Autore: Michele Prospero
È alquanto grottesca tutta questa ossessione parossistica contro il “rosso” che caratterizza una campagna elettorale proprio fuori registro. Così squinternata nella sua agenda che il tema specifico della contesa, quello dell’Europa, lo ha del tutto dimenticato, come è facile constatare giorno dopo giorno avvicinandoci al 25 maggio. In un’Italia che ha perso le tracce della sinistra repubblicana, che proprio nel 2014 deve solo accontentarsi di celebrare gli anniversari dei grandi del suo passato che fu, tutti danno addosso al “rosso”, come fosse ancora uno spettro capace di agitare il sonno delle potenze oggi dominanti più di ieri.
Grillo aggredisce la «peste rossa» e così cavalca uno dei pezzi preferiti, quelli sempre intonati nella viscerale battaglia della destra d’ogni epoca contro la sinistra pericolosamente alle porte. Con il suo anticomunismo manicheo, il comico ricorda a una certa fascia dell’elettorato la dolcezza delle antiche melodie berlusconiane. Accennandole con impeto sul palco e richiamandole sul blog, egli intende insinuare nelle orecchie degli orfani della destra che non c’è bisogno, per cantargliene davvero quattro ai putridi rossi ancora in agguato, di sprecare la loro scheda votando l’ex Cavaliere disarcionato.
C’è un’offerta politica molto più efficace, e utile per contenere il mortale pericolo rosso, ed è quella di Grillo, castigatore degli untori che hanno il volto demoniaco e rosso delle cooperative, dei sindacati. In nome della lotta alla peste il comico mette insieme i disperati della precarizzazione infinita e i padroni che la esigono come eterna verità stampata nei codici.
Il mattinale di Brunetta, appena ha avvertito la gradevole melodia che proveniva da Genova, l’ha rilanciata con un altoparlante assordante. Fa nulla che proprio il suo capo in persona ad ogni occasione ripeta che adesso è molto felice perché nessun leader proviene dal brutto ceppo comunista. Però, gli ricorda Brunetta, uno in circolazione ancora c’è, ed è il perfido «papa rosso», che abita al Quirinale e che da antico bolscevico non ha mai dimenticato le tecniche giacobine per la presa del Palazzo d’Inverno e per il risolutivo colpo di Stato permanente.
Per catturare il voto di destra, tra Berlusconi e Grillo è avviata una gigantesca caccia grossa alla sinistra sociale e al ruolo di quella annidata nientemeno che nell’istituzione più alta. Tutte e due tinteggiate di rosso. Percependo che i rossi sono in sorda marcia, anche la Lega, che con Bossi aveva dichiarato guerra alla «porcilaia fascista», ora con Salvini non esita ad accennare passi di danza per mettersi agli ordini di Le Pen. È lei che dà la carica, con il suo euroscetticismo dalle chiare tinte nerastre.
Mai si erano viste delle campagne per le elezioni europee così malamente frequentate da improbabili spettri ideologici, da sciocche caricature del Novecento. E i tanti fantasmi in circolazione, creduti per veri, fanno perdere la bussola della residuale ragione (anti) politica. Nel suo annaspare tra le nebbie fumanti, Berlusconi, per richiamare a casa una porzione di elettorato conteso o sedotto già da Grillo, annuncia la possibilità di un’uscita repentina dall’Euro. Al tempo stesso, però, dopo il grido di dannazione rivolto contro l’Europa della sciagurata moneta, egli prenota un bel posto nel governo di larghe intese. È un invito a tavola quello che auspica per il dopo voto, e non più la riparazione immediata al vile affronto di un terzo governo non sfiorato dalle sacre urne. Insomma una responsabilità incendiaria, la sua, che vuole essere sia il piromane che il pompiere. E non passa trasmissione televisiva che non veda il Cavaliere ormai ex o un suo apostolo fedele attaccare con veemenza la povera signora Merkel, dipinta come la responsabile unica di ogni guaio e complice di ogni complotto.
La competizione è competizione, e quindi occorre invadere il terreno di Grillo per sottrargli qualche scheda, e poco importa che la cancelliera teutonica sia anche il leader più autorevole dei popolari europei, tra i quali il Cavaliere si è accasato.
Tra Grillo e Berlusconi è in corso un infinito braccio di ferro per decidere, con la verità della prova di forza, chi davvero è il più nemico dei rossi. Certe ossessioni non tramontano mai, e a un cavaliere ormai caduto da cavallo per colpa delle scuderie rosse del Quirinale subentra nell’eroica ricerca dei rossi mulini a vento un comico esorcista. In ogni città egli urla da forsennato che intende scacciare per sempre quel residuo di rosso che si ostina a rimanere nei cuori come ricordo lontano di un bel segno di riscatto proletario.
Il paradosso del bipolarismo italiano è questo. Anche quando i «rossi» conservano pochi amici, molto affollata è la gara per raccogliere sotto le bandiere della inimicizia assoluta contro il rosso tutto il vecchio mondo che non vuole tramontare.
giovedì, maggio 08, 2014
L’incubo rosso di Silvio&Beppe
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