giovedì, ottobre 26, 2006

Idea di città- Genova naturalmente-

Idea di città, è gran bel parlare. Di idee io ne avrei, ma poi a chi interessano? Ci sono quelli pagati apposta per averle, pagati anche profumatamente, e allora le mie a che servono? Io, intanto, la città la vivo.
Sono un cittadino. Sono uno a cui piace vivere tra la gente, con le persone con cui scambiare saluti, parole, affetti e servizi. Lo sapete anche voi, la città serve per stare vicini e per incontrare sempre persone diverse, che poi capita di avere già visto; in una città si pensa di poter soddisfare meglio i propri bisogni…di avere tutto a ‘portata di mano’, io dico meglio se di ‘piede’. A me piace il cinema, il teatro, il cappuccino da prendere al bar; piace la strada piena di negozi e di gente, la pizzeria e il pub…
Diversamente sarebbe bene andare a vivere in campagna; ancora meglio su un’isola deserta: due palme e un cocco, sono sempre un sogno.
Non mi piace il traffico di auto e moto, lo smog ed il rumore che producono, lo sporco dei marciapiedi ed il selciato rotto; non mi piace il verde incolto e l’inciviltà. Ma queste cose, è superfluo dire, sono sentimenti comuni.
Le idee dovrebbero essere conseguenti, e allora via le auto e per queste costruire dei grandi contenitori dove posteggiarle, potenziare e fare nuove linee di trasporti pubblici: una bella monorotaia elettrica sul torrente Bisagno, da Struppa a Borgo Incrociati, dove, su una piastra sopra al torrente, fare un capolinea per lasciare tutti le auto e le moto. Agganciare la linea del metrò di Via Buozzi, alla linea ferroviaria esistente, costruendo una nuova linea affiancata verso il ponente. Superata Sampierdarena, la linea metrò avrebbe tutto lo spazio per dividersi per gli Erzelli e per l’aeroporto. Insomma, viva il trasporto su rotaia elettrico.
Tant’é che qualche idea, alla fine l’ho detta; ma se ci penso sconfino nei sogni. Se ci penso vorrei poter passeggiare sulla sopraelevata, vorrei salire sopra i forti intorno alla città, con teleferiche panoramiche; vorrei passeggiare sui tetti del centro storico, camminare su un tapis roulant dalla Foce al Porto Antico…vorrei una città dove è bello muoversi in sicurezza e libertà.
Ma chi ci dà queste cose? In democrazia si costruisce insieme l’autorità. Allora chi si presenta a sostenerla –questa capacità- dico avrete il mio appoggio. E se mi cercate mi trovate in giro per la città.

martedì, ottobre 24, 2006

Preghiera di un immigrato


ispirata dal poeta Juan Gelman.
Padre nostro, misericordioso Allah, potente Jahvè, scendi in terra tra di noi. Ritorna a raccontarci la tua storia, che qui tutti l’hanno dimenticata.
Io sono arrivato qui povero e disgraziato in questo paese. Vieni qui e guarda tu come sono ridotto. Ho le scarpe bucate, lo stomaco vuoto ed ora arriva pure il freddo. Le mie mani non servono, le hanno rifiutate; ora sono sporche di fango, ma non hanno mai rubato.
Dio mio, Spirito Santo, non voglio arrabbiarmi, tienimi lontano dalla collera. Io sto facendo pensieri tristi e brutti: ma perché sono nato? Perché devo soffrire così tanto? Aiutami Signore, lo chiedo a te come l’ho chiesto a molti uomini, in tante lingue. Cosa devo fare?
Padre nostro, misericordioso Allah, potente Jahvè, scendi e spiegami tutto bene perché non ho capito. Sono sicuro che verrai a trovarmi. Io intanto ti cerco. Ti cerco come sto cercando la pace e il cibo; una casa e il bene.
Mi chiedi di rimettermi i debiti, ma mi sembra di averli tutti io. Così, scusami tanto, mi sento perfino di perdonarti: io che sono l’ultimo arrivato, non alla mensa, fuori dalla porta.
Ma non sono rassegnato al male, non sono ancora soggiogato, continuo a camminare; continuo a emigrare e se tu scendi in terra- perché se tu è vero, che sei in Cielo- devi essere qui al mio fianco.

