Parte decima
Mia mamma Nina. Mia mamma era Angiolina, Nina per tutti. Nina era la terzogenita della famiglia Bovio. La madre era Attilia Vacca - nata a Orsara Bormida nel 1882 e morta nel 1961; il padre -mio nonno- era Pietro Bovio - nato a Cremolino e morto nel 1950. Lui faceva il fornaio. Prima aveva un forno suo a Murta e poi lavorò come dipendente in un forno di Sestri Ponente.
Nina era nata il 16 giugno del 1916, era la penultima di quattro sorelle. Mia mamma Nina era quella rimasta in casa anche dopo sposata. Era rimasta con i genitori in via Casimiro Corradi. I genitori di mio papà Attilio abitavano invece in sciu puntinetto, in via Sestri...allora via Garibaldi. Succedeva spesso di rimanere in famiglia; non solo c'era il problema di riuscire ad avere una casa propria per via delle spese, ma c'era presente anche il concetto di coabitazione per aiutarsi: unire le centolire condividendo l'affitto e il vitto. Quel vitto, il mangiare, sarebbe stato meglio definirlo il digiunare.
Nina sposò Attilio, che era anch'esso il terzogenito della sua famiglia.
Le altre sorelle poi sposate erano andate a vivere chi con i genitori del marito o degli suoceri. Le sorelle di Nina erano Ines, Lina e la più giovane Mariuccia.
La prima, Ines, si sposò con Santiago Rizzo di Pegli, e subito dopo la guerra emigrò con il marito in Argentina a Buenos Aires. Santiago era stato durante il regime un capofabbrica fascista e finita la guerra, caduto il fascismo, per lui non c'era più vita: schernito dagli operai e discriminato nelle relazioni decise di partire per l'estero. In Argentina abitarono a Buenos Aires, zona villa Bosch. Santiago trovò lavoro alla Fiat argentina e la zia Ines aprì un negozio di tabacchi. Ines con Santiago ebbero tre figli: Gianfranco, Franco e Maria Grazia, chiamata Puny. Di loro negli anni persi ogni notizia.
Lina sposò un marittimo: Settimio Fabbiani, ed era considerata la più ricca: il marito in giro per il mondo guadagnava bene e nella sua casa di proprietà a Pegli crebbe tre figli: Maria, Nanni ed Enrico. Nanni ed Enrico aprirono un negozio di macelleria in Via Vianson e poi Nanni da solo una macelleria in via Arrivabene a Sestri.
Mariuccia è stata la sorella più vicina a Nina, è stata lei che con il marito Pilade Rapallo, valente meccanico alla Piaggio di Sestri Ponente, (anche lui deportato e finito a lavorare vicino a Berlino) si prese cura di mia sorella Ines-Amelia, quando Nina si ammalò di TBC, crescendola insieme a sua figlia Gabriella come una propria figlia.
Nina, Angiolina, morì il 2 marzo 1958 all'ospedale Maragliano di Genova San Martino.
Per questa morte prematura mia mamma fu da me angelicata.
Nina per me era il sapore di latte, sapore di buono, sapore dolce, un sapore purtroppo perso; perso da un oblio, perso da un rimosso di un abbandono non celebrato. Mia madre morì a 42 anni, io avevo 12 anni.
Mia mamma morì di tubercolosi, una malattia che me la sottrasse anche prima.
Era nel settembre del 1957. Ricordo che l’ultima volta che vidi mia madre non potei abbracciarla. Che era l’ultima volta non lo percepii subito, lei era malata di un male che faceva paura, era infettivo e segnava profondamente anche la vita dei familiari: la TBC. C’era molta ignoranza a quei tempi e si aveva timore che il contagio avvenisse anche con un bacio.
Io per un lungo tempo mi vergognai di dire che mia mamma era morta di tubercolosi. Quella malattia colpiva soprattutto i poveri, e forse io non volevo far sapere che ero povero. Quei pensieri li ho superati.
