venerdì, ottobre 22, 2004

a vita bassa

In un articolo, dei giorni scorsi su un quotidiano, una quindicenne diceva di voler comprare un paio di mutande Dolce e Gabbana da indossare sotto i jeans a vita bassa facendo uscire bene la scritta e poi andare a passeggio sulla Tuscolana insieme ad altri ragazzi. Alle obiezioni del professore di scuola che le faceva osservare quanto fosse triste ripetere le scelte di tutti, rinunciare ad avere una personalità, arrendersi a una moda pensata da altri, la quindicenne replicava: "Professore, ma non ha capito che oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti, i calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro esistono veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente e non saranno mai niente. Io l'ho capito fin da quando ero piccola così. La nostra sarà una vita inutile. Mi fanno ridere le mie amiche che discutono se nella loro comitiva è meglio quel ragazzo moro o quell'altro biondo. Non cambia niente, sono due nullità identiche. Noi possiamo solo comprarci delle mutande uguali a quelle di tutti gli altri, non abbiamo nessuna speranza di distinguerci. Noi siamo la massa informe".
Da sempre penso ci sia nei quindicenni, per non dire altre età giovanili e no, lo spirito di branco, di emulazione di modelli definiti di successo, di appartenenza e ricerca di mode. Poi esiste anche un altro problema che riguarda, oltre che il costume e la psicologia di massa, anche il perché del bisogno di celebrità, di successo che c’è in tutti e fa sentire frustrati e inutile chi non riesce a raggiungerlo.
Oggi la televisione dimostra tutto il suo potere attrattivo e di risposta ad un bisogno che è profondo e se analizzato bene risulta semplice: la conferma di esistenza. Già, abbiamo bisogno che qualcuno ci dica sempre che viviamo, ci siamo e che siamo noi. Per soddisfare questo semplice bisogno servono le ‘carezze’ di ogni tipo, tanto che è meglio uno schiaffo, un rimprovero, all’indifferenza.
In Tv succede che si diventa qualcuno, si diviene celebri, in breve tempo senza nessuna particolare dote: basta apparire; basta quello per essere riconosciuti, e con questo riconoscimento ricevere le famose carezze utili a confermare l’esistenza, l’essere in vita.
La mancanza di celebrità, quello che manca in sostanza alla quindicenne, fa sembrare la vita inutile. Pare che le carezze e quella quantità necessaria a dire che ci siamo sia dovuta solo a chi è celebre, al divo, allo sportivo vincitore, il resto è nullità. Ecco spiegato forse anche la corsa a diventare ‘veline’: pseudo ballerine, cantanti, figurine utili a rendere la scenografia festosamente sexi; metterci la faccia e il ‘sedere’ rende molto celebri.
Per me avviene questo perché si è travisato e ricevuto all’origine l’insegnamento sbagliato su ciò che è l’amore. L’amore è la vera medicina che guarisce il bisogno di confermare l’esistenza e regala le più belle, profonde e durature carezze.
Ma non bisogna scoraggiarci: amare è un’arte e si deve imparare a proprie spese. Allora si comprenderà che diventare celebri, non vuol dire amare ed essere amati, ma sentire di più questa mancanza; sentirla al pari di chi non lo è, ed è forse per questo più vicini alla vera arte. L’arte di amare.

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