giovedì, ottobre 19, 2006

Visita a Nomadelfia

Mi ha sempre incuriosito la storia di Nomadelfia, la comunità, fondata da don Zeno Saltini (1900-1981). Così questa estate, durante una vacanza in Maremma, ho visitato Nomadelfia che vuol dire legge di fraternità.
Nomadelfia nacque come idea il 6 gennaio del 1931, quando don Zeno Saltini appena ordinato sacerdote, chiese di adottare un diciassettenne appena uscito dal carcere. Dopo una discussione avuta da Zeno Saltini, ancora ragazzo, con un anarchico che contestava ai cattolici cristiani di vivere incoerentemente oltre ad essere da ostacolo al progresso umano, crebbe dentro in lui un tarlo; con la fondazione della comunità di Nomadelfia volle dare la dimostrazione che esisteva la possibilità concreta di seguire l’insegnamento del Vangelo: siamo tutti fratelli in Cristo, poiché tutti siamo figli di Dio. Quel fatto impegnò la vita di don Zeno fino alla sua morte.
Un altro passaggio importante della costruzione di Nomadelfia, successe nel 1941 quando una giovane parrocchiana si presentò a don Zeno dichiarandosi disposta a fare da mamma ai piccoli bambini orfani e abbandonati, raccolti in canonica: fu la prima ‘mamma per vocazione’. Da allora con le parole di Gesù, pronunciate dalla Croce alla Madonna e all’apostolo Giovanni, ‘Donna, ecco tuo figlio, Figlio, ecco tua madre’, verranno consegnati da don Zeno, i bimbi abbandonati alle mamme per vocazione e alle famiglie unite.
Mi ha fatto da guida, per la visita, Francesco: un nomadelfo che vive nella comunità da oltre 20 anni; dopo avere sposato una ragazza che viveva a Nomadelfia, ha deciso di restarci anche lui. Francesco è disponibile a dare tutte le spiegazioni e partendo dalla unità centrale, ovvero il complesso che racchiude gli uffici e il teatro, mi porterà in giro per tutto il villaggio. Le costruzioni sono adagiate sui dolci declivi della campagna dei dintorni di Grosseto. C’è la zona delle stalle, il caseificio, la cantina, la chiesa, il cimitero e sparse con una certo distacco ci sono le casette che raccolgono le unità familiari. Ogni ‘gruppo familiare’ è composto da 4-5 famiglie e vive insieme in una abitazione centrale, dove c’è la sala da pranzo, la cucina e il soggiorno; intorno a questa unità ci sono le piccole case prefabbricate dove ogni famiglia ha le camerette. Chi ha bisogno di qualcosa di personale si rivolge all’economato che glielo procurerà. Tutto intorno si respira un’aria di pace. Domando: ‘Ho visto molte cose ma la scuola, non esiste?’. ‘No-mi spiega Francesco- come ogni adulto è padre e madre dei bambini della comunità, così è anche insegnante’. I ragazzi studiano nella comunità e poi da privatisti sosteranno gli esami della scuola pubblica. A 18 anni infine potranno decidere se rimanere in comunità oppure uscire, andare via per il mondo.
Quest’anno Nomadelfia compie 75 anni di vita, e per quel tipo di comunità è forse un record. E’ difficile condividere e vivere la vita in stretta vicinanza. Invidie, gelosie, giuste rivendicazioni o ricerca di spazi personali sono naturali; ma sorretti da una forte idealità e da valori cristiani, ecco che tutto può diventare possibile. Una società davvero diversa che riesce a mettere in pratica come vivere l’insegnamento del Vangelo: siamo tutti fratelli, perché siamo tutti figli di Dio.
A Nomadelfia non circola denaro, non esiste la proprietà privata, tutti lavorano e i lavori pesanti sono fatti insieme da tutti i partecipanti la comunità; sembra di vivere all’interno di questa comunità un vero comunismo: quello delle origini cristiane.
Certo che crisi e difficoltà non mancano, in questi anni sono state molte le vicissitudini che hanno scosso la comunità di Nomadelfia: contestata agli albori dalla stessa gerarchia ecclesiale è riuscita nel tempo ad avere i massimi riconoscimenti: nel 1981, Papa Giovanni Paolo II la visitò. Nomadelfia continua ad esistere ed a rappresentare un seme di speranza che testimonia come un altro mondo c’è.
Attualmente ci vivono circa 300 persone, tra adulti, anziani e bambini…non è un grande numero, anzi a me pare basso; dopo l’esistenza di questa realtà da molti anni, solo 300 individui testimoniano quanta difficoltà ci sia nel vivere una dimensione comunista e cristiana, oggi. Forse è non è semplice da sempre. Però è bello sapere che qualcuno ci prova.

lunedì, ottobre 09, 2006

La decrescita:valore positivo

Sono passati ormai diversi anni da quando una pubblicità, della Chiesa Cattolica, invitava per salvare il mondo a cambiare stile di vita, a consumare meno. Era il 1992 e sembrava che avessimo preso coscienza che la ricchezza dei pochi, era la miseria dei molti; lo spreco di chi più contava era la morte di chi meno possedeva. Come lo sfruttamento delle risorse ambientali devastasse la Terra.
C’è come un rapporto direttamente proporzionale tra la ricchezza mercantile e l’impoverimento morale: più sale uno, più si abbassa l’altro. La pubblicità in questo campo spinge a consumare sempre di più, crea nuovi bisogni artificiali. Bisogna crescere, crescere sempre di più. Tutti invocano la crescita come un obiettivo primario: per fare quadrare i conti di una sperequazione tra consumi e produzione; tra merce e spazzatura. No, anzi la spazzatura, l’usurato, il ‘gettato via’, cresce sempre di più. E allora?
Per cambiare la tendenza del mondo al pensiero dominante, dello sviluppo cosiddetto sostenibile, che fa crescere sempre in modo esponenziale la miseria, la ‘decrescita’ è la nuova parola d’ordine.
Nel sito: http://www.decrescita.it/ilmanifesto.php potrete leggere il manifesto di Serge Latouche per il doposviluppo. Allo stesso indirizzo internet si possono trovare queste sagge considerazioni:
Oggi è pacifico che l'unità di sopravvivenza nel mondo biologico reale è l'organismo più l'ambiente. Stiamo imparando sulla nostra pelle che l'organismo che distrugge il suo ambiente distrugge se stesso.
(Gregory Bateson)
Ciascuno di noi è ricco in proporzione al numero delle cose delle quali può fare a meno. (Henry D. Thoreau)
Tutti gli oggetti che continuiamo a raccogliere nel corso della nostra vita non ci daranno mai forza interiore. Sono, per così dire, le stampelle di uno storpio.
(Ivan Illich)