Il ricordo di mia mamma è ancora vivo. Mia madre gonfia per una cura cortisonica che proprio in quegli anni si sperimentava e che forse se scoperta prima la avrebbe salvata, era a pochi metri e non potevo toccarla. Quel mancato abbraccio, a ripensarci, mi manca anche a distanza di molti anni. Io lo vivo come una grossa mancanza. Chissà se fossi riuscito a baciarla o stringerla anche solo per poco poi l'avrei ricordata meglio. Sei mesi dopo sarebbe morta. Io lo seppi alcuni mesi più tardi, in un parlatorio di una colonia estiva di Andora.
Era agosto, dopo pochi giorni sarei ritornato a casa per trovare un altro collegio, dove finalmente avrei potuto iscrivermi alle scuole medie. Nel collegio precedente ho dovuto ripetere la quinta elementare poiché, seppur promosso, mio papà non era riuscito a trovare l'iscrizione in un istituto dove avrei potuto continuare la scuola in modo regolare. Fui un ripetente mio malgrado.
Mio papà forse non sapeva come dirmi della morte della mamma e così, come si levasse qualcosa dallo stomaco, una giornata d'estate mi vomitò la frase addosso: 'Devi saperlo, la mamma è morta. Non scriverle più lettere. La mamma non c'è più...'. Fu un momento di sospensione che non si può descrivere. Entrai in un'apnea che preludeva a un grido soffocato pronto far iniziare una serie di singhiozzi. Le mie guance si bagnarono come non mai di lacrime. Eppure avrei dovuto essere preparato a quella notizia. Non ricevetti in quei lunghi 5 mesi nessuna lettera di risposta alle tante mie.
‘Cara mamma io sto bene come spero sia di te…’. Ricordo che così iniziavano tutte le mie lettere speditele. A quelle mie lettere non ebbi nessuna risposta. Avrei dovuto capire che qualcosa non andava. Mia mamma era morta dopo pochissimo tempo da quell’incontro e nessuno aveva avuto il coraggio di avvertirmi. Così io continuavo a scriverle. A scriverle e a sognarla. Ma successe che era entrata in gioco l'intuizione: avevo una specie di strana partecipazione nel rivolgere delle mie preghiere alla Madonna. In vita mia non pregai mai così tanto come in quei cinque mesi. Vedere la statua della Madonna a fianco all'altare, era in un certo senso vedere mia mamma: sovrapponevo a quell'immagine la figura di mia mamma.
Di mia mamma mi rimane soprattutto quel ricordo. Ho delle foto, ma il ricordo vale a scaldarmi il cuore più di ogni cosa. Sappiatelo tutti: i nostri genitori in verità non muoiono; noi portiamo nel nostro corpo i loro geni. Noi siamo la loro continuazione nel bene e nel male. Noi siamo semplici portatori di un testimone che ha impresso un atto d'amore.
Molti anni dopo in un tema in seconda media raccontai quel triste avvenimento. Il tema fu letto dall'insegnate in classe e ricordo che tutti gli alunni, nell'ascoltare quel racconto, piansero.
Sono passati più di 50 anni, una vita: amore, figlia, case e lavori e tante cose la riempiono e la invecchiano, ma quel mancato abbraccio mi fa struggere e mi procura ogni tanto un senso di colpa. Così a volte da collegiale circondato da suore prima e da preti poi, rivedevo spesso mia madre in angoli di muro bianco; la rivedevo in sogni come la madonna, la rivedevo in chiesa cui tra voci di preghiera, confondendo la mia che sussurrava solo: mamma.
'Ma non tirartela da orfano! Sei grande.'. Giusto. Anna con un pizzico di ironia mi richiamava alla realtà. Vero. Non si vive di rimpianti e la vita deve andare avanti.
Seguirà parte undicesima
1 commento:
Questa tua memoria é struggente. Vorrei scrivere di più ma come si fa a consolare per la mancanza di un abbraccio così speciale e importante ? Nulla,semplicemente il commosso silenzio. (Luisella)
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