domenica, gennaio 16, 2011

Carezze e Vita

di Giorgio Boratto
Nel lungo cammino di consapevolezza si passa dall'accettazione del nostro sé, con la pietà per le nostre debolezze, al riconoscimento delle nostre potenzialità, fino a diventare padre e madre di noi stessi.
Bella a tale proposito, è la storia di Erik Erikson, che senza essere nè medico, nè psicologo, divenne professore ad Harward come studioso delle età evolutive.
Egli in realtà si chiamava Homburger, ma andando in America cambiò nome e cognome di famiglia scegliendo Erikson che vuol dire figlio di Erik; il suo nuovo nome indicava che egli era il padre di se stesso.
Anche Eric Berne, colui che formulò l'Analisi Transazionale, nato in Canadà, cambiò il proprio cognome. In origine il suo nome era Bernstein, ma divenuto cittadino americano nel 1938 si cambiò il nome in Berne.
Proprio all'interno dell'A.T. (Analisi Transazionale) che studia i comportamenti relazionali, parla di carezze come lo strumento per procurarci conferme d'esistenza.
Che strani animali siamo; siamo la sintesi evolutiva della vita sul pianeta Terra, abbiamo sviluppato l'autocoscienza e paradossalmente continuiamo ad aver bisogno che l'altro, il prossimo, ci confermi che ci siamo: che viviamo, siamo qui e comunichiamo. La 'carezza' diventa dunque l'unità di stimolo per la relazione.
Le 'carezze' possono essere di diverso tipo, grado e modalità; possono essere fisiche, verbali, mimiche, mediali, condizionate o incondizionate, distruttive o costruttive, positive o negative.
Questa fame di 'carezze' o di stimoli, che è fame di riconoscimento, è tanto importante come il cibo e l'aria.
Questa fame è così sentita che si preferisce una carezza negativa (es. un rimprovero) piuttosto che l'indifferenza.
In mancanza di queste 'carezze' preferiamo gli schiaffi.
Senza 'carezze' non si vive.
L'amore in sostanza è il più grande e gratuito dispensatore di carezze.
La fame di 'carezze' è diversa in ognuno di noi, c'è a chi non bastano mai e chi riesce a vivere con una 'carezza' al giorno.
Un esempio possono essere i divi dello spettacolo o i personaggi pubblici, cui le 'carezze' ricevute con il successo o la riconoscibilità, pare non gli bastino mai: cadere nella dimenticanza, li fa sprofondare in gravi crisi depressive.
Eric Berne nel libro: "Ciao...e poi?", indica il saluto come la prima carezza che normalmente ci scambiamo.
Per questo io ho sperimentato che salutare le persone molto anziane che incontro nel mio quartiere e quelle che normalmente non si aspettano un saluto (tipo il casellante dell'autostrada) sia una forte e positiva carezza: hanno avuto un riconoscimento che procura piacere; loro ci sono e sono state viste.
Provate anche voi.
Oltre che una forma di educazione con il saluto -conoscendo la teoria delle carezze- si regala vita.

Gestione delle 'carezze' e capacità d'amare di Giorgio Boratto


Secondo Claude Steiner (un allievo di Berne), in occidente, i bambini vengono allevati attraverso la gestione delle 'carezze'.
Questa gestione, per Claude Steiner, è basata su 5 punti:
1) Non chiedere carezze
2) Non dare carezze
3) Non accettare carezze
4) Non rifiutare carezze negative
5) Non accarezzare te stesso.
Chi viene allevato rispettando queste regole, vive cercando beni materiali, si accontenta di essere frustrato, insultato e infine cerca sostitutivi alle carezze, tipo la droga.
Rifiutare invece queste regole dell'educazione occidentale, significa conquistare l'autonomia rifiutando carezze negative.
Come sostenevo nell'articolo su 'Amore e carezze' ci sono molte maniere per ottenere carezze e con l'amore, l'amicizia e le relazioni giuste soddisfiamo quel bisogno di riconoscimento d'esistenza che è alla base dei nostri bisogni intimi.
Nelle relazioni intime ci si apre alla comprensione e alla reale conoscenza; avviene uno scambio che si basa sulla fiducia e libertà.
La critica allontana l'intimità. La tossicomania è per certi versi un surrogato all'intimità.
Vedendo quanta gioventù è in preda alla droga e all'alcol, si può ben desumere quanta sia grande oggigiorno la mancanza di intimità nei rapporti relazionali.
La stessa fisicità dell'oggetto droga è surrogato all'uomo. E' la madre nel cui grembo ci annulla.
E' la pulsione di morte che vince.
La difficoltà di rapporto con la propria sfera emotiva e sentimentale, diventa causa di grande malessere perciò la gestione dei sentimenti, la sua qualità e capacità, sono fonte da cui dipende il modo per affrontare la vita.
L'amore è la relazione più intima che esista ed è la relazione che dovrebbe liberare.
Uso il condizionale poiché spesso il sentimento d'amore produce catene e tramite la gelosia si alimentano paradossalmente delle negatività.
Per Fromm amare è un'arte che si impara e ritiene responsabili dell'incapacità di provare amore, tre pregiudizi:
1) Ritenere che 'amore' è farsi amare
2)Scambiare l'oggetto d'amore per una facoltà. Invece di 'come e quanto' amo, l'amore diventa 'chi e che cosa'.
3) Scambiare l'innamoramento per amore.
Quindi per Fromm, l'amore è una facoltà che va imparata e coltivata: è l'arte della felicità umana.
L'amore, questa relazione così coinvolgente, che affonda la sua origine nel profondo della nostra natura fisica, scatena conflitti di pulsioni ed energia.
Dare sbocco a questa energia ed equilibrarla, dando un senso ideativo alla pulsione, è scaricare il conflitto ed è la via per una armonica estensione del nostro essere. Diversamente nasce la frustrazione.
La coppia, come si è detto, rappresenta, il modo più semplice per assicurare la relazione d'amore.
L'intimità è sempre un incontro a due.
Incontrarsi, conoscersi e riconoscersi, non è mai un caso, ma un inevitabile processo di crescita e comunicazione che fa accadere fatti che appaiono misteriosi e strani.
Intanto cerchiamo 'carezze'...ma in fondo dobbiamo sapere che aneliamo a quella libertà e autonomia che passa ancora e sempre per l'amore.

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