giovedì, novembre 19, 2015

Il terrorismo islamico? Un nichilismo di chi ha rimosso cultura, sapere e storia

Il più vecchio dei terroristi è nato nel 1984. I terroristi che hanno colpito il 13 novembre Parigi, uccidendo altri giovani coetanei, sono nati tutti in Europa, nella stessa Europa che da sempre è stata culla dei diritti e esempio di laicità. Ora c'è da chiedersi che cosa abbiano assorbito quei giovani per arrivare a tanto orrore. Quale cultura li ha permeati? quale illusione li ha sedotti? Quali credenze e odio li ha portati a disprezzare la propria vita e insieme quella degli altri? Sono molti gli interrogativi che sollevano ed è difficile dare una risposta univoca.
I terroristi sono giovani compresi in una fascia di età tra i 20 e i 31 anni. Non che ci siano percorsi uguali tra i terroristi e le loro vittime: eppure una stessa società li ha partoriti. Sì, c'è lo stesso mondo occidentale che ha decretato la fine delle illusioni umane, facendo decadere il senso della vita con la perdita di ogni certezza. In termini filosofici quello descritto da Nietzsche. Ma poi?

Per combinazione in questo periodo sto leggendo il libro, di Winfried George Sebald, 'Storia naturale della distruzione' e una risposta mi è venuta da questa opera.
in questo libro straordinario, dello scrittore tedesco, si racconta il grande trauma della Seconda Guerra mondiale soffermandosi sull’apocalisse dei bombardamenti aerei che ridussero il suolo tedesco in macerie. Macerie che a loro volta erano state portate dal popolo tedesco in altri luoghi d'Europa, seminando terrore tra le popolazioni civili, oltre a devastare quanto fosse stato edificato nei secoli passati. La domanda era: perché non c'è stato uno scrittore tedesco che abbia raccontato l'epica di quei fatti? La risposta che l'autore dà a quegli avvenimenti sono molteplici.
Poteva essere quella di una elaborazione della colpa dei tedeschi su quanto succedeva; un'altra era senz'altro dovuta al controllo totale che il nazismo era riuscito ad esercitare nella vita dei tedeschi regolamentandone anche i sentimenti più intimi. Una aberrazione che si estese dalle famiglie a tutta la società. Come si poteva non credere nel mito germanico? Il popolo tedesco non era forse il popolo ariano che avrebbe dovuto governare e sottomettere il mondo? Allora non c'era da piangere, non c'era che sopportare, con stoica determinazione, ciò che loro in fondo avevano previsto per gli altri. Ricordiamo Guernica; Londra; Stalingrado...in ogni caso le esperienze raccapriccianti, gli orrori terrificanti resero al silenzio tutti. Non c'erano e non esistevano parole che potessero raccontare o descrivere quella realtà di morte infernale, di crudeltà immaginabile. Ma poi, una delle ragioni- la risposta che risulta la più importante del libro- era la perdita di memoria personale e collettiva, la mancanza di ricordi. La rimozione della tragedia, il cui potere è distruzione esso stesso.

Così ho l'impressione che una rimozione della propria storia personale e collettiva sia avvenuta, in questi trentenni terroristi, lasciando uno spazio ad una violenza che andando oltre il trasferimento del patrimonio culturale - che si scambia solitamente tra nonni, padri, madri e figli- si sia inserita in queste anime appropriandosi delle coscienze. La violenza per certuni diventa così paradossalmente 'naturale'. Naturale come la morte.
Ci sarà la possibilità di chiudere questi vuoti con storie e memorie? Non bisogna mai smettere di raccontare ciò che eravamo, ciò che siamo e ciò che dovremo continuare ad essere: umani con pietas e gnosi.

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