La povertà- Parte seconda
La parola povertà nei sistemi sociali antichi di civiltà millenarie non era conosciuta. Nelle lingue autoctone non esisteva quel termine, poiché non era il denaro o il possesso di beni materiali il primo primo posto nella scala dei valori. Se ci pensiamo attentamente la condizione umana è caratterizzata dalla povertà. Nasciamo tutti nudi e indifesi, nasciamo in sostanza poveri. Per prima cosa l'uomo non è padrone della sua vita biologica e la ricchezza vera che si riesce a realizzare consiste nella capacità di vivere l'infinito nella propria interiorità. Con la nostra mente noi riusciamo a immaginare e creare la nostra libertà.
Interiormente l'uomo può diventare veramente libero d'essere, di avere, di fare e sapere. Questo è un dato di fatto svincolato da ogni approccio filosofico o religioso. Le filosofie e dottrine che insegnano a volgere attenzione all'interiorità e aiutano l'uomo a realizzare la propria libertà sono utili e hanno un grandissimo merito. Quindi bisogna sempre avere presente che sono sempre le filosofie e le religioni al servizio dell'uomo e non viceversa.
Con questa piccola premessa imparare la povertà, iniziando soprattutto a non vergognarsene, per la maggioranza degli italiani che hanno ricevuto una educazione religiosa cristiana dovrebbe essere una cosa facile. Infatti la filosofia cristiana è una delle dottrine che più di molte altre mette al centro del suo messaggio la povertà. Il cristianesimo ha come fondamento la povertà. L'essenza del messaggio cristiano trova nelle diseguaglianze la ragione di tutti i mali. Per porre rimedio a questo Gesù Cristo in maniera radicale parlava di fratellanza, di amore universale e la povertà, come scelta, diventava la risposta alle ingiustizie.
Senza la condizione di povertà non si entra nel Regno di Dio. Questa è una regola magistrale e Gesù Cristo è stato chiaro; parlando al ricco che voleva seguirlo disse: 'Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi' (Matteo 19,21). Non dimentichiamo poi il famoso discorso del passaggio più facile del cammello attraverso una cruna d'ago, piuttosto che un ricco entri nel Regno dei Cieli. Qui bisognerebbe fare una rettifica: è stato San Girolamo a tradurre male il vangelo di Matteo; Gesù disse kamel, intendendo con questo termine la grossa corda che serviva per ormeggiare le barche. La sostanza non cambia.
Il valore della presenza stessa di Cristo nel mondo manifesta la sua dichiarata volontà di fare dello stato di povertà lo stato ideale dell’uomo. Un messaggio che soprattutto per i credenti è disatteso.
San Francesco fu il primo che attuò nella vita le regole evangeliche cristiane e la sua sfida al mondo, con la rivendicazione di un'altissima povertà, non è stata ancora ad oggi raccolta. Egli fu un fuoriclasse nell'imparare la povertà. La sua scelta fu radicale: ogni sua azione e predicazione sarà un inno alla povertà.
Imparare la povertà per vincere la crisi, che attanaglia il mondo capitalistico odierno, rappresenta la vera sfida. Rinunciare all'arricchimento potrebbe essere il motto per uscire dalla crisi. La scialuppa di salvataggio non contiene prodotti di lusso: analogamente quello che serve non sono oggetti superflui, ma i propri prodotti culturali, che non sono monetizzabili.
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