Un libro che confesso non riuscivo a portare a termine...il libro non è di facile lettura, ma le pagine lette continuavo a rileggerle poiché mi procuravano un notevole piacere; questi prolegomeni, che in sostanza sono l'esposizione di una dottrina, sono un argomento appassionante e trattano l'origine del nostro pensiero o meglio della nascita della cultura: un pensiero sul pensiero che scarnifica il linguaggio portandolo alla sua essenza, alla metafora. Capite la ricchezza?
Il mito è un racconto che narra di ciò che ha fatto e fa l'uomo; in più è lo strumento che -proprio tramite il racconto- mette in contatto con la spiritualità, con la trascendenza, con ciò che diversamente non si conoscerebbe. E così leggendo prima Kàroly Kerènyi (intellettuale e storico delle religioni) e poi le argomentazioni psicologiche di Carl Gustav Jung spesso mi sono abbandonato con il libro aperto sul petto a liberare la fantasia di quanto si può interpretare e pensare partendo da un soggetto mitologico.
Io che ho sempre ammirato, in un certo senso invidiato, chi sa leggere i fatti e le situazioni che viviamo in maniera simbolica con Kerènyi e Jung mi sono trovato in un brodo di giuggiole.
Per C.G.Jung spesso il simbolo è l'anticipazione di una futura situazione della coscienza. Per questo il mito, il simbolo o l'immagine onirica che emergono dall’inconscio predicono, se l'interpretazione è coretta, un futuro comportamento come in un responso oracolare.
Così leggo: 'Ma il mito non è una finzione, in quanto consiste in fatti reali che si ripetono costantemente e che possono venir osservati sempre di nuovo. Esso si produce nell’uomo,e gli uomini hanno destini mitici proprio come gli eroi greci.
Possiamo dunque definire il mito come un vero e proprio linguaggio che l’uomo ha usato dai tempi più arcaici per manifestare di considerarsi parte del cosmo come essere senziente e pensante che lo abita, ma soprattutto in comunione con esso.
L’uomo non vive più in un universo soltanto fisico, ma in un universo
simbolico. L’uomo si è circondato di forme linguistiche, di immagini artistiche, di simboli mitici e di riti religiosi a tal segno da non potere vedere e conoscere più nulla se non per il tramite di questa artificiale mediazione.
Ogni aspetto della realtà diviene mezzo possibile di espressione, diviene simbolo unico e necessario per determinare un’appartenenza voluta ma soprattutto ricercata dall’umanità, sin dagli albori.
Il mito è inoltre un linguaggio tramite il quale l’umanità comunica con il naturale e con il sovranaturale. Il sole, la luce e ogni aspetto della realtà rappresentano un legame con Dio tramite il quale la bellezza e la perfezione dell’universo si manifestano in un susseguirsi di immagini archetipiche che trasmettono il messaggio di Dio al creato. Tale messaggio si annuncia tramite la musica, la poesia, la religione, e affonda le sue radici nella cultura dei popoli.' Bellissimo!
Molto spazio è stato dato alla figura del giovane, del bambino, del divino neonato e mentre Kerènyi tratta questa figura con la storia delle religioni e del mito, Jung ci riporta all'essenza del divenire psicologico, alla sua radice originale: Il Fanciullo diventa un archetipo, una figura universale dell'inconscio collettivo.
Abbiamo così due interpretazioni molto coerenti e vicine: due pensieri che mettono in risalto il simbolo, non è più visto come un mero significante la cui reale essenza è da ricercare al di là di sé stesso, nel significato, ma è visto come una realtà autonoma sia del mito quanto della dinamica psicologica.
Per concludere incollo qui una riflessione fatta nella prefazione al libro di Mario Trevi.
'L’autentica mitologia – scrive Kerémyi – ci è diventata talmente estranea che noi, prima di gustarla, vogliamo fermarci a riflettere [...]. Noi abbiamo perduto l’accesso immediato alle grandi realtà del mondo spirituale – ed a queste appartiene tutto ciò che vi è di autenticamente mitologico –, l’abbiamo perduto anche a causa del nostro spirito scientifico fin troppo pronto ad aiutarci e fin troppo ricco in mezzi ausiliari. Esso ci aveva spiegato la bevanda nel calice, in modo che noi, meglio dei bravi bevitori antichi, sapevamo già che cosa c’era dentro» (pp. 13-14).
D’altra parte, come ribadisce Jung nel- l’introduzione al suo contributo sulla Psicologia dell’archetipo del Fanciullo, «il fatto che i motivi mitologici fino ad oggi venivano trattati abitualmente in campi di studio diversi e separati, come la filologia, l’etnologia, la storia culturale e la storia comparata delle religioni, non ha favorito molto il riconoscimento della loro universalità» (p. 109). A guidare i due studiosi è la medesima convinzione: secondo la quale lo spirito scientifico moderno ha privato l’uomo delle sue reali capacità di comprendere pienamente la realtà'.
Il libro è leggibile gratuitamente in formato PDF a questo indirizzo: https://it.scribd.com/doc/212229523/Jung-Kerenyi-Prolegomeni-allo-studio-scientifico-della-mitologia
Nessun commento:
Posta un commento