La coscienza è tema di molti studi ed è argomento di trattati di filosofia, storia, psicologia, fisica, neurologia ecc. Ad oggi, la coscienza, non è stata ancora ben illustrata, cosicché continuiamo a interrogarci su cosa sia. Quella, che per certi versi è diventata una caratteristica dell'anima, certamente evolve. Ecco, al pari della morale, la coscienza da l'impressione di variare, di trasmettere stati d'animo differenti. Vediamo attraverso due libri alcune caratteristiche e teorie delle origini della coscienza.
I libri che metto a confronto sono: Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza di Julian Jaynes -uscito nel 1976, pubblicato in Italia nel 1984 da Adelphi- e La scintilla di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi di Carlo Augusto Viano -pubblicato nel 2013 da Bollati Boringhieri.
Il libro di Carlo Augusto Viano - La scintilla di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi -ripercorre la parabola della coscienza nel percorso storico-politico e religioso che ha portato all'idea del concetto di coscienza morale. Soprattutto Carlo Augusto Viano indaga l'accidente storico che cambia la coscienza e la sua natura di volta in volta, da chi la richiama e la lega ai suoi interessi. La coscienza acquista una dimensione etica e morale. La coscienza uno strumento per la relazione privilegiata con Dio.
Il titolo del libro di Carlo Augusto Viano richiama alla scintilla conscientiae che secondo Girolamo 'non si era estinta neppure nel petto di Caino'. La consapevolezza di un male compiuto viene conservato dal delinquente per antonomasia.
Carlo Augusto Viano tratta dell’uso e dell’abuso del concetto di coscienza morale. E lo fa con vigile spirito critico, attento alle giustificazioni interessate, agli alibi e all’auto-inganno di quanti vi fanno ricorso. L'insieme del racconto che l'autore propone è sorretto dalle conoscenze filosofiche e storiche.
L’interpretazione della coscienza ha subito non poche trasformazioni nel corso del cristianesimo. La coscienza è entrata in modo laterale nella cultura cristiana, soprattutto a opera di Paolo di Tarso, che l’ha invocata in occasioni diverse, ma sempre come uno strumento per difendere il modo in cui svolgeva la propria missione. Contro l’ostilità di altri predicatori, che dovevano avere qualche vantaggio su di lui, si richiamava alla coscienza, come luogo cui Dio ha pieno accesso, per difendere le proprie posizioni, sulle quali si potevano nutrire dubbi. Ma il richiamo alla coscienza gli serviva anche per giustificare l’indulgenza nei confronti degli ebrei convertiti, che restavano fedeli ai propri tabù alimentari: li considerava coscienze deboli, che, incapaci di liberarsi dagli scrupoli, anche da quelli indebiti, vanno tuttavia rispettate.
Si profilava così una doppia interpretazione della coscienza, come sede di scrupoli, che possono essere ingiustificati perché suggeriti dalle circostanze accidentali, nelle quali le credenze, anche quelle religiose, si formano, e come strumento di comunicazione diretta con Dio. Una parte della cultura cristiana ha cercato di dare alla coscienza un contenuto, identificato con la legge naturale.
Per Carlo Augusto Viano la coscienza conserva una ambiguità di fondo che attraverso una scala di finzioni, arriva a degradarsi. La condanna di tali distorsioni (provocate da convinzioni religiose incapaci di separare quel che è di Cesare da quel che è di Dio) è netta. Il lato oscuro e ambiguo dei richiami alla coscienza, che mettono in gioco contenuti pubblici presentati come privati, ai quali solo il titolare della coscienza ha accesso, ha risultati controversi: non si tratta di un errore della coscienza o del suo uso, da correggere con qualche filosofia, ma dell’uso effettivo ed efficace della coscienza.
Quando il peggior malfattore dice ho la coscienza a posto o io so, nella mia coscienza, quali erano le mie intenzioni, chi gli nega il diritto di accampare queste scuse? Ma chi ignora che esse non vanno prese sul serio? Quando, messo alle strette, uno si appella alla propria coscienza, non gli si fanno storie, anche se si può prevedere ciò che dirà: ciò che dicono tutti in quelle condizioni.
Nel raccontare la storia della coscienza il problema dell’obiezione di coscienza, diventa centrale nel libro, viene inquadrato sia all’interno della tradizione cristiana, dove la coscienza del singolo è considerata un santuario che custodisce la presenza di Dio in noi, sia nel pensiero filosofico, dove in genere rappresenta la voce interiore del dovere.
Quello che unisce i due libri è quindi il concetto di trasformazione della coscienza attraverso i tempi.
Il percorso indicato invece dal libro Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, di Julian Jaynes, sovverte ciò che si era pensato fino allora: il punto di partenza e di arrivo è la divisione del cervello in due emisferi. Il libro, che è strutturato in tre parti, affronta il problema della nascita della coscienza. Ma cos'è la coscienza? L'autore parte da questa domanda per svolgere un lungo excursus su quello che noi erroneamente pensiamo sia la coscienza. La coscienza non è il ragionare, il pensare, il calcolare, il riflettere, il fare esperienza per imparare o formulare concetti...è qualcosa che ha a che fare con la mente e con la sua formazione nel doppio cervello, che porta ad una coscienza della coscienza. La coscienza si rivela essere un linguaggio metaforico col quale comprendiamo la realtà delle cose.
