernhard. La relazione di viaggio a un ex amico -come recita il sottotitolo del racconto, è un inno, una filastrocca che inforca una collana di parole quali: bruttezza, volgarità, disgusto...con un 'esiziale' intermezzo. Qui si sente gioca molto l'autobiografia dell'autore; si racconta attraverso un sogno dove non risparmia nessuno -soprattutto l'Austria (la sua patria traditrice)- di quello che sente responsabile della sua depressione.
Con una breve indagine ho scoperto che il filosofo Aldo Giorgio Argani -il massimo studioso italiano di Ludwig Wittgenstein - è stato colui che ha fatto conoscere Thomas Bernhard in Italia. Questo filosofo ha scritto anche un saggio su Thomas Bernhard: La frase infinita. Thomas Bernhard e la cultura austriaca, ed. Laterza, Bari 1990. Nella scheda di questo libro -a cura di Paternò per l'Indice- si legge:
'L'Austria, pur rinnegata e maledetta, resta per Thomas Bernhard "Heimat", patria culturale. Così le due parti in cui si articola l'ultimo libro di Aldo Gargani - la prima dedicata all'analisi della scrittura di Bernhard, la seconda ai linguaggi della cultura austriaca - si compenetrano nell'intrecciarsi di estetica ed etica, di poesia e filosofia. In Bernhard l'incessante tramutarsi del senso in nonsenso e della verità in menzogna rende imprescindibile la scrittura, una "Gedankenpoesie" che, se condotta con rigore, è unica condizione di salvezza Negli altri - Wittgenstein, Musil, i padri della musica atonale, Ingeborg Bachmann - l'istanza etica impone di spezzare la coazione a ripetere per scegliere ogni volta di nuovo tra infinite possibilità. Condivisa è la ricerca di un "Mittelpunkt", abitazione in cui l'uomo possa sopravvivere alla pressione dei fatti entro il linguaggio. Bernhard, però, con il suo lavoro di decostruzione che dissolve, attraverso l'inversione di ogni concetto nel suo contrario, la verità unica, giunge a esiti paradossali: i suoi personaggi restano prigionieri dello spazio che dovevano abitare. Il pensiero, nel suo movimento autodistruttivo, si arresta un attimo prima della follia e del suicidio. A questo baratro arrivano tutti i personaggi, e tutti finiscono per soccombere. Lo scrittore invece si salva. Dalla sua opera ha bandito ogni descrizione, ha fatto della scrittura una tessitura di citazioni e frasi, ha preso le distanze dall'io narrante, per arrivare all'estremo della disperazione senza tuttavia perdersi. Ma davvero può restare incolume?'.
Irreprensibile. Concordo ed è per questo che il mio moto è quello di saltar pagine per trovare una fine -non certo un fine- nel nulla.

domenica, ottobre 12, 2014

Le responsabilità nostre e dei politici

Concordo con quanto scritto oggi su Il SecoloXIX da Maurizio Maggiani, nella sua rubrica 'La Domenica'. In sostanza l'articolo dice che la colpa di quanto è successo in merito o demerito dell'ennesima alluvione che ha colpito Genova, il 9 ottobre è sua – per dire nostra; di ognuno di noi.
Non dobbiamo prendercela con gli altri per quanto ci succede, ma dobbiamo imparare a non delegare e prenderci la responsabilità per quanto accade. Dobbiamo saper prenderci cura di quanto ci sta intorno; di quanto facciamo per il vicino e fuori dall'uscio di casa.
Giusto. Questo è il succo del ragionare di Maggiani. Detto ciò c'è da fare una considerazione sulla responsabilità dei politci.
Da moltissimi anni, per non dire decenni, c'è stato un impoverimento dello spessore morale e intellettuale dei nostri politici. Vediamo quanti personaggi di pessimo gusto affollano la politica -ad iniziare da quello una volta definito Jena Ridens, con la sua discesa in campo la politica è anch'essa discesa in un'agone di scontri a misurare forze più che idee e capacità di risoluzione dei problemi di convivenza.
Ecco allora arrivare una valanga di 'gladiatori', di combattenti per le varie libertà che nulla hanno fatto per prevedere ciò che stiamo vivendo oggi nel reale.
Ecco allora che con questa ennesima tragedia ambientale mi auguro si riesca a frenare questa pletora di nuovi politici -compreso Beppe Grillo- mettendoli di fronte alle loro responsabilità: chi decide di fare politica sappia che tutto quello che succede e succederà lo dovrà pagare in termini morali, etici e fisici.
Questa responsabilità penso dovrà aiutare a selezionarli alla radice: tu politico (cui nessuno ti ha forzato di metterti al nostro servizio) in caso di danni causati dall'incuria ambientale, politica ed economica dovrai pagare di persona.
Questo penso sfoltirebbe notevolmente la banda dei 'ghe pensi mi', dei 'bla...bla...bla'. Con ciò nulla toglie l'ulteriore nostra responsabilità; quella che in democrazia ce li fa scegliere.

domenica, ottobre 05, 2014

Le capitali del mondo: da Atene a Shanghai. Una riflessione sulla civiltà d'Occidente.

