domenica, novembre 13, 2005

A che gioco giochiamo

Fondamento delle relazioni umane è trovare carezze, riconoscimenti positivi, ma sovente ci si accontenta anche di un pugno o di un insulto piuttosto dell’indifferenza. Così, tribunali, pronto soccorso, questure, ospedali sono i luoghi dove molto spesso si concludono i giochi relazionali negativi. Eric Berne aveva elencato in modo magistrale, con il libro “A che gioco giochiamo”, tutti i giochi che le persone usano per giungere al ‘tornaconto’, ad un riconoscimento della propria esistenza.
Ognuno si rapporta con gli altri recitando un copione; recita una parte, un ruolo per farsi riconoscere e con questo ricevere la conferma d’esistenza. Che strani animali sono gli umani, oltre che riconoscersi attraverso un specchio hanno bisogno che gli altri dicano che ci sono e come. E’ la fragilità, il camminare sul sottile sentiero tra la terra e il cielo, tra Dio e il mare, a darci il bisogno di conferme a sentirci vivi.
La maggiore conferma d’esistenza è e rimane l’amore. E’ con l’amore che viviamo e ci sentiamo parte dell’universo. Con l’amore, per paradosso, non sentiamo neppure più il bisogno di esserci perché ci perdiamo nell’altro: viviamo un abbandono intimo che ci appaga…eppure si continua a mascherare con recite, dal copione drammatico, questo bisogno d’amore. Chiamiamo ‘amore’ chi ci picchia, ci odia, ci umilia e poi vittime e carnefici, o salvatori e persecutori, diventano ruoli interscambiabili per giocare alla vita: la vita che non c’è. La vita senza amore.
Allora via i principi azzurri e le cenerentole, via le belle addormentate e i cavalieri, via le brave mogli o le infermiere, via i bravi papà o i play boy, proviamo a dare voce alla nostra spontaneità, la nostra ingenuità -che è sospendere il giudizio- e lo stupore…così troveremo l’incontro con l’altro senza recite e ruoli ma con il solo amore.

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