Per Julian Jaynes, all'inizio quello che chiamiamo coscienza era un'insieme di voci che muovevano gli uomini come fossero automi e che li facevano cantare poesie epiche attraverso le loro labbra. Erano voci le cui istruzioni, le cui parole, potevano essere udite distintamente – allo stesso modo delle voci che sentono gli schizofrenici. Voci che parlavano costantemente dall'interno del sistema nervoso: dio è parte dell'uomo.
La coscienza nasce nel momento che la mente bicamerale, ossia la suddivisione equilibrata del cervello diviso in due emisferi, cessa. Quando l'emisfero destro, che possiede le aree del linguaggio in grado di comunicare prende il sopravvento su l'emisfero sinistro, che invece non riconosce le voci come proprie.
Jaynes individua anche un preciso periodo storico: è il momento del passaggio da una società di cacciatori a una società stanziale di agricoltori, raccolti in piccole città che richiede lo sviluppo di capacità di trasmissione dei comandi a distanza nello spazio e nel tempo. Allora entra in gioco l’emisfero destro.
E' il momento che nasce anche la scrittura e avviene quel fenomeno, ancora misterioso, che a tutte le cose venne dato un nome.
Julian Jaynes seppure professore di psicologia a Princeton è stato uno studioso che spaziava in diversi campi del sapere quali l'archeologia, la letteratura antica, la linguistica, la neurologia, l'arte e l'architettura. Ed è con questi strumenti che Jaynes affronta l’analisi della nascita della coscienza. Il primo oggetto che Jaynes decide di studiare è l’Iliade, il poema con il quale inizia ufficialmente la letteratura occidentale; il risultato è sconcertante: nell’Iliade non esiste coscienza. Per lui quella che definiamo oggi coscienza è il frutto dell'evoluzione umana.
La realtà della coscienza è dello stesso ordine della matematica: più che una cosa, o un serbatoio di oggetti, è un operatore, che lavora su analoghi e metafore del mondo reale. E uno degli oggetti sui quali opera è l’analogo io. La coscienza è in grado di costruire una rappresentazione metaforica, o analogizzata, dell’io, che può essere fatto muovere in un mondo virtuale, al fine di prendere una decisione: è il modo con il quale ciascuno di noi sceglie un lavoro, un compagno, una casa. Senza questa capacità di vedere se stessi, di pensare ai propri pensieri, di immaginare il futuro o di rielaborare il passato, non c’è coscienza.
Tutto è racchiuso nel dramma vissuto dall’umanità nel corso degli ultimi 4000 anni: nel II millennio a.C. abbiamo smesso di sentire le voci degli dèi. Nel I millennio a.C. si sono estinti anche quelli di noi che ancora udivano le voci, i nostri oracoli e profeti. Nel I millennio d.C. è attraverso i loro detti e le parole divine da loro udite e preservate nei testi sacri che noi continuiamo a obbedire agli dèi perduti. Nel II millennio d.C. questi scritti perdono la loro autorità. La Rivoluzione scientifica ci distoglie dagli antichi detti per andare alla scoperta dell’autorizzazione perduta. Ciò che abbiamo vissuto in questi quattro millenni è la lenta, inesorabile profanazione della nostra specie.
Riassumendo brevemente i passaggi di Jaynes sono: l’emisfero destro possiede aree del linguaggio in grado di comunicare con l’emisfero di sinistro, che non riconosce le voci come proprie; nell’Iliade, un libro di tremila anni fa, non c’è traccia della coscienza, e gli eroi sembrano mossi da voci divine; il passaggio da una società di cacciatori a una società stanziale di agricoltori raccolti in piccole città richiede lo sviluppo di capacità di trasmissione dei comandi a distanza (nello spazio e nel tempo): entra in gioco l’emisfero destro; la coscienza non entra nella maggior parte delle azioni complesse che un uomo può compiere.
Bisogna aggiungere che sul piano scientifico la teoria di Julian Jaynes ha già ricevuto dei riscontri positivi. Nel 1963 due studiosi, Penfield e Perot, stimolando l’area di Wernicke (area dell'emisfero sinistro) di settanta pazienti, risultò che i pazienti udirono voci, ammonizioni, consigli, provenienti da luoghi strani e sconosciuti, altri rispetto a sé: altri udirono musiche, melodie ignote che erano in grado di canticchiare al chirurgo. Alcuni sentirono la voce della madre, altri di un uomo che poteva essere loro padre e del quale avevano paura; molti intimavano alle voci di smettere di parlare o di urlare. Praticamente tutti non riconoscevano come proprie quelle voci.
Jaynes stringendo il cerchio attorno alla tesi principale del libro: all'inizio quello che chiamiamo coscienza era un'insieme di voci che muovevano gli uomini come fossero automi e che li facevano cantare poesie epiche attraverso le loro labbra. Erano voci le cui istruzioni, le cui parole, potevano essere udite distintamente – allo stesso modo delle voci che gli schizofrenici. Voci che parlavano costantemente dall'interno del sistema nervoso: dio è parte dell'uomo. Per Jaynes: 'Dopo il crollo della mente bicamerale ogni dio è un dio geloso' (p. 399).
In fondo la coscienza si piazza in parte in quell'Io freudiano che, attraverso una propria rappresentazione metaforica o analogizzata, riesce a fare le scelte; prendere delle decisioni con le quali ciascuno di noi sceglie un lavoro, un compagno, una casa. Senza questa capacità di vedere se stessi, di pensare ai propri pensieri, di immaginare il futuro o di rielaborare il passato, non c’è coscienza. La teoria di Jaynes è suggestiva e ricca di molte riflessioni su cui dobbiamo fare i conti.