Ogni epoca storica ha avuto una città capitale, una città che rappresentava, diventandone sintesi, quella fase storica socio-politica ed economica. Così abbiamo avuto per il mondo occidentale diverse città simbolo dell'epopea umana e politica. Da Atene, Roma, Parigi, Vienna, Londra, Berlino, fino a New York e Los Angeles c'è stato un continuo spostarsi verso Ovest...oggi la città più rappresentativa e capitale del mondo è Shanghai: un ovest che stavolta è Est. Già, la capitale del mondo rappresentativa del potere politico-economico, con tutto ciò che ne consegue, è oggi Shanghai. In un certo senso la nuova capitale del mondo è una contraddizione: è la sintesi di quanto è stato fatto in occidente, assumendone le forme fisiche dei grattacieli e del vivere frenetico, pur rimanendo una città dell'Estremo Oriente.

Ma cosa significa Shanghai nel mondo e per la nostra cultura? E' strano appunto che Shanghai risulti una capitale del mondo e quindi insieme anche dell'Occidente. Non lo è stata Mosca, non lo è stata Tokyo, non lo è stata Pechino...come HongKong. Allora?
Oggi abbiamo molte maniere per approfondire la realtà e fare conoscenze; oggi ci sono i global Media e anche la Rete permette di fare viaggi, seppure virtuali, nei luoghi più diversi. Con l'ausilio della letteratura è poi più semplice formarsi opinioni. Intanto Shanghai risulta la città più popolosa del mondo: con i suoi oltre 24 milioni di abitanti supera in ordine Karachi, Pechino e Tokyo.
Questa città situata alla foce del fiume Yangtze è equidistante da Pechino e Hong Kong. Famosi sono alcuni suoi soprannomi tra i quali: La Parigi d'oriente, La regina d'oriente, La Perla d'oriente... con l'insediamento di molte comunità straniere, a partire dagli inglesi per proseguire con francesi e statunitensi, per passare dai giapponesi agli ebrei russi ed europei, si è arrivati a dare alla città anche il soprannome di Grande Atene della Cina. Era il 1930 e il fatto potrebbe definirsi un anticipo per cui Shanghai era destinata a chiudere un ciclo della storia della civiltà occidentale. Una nuova Atene?

Il melting-pot per cui era ed è famosa NewYork, ora lo si può ritrovare a Shanghai. Anche se il tasso di stranieri in fondo è minimo. Oltretutto essere stranieri non passa inosservato e oltre che guardarti i cinesi del luogo ti ridono in faccia, ma questo non è offensivo. Uno straniero resta un laowai (un termine in mandarino, informale o slang, che sta per straniero-alieno). Con ciò rimarcano una differenza fisica e in un certo senso anche comportamentale. A Shanghai si vive 24 ore al giorno e tutto cambia vorticosamente; il conoscere e parlare altre lingue è una costante giornaliera. Ogni cosa che nasce a Shanghai è considerata moderna. Secondo alcune indagini autorevoli le mode che poi invaderanno l'Asia e il mondo nascono qui. D'altronde siamo entrati decisamente nel secolo cinese.
La commistione con i modi di vivere occidentali assume forme stereotipate: Mac Donald e Starbuck sono marchi comuni.

Per la letteratura occidentale va ricordato il libro dello scrittore francese André Malraux: La condizione umana, che ha come sfondo la città di Shanghai. Pubblicato nel 1933, protagonista principale di quel romanzo è la morte. Le problematiche esistenziali dei rivoluzionari, organizzatori della rivolta della città di Shanghai, fanno emergere in quella fase storica tutte le filosofie di vita che ognuno ha. Le azioni commesse moltiplicheranno le angosce e le certezze. Amore e incomunicabilità discrimineranno conoscenza e solitudine; vita e morte. La Rivoluzione non vincerà e quello che rimane sarà la consapevolezza che la sofferenza è data da altri uomini; da una borghesia che divide e crea continue 'chiese'.
Ecco che Shanghai usata in quel romanzo come sfondo di una tragedia umana, consumata nel sogno del riscatto, oggi offre al mondo un qualcosa di indefinibile.

Se ci affidiamo alla letteratura possiamo condividere per Shanghai ciò che ha scritto Paolo Rumiz per Pechino nel libro Maledetta Cina (Feltrinelli 2012):
'Dietro questa apparente somiglianza occidentalizzata pullula una mentalità che non ha niente da fare con la nostra. La vetrina è ingannatrice: i loro valori, le loro paure, il loro modo di amare e divertirsi non hanno niente a che fare col nostro mondo e temo che non riuscirò a comprendere quella dimensione...
Ho visto un paese omologato, ma omologazione non significa necessariamente comunismo. I cinesi hanno imparato da millenni a copiare e a non esprimere idee personali'.
Così, questa nuova capitale del mondo, scimmiotta una cultura occidentale che forse ha toccato un apice e non potrà che morire. Troppo? Può essere che una globalità dai destini misteriosi riesca a formare una civiltà nuova.